Per il costituzionalista, già parlamentare di An, il premio di
governabilità alla lista creerebbe un bipartitismo egemonizzato dal Pd.
Rendendo le altre forze subalterne a Renzi. Mentre Berlusconi e
Alfano...
La riforma
del meccanismo di voto al centro di estenuanti negoziati tra le forze
politiche sta assumendo contorni tecnico-legislativi sempre più marcati.
E, qualunque sia l’esito del confronto sui punti tuttora aperti –
soglia di accesso per il Parlamento, ampiezza delle circoscrizioni,
rapporto fra “candidati bloccati” e voto di preferenza, attribuzione del
premio di maggioranza alla singola lista anziché alla coalizione
vincente – produrrà effetti rilevanti nel panorama partitico nazionale.
Per capire chi verrà avvantaggiato e chi sarà penalizzato dall’Italicum 2.0, Formiche.net ha interpellato Paolo Armaroli,
professore di Diritto pubblico comparato presso la Facoltà di Scienze
politiche dell’Università di Genova e parlamentare di Alleanza Nazionale
tra il 1996 e il 2001, oltre che per anni editorialista dei quotidiano il Giornale e il Tempo.
La previsione di capilista bloccati e la scelta degli altri
candidati tramite le preferenze favorirà i piccoli o i grandi partiti?
Creerà una forte discriminazione tra gli elettori delle formazioni
con meno consenso e dei gruppi più forti. Perché nelle prime verranno
eletti esclusivamente i capilista, e i cittadini dovranno accettarli
passivamente. Mentre nei secondi il gioco delle preferenze potrebbe
rendere aperta la gara per gli altri aspiranti parlamentari, che sarà
decisa proprio dal voto dell’opinione pubblica.
La possibilità per i capilista di presentarsi in 10 circoscrizioni inciderà sulla facoltà di scegliere i parlamentari?
Sarà una beffa per i cittadini. A seconda del collegio per cui opterà
il “pluri-eletto”, farà ingresso in Parlamento questo o quel candidato.
Anche se è sempre stato seguito tale metodo per gli “alti papaveri” dei
partiti.
Quali conseguenze politiche provocherà la riduzione dei collegi plurinominali da 120 a 100?
Avremmo circoscrizioni più ampie. Pertanto le formazioni minori come
Nuovo Centrodestra, Fratelli d’Italia, Sinistra e Libertà, potranno
contare su una maggiore rappresentatività.
Sempre che riescano a superare la clausola di ingresso in Parlamento.
Certo. Un’asticella che potrebbe essere fissata al 4 per cento dei
voti, punto di incontro finale tra le proposte sul tappeto. Nel
centro-destra non è certo che tutti raggiungano la soglia di consensi
per entrare alla Camera dei deputati. Pertanto è interesse dello stesso
Silvio Berlusconi mantenerla ridotta.
Ma l’ex Cavaliere non punta a neutralizzare il partito di Angelino Alfano?
Con l’assegnazione del premio di governabilità di 340 parlamentari
alla lista e non all’alleanza vincente, Forza Italia correrebbe un
duplice rischio. Costruire un “listone” con gli altri gruppi
conservatori, certamente poco coerente e ingannevole nei confronti degli
elettori. Oppure favorire la rappresentanza di tutti i potenziali
alleati compreso NCD.
E se non lo facesse?
Verrebbe tagliata fuori dalla competizione per il governo. Si
configurerebbe in tal modo un “bipartitismo imperfetto” tutto
sbilanciato a favore del PD e giocato verso una porta sola.
È questo il destino di medio-lungo termine per il centro-destra?
Un conto sono i sondaggi, un altro i risultati elettorali. Vedremo
fra tre anni. Berlusconi ha l’interesse a non restare relegato
all’opposizione in modo irriducibile. E vuole continuare a giocare nel
tavolo delle forze di maggioranza, accreditandosi come padre del
percorso di rinnovamento istituzionale e come interlocutore centrale per
l’elezione del Capo dello Stato.
Con il nuovo meccanismo di voto il Movimento Cinque Stelle potrebbe costituire l’antagonista effettivo del PD?
È un’incognita. Non sappiamo se quando si tornerà alle urne il M5S
sarà ancora quotato, vista la pochezza della sua classe dirigente e il
comportamento di Beppe Grillo che si pone all’esterno dell’agone
politico.
La minoranza del Partito democratico accetterà la nuova legge elettorale?
Per la sinistra del Nazareno si pone l’alternativa tra “mangiare la
minestra o saltare dalla finestra”. La ragione profonda per cui Matteo
Renzi vuole approvare al più presto la riforma non è tornare alle urne.
Qual è allora?
Avere in tasca, come il premier britannico, il potere indiretto di
scioglimento delle Camere per neutralizzare l’ostruzionismo delle
opposizioni esterne e l’ostilità della minoranza interna al suo
pacchetto di riforme. Il premier avrebbe gioco facile a brandire l’arma
della mancata ricandidatura per i parlamentari vicini a Massimo D’Alema,
Pier Luigi Bersani, Gianni Cuperlo, Giuseppe Civati.
di Edoardo Petti - 14 novembre 2014
fonte: http://www.formiche.net
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