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Non smettete mai di protestare; non smettete mai di dissentire, di porvi domande, di mettere in discussione l’autorità, i luoghi comuni, i dogmi. Non esiste la verità assoluta. Non smettete di pensare. Siate voci fuori dal coro. Un uomo che non dissente è un seme che non crescerà mai.

(Bertrand Russell)

29/12/16

Il 2016 è stato l’anno della bugia



 


Anziché la bugia dell’anno, il 2016 è stato l’anno della bugia. Non si contano, infatti, la quantità di bugie, falsità, ipocrisie che sono riusciti a somministrarci quest’anno. Ci hanno riempiti quotidianamente di dati, indicatori, numeri sulla crescita, sul benessere, che non abbiamo né visti né sentiti. Ci hanno garantito la tutela e il ristoro del risparmio truffaldinamente sottratto dalla mala gestione delle banche e chiudiamo il 2016 con un decreto di salvataggio sul Monte dei Paschi di Siena per venti miliardi, che sarà altro debito sulle nostre spalle. Soldi che oltretutto non basteranno perché la dimensione del buco contabile del colosso senese è talmente oceanica da essere sconosciuta, come sono sconosciuti i misteri che avvolgono la storia dell’istituto toscano.
Ci hanno bombardato sull’utilità e sulla necessità dell’accoglienza e ci ritroviamo invasi da una massa di clandestini che nessuno è in grado di identificare e di gestire. Extracomunitari che sbarcano a fiumi dalle navi militari, che utilizziamo per andare a prenderli e salvarli e che poi, nella più parte, si sparpagliamo nel Paese per fare danni, malaffare, violenze, furti e lavoro nero. Parliamo di centinaia di migliaia di persone, per lo più islamiche, di cui nulla sappiamo e nulla possiamo sapere, tanto è vero che gli stessi paesi dai quali dichiarano di provenire nella quasi totalità dei casi li disconoscono. Eppure ci hanno fatto credere che sono una risorsa, una provvidenza, una garanzia per il welfare e per le nostre pensioni, come se senza di loro saremmo perduti. Tanto l’hanno detto e sbandierato da convincere specialmente gli immigrati che, appena sbarcano, protestano, alzano la voce, pretendono e battono cassa come fossero padroni dell’Italia. Hanno negato con sdegno ogni collegamento fra sbarchi e terrorismo, insultando chiunque li ammonisse dal continuare con la scellerata politica dell’accoglienza, eppure oggi si accorgono che un legame fra le cose c’è eccome.
Ci hanno giurato un rimedio equo alle follie della Legge Fornero e hanno scodellato la vergogna dell’Ape (Anticipo pensionistico), fatta apposta perché non cambi nulla. Ci hanno dato la parola sulla revisione della spesa, ma le pensioni d’oro, i vitalizi, i super stipendi di Stato e i compensi da sceicco dei manager pubblici continuano a crescere e restare. Hanno sbagliato, mentito e disatteso così tanto da farsi bocciare tutto, dall’Europa, dalla Corte costituzionale e dagli italiani sul referendum.
Eppure stanno lì, hanno cambiato Matteo Renzi con il suo gemello in sedicesimi, ma tutti gli altri nonostante le promesse sono rimasti incollati alle poltrone, come se il quattro dicembre avessero vinto loro. Hanno cacciato solo la Giannini per mettere al suo posto una ministra, la Fedeli, che ha dichiarato una laurea fasulla pur di diventare capo della Pubblica istruzione, roba da matti. Insomma, in un anno sono riusciti a dire tante balle e bugie da inzeppare tutti i trecentosessantacinque giorni, come un barattolo di sardine. Chiudiamo il 2016 con più debito, più clandestini, più povertà, più ingiustizia, più giovani disoccupati, un fallimento che spacciano per successo. Chiudiamo l’anno con la gente avvelenata dai disservizi, dall’insicurezza, dagli scandali e dal menefreghismo sull’esito del voto referendario, uno schifo insomma. Chiudiamo così, con questo bilancio, con questo Governo, con questa maggioranza, chiudiamo con la matita in mano perché prima o poi torneremo a votare.

di Elide Rossi e Alfredo Mosca - 28 dicembre 2016

Italia, potenza scomoda: dovevamo morire, ecco come



Il primo colpo storico contro l’Italia lo mette a segno Carlo Azeglio Ciampi, futuro presidente della Repubblica, incalzato dall’allora ministro Beniamino Andreatta, maestro di Enrico Letta e “nonno” della Grande Privatizzazione che ha smantellato l’industria statale italiana, temutissima da Germania e Francia. E’ il 1981: Andreatta propone di sganciare la Banca d’Italia dal Tesoro, e Ciampi esegue. Obiettivo: impedire alla banca centrale di continuare a finanziare lo Stato, come fanno le altre banche centrali sovrane del mondo, a cominciare da quella inglese. Il secondo colpo, quello del ko, arriva otto anno dopo, quando crolla il Muro di Berlino. La Germania si gioca la riunificazione, a spese della sopravvivenza dell’Italia come potenza industriale: ricattati dai francesi, per riconquistare l’Est i tedeschi accettano di rinunciare al marco e aderire all’euro, a patto che il nuovo assetto europeo elimini dalla scena il loro concorrente più pericoloso: noi. A Roma non mancano complici: pur di togliere il potere sovrano dalle mani della “casta” corrotta della Prima Repubblica, c’è chi è pronto a sacrificare l’Italia all’Europa “tedesca”, naturalmente all’insaputa degli italiani.

Nino GalloniE’ la drammatica ricostruzione che Nino Galloni, già docente universitario, manager pubblico e alto dirigente di Stato, fornisce a Claudio Messora per il blog “Byoblu”. All’epoca, nel fatidico 1989, Galloni era consulente del governo su invito dell’eterno Giulio Andreotti, il primo statista europeo che ebbe la prontezza di affermare di temere la riunificazione tedesca. Non era “provincialismo storico”: Andreotti era al corrente del piano contro l’Italia e tentò di opporvisi, fin che potè. Poi a Roma arrivò una telefonata del cancelliere Helmut Kohl, che si lamentò col ministro Guido Carli: qualcuno “remava contro” il piano franco-tedesco. Galloni si era appena scontrato con Mario Monti alla Bocconi e il suo gruppo aveva ricevuto pressioni da Bankitalia, dalla Fondazione Agnelli e da Confindustria. La telefonata di Kohl fu decisiva per indurre il governo a metterlo fuori gioco. «Ottenni dal ministro la verità», racconta l’ex super-consulente, ridottosi a comunicare con l’aiuto di pezzi di carta perché il ministro «temeva ci fossero dei microfoni». Sul “pizzino”, scrisse la domanda decisiva: “Ci sono state pressioni anche dalla Germania sul ministro Carli perché io smetta di fare quello che stiamo facendo?”. 

Andreotti 

Eccome: «Lui mi fece di sì con la testa».
Questa, riassume Galloni, è l’origine della “inspiegabile” tragedia nazionale nella quale stiamo sprofondando. I super-poteri egemonici, prima atlantici e poi europei, hanno sempre temuto l’Italia. Lo dimostrano due episodi chiave. Il primo è l’omicidio di Enrico Mattei, stratega del boom industriale italiano grazie alla leva energetica propiziata dalla sua politica filo-araba, in competizione con le “Sette Sorelle”. E il secondo è l’eliminazione di Aldo Moro, l’uomo del compromesso storico col Pci di Berlinguer assassinato dalle “seconde Br”: non più l’organizzazione eversiva fondata da Renato Curcio ma le Br di Mario Moretti, «fortemente collegate con i servizi, con deviazioni dei servizi, con i servizi americani e israeliani». Il leader della Dc era nel mirino di killer molto più potenti dei neo-brigatisti: «Kissinger gliel’aveva giurata, aveva minacciato Moro di morte poco tempo prima». Tragico preambolo, la strana uccisione di Pier Paolo Pasolini, che nel romanzo “Petrolio” aveva denunciato i mandanti dell’omicidio Mattei, a lungo presentato come incidente aereo. Recenti inchieste collegano alla morte del fondatore dell’Eni quella del giornalista siciliano Mauro De Mauro. Probabilmente, De Mauro aveva scoperto una pista “francese”: agenti dell’ex Oas inquadrati dalla Cia nell’organizzazione terroristica “Stay Behind” (in Italia, “Gladio”) avrebbero sabotato l’aereo di Mattei con l’aiuto di manovalanza mafiosa. Poi, su tutto, a congelare la democrazia italiana avrebbe provveduto la strategia della tensione, quella delle stragi nelle piazze.

CiampiAlla fine degli anni ‘80, la vera partita dietro le quinte è la liquidazione definitiva dell’Italia come competitor strategico: Ciampi, Andreatta e De Mita, secondo Galloni, lavorano per cedere la sovranità nazionale pur di sottrarre potere alla classe politica più corrotta d’Europa. Col divorzio tra Bankitalia e Tesoro, per la prima volta il paese è in crisi finanziaria: prima, infatti, era la Banca d’Italia a fare da “prestatrice di ultima istanza” comprando titoli di Stato e, di fatto, emettendo moneta destinata all’investimento pubblico. Chiuso il rubinetto della lira, la situazione precipita: con l’impennarsi degli interessi (da pagare a quel punto ai nuovi “investitori” privati) il debito pubblico esploderà fino a superare il Pil. Non è un “problema”, ma esattamente l’obiettivo voluto: mettere in crisi lo Stato, disabilitando la sua funzione strategica di spesa pubblica a costo zero per i cittadini, a favore dell’industria e dell’occupazione. Degli investimenti pubblici da colpire, «la componente più importante era sicuramente quella riguardante le partecipazioni statali, l’energia e i trasporti, dove l’Italia stava primeggiando a livello mondiale».
Al piano anti-italiano partecipa anche la grande industria privata, a partire dalla Fiat, che di colpo smette di investire nella produzione e preferisce comprare titoli di Stato: da quando la Banca d’Italia non li acquista più, i tassi sono saliti e la finanza pubblica si trasforma in un ghiottissimo business privato. L’industria passa in secondo piano e – da lì in poi – dovrà costare il meno possibile. «In quegli anni la Confindustria era solo presa dall’idea di introdurre forme di flessibilizzazione sempre più forti, che poi avrebbero prodotto la precarizzazione». Aumentare i profitti: «Una visione poco profonda di quello che è lo sviluppo industriale». Risultato: «Perdita di valore delle imprese, perché le imprese acquistano valore se hanno prospettive di profitto». Dati che parlano da soli. E spiegano tutto: «Negli anni ’80 – racconta Galloni – feci una ricerca che dimostrava che i 50 gruppi più importanti pubblici e i 50 gruppi più importanti privati facevano la stessa politica, cioè investivano la metà dei loro profitti non in attività produttive ma nell’acquisto di titoli di Stato, per la semplice ragione che i titoli di Stato italiani rendevano tantissimo e quindi si guadagnava di più 

Agnelli 

facendo investimenti finanziari invece che facendo investimenti produttivi. Questo è stato l’inizio della nostra deindustrializzazione».

