Era il 1992, all'improvviso un'intera classe politica
        dirigente crollava sotto i colpi delle indagini giudiziarie. Da oltre
        quarant'anni era stata al potere. Gli italiani avevano sospettato a
        lungo che il sistema politico si basasse sulla corruzione e sul
        clientelismo. Ma nulla aveva potuto scalfirlo. Né le denunce, né le
        proteste popolari (talvolta represse nel sangue), né i casi di
        connivenza con la mafia, che di tanto in tanto salivano alla cronaca. Ma
        ecco che, improvvisamente, il sistema crollava. 
        
        
        Cos'era successo da fare in modo che gli italiani potessero avere,
        inaspettatamente, la soddisfazione di constatare che i loro sospetti
        sulla corruzione del sistema politico erano reali?
        
        
        
Mentre l'attenzione degli italiani era puntata sullo
        scandalo delle tangenti, il governo italiano stava prendendo decisioni
        importantissime per il futuro del paese. 
        
        
        Con l'uragano di "Tangentopoli" gli italiani credettero che
        potesse iniziare un periodo migliore per l'Italia. Ma in segreto, il
        governo stava attuando politiche che avrebbero peggiorato il futuro del
        paese. Numerose aziende saranno svendute, persino 
        la Banca
        d'Italia sarà messa in vendita. La svendita venne chiamata
        "privatizzazione".
        
        
        
Il 1992 fu un anno di allarme e di segretezza. L'allora
        Ministro degli Interni Vincenzo Scotti, il 16 marzo, lanciò un allarme
        a tutti i prefetti, temendo una serie di attacchi contro la democrazia
        italiana. Gli attacchi previsti da Scotti erano eventi come l'uccisione
        di politici o il rapimento del presidente della Repubblica. Gli attacchi
        ci furono, e andarono a buon fine, ma non si trattò degli eventi
        previsti dal Ministro degli Interni. L'attacco alla democrazia fu assai
        più nascosto e destabilizzante. 
        
        
        
Nel maggio del 1992,  Giovanni Falcone venne ucciso dalla
        mafia. Egli stava indagando sui flussi di denaro sporco, e la pista
        stava portando a risultati che potevano collegare la mafia ad importanti
        circuiti finanziari internazionali. Falcone aveva anche scoperto che
        alcuni personaggi prestigiosi di Palermo erano affiliati ad alcune logge
        massoniche di rito scozzese, a cui appartenevano anche diversi mafiosi,
        ad esempio  Giovanni Lo Cascio. La pista delle logge correva parallela a
        quella dei circuiti finanziari, e avrebbe portato a risultati certi, se
        Falcone non fosse stato ucciso. 
        
        
        
Su Falcone erano state diffuse calunnie che cercavano di
        capovolgere la realtà di un magistrato integro. La gente intuiva che le
        istituzioni non lo avevano protetto. Ciò emerse anche durante il suo
        funerale, quando gli agenti di polizia si posizionarono davanti alle
        bare, impedendo a chiunque di avvicinarsi. Qualcuno gridò:
        "Vergognatevi, dovete vergognarvi, dovete andare via, non vi
        avvicinate a queste bare, questi non sono vostri, questi sono i nostri
        morti, solo noi abbiamo il diritto di piangerli, voi avete solo il
        dovere di vergognarvi".
        Che la mafia stesse utilizzando metodi per colpire il paese intero, in
        modo da spaventarlo e fargli accettare passivamente il "nuovo
        corso" degli eventi, lo si vedrà anche dagli attentati del 1993. 
        
        
        
Gli attentati del 1993 ebbero caratteristiche assai simili
        agli attentati terroristici degli anni della "strategia della
        tensione", e sicuramente avevano lo scopo di spaventare il paese,
        per indebolirlo. Il 4 maggio 1993, un'autobomba esplode in via Fauro a
        Roma, nel quartiere Parioli. Il 27 maggio un'altra autobomba esplode in
        via dei Georgofili a Firenze, cinque persone perdono la vita. La notte
        tra il 27 e il 28 luglio, ancora un'autobomba esplode in via Palestro a
        Milano, uccidendo cinque persone. I responsabili non furono mai
        identificati, e si disse che la mafia volesse "colpire le opere
        d'arte nazionali", ma non era mai accaduto nulla di simile. I
        familiari delle vittime e il giudice  Giuseppe Soresina  saranno concordi
        nel ritenere che quegli attentati non erano stati compiuti soltanto
        dalla mafia, ma anche da altri personaggi dalle "menti più fini
        dei mafiosi".
        
