Nello scorso mese di luglio è stata resa pubblica la relazione finale
 della IV Commissione d’Inchiesta sull’uranio impoverito, uno studio 
autorevole che ha fatto ulteriormente chiarezza sulle cause di un 
fenomeno che ha colpito migliaia di soldati italiani negli ultimi 
vent’anni.
All’inizio del nuovo millennio, infatti, tra i nostri militari che 
avevano prestato servizio nelle missioni balcaniche, in Bosnia e nel 
Kosovo, si era verificato un improvviso aumento di casi di linfoma di 
Hodgkin, tale da far prevedere un collegamento tra l’insorgere della 
malattia e l’attività prestata in teatro.
Gravemente sospetta era apparsa la presenta in quei territori di 
residui di uranio impoverito che, sotto forma di aerosol con particelle 
micro polverizzare trasportabili dal vento anche a grande distanza, 
erano suscettibili di entrare nell’organismo per inalazione o ingestione
 attraverso alimenti contaminati.
Dopo non poche polemiche, non sempre prettamente scientifiche, venne 
varata la Commissione Mandelli, incaricata dal Ministero della Difesa di
 far luce sul fenomeno ed individuarne le cause scatenanti.

La commissione terminò i propri lavori nel 2004 senza accertare un 
nesso diretto ed incontrovertibile tra l’esposizione potenziale 
all’uranio impoverito e l’insorgenza dei linfomi, ma raccomandando 
un’ulteriore fase di studio che monitorasse l’evoluzione del fenomeno.
 
Ne nacque, su indicazioni della Difesa, il Progetto SIGNUM, acronimo 
per Studio di Impatto Genotossico Nelle Unità Militari, destinato a 
coinvolgere su base volontaria 982 militari impiegati nella missione 
“Antica Babilonia” in Iraq, dove le forze statunitensi avevano fatto 
largo uso di munizionamento contenente uranio impoverito.
Lo studio prevedeva la raccolta di informazioni dettagliate sulla 
possibile esposizione dei militari oggetto dell’indagine all’uranio 
impoverito e ad altri metalli pesanti mediante l’esame di campioni 
biologici (urine, sangue e capelli) effettuato prima e dopo la missione,
 per un periodo significativamente lungo (quasi otto anni).
Lo scopo era chiaramente quello di porre in essere una sorveglianza 
clinica ed epidemiologica protratta nel tempo, per accertare 
l’insorgenza di fenomeni a lungo termine.
Lo studio prendeva inoltre in considerazione altri fattori potenziali
 di rischio quali le condizioni ambientali e climatiche presenti nelle 
basi italiane di “White Horse” e “Camp Mittica”, gli stili di vita, la 
dieta, il fumo ed altre condizioni tendenzialmente pericolose, inclusa, 
per la prima volta, la somministrazione dei vaccini.
Il rapporto finale del progetto, redatto dal Comitato Scientifico 
costituito da 14 esperti di fama provenienti dagli staff medici delle 
università di Pisa, Genova e Roma, giunge già nel 2010 a conclusioni 
sorprendenti.
Nei soldati monitorati la quantità di uranio impoverito presente nel 
sangue e nelle urine non risultava aumentata al termine della missione, 
ma diminuita.
Erano invece aumentati i livelli di cadmio e nichel, notoriamente 
cancerogeni, ed ara cresciuto il danno ossidativo sul dna dei linfociti,
 cioè delle cellule del sistema immunitario, in particolare tra i 
soggetti che svolgevano intesa attività all’esterno ed avevano subito 5 o
 più vaccinazioni. I monitoraggi ambientali escludevano invece 
contaminazioni significative dovute ad uranio e l’esposizione ad altri 
specifici inquinanti genotossici.
L’attenzione sui vaccini
L’uranio impoverito, il grande accusato dei Balcani, cessava di 
essere il principale responsabile delle malattie sviluppate tra tanti 
soldati italiani e di un numero tristemente crescente di decessi.

Il Comitato Scientifico di Signum si concentrava invece sui vaccini, 
osservando una chiara correlazione tra le alterazioni ossidative del DNA
 ed il numero di vaccinazioni effettuate a partire dal 2003.
 