AndreattaAlla caduta del Muro, il potenziale italiano è già duramente compromesso dal sabotaggio della finanza pubblica, ma non tutto è perduto: il nostro paese – “promosso” nel club del G7 – era ancora in una posizione di dominio nel panorama manifatturiero internazionale. Eravamo ancora «qualcosa di grosso dal punto di vista industriale e manifatturiero», ricorda Galloni: «Bastavano alcuni interventi, bisognava riprendere degli investimenti pubblici». E invece, si corre nella direzione opposta: con le grandi privatizzazioni strategiche, negli anni ’90 «quasi scompare la nostra industria a partecipazione statale», il “motore” di sviluppo tanto temuto da tedeschi e francesi. Deindustrializzazione: «Significa che non si fanno più politiche industriali». Galloni cita Pierluigi Bersani: quando era ministro dell’industria «teorizzò che le strategie industriali non servivano». Si avvicinava la fine dell’Iri, gestita da Prodi in collaborazione col solito Andreatta e Giuliano Amato. Lo smembramento di un colosso mondiale: Finsider-Ilva, Finmeccanica, Fincantieri, Italstat, Stet e Telecom, Alfa Romeo, Alitalia, Sme (alimentare), nonché la Banca Commerciale Italiana, il Banco di Roma, il Credito Italiano.
Le banche, altro passaggio decisivo: con la fine del “Glass-Steagall Act” nasce la “banca universale”, cioè si consente alle banche di occuparsi di meno del credito all’economia reale, e le si autorizza a concentrarsi sulle attività finanziarie peculative. Denaro ricavato da denaro, con scommesse a rischio sulla perdita. E’ il preludio al disastro planetario di oggi. In confronto, dice Galloni, i debiti pubblici sono bruscolini: nel caso delle perdite delle banche stiamo parlando di tre-quattromila trilioni. Un trilione sono mille miliardi: «Grandezze stratosferiche», pari a 6 volte il Pil mondiale. «Sono cose spaventose». La frana è cominciata nel 2001, con il crollo della new-economy digitale e la fuga della finanza che l’aveva sostenuta, puntando sul boom dell’e-commerce. Per sostenere gli investitori, le banche allora si tuffano nel mercato-truffa dei derivati: raccolgono denaro per garantire i rendimenti, ma senza copertura per gli ultimi sottoscrittori della “catena di Sant’Antonio”, tenuti buoni con la storiella della “fiducia” nell’imminente “ripresa”, sempre data per certa, ogni tre mesi, da «centri studi, economisti, osservatori, studiosi e ricercatori, tutti sui loro libri paga».
Quindi, aggiunge Galloni, siamo andati avanti per anni con queste operazioni di derivazione e con l’emissione di altri titoli tossici. Finché nel 2007 si è scoperto che il sistema bancario era saltato: nessuna banca prestava liquidità all’altra, sapendo che l’altra faceva le stesse cose, cioè speculazioni in perdita. Per la prima volta, spiega Galloni, la massa dei valori persi dalle banche sui mercati finanziari superava la somma che l’economia reale – famiglie e imprese, più la stessa mafia – riusciva ad immettere nel sistema bancario. «Di qui la crisi di liquidità, che deriva da questo: le perdite superavano i depositi e i conti correnti». Come sappiamo, la falla è stata provvisoriamente tamponata dalla Fed, che dal 2008 al 2011 ha trasferito nelle banche – americane ed europee – qualcosa come 17.000 miliardi di dollari, cioè «più del Pil americano e più di tutto il debito pubblico americano».

DraghiVa nella stessa direzione – liquidità per le sole banche, non per gli Stati – il “quantitative easing” della Bce di Draghi, che ovviamente non risolve la crisi economica perché «chi è ai vertici delle banche, e lo abbiamo visto anche al Monte dei Paschi, guadagna sulle perdite». Il profitto non deriva dalle performance economiche, come sarebbe logico, ma dal numero delle operazioni finanziarie speculative: «Questa gente si porta a casa i 50, i 60 milioni di dollari e di euro, scompare nei paradisi fiscali e poi le banche possono andare a ramengo». Non falliscono solo perché poi le banche centrali, controllate dalle stesse banche-canaglia, le riforniscono di nuova liquidità. A monte: a soffrire è l’intero sistema-Italia, da quando – nel lontano 1981 – la finanzia pubblica è stata “disabilitata” col divorzio tra Tesoro e Bankitalia. Un percorso suicida, completato in modo disastroso dalla tragedia finale dell’ingresso nell’Eurozona, che toglie allo Stato la moneta ma anche il potere sovrano della spesa pubblica, attraverso dispositivi come il Fiscal Compact e il pareggio di bilancio.

Merkel e MontiPer l’Europa “lacrime e sangue”, il risanamento dei conti pubblici viene prima dello sviluppo. «Questa strada si sa che è impossibile, perché tu non puoi fare il pareggio di bilancio o perseguire obiettivi ancora più ambiziosi se non c’è la ripresa». E in piena recessione, ridurre la spesa pubblica significa solo arrivare alla depressione irreversibile. Vie d’uscita? Archiviare subito gli specialisti del disastro – da Angela Merkel a Mario Monti – ribaltando la politica europea: bisogna tornare alla sovranità monetaria, dice Galloni, e cancellare il debito pubblico come problema. Basta puntare sulla ricchezza nazionale, che vale 10 volte il Pil. Non è vero che non riusciremmo a ripagarlo, il debito. Il problema è che il debito, semplicemente, non va ripagato: «L’importante è ridurre i tassi di interesse», che devono essere «più bassi dei tassi di crescita». A quel punto, il debito non è più un problema: «Questo è il modo sano di affrontare il tema del debito pubblico». A meno che, ovviamente, non si proceda come in Grecia, dove «per 300 miseri miliardi di euro» se ne sono persi 3.000 nelle Borse europee, gettando sul lastrico il popolo greco.
Domanda: «Questa gente si rende conto che agisce non solo contro la Grecia ma anche contro gli altri popoli e paesi europei? Chi comanda effettivamente in questa Europa se ne rende conto?». Oppure, conclude Galloni, vogliono davvero «raggiungere una sorta di asservimento dei popoli, di perdita ulteriore di sovranità degli Stati» per obiettivi inconfessabili, come avvenuto in Italia: privatizzazioni a prezzi stracciati, depredazione del patrimonio nazionale, conquista di guadagni senza lavoro. Un piano criminale: il grande complotto dell’élite mondiale. «Bilderberg, Britannia, il Gruppo dei 30, dei 10, gli “Illuminati di Baviera”: sono tutte cose vere», ammette l’ex consulente di Andreotti. «Gente che si riunisce, come certi club massonici, e decide delle cose». Ma il problema vero è che «non trovano resistenza da parte degli Stati». L’obiettivo è sempre lo stesso: «Togliere di mezzo gli Stati nazionali allo scopo di poter aumentare il potere di tutto ciò che è sovranazionale, multinazionale e internazionale». Gli Stati sono stati indeboliti e poi addirittura infiltrati, con la penetrazione nei governi da parte dei super-lobbysti, dal Bilderberg agli “Illuminati”. «Negli Usa c’era la “Confraternita dei Teschi”, di cui facevano parte i Bush, padre e figlio, che sono diventati presidenti degli Stati Uniti: è chiaro che, dopo, questa gente risponde a questi gruppi che li hanno agevolati nella loro ascesa».
Non abbiamo amici. L’America avrebbe inutilmente cercato nell’Italia una sponda forte dopo la caduta del Muro, prima di dare via libera (con Clinton) allo strapotere di Wall Street. Dall’omicidio di Kennedy, secondo Galloni, gli Usa «sono sempre più risultati preda dei britannici», che hanno interesse «ad aumentare i conflitti, il disordine», mentre la componente “ambientalista”, più vicina alla Corona, punta «a una riduzione drastica della popolazione del pianeta» e quindi ostacola lo sviluppo, di cui l’Italia è stata una straordinaria protagonista. L’odiata Germania? Non diventerà mai leader, aggiunge Galloni, se non accetterà di importare più di quanto esporta. Unico futuro possibile: la Cina, ora che Pechino ha ribaltato il suo orizzonte, preferendo il mercato interno a quello dell’export. L’Italia potrebbe cedere ai cinesi interi settori della propria manifattura, puntando ad affermare il made in Italy d’eccellenza in quel mercato, 60 volte più grande. Armi strategiche 

Xi Jinping, nuovo leader cinese
potenziali: il settore della green economy e quello della trasformazione dei rifiuti, grazie a brevetti di peso mondiale come quelli detenuti da Ansaldo e Italgas.
Prima, però, bisogna mandare casa i sicari dell’Italia – da Monti alla Merkel – e rivoluzionare l’Europa, tornando alla necessaria sovranità monetaria. Senza dimenticare che le controriforme suicide di stampo neoliberista che hanno azzoppato il paese sono state subite in silenzio anche dalle organizzazioni sindacali. Meno moneta circolante e salari più bassi per contenere l’inflazione? Falso: gli Usa hanno appena creato trilioni di dollari dal nulla, senza generare spinte inflattive. Eppure, anche i sindacati sono stati attratti «in un’area di consenso per quelle riforme sbagliate che si sono fatte a partire dal 1981». Passo fondamentale, da attuare subito: una riforma della finanza, pubblica e privata, che torni a sostenere l’economia. Stop al dominio antidemocratico di Bruxelles, funzionale solo alle multinazionali globalizzate. Attenzione: la scelta della Cina di puntare sul mercato interno può essere l’inizio della fine della globalizzazione, che è «il sistema che premia il produttore peggiore, quello che paga di meno il lavoro, quello che fa lavorare i bambini, quello che non rispetta l’ambiente né la salute». E naturalmente, prima di tutto serve il ritorno in campo, immediato, della vittima numero uno: lo Stato democratico sovrano. Imperativo categorico: sovranità finanziaria per sostenere la spesa pubblica, senza la quale il paese muore. «A me interessa che ci siano spese in disavanzo – insiste Galloni – perché se c’è crisi, se c’è disoccupazione, puntare al pareggio di bilancio è un crimine».



28/12/16

Gli islamisti attaccano il Natale, ma gli europei lo aboliscono

  • Un tribunale ha ordinato al comune francese di Publier di rimuovere una statua della Vergine Maria. La senatrice Nathalie Goulet ha parlato di "ayatollah del laicismo".
  • Una scuola tedesca in Turchia ha appena vietato le celebrazioni natalizie: l'istituto Istanbul Lisesi, finanziato dal governo tedesco, ha deciso che le tradizioni e i canti di Natale non saranno più consentiti. In Germania, un grande magazzino Woolworth ha abolito le decorazioni natalizie dicendo ai clienti che l'emporio "è ora musulmano".
  • L'Europa sta già mutilando le sue tradizioni "per non offendere i musulmani". Noi siamo diventati il nostro peggior nemico.
  • I musulmani reclamano anche "la moschea di Cordoba". Le autorità della città della Spagna meridionale di recente hanno assestato un colpo alla rivendicazione del diritto di proprietà della cattedrale da parte della Chiesa Cattolica. Ora gli islamisti la rivogliono indietro.
  • L'esito finale del laicismo autodistruttivo dell'Europa potrebbe essere davvero un Califfato.
 
