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Non smettete mai di protestare; non smettete mai di dissentire, di porvi domande, di mettere in discussione l’autorità, i luoghi comuni, i dogmi. Non esiste la verità assoluta. Non smettete di pensare. Siate voci fuori dal coro. Un uomo che non dissente è un seme che non crescerà mai.

(Bertrand Russell)

30/11/18

Cosa succede quando un Comune dichiara il dissesto ?


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Il dissesto finanziario di un comune è una procedura che coinvolge sia la politica che il mondo economico-finanziario.

Il dissesto è una cosa ben diversa dal fallimento di un’impresa privata in quanto non si può determinare l’estinzione del Comune proprio perché gli enti locali non possono cessare di esistere come una semplice impresa privata, ma bisogna garantire la continuità amministrativa.

Procedura che crea di fatto una frattura tra la precedente amministrazione e l’amministrazione controllata, permettendo al comune in dissesto di ripartire libero dai debiti, ma libero anche dai crediti e dal suo patrimonio, che verranno ceduti per consentire la liquidazione.

Tutto ciò che concerne il “pregresso” viene estrapolato dal bilancio comunale e trasferito alla gestione straordinaria che si occupa della liquidazione e che ha competenza su tutti i debiti correlati alla gestione entro il 31/12 dell’anno precedente a quello dell’ipotesi di bilancio riequilibrato, anche se venissero accertati successivamente.

QUANDO SI MANIFESTA IL DISSESTO?

Partiamo dal considerare una famiglia come un ente locale, l’art. 244 del Testo Unico sull’ordinamento locale stabilisce che si ha dissesto finanziario quando un ente non è più in grado di assolvere alle “ordinarie” funzioni ed ai servizi definiti indispensabili, quando nei confronti dell’Ente esistono crediti di terzi ai quali non si riesce a far fronte con il mezzo ordinario del riequilibrio di bilancio né con lo strumento straordinario del debito fuori bilancio.

La mancata definizione di un piano di rientro espone dunque un’amministrazione ai tanto temuti interessi passivi sul debito: giorno dopo giorno infatti, anche se non si contraggono nuovi debiti, l’esposizione debitoria aumenta, proprio per effetto degli interessi. I mutui vengono rinegoziati allungando i tempi di pagamento ma aumentando le rate, le finanziarie erogano prestiti ad interessi del 14%; insomma, più o meno ciò che succede a qualsiasi famiglia che abbia bisogno di liquidità.

COSA ACCADE IN CASO DI DISSESTO FINANZIARIO DELL’ENTE?

Nel momento in cui viene dichiarato il dissesto del comune, sindaco, giunta e consiglio resterebbero in carica ma verrebbero coadiuvati da una commissione espressamente designata dal Ministero degli Interni.

La commissione si occuperebbe del disavanzo pregresso, mentre l’amministrazione gestirebbe il bilancio “risanato” come è successo per l’Alitalia.

La sola ipotesi di commissariamento del Comune si verificherebbe nel caso in cui l’amministrazione non dovesse approvare il bilancio di previsione (la cui scadenza è alla fine del mese di maggio).

L’eventuale dichiarazione del dissesto di fatto congelerebbe invece la scadenza del bilancio stesso, mettendo in moto una procedura del tutto diversa per la definizione e l’approvazione del bilancio stesso; le conseguenze maggiori del dissesto finanziario si hanno sotto il profilo contabile.

Viene chiesto all’Ente locale di “contribuire” al risanamento attraverso l’adozione di provvedimenti eccezionali.

L’Ente dissestato è tenuto ad approvare un nuovo bilancio, basato principalmente sull’elevazione delle proprie entrate al livello massimo consentito dalla legge, vale a dire che tutte le tasse comunali (IMU, addizionale comunale, TARSU) saranno aumentate il più possibile fino ad arrivare al tetto massimo consentito dalla legge, basato, inoltre, sul contrasto all’evasione e sul contenimento di tutte le spese.

Spese comunali significa innanzitutto personale, la legge prevede che gli impiegati comunali devono essere nella misura di 1 su 93, pertanto da questa procedura scaturiranno esuberi di personale che verrà posto in mobilità.

Il comune è altresì tenuto a contribuire all’onere della liquidazione in particolare con l’alienazione del patrimonio disponibile non strettamente necessario all’esercizio delle funzioni istituzionali, la destinazione degli avanzi di amministrazione dei cinque anni a partire da quello del dissesto e delle entrate straordinarie, la contrazione di un mutuo a carico del proprio bilancio.

