Riaprire
 in modo indiscriminato i porti alle condizioni di Berlino e Parigi (che
 al momento sono le stesse del 2015) è una follia

Il governo giallorosso vuole dimostrare che non c’è bisogno di 
adottare la linea dura di Matteo Salvini per gestire la crisi 
migratoria. Il premier Giuseppe Conte è convinto che instaurando un 
nuovo rapporto di fiducia con i partner dell’Unione Europea incasserà 
anche la loro solidarietà. Ma tutto dimostra il contrario e prima di 
riaprire i porti in modo indiscriminato, il governo farebbe bene a 
pensarci due volte.
I MIGRANTI ECONOMICI RESTANO IN ITALIA
Come abbiamo già scritto, l’accordo tra Stati volenterosi verrà
 perfezionato il 23 settembre a Malta. Oggi il presidente della 
Repubblica francese Emmanuel Macron si trova a Roma per discutere dei 
dettagli ma se passerà la linea dei galletti per l’Italia saranno guai. 
Come precisa oggi Repubblica, infatti, Parigi insiste sul fatto
 che «nel nuovo meccanismo di ripartizione entrino solo i richiedenti 
asilo e non i migranti economici». 
Il problema è che i migranti economici rappresentano i due terzi 
delle persone che sbarcano in Italia. Se l’accordo venisse chiuso così, 
non sarebbe  diverso da quello europeo del 2015
 che si è dimostrato inefficace. La Francia inoltre si è detta 
indisponibile «all’ipotesi di una rotazione degli sbarchi tra i porti 
del Mediterraneo». Sarebbe di conseguenza l’Italia a doversi far carico 
del riconoscimento e della registrazione dei migranti, che può 
richiedere mesi. E sarebbe sempre l’Italia a doversi occupare del 
rimpatrio dei migranti economici, con tutte le difficoltà che presenta, 
come si è visto negli ultimi cinque anni.
L’INGANNO DELLA GERMANIA
Anche la Germania, che a parole ha solo elogi e garanzie di 
collaborazione per il nuovo governo – basta leggere l’intervista di oggi
 del Corriere al presidente Frank-Walter Steinmeier nella quale
 promette «solidarietà» – non sta affatto aiutando il nostro paese. Il 
caso di Mahamad Fathe, lo yemenita che ieri inneggiando ad Allah ha 
accoltellato un militare a Milano, lo dimostra. Il 23enne era arrivato 
in Italia dalla Libia nel 2017 e dopo aver richiesto asilo si era 
spostato in Germania. Da qui era stato espulso il 12 luglio e rimandato 
non certo in Yemen ma in Italia, come previsto dal trattato di Dublino, 
in base al quale lo Stato membro competente all’esame della domanda 
d’asilo è quello in cui il richiedente ha fatto il proprio ingresso 
nell’Ue. E cioè, come sempre, l’Italia.
Bisogna ancora vedere quali saranno i dettagli dell’accordo che il 
governo di Conte intende firmare. Al momento, però, la solfa è sempre la
 stessa: l’Unione Europea vuole fare le politiche umanitarie sulla pelle
 dell’Italia, senza condividere gli oneri. Con una differenza: se 
venisse ratificata ancora una volta la redistribuzione solo di chi ha 
diritto all’asilo politico, l’Italia dovrebbe farsi carico anche di una 
parte dei migranti che da mesi, a ritmo sempre più sostenuto,
 arrivano in Grecia. Provenendo quasi tutti da Afghanistan e Siria, si 
tratta di persone alle quali facilmente sarà riconosciuto il diritto di 
permanere nell’Ue. Così oltre al danno, l’Italia incasserebbe anche la 
beffa.
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