 "Tutto è cristiano", scriveva Jean-Paul Sartre dopo la guerra. Duemila anni di Cristianesimo hanno lasciato nella cultura, nella lingua e nel paesaggio francese una traccia profonda. Ma non secondo il ministro dell'Educazione francese, Najat Vallaud-Belkacem. Ella ha appena annunciato che invece di dire "Buon Natale", i funzionari statali dovrebbero augurare "Buone Feste", un deliberato intento di cancellare dal discorso e dallo spazio pubblico ogni riferimento alla cultura cristiana in cui la Francia è radicata.
Jean-François Chemain lo ha chiamato "sradicamento di ogni segno cristiano dal paesaggio pubblico". Un anno fa si infiammò la polemica nella cittadina francese di Ploërmel, dove un tribunale decise che la statua di Papa Giovanni Paolo II, eretta in una piazza, andava rimossa perché violava la legge sulla "laicità".
Poi, un tribunale ordinò al comune francese di Publier di rimuovere una statua della Vergine Maria. La senatrice Nathalie Goulet ha parlato di "ayatollah del laicismo".
I quotidiani della "sinistra" francese, indignati per il divieto del burkini in Costa Azzurra imposto dalla "destra", appoggiano questa politica anticristiana.
Il Consiglio di Stato ha appena stabilito che "l'installazione temporanea di presepi in un luogo pubblico è legale se ha un valore culturale, artistico o di festa, ma non se esprime il riconoscimento di un culto o di una preferenza religiosa". Quali precauzioni per giustificare una millenaria tradizione!
Nella città di Scaer, una casa di riposo è stata oggetto di una simile denuncia laicista per la presenza di un affresco della Vergine Maria. Poi è stata la volta della mangiatoia nella stazione ferroviaria di Villefranche-de-Rouergue, in Aveyron. A Boissettes, le campane delle chiese oggi sono mute per decisione del giudice.
Fortunatamente, alcune idee dell'Osservatorio della laicità – l'organo istituito dal presidente François Hollande per coordinare le sue politiche neolaiciste – non sono state attuate. L'Osservatorio ha anche proposto di eliminare alcune feste nazionali cristiane per far posto a quelle islamiche, ebraiche e laiche.
Il presidente Hollande, in occasione delle festività pasquali "ha dimenticato" di rivolgere gli auguri ai cristiani di Francia. Pochi mesi prima, il capo dell'Eliseo aveva invece espresso i suoi migliori auguri ai musulmani di Francia in occasione della festa dell'Aid, che chiude il Ramadan. "Il saluto di Hollande ai musulmani è di natura opportunistica e politica. Per il Partito socialista, si tratta di una clientela elettorale essenziale", ha detto il filosofo francese Gerard Leclerc, nel quotidiano Le Figaro.
Questa cristianofobia è il cavallo di Troia dell'Islam. Come scrive Charles Consigny sul settimanale Le Point, "a forza di questa tabula rasa del suo passato, la Francia farà piazza pulita del suo futuro". Purtroppo, la Francia non è un caso isolato. Ovunque in Europa, una estenuante e laicista mancanza di determinazione e l'esistenza di valori confusi condannano il Cristianesimo a favore dell'Islam.
Un terrorista jihadista, che ha preso di mira un simbolo della tradizione cristiana, la settimana scorsa ha ucciso dodici persone in un mercatino natalizio a Berlino. Ma l'Europa sta già mutilando le sue tradizioni "per non offendere i musulmani". Noi siamo diventati il nostro peggior nemico.
L'annuale processione a lume di candela di Santa Lucia ("Sankta Lucia"), una tradizione cristiana svedese che si celebra da centinaia di anni, "sta scomparendo". Uddevalla, Södertälje, Koping, Umeå e Ystad sono alcune del crescente numero di città che non ospitano più questa bella manifestazione culturale. Secondo Jonas Engman, un etnologo del Museo nordico, l'interesse sempre minore per la processione di Santa Lucia accompagna una disaffezione più generale verso la cultura della Svezia cristiana. Uno studio condotto dalla Gallup International rivela che nella professione della religione cristiana, la Svezia è il paese "meno religioso del mondo occidentale". Intanto l'Islam, contraddistinto da un nuovo, forte e motivato senso di determinazione e da una serie di valori propugnati dalla sharia, è sempre più diffuso.
Una scuola tedesca in Turchia ha appena vietato le celebrazioni natalizie. L'istituto Istanbul Lisesi, finanziato dal governo tedesco, ha deciso che le tradizioni e i canti di Natale non saranno più consentiti. Il Washington Post ha sintetizzato così la decisione: "Nessun insegnamento delle tradizioni natalizie, nessun festeggiamento e niente canti di Natale". Non è un episodio isolato. In Germania, un grande magazzino Woolworth ha abolito le decorazioni natalizie dicendo ai clienti che l'emporio "è ora musulmano".
In Gran Bretagna, David Isaac, il nuovo capo della Commissione per le Uguaglianze e i Diritti umani (EHRC), ha detto ai datori di lavoro che non devono sopprimere la tradizione cristiana per paura di offendere qualcuno. In precedenza, Dame Louise Casey, "zar" dell'integrazione del governo britannico, aveva già avvertito che "le tradizioni come la celebrazione del Natale scompariranno se la gente non difenderà i valori britannici".
In molte città spagnole come Cenicientos, un comune della Comunità autonoma di Madrid, sono state rimosse le stazioni cristiane della Via Crucis. Poi, la sindaca di Madrid, Manuela Carmena, ha deciso di vietare la tradizionale esposizione dei presepi alla Puerta de Alcalá della capitale spagnola.
I musulmani reclamano anche "la moschea di Cordoba". Le autorità della città della Spagna meridionale di recente hanno assestato un colpo alla rivendicazione del diritto di proprietà della cattedrale da parte della Chiesa Cattolica. Costruita sul sito della chiesa di San Vincenzo, è stata una moschea per più di 400 anni quando la Spagna islamica faceva parte di un califfato, prima che il regno cristiano di Castiglia conquistasse la città e la trasformasse di nuovo in chiesa Ora gli islamisti la rivogliono indietro.


I musulmani reclamano anche "la moschea di Cordoba". Le autorità della città della Spagna meridionale di recente hanno assestato un colpo alla rivendicazione del diritto di proprietà della cattedrale da parte della Chiesa Cattolica. Costruita sul sito della chiesa di San Vincenzo, è stata una moschea per più di 400 anni quando la Spagna islamica faceva parte di un califfato, prima che il regno cristiano di Castiglia conquistasse la città e la trasformasse di nuovo in chiesa. (Fonte dell'immagine: James Gordon/Wikimedia Commons)


Anche il Belgio, la democrazia più islamizzata d'Europa, sta epurando la sua tradizione cristiana. Quest'anno a Holsbeek, alle porte di Bruxelles, non è stato allestito il tradizionale presepe, tra le polemiche sorte per "non offendere i musulmani".
Come riportato dal quotidiano La Libre, i calendari scolastici della comunità francofona del Belgio stanno utilizzando una nuova terminologia laicizzata: la festa di Ognissanti (Congés de Toussaint) viene chiamata congedo di autunno; le vacanze di Natale (Vacances de Noël) diventano vacanze d'inverno; il Carnevale (Congés de Carnaval) è ora chiamato "congedo di riposo e relax" (Congé de détente) e le vacanze di Pasqua (Vacances de Pâques) sono diventate vacanze di primavera (Vacances de Printemps). E così, nella capitale Bruxelles, è stato anche installato un astratto albero di Natale scristianizzato.
In Olanda, la tradizione cristiana di "Black Pete" è sotto attacco e presto sarà abolita. In Italia, quest'anno i preti cattolici hanno rinunciato al presepe per "non offendere i musulmani".
L'esito finale del laicismo autodistruttivo dell'Europa potrebbe essere davvero un Califfato, in cui il destino delle sue antiche e belle chiese ricorda quello delle chiese di Costantinopoli, dove Santa Sofia, che per migliaia di anni è stata la più grande cattedrale del Cristianesimo, di recente è stata trasformata in moschea. La chiamata del muezzin ora riecheggia all'interno di questa pietra miliare cristiana, per la prima volta in 85 anni.
I terroristi islamici hanno colpito il Natale a Berlino, ma sono i laici cristiani che lo stanno abolendo in tutta Europa.
Giulio Meotti, redattore culturale del quotidiano Il Foglio, è un giornalista e scrittore italiano.

di Giulio Meotti - 27 dicembre 2016
fonte:  https://it.gatestoneinstitute.org/9661/islamisti-natale-europa

27/12/16

Natale al sangue





Domenica 25 dicembre 2016 – Natale di Nostro Signore Gesù Cristo – a casa, in Famiglia

1van-honthorst

Tu scendi dalle stelle, o Re del Cielo
E vieni in una grotta al freddo, al gelo
O Bambino mio divino, io ti vedo qui  a tremar: o Dio beato!
Ah, quanto ti costò l’avermi amato!
A te che sei del mondo il Creatore,
Mancano panni e fuoco, o mio Signore:
Caro eletto  pargoletto,
Quanto, questa povertà  più m’innamora,
Giacchè ti fece amor povero ancora.
Tu lasci del tuo Padre il divin seno
Per venire a penar su questo fieno,
Dolce amore del mio cuore,
Dove amor ti trasportò? – O Gesù mio
Perchè tanto patir? Per amor mio!
Ma se fu tuo volere, il tuo patire, 
Perché vuoi pianger, poi, perchè vagire?
Sposo mio, amato Dio,
Mio Gesù, t’intendo, si; Ah, mio Signore!
Tu piangi non per duol, ma per amore.
Tu piangi per vederti da me ingrato,
Dopo sì grande amor, sì poco amato.
O diletto del mio petto
Se già un tempo fu così. – Or te sol bramo
Caro non pianger più, ch’io t’amo, io t’amo
Tu dormi, o Gesù mio, ma intanto il cuore
Non dorme, no, ma veglia a tutte l’ ore:
Deh! Mio bello e puro agnello
A chi pensi, dimmi tu? – O amor immenso
A morire per te, rispondi, io penso.
Dunque a morire per me tu pensi, o Dio.
E chi altro, fuor di Te, amar poss’io ?
O MARIA, speranza mia:
Se poc’amo il tuo GESU’, non ti sdegnare.
Amalo tu per me, s’io nol so amare.

Ce l’hanno fatta ancora! Hanno sporcato per l’ennesima volta la Mangiatoia di sangue umano. Di Sangue Cristiano. Da Berlino al Mar Nero, fino alla Siria, all’Iraq, ad Israele, al Libano, alla Nigeria, a mezzo mondo, oggi,  e nel triste ricordo di uno ieri non lontano a Parigi, Bruxelles, Londra, Nizza, Tunisi, Madrid, gli States…
Folli delinquenti islamici, che, in massa, sbarcano sulle nostre coste  travestiti da  finti profughi – veri clandestini in cerca di terre da conquistare, in nome di un libro che semina odio, odio e odio. Vengono accolti e rifocillati da un Occidente parrocchiano, sciocco e in cerca di perdono per mille peccatucci da mezzatacca,  da un Occidente politico e organizzato in cooperative e associazioni,  furbo e interessato a soldi e potere, e che, addirittura, si organizza le prenotazioni di terroristi e finti profughi contattando direttamente scafisti e mafie musulmane.
Si ingrassano e si arricchiscono a casa nostra, i maledetti, coi nostri sacrifici di italiani messi in ginocchio, e, appena possono, ci ammazzano come bestie. E bestie non sta per noi, martiri, ma per loro, assassini impastati con male puro, rancori vecchi mille anni e arroganza petrolifera dei tempi nostri.
Arrivano, peraltro, in anni in cui tutti abbiamo qualcosa da farci perdonare, dopo qualche decennio di finto benessere acquisito a rate, mai completamente saldate. L’abbiamo fatta fuori dal vaso, confessiamolo, acquistando di tutto sul bancone del superfluo e dell’ignobile: dalle ville kitsch alle auto fuoriserie color prugna metallizzato, dai robot da cucina che ti vanno anche a far la spesa al mercato alle vacanze cafone a Formentera. Fino alla perduta gioventù, rincorsa con siringate di plastica. Fino ad una impossibile nuova identità, da esporre alla fiera delle vanità. Siamo caduti nella trappola del male. E abbiamo dimenticato la Mangiatoia, il Golgota, il Sepolcro Vuoto e la Luce della Resurrezione, per venderci alle ombre del male, che ha agito, senza colpo ferire, spalmando di miele la larga strada della finta eternità. Quella in cui avremmo potuto o dovuto diventare signori del tempo e dei luoghi.
Mentre loro, i cani assassini che stanno straziando migliaia di Figli di Dio nelle nostre Città, ci sguazzano e ci fanno affari col male. Se, addirittura, non sono un tutt’uno.
Al contrario di noi, ingordi di vacuità televisiva, loro si cibano di spietata violenza, la bevono come fosse pioggia nel deserto; ne allattano i propri figli, spesso messi al mondo solo per essere trasformati in armi di distruzione di massa; ne intridono i libri di scuola, i discorsi pubblici, i sermoni dei luoghi dove pregano quel loro riferimento non umano (chiamarlo dio mi sembra troppo), che chiede loro martiri, ecatombi, genocidi. Mentre Dio, Quello Vero da Dio Vero, Luce da Luce, Quello nato dal Padre prima di tutti i secoli, ci impone di amare gli altri quanto amiamo noi stessi. Ci chiede, addirittura, di porgere l’altra guancia a chi ci percuote. Attenzione: ce lo chiede, NON CE LO IMPONE. Perché Dio ci lascia liberi di scegliere la strada da percorrere. E noi scegliamo. A volte bene, a volte male. Ma scegliamo.
E lo strazio è proprio nel vedere che l’Occidente sta scegliendo di consegnarsi, suicida, ai propri carnefici. Facendo finta di seguire la strada tracciata da Gesù Cristo, Il Quale, invece, pur neonato seppe scappare dalla spada di Erode, per difendere il Dio dei futuri Cristiani. Perché c’è il giorno dell’Angelo, e quello dell’Arcangelo! Il giorno del Coro Celestiale e quello della Spada di fuoco!