La differenza più eclatante si registrava infatti tra i 742 soggetti 
che avevano ricevuto un massimo di quattro vaccinazioni e quanti, un 
centinaio, ne avevano praticato un numero superiore, fino ad otto e 
somministrate talvolta anche in rapida successione. Per questi ultimi il
 differenziale di alterazioni ossidative era significativamente più 
elevato.
In particolare risultava sotto accusa il vaccino trivalente vivo 
attenuato Mrp (morbillo parotite rosolia) suscettibile di compromettere 
le cellule del nostro sistema immunitario incaricate di aggredire ed 
eliminare gli agenti patogeni esterni.
Profilassi massicce, stress psico-fisico e forte irraggiamento solare
 venivano pertanto individuati quali probabili concause di linfomi e 
neoplasie.
Sulla base di queste conclusioni, per certi versi inaspettate e 
spiazzanti, si costituì con delibera del Senato del 16 marzo 2010 una 
nuova Commissione Parlamentare di Inchiesta sui casi di morte e di gravi
 malattie che avevano colpito il personale italiano impiegato 
all’estero. Di fronte a questa il professor Franco Nobile, oncologo 
direttore del Centro prevenzione della lega contro i tumori di Siena, 
rese noti gli esiti di uno studio condotto su 600 militari del 186° 
Reggimento Paracadutisti “Folgore” reduci da missioni internazionali.
Le risultante confermavano quanto emerso dal Progetto Signum, 
evidenziando la possibilità che pratiche vaccinali particolari, massicce
 e ravvicinate potessero comportare una “disorganizzazione del sistema 
immunitario”, suscettibile a sua volta di concorrere alla manifestazione
 di gravi patologie autoimmuni, quali tiroidite, sclerosi multipla, 
eritema nodoso, lupus, artrite reumatoide, diabete e, secondo taluni 
studi, leucemie e linfomi.
Sotto accusa erano soprattutto le modalità di somministrazione 
vaccinale, con un nesso sempre più evidente tra vaccinazioni ravvicinate
 e abbassamento delle difese immunitarie, ed il loro stesso contenuto, 
che evidenziava la presenza di metalli pesanti quali alluminio e 
mercurio, senz’altro cancerogeni, utilizzati in alcuni tipi di vaccini 
come eccipienti e conservanti per migliorarne l’effetto.
Il ruolo dei vaccini risulterebbe suffragato soprattutto 
dall’insorgenza di numerosi casi di malattie in situazioni che 
escluderebbero altri fattori, primo fra tutti l’uranio impoverito.

Secondo dati di fonte ufficiale, infatti, l’85% dei militari che 
hanno contratto patologie gravemente invalidanti o sono addirittura 
deceduti per cause tumorali non hanno preso parte a missioni militari 
all’estero.
 
Si giunge così ai giorni nostri, con la pubblicazione, nel mese di 
luglio, della Relazione della IV Commissione d’Inchiesta sull’uranio 
impoverito che, nonostante il nome, si è occupata di tutti gli aspetti 
relativi alla tutela della salute del personale militare.
Sono state esaminate anche tematiche particolari, relative a 
determinati siti utilizzati dalle forze armate e potenzialmente 
contaminati dalla presenza di amianto, gas radom o elementi radioattivi 
specifici utilizzati nel sistema di tracciamento IR del missile Milan.
Oltre a questo la Relazione si è soffermata ampiamente di nuovo sulla somministrazione dei vaccini.
Ricordando gli esiti del progetto Signum e gli studi del Prof. Nobile
 sui militari della Folgore che collegavano in maniera molto netta il 
significativo incremento della frequenza di alterazioni ossidative del 
DNA dei linfociti con un numero di vaccinazioni superiore a cinque, il 
documento raccomanda che tale numero divenga limite prescrittivo nella 
somministrazione di vaccini ed adottato come specifica prescrizione.
Indicazioni utili anche per civili e bambini?
 A tale proposito la Commissione suggerisce di 
predisporre una serie di esami pre-vaccinali specifici per individuare i
 soggetti particolarmente esposti a patologie gravi e per i quali è 
assolutamente sconsigliabile la vaccinazione, estendendo tali test in 
futuro anche alle reclute in fase di valutazione di idoneità 
all’arruolamento. In ogni caso per tutto il personale in servizio si 
raccomandano esami prima della somministrazione, per valutare immunità 
già acquisite e si sottolinea l’opportunità di non effettuare 
vaccinazioni in prossimità della partenza per le missioni, perché 
indurrebbero uno stato di immunodepressione che aumenterebbe 
paradossalmente il rischi di contrarre quella stessa malattia o altra 
patologia.
Infine la Commissione esprime il convincimento che farmaci vaccinali 
forniti in soluzione monovalente e monodose ridurrebbero 
significativamente i rischi della profilassi vaccinale, in particolare 
in presenza di soggetti già immunizzati nell’infanzia, con profilassi 
specifica o per aver contratto la malattia.
Dopo quasi vent’anni di polemiche spesso ideologiche e ben poco 
scientifiche, accese campagne di stampa talvolta fuorvianti, circa 4000 
soggetti ammalati ed alcune centinaia di decessi, sembrano finalmente 
identificate con sufficiente chiarezza le cause principali di un 
fenomeno così grave e devastante.
Nell’auspicare che il Ministero della Difesa e la Sanità Militare 
diano attuazione con la massima sollecitudine e solerzia alle direttive 
espresse dalla Commissione, non possiamo ignorare che l’apparizione di 
questo autorevole documento sia coinciso con le forti polemiche 
registrate in tema di vaccinazione dei bambini in età scolare, 
vaccinazioni numerose (10 obbligatorie e 4 facoltative) ed effettuate 
anche con farmaci polivalenti.
A dispetto delle granitiche certezze manifestate più volte dal 
ministro della salute ci domandiamo se non sia opportuno suggerire anche
 per i bambini maggiori cautele e specifici accorgimenti pre-vaccinali 
per escludere rischi legati all’iperimmunizzazione, valutando caso per 
caso i possibili effetti delle somministrazioni sull’equilibrio 
immunitario.
Foto NATO, Croce Rossa Italiana, US DoD e Darren Abate / For The San Antonio Express-News