La dichiarazione di dissesto, in breve tempo, è parsa ai politici locali una negatività da evitare al fine di non essere costretti ad emanare provvedimenti così impopolari.

I provvedimenti da adottare in materia di personale e di tributi locali sono ritenuti così pesanti che gli enti arrivano il più delle volte alla dichiarazione di dissesto solo quando, a seguito delle azioni esecutive dei creditori che pignorano le somme della cassa comunale, non è più possibile pagare neppure gli stipendi al personale dipendente.

DOPO CHE IL CONSIGLIO COMUNALE DELIBERA IL DISSESTO COSA SUCCEDE?

La dichiarazione di dissesto produce tre ordini di effetti che riguardano: i creditori, la gestione ordinaria dell’ente locale e gli amministratori dello stesso ente.

Le conseguenze sui creditori operano fin dall’inizio; quelle sugli amministratori sono soltanto eventuali; quelle sulla gestione ordinaria (così come l’inizio dell’attività dell’organo straordinario di liquidazione) sono rinviate all’esercizio successivo nel caso in cui l’ente abbia già deliberato il bilancio di previsione per l’esercizio nel corso del quale è adottata la dichiarazione di dissesto.

A) Le conseguenze sugli amministratori sono limitate a quelli che la Corte dei conti ha individuato come i responsabili del dissesto imputando loro i danni per dolo o colpa grave, nei cinque anni precedenti il verificarsi del dissesto finanziario.

Gli amministratori così riconosciuti responsabili non possono ricoprire, per un periodo di cinque anni, incarichi di assessore, di revisore dei conti di enti locali o di rappresentante di tali enti presso istituzioni, organismi ed enti pubblici o privati, quando, valutate le circostanze e le cause che hanno determinato il dissesto, si accerti che questo è diretta conseguenza delle azioni od omissioni per le quali l’amministratore è stato riconosciuto responsabile.

L’interdizione temporanea dai pubblici uffici può essere considerata una sanzione accessoria ed automatica a quella principale della condanna patrimoniale.

B) Le conseguenze sui creditori riguardano i rapporti obbligatori rientranti nella competenza dell’organo straordinario di liquidazione e consistono nella cristallizzazione dei debiti, che non producono più interessi né sono soggetti a rivalutazione monetaria, nonché nell’estinzione delle procedure esecutive in corso, con conseguente inefficacia dei pignoramenti eventualmente eseguiti, e nell’impossibilità di intraprendere o proseguire azioni esecutive nei confronti dell’ente.

C) La dichiarazione di dissesto ha effetti sulla disciplina da applicare alla gestione durante il periodo intercorrente tra tale dichiarazione e l’approvazione dell’ipotesi di bilancio stabilmente riequilibrato.

CHI PAGA GLI ERRORI CHE HANNO PORTATO AL DISSESTO?

Comunque vadano le cose, per l’amministrazione e per la cittadinanza si prospettano tempi tutt’altro che sereni.

La dichiarazione di dissesto finanziario rappresenterebbe senza dubbio un punto di svolta, ma a pagarne il prezzo sarebbe ancora una volta la cittadinanza.

L’ipotesi di bilancio da allegare alla delibera deve essere redatta sulla base di modelli ufficiali conformi alle disposizioni di legge e formulata in base:

a) alla previsione di aumento delle imposte, delle tasse e dei canoni patrimoniali nella misura massima consentita dalla legge, con il recupero della base imponibile totalmente o parzialmente evasa quindi per l’imposta comunale sugli immobili l’Ente deve obbligatoriamente deliberare l’aliquota massima del 7 per mille e deve applicare e riscuotere con la massima speditezza i proventi derivanti dal rilascio delle concessioni edilizie inoltre deve determinare in misura tale da assicurare la copertura integrale dei costi di gestione del servizio per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani;

c) alla eliminazione dei servizi non indispensabili ed al contenimento degli altri livelli di spesa entro limiti di prudenza;
d) alle rate di ammortamento conseguenti al consolidamento dell’esposizione debitoria con la Cassa Depositi e Prestiti e con altri soggetti esercenti attività creditizia;

e) alle risorse assegnate dal Ministero dell’Interno per il trattamento economico del personale posto in disponibilità;

f) al contenimento delle perdite di gestione degli enti ed organismi dipendenti dall’Ente Locale nonché delle aziende municipalizzate, provincializzate, consortili e speciali, entro limiti compatibili con il bilancio riequilibrato dell’ente e sino al definitivo risanamento della gestione degli enti, organismi ed aziende;

g) per i servizi a domanda individuale l’Ente è tenuto ad approvare le tariffe che assicurino la copertura del 36 % dei costi complessivi dei servizi con i soli proventi degli utenti;
Contestualmente alla deliberazione dell’ipotesi di bilancio, l’ente deve deliberare ai livelli massimi di legge le tariffe relative a tutti i tributi (imposte, tasse, oneri di urbanizzazione e canoni o diritti), e ai canoni patrimoniali, con il conseguente recupero della base imponibile in presenza di fenomeni di evasione.