Archangels

E noi non possiamo più innalzare Lodi e Canti al Signore, mentre le spade dei nostri carnefici continuano a mozzare le teste dei nostri martiri, le loro bombe continuano ad ammazzare innocenti ai mercati o per strada, i loro killer continuano a uccidere sparando da una finestra o caricando le folle con un TIR appena rubato per l’occasione. No! Questa Mangiatoia la dobbiamo difendere, ad ogni costo. E’ dovere di ogni “soldato di Cristo”, di ogni Cresimato, alzare alta la voce della protesta e combattere con maglio d’acciaio contro ogni nemico della Fede.
Russia e America, forse, hanno trovato i loro Cavalieri. Adesso tocca ai Paesi di questo vecchio Vecchio Continente ritrovare la propria Identità e la propria Radice, che in quella Mangiatoia hanno avuto Origine e Conforto!
#MaipiùSangueCristianoMartire
Ora, sì, Buon Natale. Natale di Fede da difendere. Di Occidente da conservare.

Scrive Spirlì, in onore dei Caduti degli attentati islamici

di Nino Spirlì - 26 dicembre 2016

A Potenza il Presepe col burqa


presepe-islamico-burqa

La Vergine Maria sostituita con una donna islamica con il burqa. San Giuseppe
sostituito con un islamico con in testa un copricapo arabo e baffoni evidenti.
Gesù Bambino avvolto in un panno bianco. La grotta di Betlemme sostituita da
una tenda beduina su cui troneggia la scritta “Costruiamo ponti, non muri”, in
aggiunta alla bandiera arcobaleno simbolo massonico e vessillo dei cosiddetti
“pacifisti”.
È il presepe islamofilo allestito nella Chiesa di Sant’Anna a
Potenza da un parrocco particolarmente dedito alla legittimazione dell’islam.

Presepe-islamico02

Accordandogli il beneficio dell’innocenza, ci limitiamo a dirgli che ha preso
un abbaglio. Perché tutti i profeti menzionati nel Corano sono musulmani.
Quindi il Gesú coranico che si prostra ad Allah e indica Maometto come il
“Sigillo della profezia” non ha nulla a che fare con il nostro Gesù Cristo. Lo
stesso è per la Vergine Maria, San Giuseppe, ma anche per Abramo. Non c’è nulla
in comune tra il cristianesimo e l’islam. All’opposto l’islam condanna il
cristianesimo considerandolo un culto politeista, proprio perché si fonda sulla
fede del Dio fatto Uomo e sulla Trinità. Nel Corano Allah prescrive che ebrei e
cristiani devono essere uccisi.
Ma se di tutto ciò il parroco fosse già edotto, ebbene allora si meriterebbe
una sonora scomunica perché legittimando l’islam ha delegittimato il
cristianesimo. Non a caso la Chiesa per 1400 anni ha condannato l’islam,
Maometto e il Corano. L’errore in cui è caduta la Chiesa, a partire dal
documento “Nostra Aetate” del 1965, è la sovrapposizione della dimensione della
persona con la dimensione della religione, immaginando che per amare
cristianamente i musulmani come persone, si debba legittimare l’islam come
religione a prescindere dai suoi contenuti violenti. Possiamo sperare in un
intervento chiarificatore di Papa Francesco a difesa del “Natale cristiano”
come lui stesso ha precisato in una telefonata a sorpresa a Uno Mattina su
Raiuno? Possiamo sperare che il parroco metta da parte la sua islamofilia e
conceda a noi cristiani il Presepe cristiano abolendo questo teatrino islamico?

Marialuisa Bonomo - 26 dicembre 2016

fonte: http://www.imolaoggi.it

.... Si rinnega la Sacra Famiglia e si stravolge  la verità per compiacere chi vuole imporci con il terrore un'altra religione e un altro Dio.
Così si legittima l'Islam !
Un atto sacrilego inaccettabile, da condannare ... questo prete andrebbe scomunicato ... e la Chiesa intervenga, riaccenda la fede invece di spegnerla

25/12/16

Come siamo scaduti così in basso (riflessione su Montepaschi)



Caro contribuente.  Visto che  la cricca che vi governa per conto terzi vi ha accollato  altri  20 miliardi di debito per  salvare la “sua” banca,  ricordatevi almeno questa foto:

amato-mussari-2


e’ una grande storia d’amore. Lui è  Giuliano Amato, l’immarcescibile e il mai imputabile,  oggi elevato a giudice costituzionale, ossia topo nel formaggio, dal Napolitano.  Quello fra le sue braccia è Giuseppe Mussari, capo di Monte dei Paschi, e messo dalla cricca alla presidenza dell’ABI, Associazione Bancaria Italiana.
Risale al 2010, quando – da intercettazioni di telefonate pubblicate da Corriere e Repubblica – risulta che Giuliano Amato disse  a Mussari: “Io ti aiuto a prendere la presidenza ABI”, poi gli chiese dei fondi per il Tennis Club di Orbetello, di cui l’Intoccabile e Immarcescibile è presidente.
Roba da poco, 150 mila euro.  Però pensate solo quel che succederebbe se una telefonata simile venisse fuori che l’ha fatta Virginia Raggi: apriti cielo,  la magistratura “apre un dossier”, i giornali impazzano, il PD urla:  disonesti, incapaci!
Invece, allora,  niente. Amato era, come sempre, l’Impunibile.  Mussari era dato “vicino a D’Alema”. Che infatti,   sprezzante, sulla donazione al tennis club di Orbetello, sibilò: “Era uno dei compiti istituzionali della Fondazione”.
Provare che è stato Amato a mettere  Mussari al vertice della potentissima Associazione Bancaria è ovviamente impossibile. Fatto sta che è stato a quel vertice  –  la confindustria di tutte le banche italiote, –   finché il bubbone Montepaschi è scoppiato.
E’ un bravo banchiere,  Mussari? Degno della raccomandazione dell’Immarcescibile?  Accettato dagli altri banchieri perché ne aveva conquistato  il rispetto  le sue capacità tecniche e professionali?
Vediamo. A quel tempo era già noto che Mussari, per Montepaschi, aveva acquistao la banca Ambroveneta da Santander, che l’aveva pagata 9 miliardi, per 16,7: un sovrapprezzo clamoroso, incomprensibile, che ha fatto subito pensare  che nascondesse qualche tangente miliardaria…
Forse c’era  anche questa.  Ma quel che ha scoperto l’indagine, era che Mussari  e il vertice intero di Montepaschi non avevano capito a quanto ammontava  la spesa. Ai magistrati, Piero Mantovani che era  capo  di Antonveneta,  testimonia che al primo colloquio con Mussari e Vigni (il vice) “Ho colto in costoro uno smarrimento […]  Forse solo in quel momento realizzarono che l’esborso   sarebbe stato ben più  elevato” di 9 miliardi.  Per 9 miliardi   Santander aveva rifilato Antonveneto a Mussari, ma  il gran banchiere senese non s’è accorto che Antonveneto ha un passivo da 7,9 miliardi. Che si somma dunque al  prezzo d’acquisto.
Quando glielo dicono, “ha un momento si smarrimento”.  Montani se ne va chiedendosi – e   lo dirà  ai magistrati: “Ma questi  han capito veramente quel che devono pagare?”.

Mussari, il  gran tecnico, il futuro presidente dell’ABI, apparentemente non sa leggere i bilanci. O  almeno così ci hanno fatto credere:  perché  questa è l’estrema linea di difesa, quella cui è  ricordo un altro fallito politico, Gianfranco Fini in Tulliani: “Sono stato coglione, non disonesto”.    Ma io tendo a credere nella incompetenza assoluta. Lo dimostra il fatto che  Mussari e  l’intero vertice della banca chiedono soccorso alle banche d’affari internazionali, Deutsche  Bank, JP Morgan, Nomura  per nascondere il buco, e si mettono nelle  loro mani. Queste capiscono al volo  i gonzi con cui hanno a che fare, e gli propongono dei derivati,  “Alexandria”, “Santorini”, “Fresh”  che produrranno perdite miliardarie a Montepaschi, e lucri miliardari a loro… quelli non sanno leggere un bilancio, figurarsi se sanno come funziona un derivato di DB o Morgan il Pirata.  Sono infatti i derivati di salvataggio che Montepaschi adotta, la causa  a cascata della sua rovina. Incompetenza su incompetenza.
Ricordo questi vecchi fatti – per cui dovrete pagare voi  contribuenti – perché questo è il motivo radicale del degrado italiano: l’accurata e sistematica selezione e promozione di ignoranti nei posti-chiave  che esigono competenza, responsabilità, esperienza.  Attratti dal fatto che quei posti sono strapagati, la “politica” li ha occupati tutti  –  impedito che ci andassero quelli che sanno il mestiere,  e ci ha messo i suoi – scelti precisamente in quanto incapaci.
Come dimostra Amato con Mussari, ma  il fenomeno è visibilissimo anche nel  privato: Vivendi sta per papparsi Mediaset, e Berlusconi, il grande imprenditore,  è smarrito anche lui, s’è fatto cogliere di sorpresa, non ha capito i giochi del sagace energico Bolloré: in una parola, è un inadeguato al mondo moderno.   Come aveva già dimostrato facendosi ammazzare il suo Gheddafi e poi espeller dal governo italiota da Draghi, Merkel e Sarko,  è sotto il livello intellettuale e culturale che occorre non dico per vincere, ma per sopravvivere. Anche lui s’è scelto solo yes men. Non è un caso.  E’ quel che han fatto Amato e D’Alema mettendo Mussari dove non doveva. Il risultato è il conto che siete chiamati a pagare voi, mica loro.
E’ così che l’apparato pubblico, anche e soprattutto quello tecnico – la “macchina amministrativa” –  non risponde nemmeno più alle direttive del  governante.  E la sua sola occupazione è farsi  strapagare, specie a livello dirigenziale.
Potreste credere che “lo Stato” sia sempre stato così. Non è del tutto vero.  Io che sono vecchio, ricordo anni in cui la dirigenza pubblica era alquanto competente, sapeva progettare il futuro collettivo, e aveva stipendi più bassi.  La “politica” ha eroso queste competenze, le ha sostituite con i suoi scherani con la tessera del partito. Ma lo scadimento decisivo è avvenuto in tempi abbastanza recenti,  diciamo una ventina di anni fa.

