Sulle polveri del Muro di Berlino, con l’irreversibile chiusura del sipario di ferro della Guerra fredda, il più importante contributo alla teoria delle relazioni internazionali fu quello di Francis Fukuyama. Il Patto di Varsavia si era disciolto come “neve al sole” e ciò era avvenuto «senza che un solo carro armato venisse distrutto in combattimento». Secondo Fukuyama vi era stata, in questo evento clamoroso, la più evidente dimostrazione del nesso intimo tra potenza e legittimità: il mutamento si era verificato unicamente come cambiamento nei livelli di legittimità, con il conseguente disgregarsi della potenza del blocco sovietico. Più nello specifico, questo avvenimento aveva svelato che l’uomo è una “bestia con le guance rosse”, ossia un animale sociale animato dal bisogno reciproco e intersoggettivo di riconoscimento, poiché mosso in modo solo residuale da istinti irrazionali di sopravvivenza. L’uomo desidera quindi di venire riconosciuto, ma può tentare di riuscirci sia come essere superiore sia come uguale agli altri. Ciò vale anche per le comunità politiche nei loro rapporti reciproci. Secondo Fukuyama, negli anni tra il 1989 e il 1990 si era manifestata proprio la possibilità di un definitivo riconoscimento razionale e universale tra gli stati, quindi tra gli uomini: un fatto che avrebbe potuto condurre l’umanità verso un’unione pacifica. Con gli stati nazionali del passato, infatti, il desiderio degli uomini di veder riconosciuta la propria superiorità aveva preso forma, storicamente, nei nazionalismi e nell’imperialismo. Ma il desiderio di essere riconosciuti come uguali agli altri si era successivamente mostrato attraverso l’influenza pacifica dell’organizzazione internazionale e delle idee liberali e democratiche di politica estera. Dopo la caduta del Muro, la legittimità della democrazia liberale come sistema di governo era uscita definitivamente vincente, contro l’ultimo impero capace di proporre un'ideologia rivale, e ciò spianava la strada all’evoluzione verso uno stato universale e omogeneo.
La tesi di Fukuyama si scontrava criticamente con il realismo,
inteso come principale tradizione di pensiero delle relazioni
internazionali durante la Guerra fredda. L’equilibrio di potenza
Usa-Urss si era incrinato non sulla base di forze materiali, bensì sul
piano della legittimità al governo. Ma il fatto stesso che il concetto
di legittimità fosse cambiato così drasticamente e repentinamente faceva
pensare a una seconda e più grave debolezza del realismo: vale a dire
quella di non saper tener conto dell’evoluzione storica.
Un’analoga critica fu mossa più o meno
nello stesso periodo da John Lewis Gaddis. Lo storico, tuttavia, a
differenza del politologo pose sul banco degli imputati anche la
tradizione liberale di cui Fukuyama era esponente. Attaccò infatti
frontalmente tutto l’impianto teorico delle relazioni internazionali,
poiché basato su un approccio di tipo scientifico allo studio della
politica mondiale. La scienza politica delle relazioni internazionali
aveva dimenticato, secondo Gaddis, che i fenomeni sociali rimangono
imprevedibili o indeterminabili. Riprendendo una nota metafora di Karl
Popper, sottolineò quindi la differenza che corre tra fenomeni
irregolari, disordinati e dunque imprevedibili come le “nuvole”, e
fenomeni ordinati, regolari e prevedibili come gli “orologi”. La
sorprendente caduta del Muro di Berlino e l’improvvisa chiusura del
sipario di ferro avevano mostrato l’incapacità di previsione delle
relazioni internazionali, nonostante le pretese di scientificità. Ciò
valeva per tutti gli studiosi che si erano basati sugli assunti
dell’empirismo logico ripresi dalle scienze naturali, quindi sulla
misurazione e sulla ricerca di regolarità mediante rapporti di
causa-effetto, ma anche per mezzo di modelli nomotetico-deduttivi. La
critica di Gaddis colpiva principalmente la tradizione liberale di cui
Fukuyama era esponente. Ma la sua critica riguardava altresì l’approccio
nomotetico-deduttivo del realismo strutturale. Secondo Gaddis, il
fallimento della teoria delle relazioni internazionali di fronte alla
caduta del Muro era di natura metodologica e richiedeva una radicale
trasformazione negli approcci, per dare spazio all’intuizione,
all’ironia, al paradosso e all’immaginazione.
Legittimità e utilità del metodo scientifico
per lo studio delle relazioni internazionali sono stati i principali
argomenti di riflessione e critica generati dalla caduta del Muro di
Berlino. A distanza di 25 anni, la teoria delle relazioni internazionali
è ancora molto carente non solo rispetto alla spiegazione di ciò che è
accaduto nel 1989, ma anche di tutto ciò che ne è seguito. Inoltre, le
nuvole dell’irregolarità scientifica si sono addensate e, passando dalla
teoria alla prassi, appaiono oggi assai più minacciose di quanto già
non suggerisse l’iniziale difficoltà a gestire i dividendi della pace.
Con la crisi economica e la fine della deferenza asiatica nei riguardi
dell’egemonia occidentale, quindi con il risentimento anti-occidentale
alimentato dal risveglio islamico, si assiste oggi a un continuo
mutamento nei livelli di legittimità. La democrazia liberale non appare
più in grado di soddisfare il desiderio di riconoscimento, almeno a un
livello tale da trasformare la potenza materiale e assorbirla nella
legittimità. Da una parte, torna dunque centrale una riflessione
classica sul potere, quindi su una visione della potenza che includa la
legittimità senza però diluirla in un visione cosmopolitica, cioè
ispirata dall’ideale della modernizzazione. Dall’altra, appare sempre
più evidente che le diseguaglianze geopolitiche, economiche e sociali
rimangono fonti di conflitto tra differenti forme di riconoscimento. Ciò
genera e alimenta un alto contenuto d'imprevedibilità dei fenomeni
internazionali.
di Emidio Diodato -Venerdì, 7 Novembre, 2014 - Università per stranieri di Perugia
fonte: http://www.ispionline.it
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