La manovra tariffaria relativa ai comuni dissestati non può limitarsi all’applicazione delle tariffe massime di legge, gli enti sono tenuti a trasmettere all’Ufficio Risanamento Enti Dissestati presso il Ministero dell’Interno, tutti i provvedimenti adottati al fine di accelerare i tempi per le riscossioni e per l’eliminazione dell’evasione.

L’Ente locale, inoltre, deve deliberare la rideterminazione della pianta organica qualora sia numericamente superiore alle unità spettanti sulla base del rapporto dipendenti/popolazione della fascia demografica di appartenenza secondo quanto previsto dalle norme. La mancata prioritaria rideterminazione della pianta organica può costituire pregiudizio ai fini dell’emissione del decreto ministeriale di approvazione dell’ipotesi di bilancio. La rideterminazione della pianta organica deve ispirarsi a criteri di funzionalità ed efficienza nell’erogazione dei servizi, assicurando prioritariamente quelli indispensabili.

           6 giugno 2013 

29/11/18

Ad Ardea il caso del sindaco che non vuole i beni confiscati alla mafia


Il sindaco di Ardea Mario Savarese
 
 
Di solito i sindaci fanno a gara per ottenere i beni confiscati alle mafie, non vedono l'ora di tagliare nastri. Lui no: Mario Savarese del Movimento 5 Stelle, sindaco di Ardea dal 2017, stavolta proprio non ne vuole sapere.
Oggi al Viminale, alla presenza del ministro Matteo Salvini, si è svolta la prima conferenza dei servizi per l'assegnazione di ben 490 immobili nel Lazio sottratti dallo Stato alla criminalità organizzata, tra terreni, abitazioni e locali commerciali. Gli enti locali erano invitati a esprimere il proprio interessamento per la gestione di questi beni. Quattordici case si trovano ad Ardea, in via Asolo, una traversa di via dell'Idrovora, a poche centinaia di metri dal mare. Il ministero dell'Interno sarebbe pronto a mettere le chiavi in mano al Comune, ma oggi il sindaco ha deciso di non presentarsi.
«Bisogna chiarire di che cosa stiamo parlando», commenta il Primo cittadino, spiegando la propria versione dei fatti al Caffè. «Si tratta di una palazzina suddivisa abusivamente in 16 appartamenti, attualmente occupata. Più che un vantaggio diventerebbe per la nostra città un onere, un problema sociale». Il sindaco rispedisce al mittente l'accusa di essersi disinteressato: «Abbiamo avuto già due incontri in Prefettura per questi immobili e abbiamo spiegato il nostro punto di vista: una volta sgomberati, non siamo in grado di assicurare che gli appartamenti non vengano occupati di nuovo. Ho serissimi dubbi sulla reale possibilità di usare questi beni in favore della cittadinanza e sono praticamente certo che si tratterebbe, invece, dell'ennesima bomba sociale di cui finirebbe per farsi carico il Comune di Ardea».
È così che, da opportunità, i beni confiscati alla mafia si trasformano improvvisamente in una patata bollente. Un Comune devastato dal punto di vista economico come quello di Ardea, che nel tentativo di risollevarsi ha dichiarato il dissesto finanziario e non ha soldi da investire per restituire ai cittadini una casa tolta dalle grinfie della criminalità, non si presenta al ministero e si rifiuta di tentare un atto di enorme valore civico, che sarebbe quasi catartico per una città come Ardea, recentemente incoronata "regina dell'abusivismo" dai media nazionali. Comunque la si voglia vedere, è un'occasione persa.