Una foto emblematica del livello della politica
La storica  foto, emblematica del livello della politica.  Poletti oggiè il noto ministro.

Quando cioè, l’Occidente decreta la globalizzazione. Gli intoccabili e immarcescibili come Giuliano Amato o Napolitano, capiscono benissimo cosa questo significa:  che il sistema Italia,  da loro reso poco efficiente per mangiarne il grasso che cola, sarà investito dai venti tempestosi della concorrenza globale; il lavoratore tessile   da 1,7 milioni di lire al mese sarà  messo in  concorrenza col messicano a 450 mila, col pakistano a 150 mila; la Fiat crollerà perché arrivano le auto giapponesi, che sono – semplicemente – di qualità migliore e più  economiche.  Insomma l’intera industria italiana, anzi l’intero settore produttivo viene esposto alla competizione globale; molti  cadranno, alcuni lotteranno  per sopravvivere, nel tremendo darwinismo tecnologico e sociale che sta per profilarsi. Ci saranno estinzioni di massa, riduzioni di paghe e di posti  nel crudele clima di darwinismo sociale che sta per abbattersi sul sonnacchioso paese.
Con una sola eccezione: l’impiego pubblico. Quelli che gli economisti chiamano “servizi non vendibili” all’estero.  Puoi importare un computer cinese, ma non un impiegato cinese da mettere al posto dell’impiegato comunale,  del tranviere dell’ATAC, un messicano al posto dell’impiegato della Regione Sicilia o Calabria.  Non puoi  comprare un servizio pubblico dall’estero anche se costa un decimo.
Lorsignori l’han capito benissimo, ed è stato – ne sono convinto – in quel  preciso momento che   han deciso di farsi un ricco riparo  di privilegi intangibili,  mentre gettavano noi nella tormenta   della competizione globale. Si son costruiti l’Isola Meravigliosa, il Castello di Cristallo  delle Istituzioni:  si sono decretati paghe altissime,  si sono scritti loro le leggi che eterizzano il loro potere e privilegio, hanno imbarcato qualche milione di complici con paghe più alte che nel privato;  sono saliti nella  Arca di Noè  dorata fra le nuvole, ed hanno tirato su la scala.

Il nostro destino non li riguarda,  ormai hanno separato il loro dal nostro.  Il calo del nostro prodotto interno lordo non li allarma, dato che loro aumentano l’esazione fiscale e si prescrivono gli aumenti.  Sempre più ignoranti, sempre più incompetenti,  sempre più inadeguati anche intellettualmente  al mondo moderno –  non fanno che ricevere ordini dalla  centrali del pensiero unico americo-anglo –  e sempre più ricchi.  Nomina dopo nomina,  scadimento dopo scadimento, siamo alla ministra della Pubblica Istruzione   che ha fatto le elementari, al ministro del Lavoro che sputa sui giovani disoccupati e mostra il suo odio per gli  intelligenti: “Vadano all’estero, così non rompono i coglioni qui”.  Il  che significa: non abbiamo bisogno di culture, esperienze, professionalità, perché al vostro posto abbiamo già messo nostri figli scemi, e i nostri Mussari.  E sono stati loro, direttamente loro, a lasciare che l’Italia abbia perso il 25% della sua produzione industriale – negli stessi anni in cui i loro emolumenti e privilegi crescevano.
E avete visto  come reagiscono appena si profila un pericolo dal basso, dal popolo, al loro potere inadempiente e indebito. Il Comune di Roma ha accumulato 13 miliardi di debito sotto i loro  compari e scherani; non si sono mai nemmeno occupati di riscuotere gli affitti dell’immenso patrimonio immobiliare, tanto lo Stato ripaga da sempre  tutti i loro buchi e furti.
Ma appena viene insediata la sindaca del5 Stelle, compare improvvisamente un Organo di Revisione  che boccia il bilancio  della Raggi: “E’ la prima volta!”, esultano i giornali:  infatti.   Prima, nessun organo aveva rivisto i conti di nessuno. La Regione Calabria non fa nemmeno bilanci scritti – così non sbaglia. “A casa, a casa!”, urlano le opposizioni.  Quelle opposizioni  che prima erano al potere e mai, dico mai, sono state disturbate da una “bocciatura”  dei loro bilanci da parte di “revisori dei conti”.
E non basta. La magistratura apre dei dossier, dice e non dice,  intercetta, e  taglia uno dopo l’altro i personaggi di fiducia della sindaca. E lei, poverina, è culturalmente inadeguata –    un po’ meno di Mussari però  sì.
E viene intercettata notte e giorno, lei. “Dalle intercettazioni dello  scandalo Campidoglio spunta una relazione tra la Raggi e il suo braccio destro ora rinnegato, Raffaele Marra”.  Sulle loro “relazioni”, mai è stato sollevato tanto scandalo. La  magistratura è stata discretissima sul grande amore che ha unito Amato a Mussari.
Finisce che voto 5 Stelle. Anche se so che non basterà.  E’ tardi.  Ormai l’italiota, dopo decenni di selezione darwiniana a rovescio, sta assumendo le fattezze e i costumi del selvaggio,  tatuaggi, linguaggio belluino  e inarticolato, nessuna tradizione né memoria del passato,  incapacità di tenere in piedi una produzione industriale,  espulsione rituale dei “cervelli” come qualche millennio fa il capro espiatorio.



22/12/16

Terrorismo e l’altra guancia occidentale




 


Il giovane pakistano sospettato di essere l’autore della strage di Berlino non c’entra nulla. Ok! Ci siamo sbagliati, forse si è trattato di un immigrato tunisino. Comunque la sostanza non cambia perché rimane identico il profilo dell’attentatore che ha progettato e realizzato il massacro a Breitscheidplatz. Stessa tecnica già sperimentata sulla Promenade des Anglais a Nizza la scorsa estate, stessi target da colpire: civili innocenti. Uguale la firma posta in calce al gesto: Is, Stato islamico. Cos’altro ci occorre per certificare quest’ultima strage come l’ennesima vigliaccata di un terrorismo islamico che sa solo colpire alle spalle i suoi nemici?
Oggi l’Is attacca i Paesi occidentali dopo essere stato messo alle corde a casa propria, in Iraq e in Siria, dal provvidenziale repulisti operato, su diversi fronti, dagli Stati Uniti e dalla Federazione Russa. Ancora una volta dovremmo, come europei, essere immensamente grati a questi player globali che si incaricano di toglierci le castagne dal fuoco. Invece, non è così. Almeno in Italia, dove il circo mediatico lavora per ribaltare la verità. Basta ascoltare taluni programmi mattutini della Rai per comprendere quanto sia pericolosa, e delirante, la macchina della disinformazione. A sentirli sembrerebbe che la colpa delle stragi sia dei populisti e degli amici europei e italiani del grande satana Vladimir Putin. È una roba da vomitare.
Guai poi a mettere in relazione il fenomeno terroristico con la dilagante invasione migratoria dei nostri territori. Per il politically correct multiculturalista è pura eresia. Fortuna che non siamo fan di Beppe Grillo perché se lo fossimo ci verrebbe da dire: cari signori della comunicazione di regime, vaffa...! Probabilmente nelle prossime ore dovremo rassegnarci a piangere Fabrizia Di Lorenzo, un’altra giovane italiana che, al momento in cui scriviamo, risulta tra i dispersi della strage di Berlino. Purtroppo, però, anche i suoi familiari non nutrono grandi speranze di ritrovarla in vita. Al contrario di costoro, al cui umano sconforto non possiamo che prestare la massima comprensione, noi vogliamo credere che Fabrizia sia scampata al peggio. Non possiamo sperare niente di diverso perché è sempre tremendo doversi piegare all’ineluttabilità della perdita di una vita, all’impotenza, tutta umana, di non poter mettere indietro le lancette dell’orologio e fermare il tempo affinché il male sia bloccato prima che compia il suo lavoro.
Non possiamo arrestare il tempo ma potremmo, se lo volessimo, immobilizzare la mano assassina del nemico impedendogli di agire, facendogli terra bruciata intorno e prosciugandone i pozzi finanziari da cui trae forza e sostentamento. Ha ragione Fiamma Nirenstein che, dalle colonne de “Il Giornale”, lancia un avvertito suggerimento: per combattere il terrorismo islamico seguire l’esempio israeliano. Fare come loro ci eviterebbe molte morti insensate. Implementare nelle nostre città checkpoint presso i quali effettuare l’identificazione dei passanti, scandagliare l’ambiente socio-familiare dei sospetti terroristi, aumentare la vigilanza navale per bloccare il flusso di approvvigionamento di armi che dall’Africa e dal Medio Oriente vengono spedite alle quinte colonne jihadiste in Europa e, se necessario, selezionare dei target tra i terroristi più pericolosi e neutralizzarli mediante omicidi mirati. Sì, avete letto bene: omicidi mirati. È giunto il momento di piantarla con l’atteggiamento da verginelle spaventate, se c’è un nemico in circolazione prima lo si elimina meglio è. Si dirà: siamo cristiani e come tali abituati a porgere l’altra guancia. Come quella della giovane Valeria Solesin, tragicamente volata via nella notte del Bataclan? O come forse è toccato anche a Fabrizia, sua compagna nella malasorte, l’altra notte?
Glielo abbiamo chiesto a Valentina, a Fabrizia e alle tante vittime della ferocia jihadista se avessero avuto voglia di porgerla quella guancia al prezzo di perderla per sempre? Rispondete voi, cari buonisti, se ne avete il fegato. E provate per una volta nella vita a non essere ipocriti.

di Cristofaro Sola - 22 dicembre 2016
fonte: http://www.opinione.it

TERRORISMO " Il killer di Berlino, Frontex e la dark side dell’accoglienza "




berlino, tunisino, immigrati


Frontex è l’agenzia che coordina il pattugliamento delle frontiere esterne della Ue. Negli anni scorsi di Frontex si è detto peste e corna, per esempio che non aveva strumenti a sufficienza ma solo un piccolo ufficio a Varsavia con qualche dipendente. Poi però la situazione è lentamente cambiata, il budget è aumentato e lo scorso 6 ottobre è stata istituita la Guardia di frontiera e costiera europea. Ma Frontex torna nell’occhio del ciclone per un report riservato, su cui ha messo gli occhi il Financial Times pubblicando un articolo qualche giorno fa, in cui se ne dicono di cotte e di crude sui presunti collegamenti tra le ONG occidentali, le organizzazioni non governative, e gli scafisti, i trafficanti di uomini che lucrano sulle rotte che dalla Libia portano a Lampedusa. Le più frequentate, dopo l’accordo fra Ue (vedi Germania) e Turchia che ha chiuso il “corridoio balcanico”.
Dunque, secondo Frontex, ci sarebbero ONG impegnate a salvare i migranti in combutta con chi organizza il traffico di uomini nel Mediterraneo. Nel pezzo del FT si legge che gli immigrati riceverebbero “chiare indicazioni” su come raggiungere le imbarcazioni delle ONG, su come rifiutarsi di farsi identificare una volta tratti in salvo, e in generale su come evitare di “cooperare con le autorità italiane o con Frontex”. Un dato, soprattutto, impressiona. Dall’estate scorsa a oggi è calato drasticamente il numero delle telefonate che lanciavano allarmi in mare, innescando l’intervento dei mezzi di Frontex per i salvataggi, mentre sono aumentati notevolmente le operazioni condotte direttamente dalle ONG, anche a ridosso delle coste libiche.
Ovviamente il pezzo del Financial Times ha innescato una levata di scudi delle ONG, tanto più che di questi tempi fioriscono inchieste scomode sul terzo settore, come quella sulla “industria della accoglienza” scritta da Valentina Furlanetto, per non parlare della nostra Mafia capitale. Insomma, le organizzazioni non governative che si occupano dei migranti farebbero bene a smentire fino all’ultimo dettaglio le accuse mosse dal giornale inglese citando il report di Frontex, prove alla mano, per una ragione molto semplice: il cash che finisce nelle tasche degli scafisti in Libia e altrove non ingrassa solo le mafie nordafricane ma, insieme al traffico di armi, droga e prostitute, è diventato il volano economico dello Stato islamico, presente anche nella ex "Jamaria" del defunto Gheddafi. Stiamo parlando di ISIS, del terrorismo che insaguina le capitali europee.
Nel giugno scorso, una delle più celebri ONG, Medici Senza Frontiere, aveva dichiarato polemicamente di voler rinunciare ai fondi Ue come risposta alla stretta imposta da Bruxelles sui controlli alle frontiere europee. “Chiediamo ai governi europei di rivedere le loro priorità,” aveva detto il segretario di MSF, Oberreit, “invece di massimizzare il numero di persone da respingere devono massimizzare il numero di quelle da accogliere e proteggere”. Alla luce di quanto è accaduto lunedì sera a Berlino, viene da chiedersi se il segretario di MSF è anche solo sfiorato dal dubbio che una accoglienza indiscriminata porti in Europa persone come il tunisino su cui in queste ore pende un taglia da centomila euro, sospettato di essere l’autore della carneficina nel mercatino natalizio berlinese.
Secondo quanto si apprende dalla agenzie di stampa, il tunisino è arrivato in Italia all'epoca delle primavere arabe, nel 2011, dopo una traversata in barcone insieme ad altri immigrati. Finito in un CIE, Centro di identificazione ed espulsione, a Catania, ha collezionato una serie di reati come danneggiamento (fece scoppiare un incendio), lesioni, furto. Condannato, ha scontato qualche anno nel carcere di Palermo. Una volta fuori, scattato il provvedimento di espulsione, è rimasto in Italia perché le procedure che spettavano alle autorità tunisine non sono state assolte in tempo. Di lui si perdono le tracce nel 2015, sempre in Sicilia, dove si sarebbe reso responsabile di lesioni ai danni di una persona. Poi la taglia da centomila euro in Germania. Il tunisino al momento è sospettato di aver ucciso 13 persone a Berlino, facendo decine di feriti prima di darsi alla fuga.
Chissà se qualche solerte impiegato o volontario di questa o quella ONG, magari in buona fede, ha ‘salvato’ il presunto killer di Berlino accogliendolo in Italia, e magari ha protestato perché l'uomo era stato rinchiuso in un CIE. Proprio le ONG hanno sempre denunciato il “trattamento inumano” nei centri di identificazione ed espulsione. Com’era? I “lager” italiani...

di Elena De Giorgio 22 dicembre 2016

fonte:https://www.loccidentale.it/articoli/144088/il-killer-di-berlino-frontex-e-la-dark-side-dellaccoglienza

21/12/16

Caso Sala e le riforme mancate di Renzi


 


Non possiamo non iniziare - e non finire, sia chiaro - con una domandina a Matteo Renzi che è stato Premier, che ha fatto e disfatto, bene o male lo lasciamo dire a voi, in molti settori della realtà pubblica italiana, con tanto di voce massmediatica ad ogni ora salvo che nell’ambito più delicato, più decisivo, più alto e, va pur detto, più potente in Italia, cioè la magistratura? Magari con qualche seria riforma? Figuriamoci. Cosicché siamo arrivati al caso Sala, mentre lui, perso il referendum, è tornato al partito. Auguri! Ma non sottovaluti la parolaccia del simpatico Roberto Giachetti, e neppure ciò che accade intorno alla vicenda dell’avviso di garanzia a Beppe Sala.
Meglio autosospendersi subito che aspettare fra qualche ora l’orda dei giustizialisti sotto casa? Meglio pensarci su qualche giorno o fare le valigie e andarsene da Palazzo Marino? Meglio fare il sindaco o il giudice? Meglio la Procura della Repubblica o la Procura generale? È non improbabile che Beppe Sala, primo cittadino di Milano, si sia fatto questo genere di domande, forse pensando a come era stata bella l’Expo voluta da Letizia Moratti e ripresa da Giuliano Pisapia ma, diciamocelo, realizzata da un ottimo manager come lui, finito anche per questo sulla poltrona di sindaco. Mica tanto comoda, anzi...
Ma alle tre domande di cui sopra, Sala, come del resto molti di noi, potrebbe aggiungerne altre, tante altre, senza trovare non dico una risposta ma una qualche via di sfogo, una luce nel tunnel del “Castello” di Kafka. Sì, perché di atmosfere kafkiane è sacrosanto parlare e pure interrogarsi, come il sindaco meneghino, anche se andare oltre è impossibile. Anche perché le auto-interrogazioni di cui sopra sono un piccolo segmento del tema o tunnel della super-questione italiana. Che è bensì giudiziaria, ma indiscutibilmente e indissolubilmente mediatica.
Media e giustizia, dunque. E allora, poniamoci anche noi una domanda: è mai possibile che un sindaco, pardon, un cittadino qualsiasi debba apprendere dai giornali di essere indagato? La risposta è semplice e un cittadino qualsiasi corre dall’avvocato. Ma un sindaco che deve fare? Certo andare di corsa dall’avvocato, ma poi? E il comune? E la maggioranza? E l’opposizione? E, soprattutto, la città che amo e che mi ha eletto a suo primo cittadino non più tardi di qualche mese fa? Abbiamo citato il grandissimo Kafka, ché il clima kafkiano è ulteriormente appesantito dalle altre inquietudini che fanno da sfondo, a cominciare dalle ben note, innanzitutto ai mass media, diatribe o “lotte di potere” interne al Palazzaccio da cui Sala è stato dalla Procura prosciolto e dalla Procura generale indagato o avvisato per lo stesso reato. Naturalmente sia il giornalista o la sua “voce”, da qualche gola profonda all’interno del Palazzo di Giustizia è stato edotto sull’avviso di garanzia sindacale. Ma è altrettanto naturale, almeno da quasi un quarto di secolo, che sia il misterioso della stampa che il misterioso, si fa per dire, del Palazzaccio, sapevano e sanno perfettamente che un avviso di garanzia - avete capito bene di garanzia per il cittadino! - viene automaticamente trasformato in una condanna preventiva, in una sentenza apodittica, in un invito a mandare i carabinieri ad arrestarlo.
Questo per un cittadino normale, ma per un sindaco? Per di più di Milano? E ritorniamo alla prima domanda che tira in ballo l’ordalia giustizialista che, per una fatale legge del contrappasso, è slittata dal Pci-Pds al M5S rimastone a sua volta impigliato a Roma, per ora. Chissà se analogo interrogativo se lo è posto l’ex Premier rottamatore, che in quanto a giustizia e sua riforma è stato più balbettante di un infante all’asilo. Mentre sul resto ha parlato, soprattutto in tivù, da mane a sera, ossessivamente. Non voleva interferire con la sacra autonomia della casta più degna di questo nome? O ne aveva e ne ha (giustamente peraltro) paura? Si deve essere chiesto, almeno, come sia pensabile che l’indagine su Sala abbia tempi brevi? È condotta “da magistrati per consuetudine mai o quasi fulminei, che potrebbero prendere esempio dai tempi della Corte costituzionale sul decidere sulla legge elettorale e dal Consiglio superiore della magistratura per i trasferimenti in magistratura”. Per non parlare del resto.

di Paolo Pillitteri - 21 dicembre 2016

20/12/16

Euronazismo, atlantismo e dominio della finanza nel futuro dell’Italia di Eugenio Orso




Nonostante la chiara vittoria del No al recente referendum costituzionale, che ha bocciato in primo luogo Renzi, il suo governicchio e il piddì collaborazionista delle banche d’affari, non posso in alcun modo essere ottimista sulle sorti del paese e della sua popolazione.
Per comprendere il mio scetticismo, teniamo conto del fatto che per l’Italia le élite hanno stabilito un percorso simile a quello greco (anche se non identico, considerate le particolarità nazionali e le dimensioni economiche) e da questo percorso i collaborazionisti al governo e in parlamento, essendo sostanzialmente dei servi obbedienti, non possono deviare di un millimetro … con o senza Renzi.
Teniamo altresì conto della sorte del referendum consultivo greco del luglio 2015, sulle “proposte” di salvataggio della troika (e, in definitiva, sulla sua caricatura maligna d’Europa). Pensiamo alla mancata elezione, in questo dicembre, di Norbert Hofer presidente in Austria, grazie ai brogli e alla campagna elettorale di diffamazione e paura. Riflettiamo sul fatto che la “Palude” liberaldemocratica (usando una felice espressione del filosofo tradizionalista russo Alexander Dugin), quando compare un candidato vicino agli interessi popolari, come la Le Pen in Francia (in Italia non se ne vede l’ombra), si coalizza immediatamente per non farlo passare, oltre la destra e la sinistra posticce, con una reazione da cane pavloviano. Così sarà al ballottaggio del 7 maggio 2017, per le presidenziali francesi, e Fillon, candidato elitista mascherato con qualche tratto falsamente “populista”, assorbirà i voti socialistoidi, rubando consensi alla stessa Le Pen.
Consideriamo il fatto, estremamente grave, che in questo paese domina una passività sociale senza precedenti, che ha fatto passare senza scossoni e rivolte di piazza la legge Fornero, lo Jobs Act, l’invasione dei voucher estesa a tutti i settori. Vi è, inoltre, un distacco altrettanto serio delle masse dalla politica – che in Italia è solo quella conformista e liberaldemocratica – ad arte suscitato, per mettere fuori gioco i dominati.
L’unico segnale di vitalità apparentemente dato dagli italiani, si è avuto in occasione del citato referendum, con una partecipazione elevata, a sfiorare il settanta per cento, e la vittoria inequivocabile del No. Si tratta, però, di un “Istinto di autoconservazione di massa”, più che di una scelta razionale, ponderata, in piena coscienza, e dell’espressione attraverso le urne di una chiara volontà di opporsi al sistema, a ciò che rappresenta veramente Renzi, al massacro sociale in atto. Basti pensare che per il No ha votato anche una (piccola) parte degli idiotizzati piddini, che non usciranno mai dal ferale schema euronazista (il “sogno europeo”), atlantista (la Nato occidentale) e dominante finanziario (il mercato onnipotente). Quello del No è soltanto un calderone in cui ci può essere tutto e il contrario di tutto, non l’espressione di una vera e propria scelta politica di massa.
Il Sì, invece, è la dimostrazione di un servaggio vile, addirittura incosciente e autolesionistico, nei confronti delle entità finanziarie (come J.P. Morgan) che voglio cambiare la costituzione degli stati, per aprirla al mercato e ai suoi soverchianti interessi privati. E’ anche un grimaldello per scardinare il rapporto fra stato e regioni, di cui al Titolo V, e accentrare le decisioni riguardanti la sanità pubblica, riducendone gli standard e forzatamente i costi, senza tener conto del diritto alla salute. Si può affermare che chi ha votato Sì, nonostante lo specchietto delle allodole rappresentato dal taglio dei posti al senato, dall’eliminazione del Cnel, con conseguenze riduzione dei costi (quasi insignificante rispetto alle dimensioni del dissesto italiano), ha dato una mano alla distruzione dello stato sociale, ne fosse consapevole o meno.
I segnali che giungono non sono incoraggianti e non fanno presumere un chiaro cambiamento politico (e di politica economica) dopo la sconfitta del Sì e di Renzi. L’affaire MPS (banca del piddì in dissesto) è indicativo di come l’”Europa” metta i bastoni fra le ruote, negando la proroga dei termini per l’aumento di capitale (soli venti giorni, per arrivare a gennaio) come ha fatto la Bce, tenendo l’Italia sugli scudi. Girano voci che l’Italia dovrà ricorrere al fondo salva stati europeo (ESM) per fronteggiare le sue difficoltà, soccombendo alle condizioni elitiste onde ottenere l’agognato prestito. Inoltre, i candidati per sostituire Renzi alla presidenza del consiglio, con il miraggio di tornare, un dì, alle elezioni, non promettono nulla di buono, dal piddino filo-atlantista Gentilini (attuale ministro degli esteri), che al momento pare molto quotato, mentre nessuno può escludere la sorpresa di un Renzi bis. Come se non bastasse, sulla legge elettorale Italicum, la corte costituzionale se l’è presa stranamente comoda, rinviando la decisione al 24 gennaio 2017 (dal 24 in poi, non necessariamente nello stesso giorno). Si cercherà, come appare già chiaro, di rinviare il più possibile le urne per nuove elezioni politiche, approssimando la “scadenza naturale” della legislatura.
E se la troika approfittasse della sconfitta del suo “beniamino” Matteo Renzi al referendum per arrivare a un governo commissariale, tale da cancellare anche la stessa idea di sovranità nazionale? Ritengo la cosa possibile, perché il giudizio dell’Ue sulla manovra finanziaria italiana è stato solo sospeso, causa referendum, ma non sarà positivo e ciò potrà comportare l’imposizione di una patrimoniale di quindici miliardi e/o aumenti dell’Iva, in piena crisi ed esplosione della povertà nel paese. Niente di meglio di un governo della troika (richiesta la partecipazione del FMI!), con i commissari stranieri nei ministeri chiave, che rispondono solo all’élite finanziaria, per fare in modo che l’Italia non devii dall’impervio sentiero del rigore.
Con un governo-troika commissariale, sostenuto in parlamento dai collaborazionisti – siano essi del vecchio piddì o del futuro “partito della nazione” – sarà più agevole e rapido scardinare completamente la costituzione repubblicana, naturalmente senza passare per un insidioso referendum confermativo …
Ben sapendo che in Italia la vera opposizione politica non esiste, nel futuro del paese vedo ancora euronazismo, atlantismo e dominio incontrastato della finanza, in barba al variegato “popolo” del No e agli italiani tutti.