“Ecco perché difendere i confini nazionali è essenziale”


Il generale Bertolini striglia la politica: "Non c'è sovranità senza moneta propria e interesse per le Forze Armate"


Il generale Bertolini passa in rassegna le truppe
Il generale Bertolini passa in rassegna le truppe
 
 
 
Un uomo d’altri tempi, che coniuga pensiero e azione. Un simbolo delle forze armate italiane. Il generale Marco Bertolini, in congedo dal luglio 2016 per raggiunti limiti d’età, è un paracadutista e veterano delle operazioni militari all’estero. Ha partecipato a diversi conflitti: nel 1982 in Libano fu ferito e ottenne una medaglia d’oro, dopo di che fu impegnato in ruoli di comando in Somalia, nei Balcani, in Afghanistan, dove dal 2008 al 2009 è stato capo di Stato Maggiore della missione Nato. Oggi il suo sguardo continua a rivolgersi alle questioni che riguardano le Forze Armate italiane e la difesa dei nostri confini nazionali. Lo fa con preoccupazione, perché rileva che negli anni si è assistito a un graduale disinteresse politico nei confronti di aspetti che - come sottolinea nell’intervista ad In Terris che segue - sono determinanti per un Paese che voglia dimostrarsi davvero sovrano.
 
A giugno lei ha preso posizione scrivendo una lettera per ribadire “la centralità della Difesa nella salvaguardia degli interessi e della sicurezza” del Paese. Che riscontri ha avuto sul tema a cinque mesi di distanza?
“Come fatto in diverse occasioni, ho espresso una posizione che è condivisa da chiunque abbia scelto il mestiere del soldato in merito all’importanza delle Forze Armate. Il riscontro è abbastanza deludente. Da parte dei militari, che non possono non essere sovranisti, c’è grande attenzione per alcuni temi che vengono sollevati dal Governo. Almeno una parte dell’Esecutivo è consapevole del fatto che la sovranità si basa sulla disponibilità delle Forze Armate e di una moneta propria. Ma alle parole non si vedono ancora seguire i fatti. Anzi, giunge qualche segnale scoraggiante: l’estate scorsa è stata presentata una proposta di legge per introdurre le associazioni sindacali nelle Forze Armate; il che equivarrebbe, a mio avviso, a una smilitarizzazione di fatto”.

Di cosa avrebbero bisogno le Forze Armate?
“Di investimenti. La Marina ha bisogno di navi. Ma riuscirà a rinnovare la sua flotta, perché negli ultimi tempi c’è stata grande attenzione nei suoi confronti per le operazioni Mar Mediterraneo, Mare Sicuro, Eunavofor Med (operazione Sophia, ndr). C’è poi l’aeronautica, che ha bisogno degli F35, i quali non sono un giochino per far divertire qualche generale, ma mezzi indispensabili per la nostra operatività e la nostra difesa. In caso di bisogno, del resto, non esiste la possibilità di comprare un aereo ed averlo subito a disposizione: stiamo parlando di progetti che necessitano di diversi anni per essere sviluppati, ecco allora che interrompere l’acquisizione di un mezzo è pericoloso. La nostra componente da trasporto ha sofferto problemi di manutenzione spaventosa per molti anni. C’è poi l’Esercito: la forza armata impegnata più pesantemente in questi decenni dai vari Governi, a partire dal Libano nel 1981 per poi arrivare a Somalia, Balcani, Afghanistan, Iraq e ancora oggi in Libano, dove abbiamo 1.100 uomini impiegati. Ma l’Esercito è stato impegnato a spese sue: ha dato fondo a tutte le sue scorte, perché le leggi finanziarie sono sempre state insufficienti. La componente corazzata è ridotta all’osso: abbiamo elicotteri che non hanno ore di volo, cioè non hanno carburante sufficiente per poter essere utilizzati. Abbiamo una scarsità enorme di munizioni. Non abbiamo poi aree addestrative, che sono fondamentali, soprattutto ora che l’Esercito è formato da professionisti, che vanno addestrati tutti i giorni, perché le procedure ed i mezzi militari cambiano continuamente. Per esemplificare con un argomento che mi sta molto a cuore, anche il parco paracadute dei paracadutisti è ridotto ai minimi termini, con materiali ormai prossimi al termine della vita tecnica”.

A cosa è dovuta quella che lei denuncia come una negligenza verso le Forze Armate: a una cultura antimilitarista o alla crisi economica che ha portato i Governi a trascurare le spese militari?
“C’è anche un aspetto economico: si è pensato di tagliare le spese militari considerandole improduttive. Ma non è così: la Difesa dà lavoro e produce ricchezza a tutto il Paese. Ma c’è soprattutto un problema culturale. L’Italia si è illusa di poter fare a meno delle Forze Armate. Si è dato risalto all’art. 11 della Costituzione il quale afferma che l’Italia ‘ripudia la guerra’, mentre è stato dimenticato l’art. 52 il quale sottolinea che ‘la difesa della patria è un dovere sacro del cittadino’. È così che sono nati artifizi linguistici come ‘missioni umanitarie’, ‘bombardamenti difensivi’, ‘operazioni di polizia internazionale’: tutti modi per nascondere il fatto che le Forze Armate fanno la guerra”.