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ATTENTATI "IL SEMPREVERDE TERRORISMO VEICOLARE"


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Un tir è piombato sulla folla in un mercatino di Natale causando la morte di 12 persone ed il ferimento di altre 48. Su Twitter la polizia tedesca fa sapere che secondo gli investigatori il camion è stato “deliberatamente lanciato contro la folla” mentre l’agenzia Dpa, citando fonti d’intelligence, rivela che l’attentatore è un migrante pakistano o afghano che sarebbe entrato in Germania lo scorso febbraio.
Accurate istruzioni per l’impiego di tir come “arma mortale contro i crociati” sono contenute nel numero di novembre del magazine dell’Isis “Roumiyah”. “Pochi comprendono la mortale capacità dei veicoli a motore di fare un gran numero di vittime se usati nella maniera giusta, come dimostrato a Nizza dall’attacco lanciato dal fratello Mohamed Lahouaiej Bouhel che ha ucciso 86 crociati ferendone altri 434″ si legge sulla rivista diffusa in più lingue.
“I veicoli sono come coltelli estremamente facili da acquistare, ma diversamente dai coltelli, non fanno sorgere sospetti perché diffusi in tutto il mondo. Per questo sono uno dei metodi più efficaci di attacco e offrono a chiunque sia in grado di guidarli la possibilità di provocare terrore “. Roumiyah suggerisce anche i bersagli contro cui usare i camion: strade affollate, celebrazioni, mercati all’aperto, festival, parate, raduni politici.
L’attentato è l’ultimo episodio di violenza che ha insanguinato begli uktimi mesi la Germania:
– 18 luglio: un profugio pakistan ferì 4 persone su un treno vicino a Wuerzburg prima di essere eliminato dalla polizia.
– 22 luglio: a Monaco di Baviera il 18enne David Sonbody tedesco-iraniano, depresso sotto trattamento farmacologico, spara con una pistola contro un gruppo di persone in un centro commerciale. Uccide 9 persone e ne ferisce 25 prima di suicidarsi.
– 24 luglio: un kamikaze profugo siriano che aveva appena giurato fedeltà ad Isis, Abu Mohammad Daleel, fece esplodere uno zaino imbottito di esplosivo ad Ansbach in Baviera ferendo 15 persone. L’unica vittima fu lo stesso Daleel.
– Lo stesso giorno un altro profugo siriano, armato di coltello a Reutlingen uccide una collega, una donna polacca incinta e ferì altre due persone prima di essere neutralizzato da un passante che lo investì con l’auto.
– Il 26 novembre un bambino di 12 anni, iracheno nato in Germania ha tentato di provocare una strage in uno dei più grandi mercatini di Natale del Paese, a Ludwigshafen, in Renania-Palatinato, cercando di far esplodere uno zainetto che conteneva una rudimentale bomba con chiodi nell’affollato mercatino.
In seguito alla strage di Berlino riproponiamo l’articolo di Pietro Orizio già uscito su Analisi Difesa il 21 settembre scorso.
Abu Mohammad Al Adnani (nella foto sotto), l’ispiratore dei lupi solitari dell’ISIS con proclami che invitavano a utilizzare ogni mezzo possibile per colpire gli infedeli recentemente ucciso (a quanto sembra da un raid aereo statunitense) ha contribuito a consolidare la tendenza all’uso di veicoli negli attentati non come vettore di ordigni ma per la capacità di uccidere investendo le vittime.
“Se non potete far scoppiare una bomba o sparargli, trovate un […] infedele e  […] investitelo con un’automobile […]” disse al-Adnani in un proclama che due anni or sono ispirò diverse azioni di “terrorismo veicolare”: tra questi ricordiamo un van-ariete contro l’Istituto Nazionale di Criminalistica e Criminologia di Bruxelles, l’automobile utilizzata per colpire una caserma della polizia di Sydney e soprattutto il sanguinoso 14 luglio di Nizza.



L’agghiacciante metodologia dell’attentato in Costa Azzurra non ha di certo rappresentato una novità nella storia del terrorismo –anche in Europa – bensì l’evoluzione ed il ritorno di una tecnica sempreverde.
I vantaggi del terrorismo veicolare risultano esser così numerosi – l’estrema disponibilità e semplicità d’impiego di veri e propri “moltiplicatori di forza” in primis – da aver fatto propendere sempre più per questa tipologia di attacchi.
Sperando che così non sia, ci si augura che le autorità abbiano imparato a meglio contemplare i numerosi precedenti storici ed adottare le contromisure e la fantasia necessarie ad evitare che si ripetano o, perlomeno, a contebere il numero di vittime.



La tattica di lanciare veicoli contro edifici e persone adottata da gruppi terroristici, lupi solitari e criminali comuni viene definita “Vehicle Ramming” (speronamento/investimento veicolare) da cui “Vehicular Assault” e “Vehicular Terrorism” (attacco o terrorismo veicolare).
Ramming deriva da “battering ram”  (ariete o rostro), lo sperone di prora delle antiche navi da guerra con cui affondare il nemico.



Da lì l’omonima tattica navale utilizzata poi anche in ambito terreste ed aereo. Riferendoci al crimine comune il termine più prossimo è quello di “spaccata”: furto realizzato spaccando con un corpo contundente od un veicolo la vetrina di un negozio o di una banca.
Il ramming non è di per sé un atto kamikaze o suicida visto che, seppur risicata, una chance di sopravvivenza è contemplata.
L’aggettivo “veicolare” poi risulta decisamente generico ma perfettamente calzante con una casistica d’impiego tanto ampia ed eterogenea: dalle automobili ai camion, dai bulldozer ed escavatori alle motociclette e perfino un carrarmato!
Una lunga casistica
Uno dei primi casi di ramming nel Vecchio Continente è stato compiuto nel 1973 da Olga Hepnarova che travolse una fermata del tram di Praga con un camion: otto furono le vittimedella sua follia criminale.



Nel giugno 2007 il terminal principale dell’aeroporto di Glasgow è stato colpito da una jeep piena di taniche di propano che, fortunatamente, ha provocato la morte di una sola persona: uno dei due jihadisti coinvolti.
Il 30 aprile 2009 un cittadino olandese in automobile ha falciato gli spettatori della parata del Giorno della Regina uccidendo 7 persone.
A maggio 2013 due britannici di origini nigeriane hanno investito ed ucciso – tentando anche di decapitarlo – ilfuciliere Lee Rigby, nella periferia londinese.
Il 20 giugno 2015 un uomo ha investito una quarantina di persone nel centro di Graz con un van (uccidendone tre) per poi appiedarsi e continuare l’aggressione con un coltello.



Anche la Francia stessa aveva già subito attacchi del genere. Digione, il 21 dicembre 2014: un uomo investe 11 pedoni al grido di “Allahu Akbar”.
Nel dicembre dello stesso anno un furgoncino è piombato contro il mercatino di Natale di Nantes uccidendo una persona. Nel 2015, a Saint-Quentin-Fallavier (Lione) un francese di origine nordafricana, dopo aver decapitato il datore di lavoro, si è schiantato con un furgone contro delle bombole di gas provocando un’esplosione con due feriti. A gennaio 2016 un franco-tunisino ha tentato di investire quattro soldati che presidiavano la moschea di Valence (tra Lione ed Avignone).



Ed infine: Nizza…
Ulteriori casi provengono da tutto il mondo. Balzato agli onori delle cronache con la recente “Intifada dei coltelli” con 46 attacchi tra il 13/09/15 ed il 25/07/16, il terrorismo veicolare ha fatto la sua comparsa in Israele il 18 febbraio 1987, durante la Prima Intifada. Nella Seconda Intifada (2000-2005) gli attacchi veicolari palestinesi sono stati 20 con 15 vittime.
Molti di questi attacchi sono stati perpetrati  con macchine movimento terra (bulldozer, ruspe ed escavatori); combinando veicoli ed armi bianche per colpire fermate di autobus e attraversamenti pedonali. A seguire: Un camion contro il Campidoglio della California nel 2001 (un morto), un SUV sugli studenti della University del North Carolina nel 2006 (solo feriti), una vittima per un van a S. Francisco. Casi simili anche a Rochester nel 2009 e a Minneapolis nel 2007.



Nel 2008 a Tokyo sono state uccise 7 persone con un furgone ed un coltello in quello che è stato ribattezzato il massacro di Akihabara.
Il 28 ottobre 2014 un SUV è piombato sulla folla di piazza Tienanmen, Pechino uccidendo due innocenti e tre attentatori. Nel 2014 il soldato Patrice Vincent è stato investito ed ucciso da un auto a Saint-Jean-sur-Richelieu, Quebec.
Decisamente più singolare e meno drammatico il caso di Shawn Nelson che nel 1995 ha sottratto un carrarmato M-60 Patton da 50 ton e ha imperversato per le strade di San Diego; senza vittime fortunatamente!
La minaccia
A decenni di attacchi con armi da fuoco ed esplosivi – ancora i sistemi preferiti – le forze di sicurezza hanno risposto con misure e provvedimenti più o meno efficaci che ne hanno limitato l’accessibilità. Perciò, unitamente al fatto di non richiedere un particolare addestramento, esperienze pregresse o contatti diretti con i gruppi leader della galassia jihadista, la tattica del ramming non è mai passata di moda; anzi il trend previsto è quello di un sempre maggior impiego.



Tra gli ulteriori vantaggi la facilità d’emulazione, l’economicità, la pochissima o quasi inesistente pianificazione, coordinazione e logistica necessaria, oltre alla quasi totale riduzione di rischi legati al traffico, produzione ed approvvigionamento di materiali illegali.
Inoltre i terroristi sono già dietro le “linee nemiche” e le “armi” sonio presenti e legalmente circolanti nel Paese. Il tutto con potenzialità paragonabili o superiori ad auto/camion-bomba.
Jamie Bartlett del Think Tank britannico Demos sostiene che questi attacchi siano particolarmente confacenti ai lupi solitari che, fomentati ed istruiti dalla propaganda sul web, trasformano rabbia e frustrazione in azioni letali individuali, virtualmente impossibili da sventare.



Pare farle eco Clint Watts del Foreign Policy Research Institute aggiungendo che “il vecchio sistema in cui i membri di gruppi come al-Qaeda pianificavano e si addestravano insieme [all’estero] è terminato nel 2005” a causa dei successi delle agenzie di sicurezza.
Infatti, Anwar al-Awlaki, carismatico radicalizzatore di al-Qaeda invitava a compiere la jihad nei propri Paesi d’origine, senza più recarsi nei teatri bellici o nei campi di addestramento mediorientali continuamente minacciati dai droni di cui lui stesso rimarrà vittima.
Al-Adnani sosteneva che per compiere un attentato in occidente “non c’è bisogno di consultarsi con nessuno”; ritenuti tutti infedeli e nemici, qualunque individuo è un bersaglio lecito.



Ed ecco piovere appelli su Inspire – rivista ufficiale di al-Qaeda – che nell’articolo “The Ultimate Mowing Machine” (il Tosaerba Definitivo) invitava ad “utilizzare un pickup come un tosaerba, non per falciare l’erba ma i nemici di Allah.”, indicando ricorrenze sensibili come la presa della Bastiglia.
Nel suo articolo, Yahya Ibrahim invitava a “scegliere accuratamente ora e luogo e […] le località più affollate.
I punti più stretti sono anche meglio in quanto rendono più difficoltosa la fuga […]. Da evitare invece i luoghi in cui altri veicoli possono intercettarvi”, e “per ottenere il più alto numero di vittime, dovete raggiungere la velocità massima che vi permetta di mantenere comunque un buon controllo del mezzo per massimizzare la vostra inerzia e colpire quante più persone al primo colpo.”
Viene consigliato anche di saldare delle lame d’acciaio sui veicoli “non necessariamente affilate perché durante l’impatto ad alta velocità, perfino un’estremità non acuminata riesce facilmente a tagliare.
Dovreste montare le lame ad altezza dei fari del vostro pick-up affinché possano colpire a livello del torso o superiore.” Anche l’ISIS ha sostenuto ed incoraggiato il metodo con i video e gli appelli di Al-Adnani.
Contromisure
Già nel 2010 era stato emanato un warning di FBI e del Dipartimento dell’Homeland Security riguardante attacchi ramming e riportante gli indizi per prevenirli.



Nella fattispecie: modifiche inusuali ai veicoli quali rinforzi frontali, acquisto o noleggio di grossi automezzi, specie se accompagnati da ansia e timore durante le transazioni, pagamenti in contanti o mancanza di familiarità con il funzionamento e caratteristiche del veicolo (difficoltà di manovra, grattate nel cambio marcia ecc.), impiego inconsueto di particolari veicoli in aree pedonali, zone a traffico limitato, feste, sagre o mercatini.
Gli americani hanno sempre trattato molto seriamente la minaccia del terrorismo veicolare installando dei bollards (dissuasori) attorno ad edifici ed aree pedonali; inizialmente per incidenti stradali classici poi, dall’ 11 settembre, per il terrorismo maggiorandone dimensioni, peso e resistenza.
Un bollard standard può fermare un veicolo di circa 7 tonnellate alla velocità di 80 km/h; il camion di Nizza, pesando 19 ton e procedendo alla velocità di 80 km/h non avrebbe mai potuto esser fermato da sistemi standard; secondo gli esperti nemmeno i “new jersey” di cemento vi sarebbero riusciti visto che il loro livello di protezione sarebbe anche inferiore, oltre ad esser più scomodi e costosi da trasportare e posizionare.



La società G4S, leader mondiale della sicurezza privata, in un paper di marzo sulla sicurezza di Euro 2016 caldeggiava l’impiego di veicoli per la fornitura di uno sbarramento adeguato e la possibilità di una rapida rimozione/riposizionamento in caso di emergenza.
Nell’attuale Intifada dei coltelli gli israeliani hanno blindato fermate di autobus e semafori a mo’ di trincee con dissuasori, dispositivi attivi o passivi antinvestimento, pattuglie mobili e torrette con videocamere di sorveglianza.
In Israele questo tipo di minaccia ha una durata ed un’incisività in termini di vittime ridotta grazie al ripetuto ed immediato intervento di cittadini armati che scongiurano situazioni di “tiro al piccione” – passatemi il termine –  in stile Bataclan.



I britannici invece, dopo il fallito attentato all’aeroporto di Glasgow, hanno riconsiderato la progettazione degli spazi pubblici ed edifici potenzialmente obiettivi del terrorismo. Con l’ “Hostile Vehicle Mitigation” (attenuazione veicolo ostile) sono state introdotte nuove misure che obbligano a ridurre la velocità dei veicoli e ne impediscono l’accesso o avvicinamento diretto.
Questo attraverso curve o chicane o mediante VSB (Vehicle Security Barrier) lungo marciapiedi, checkpoints e aree pedonali, barriere passive ed attive come bollards e blocchi fissi o retrattili, aiuole in cemento, berme, cancelli o recinzioni scorrevoli.
Tali sistemi si sono rivelati alquanto efficaci riducendo gli effetti dell’attentato all’aeroporto di Glasgow appunto, oppure quello di Alon Shvut obbligando il terrorista ad abbandonare la copertura ed il vantaggio fornitogli dal proprio veicolo per proseguire l’aggressione a piedi, armato di coltello.



Esistono anche soluzioni decisamente più tecnologiche come quella sviluppata da una società britannica: un sensore in grado di fermare il motore di un veicolo in movimento, simile ai sistemi per evitare la guida in stato d’ebbrezza.
Nonostante ciò, la protezione dei soft targets per eccellenza – i normali cittadini – resta ancora molto difficoltosa ed impone ciniche e frustranti considerazioni.
Gli analisti del Soufan Group rimarcano il fatto che leggi e provvedimenti antiterrorismo poco o nulla possono contro la weaponizzazione (trasformazione in arma) di oggetti di uso quotidiano.



Le armi si possono anche bandire, ma coltelli ed automobili no! Basti pensare che anche in mancanza di un veicolo proprio, un wannabe terrorist potrebbe sempre noleggiarlo o rubarlo.
In Europa sono stati rubati 762.000 veicoli nel 2012, con Regno Unito, Italia, Germania e Francia come Paesi capolista.
I numeri paiono essersi ridotti considerevolmente negli ultimi anni, tuttavia, su circa 50 milioni di veicoli in circolazione nel nostro Paese, 114.000 auto e 2.275 mezzi pesanti sono stati rubati solamente nel 2015.   Le “armi” quindi non mancano…
Sebbene sia abbastanza difficile capire se si tratti di attentatori improvvisati ed indipendenti o con contatti diretti con il network globale del terrore, ancora più complesso e forse inutile risulta ogni tentativo di profilazione di potenziali attentatori:



Trattasi a volte di persone problematiche, emarginate, senza nulla da perdere o in cerca di una qualche forma di redenzione oppure di individui dalla sconcertante normalità e dalla più totale secolarizzazione di abitudini.
Qualunque uomo o donna può rappresentare una minaccia  e quindi nemmeno gli attentatori scarseggiano…
La spaventosa novità di Nizza è stato l’altissimo numero di vittime (84) per la tipologia d’attentato.
Il ramming finora non aveva destato particolari preoccupazioni per essersi manifestato sempre su scala abbastanza ridotta e con poche o nessuna vittima; quello in Costa Azzurra invece è risultato di gran lunga l’attacco più sanguinoso.

 

La tattica pare essersi affinata ed il crescente protagonismo acquisito dai lupi solitari e/o cellule indipendenti ha portato ad un considerevole miglioramento delle loro prestazioni.
La Leaderless Jihad (jihad senza leader/indipendente), come è stata chiamata dal ricercatore Mark Sageman, è andata diffondendosi sempre più a partire dalla seconda metà degli anni 2000.
Tuttavia, la mancanza di una struttura gerarchica, di risorse umane qualificate, di pianificazione, logistica e finanziamento – nonché per i problemi mentali di cui molti soffrivano – la maggior parte delle operazioni sono state sventate o fallite.
La strage di Fort Hood, il caso Breivik (doppia azione combinata autobomba-active shooter) ed il terrorismo veicolare di Nizza hanno invece “riscattato” anni d’insuccessi di attentatori singoli ed indipendenti.



Andrew Coyne, giornalista canadese descrive questa tipologia di attentati come una forma di “micro-terrorismo” a cui “faremmo bene ad abituarci”; dal macro-terrorismo dell’11 Settembre, caratterizzato da notevoli impegni economici e logistico-pianificativi, si è infatti passati ad uno micro o molecolare che pur impiegando sistemi “lo-fi” (a bassa fedeltà, poco elaborati), risulta più incisivo ed insidioso: dissemina una maggior paura, imprevedibilità ed insicurezza, con scarse chances di prevenzione e risposta delle autorità ed effetti logoranti su economia, stile di vita e serenità.
“E’ qui che l’ISIS ha superato al-Qaeda”: la sua strabiliante semplicità” sostiene Michael Leiter, analista antiterrorisimo per NBC News.



Nonostante le autorità francesi siano “molto esperte” nella gestione di grandi eventi come dimostrato dagli Europei di calcio, l’onda di attentati che si sta protraendo dal 7 gennaio 2015 dimostra “la difficoltà perfino dei servizi di sicurezza meglio addestrati a fermare singoli individui”.
Oltre ad un continuo appello ad un impegno e coordinamento globale dei servizi d’intelligence, una particolare cura alle root causes (cause profonde: povertà, sfruttamento, analfabetismo, segregazione ecc.) per togliere linfa vitale al terrorismo e magari anche qualche misura draconiana, non possiamo sigillare ogni frontiera, controllare ogni singolo cittadino o fermare ogni attacco.



Questo specie se, come nel caso di un veicolo, esso resta innocuo finché non si decide d’impiegarlo come arma; ed allora è troppo tardi!
Chi è “abituato” a vivere sotto la costante minaccia del terrorismo consiglia di adottare la calma degli israeliani o dei londinesi con l’IRA. Gli europei devono abituarsi all’idea che gli attacchi saranno frequenti, che le morti per terrorismo dovranno esser messe inevitabilmente in conto come quelle degli incidenti stradali.

Foto:  AP, AFP, Reuters, JNS/Fein Tooner, Twitter20 dicembre 2016

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fonte: http://www.analisidifesa.it