L’Italia oggi è in guerra?
“In Afghanistan siamo alleati del Governo afgano che è in guerra con i talebani. Dunque non siamo in interposizione, ma siamo in guerra al fianco dei nostri alleati. Stesso discorso in Iraq: i nostri soldati sono alleati del Governo iracheno che svolge operazioni belliche. Manca la consapevolezza del compito che le Forze Armate italiane svolgono nei vari teatri di crisi. Se invece ci fosse consapevolezza, si riuscirebbe forse a dotare le Forze Armate di ciò di cui hanno bisogno”.

La difesa dei confini è ancora importante?
“La difesa dei confini è essenziale. Ma va intesa come difesa di ciò che siamo, perché i confini non sono un mero aspetto territoriale. Esistono confini fondamentali di carattere culturale, spirituale, storico, linguistico. Se riducessimo tutto alla difesa di un pezzo di terra, allora svuoteremmo di significato il contenuto di una patria, avallando così il concetto di Ius soli che mira invece a svilire l’identità nazionale. Difendiamo dunque un territorio, ma soprattutto l’italianità. E oggi, nel contesto storico che viviamo, difendere i propri confini significa estendere le proprie azioni anche lontano da casa: bisogna saper difendere gli interessi nazionali all’estero, ad esempio in Africa, dove negli anni sono avvenuti episodi che hanno leso i nostri interessi”.

Fa riferimento alla Libia immagino...
“Sì. Purtroppo quando la Francia ha deciso di bombardare la Libia, l’Italia si è dimostrata remissiva, finendo per subire le conseguenze devastanti di quell’operazione militare: le migrazioni verso le nostre coste, la perdita di accordi commerciali molto importanti, nonché l’instabilità in un Paese che per noi è strategico. Ricordo che noi siamo al centro del Mediterraneo, che oggi è l’area di maggiore turbolenza del globo, dove si affacciano tutte le potenze mondiali: questa posizione ci impone di essere forti, ed essere forti senza avere una sovranità militare e monetaria è impossibile”.

Periodicamente si torna a parlare di esercito europeo. Come valuta questa ipotesi?
“Sarebbe più corretto parlare di forze armate europee. Ma si tratta di un’idea retorica e improponibile. L’Esercito è uno strumento di difesa, ma anche di politica estera. Ebbene, se non esiste una politica estera europea come può esserci l’Esercito europeo? Prima abbiamo parlato della Francia (alla quale va aggiunta la Gran Bretagna), che hanno bombardato la Libia contro i nostri stessi interessi. E ancora: la Francia oggi sta svolgendo un’operazione in Africa con la quale controlla i suoi ex possedimenti coloniali. Sono esclusivi interessi nazionali. Come interesse nazionale francese è il possesso di armi nucleari, Parigi non sarebbe disposta a metterle a disposizione di altri Stati dell’Ue. Ma parliamo anche dell’Italia: la nostra Costituzione prevede che il comandante supremo delle forze armate sia il presidente della Repubblica, proprio perché è un presidio di sovranità. Come potrebbe dipendere da una comunità internazionale?”.

Prima ha parlato di radici spirituali da difendere…
“In quanto italiani, abbiamo una cultura forgiata anche dalla religione, che è elemento comune dalle Alpi alla Sicilia: abbiamo dialetti e alcune tradizioni diversi, ma abbiamo sempre venerato gli stessi santi e costruito le stesse chiese. Questo è un tratto comune fortissimo. Difendere la patria significa quindi difendere anche la nostra visione religiosa, che non può che essere cattolica. Ed è una visione agli antipodi dall’arrendevolezza, è forza: per essere missionari, ad esempio, c’è bisogno di forza. Amare il prossimo come sé stessi è un gesto coraggioso, ardito”.

C’è anche chi ritiene sia incompatibile essere cristiani e militari…
“Sono cristiano, cattolico e mi sento a mio agio come militare. Non vedo alcuna incoerenza. Grandi Papi, come San Giovanni Paolo II, non hanno mai nascosto la loro vicinanza ai militari. Questi ultimi non sono biechi esecutori di violenza senza criterio, ma sono coloro in grado di sacrificare sé stessi per il bene degli altri. Mi sembra un concetto, quest’ultimo, tutt’altro che lontano dai dettami evangelici”.

di FEDERICO CENCI @FedeCenci 

28 novembre 2018