        
        
 Falcone era un vero avversario della mafia. Le sue indagini
        passarono a Borsellino, che venne assassinato due mesi dopo. La loro
        morte ha decretato il trionfo di un sistema mafioso e criminale, che
        avrebbe messo le mani sull'economia italiana, e costretto il paese alla
        completa sottomissione politica e finanziaria.
Falcone era un vero avversario della mafia. Le sue indagini
        passarono a Borsellino, che venne assassinato due mesi dopo. La loro
        morte ha decretato il trionfo di un sistema mafioso e criminale, che
        avrebbe messo le mani sull'economia italiana, e costretto il paese alla
        completa sottomissione politica e finanziaria.
        Mentre il ministro Scotti faceva una dichiarazione che suonava quasi
        come una minaccia: "la mafia punterà su obiettivi sempre più
        eccellenti e la lotta si farà sempre più cruenta, la mafia vuole
        destabilizzare lo stato e piegarlo ai propri voleri", Borsellino
        lamentava regole e leggi che non permettevano una vera lotta contro la
        mafia. Egli osservava: "non si può affrontare la potenza mafiosa
        quando le si fa un regalo come quello che le è stato fatto con i nuovi
        strumenti processuali adatti ad un paese che non è l’Italia e
        certamente non 
        la Sicilia. Il
        nuovo codice, nel suo aspetto dibattimentale, è uno strumento spuntato
        nelle mani di chi lo deve usare. Ogni volta, ad esempio, si deve
        ricominciare da capo e dimostrare che Cosa Nostra esiste". 
        
         
        
I metodi statali di sabotaggio della lotta contro la mafia
        sono stati denunciati da numerosi esponenti della magistratura. Ad
        esempio, il 27 maggio 1992, il Presidente del tribunale di Caltanissetta
        Placido Dall’Orto, che doveva occuparsi delle indagini sulla strage di
        Capaci, si trovò in gravi difficoltà: "Qui è molto peggio di
        Fort Apache, siamo allo sbando. In una situazione come la nostra la
        lotta alla mafia è solo una vuota parola, lo abbiamo detto tante volte
        al Csm".
        Anche il Pubblico Ministero di Palermo,  Roberto Scarpinato, nel giugno
        del 1992 disse: "Su un piatto della bilancia c’ è la vita,
        sull’altro piatto ci deve essere qualcosa che valga il rischio della
        vita, non vedo in questo pacchetto un impegno straordinario da parte
        dello Stato, ad esempio non vedo nulla di straordinario sulla caccia e
        la cattura dei grandi latitanti".
        
        
        
        Nello stesso anno, il senatore  Maurizio Calvi raccontò che Falcone gli
        confessò di non fidarsi del comando dei carabinieri di Palermo, della
        questura di Palermo e nemmeno della prefettura di Palermo.
        
        
        
        
Che gli assassini di capaci non fossero tutti italiani,
        molti lo sospettavano.
        
        
        Il Ministro Martelli, durante una visita in Sudamerica, dichiarò:
        "Cerco legami tra l’assassinio di Falcone e la mafia americana o
        la mafia colombiana". Lo
        stesso presidente del consiglio Amato, durante una visita a Monaco,
        disse: "Falcone è stato ucciso a Palermo ma probabilmente
        l’omicidio è stato deciso altrove". 
        
        
        Probabilmente, le tecniche d'indagine di Falcone non piacevano ai
        personaggi con cui il governo italiano ebbe a che fare quell'anno. Quel
        considerare la lotta alla mafia soprattutto un dovere morale e
        culturale, quel coinvolgere le persone nel candore dell'onestà e
        dell'assenza di compromessi, gli erano valsi la persecuzione e i metodi
        di calunnia tipici dei servizi segreti inglesi e statunitensi. Tali
        metodi mirano ad isolare e a criminalizzare, cercando di fare apparire
        il contrario di ciò che è. Cercarono di far apparire Falcone un
        complice della mafia.  Antonino Caponnetto dichiarò al giornale
        La Repubblica: "Non si può negare che c’è stata una campagna (contro
        Falcone), cui hanno partecipato in parte i magistrati, che lo ha
        delegittimato. Non c’è nulla di più pericoloso per un magistrato che
        lotta contro la mafia che l’essere isolato". 
        
        
        
L'omicidio di due simboli dello Stato così importanti come
        Falcone e Borsellino significava qualcosa di nuovo. Erano state toccate
        le corde dell'élite di potere internazionale, e questi omicidi brutali
        lo testimoniavano. Ciò è stato intuito anche da  Charles Rose,
        Procuratore distrettuale di New York, che notò la particolarità degli
        attentati: "Neppure i boss più feroci di Cosa Nostra hanno mai
        voluto colpire personalità dello Stato così visibili come era
        Giovanni, perché essi sanno benissimo quali rischi comporta attaccare
        frontalmente lo Stato. Quell’attentato terroristico è un gesto di
        paura... Credo che una mafia che si mette a sparare ai simboli come
        fanno i terroristi... è condannata a perdere il bene più prezioso per
        ogni organizzazione criminale di quel tipo, cioè la complicità attiva
        o passiva della popolazione entro la quale si muove". 
        
        
        
Infatti, quell'anno gli italiani capirono che c'era
        qualcosa di nuovo, e scesero in piazza contro la mafia. Si formarono due
        fronti: la gente comune contro la mafia, e le istituzioni, che si
        stavano sottomettendo all'élite che coordina le mafie
        internazionali.
        Quell'anno l'élite anglo-americana non voleva soltanto impedire la
        lotta efficace contro la mafia, ma voleva rendere l'Italia un paese
        completamente soggiogato ad un sistema mafioso e criminale, che avrebbe
        dominato attraverso il potere finanziario. 
        
        
        
Come segnalò il presidente del Senato  Giovanni
        Spadolini,
        c'era in atto un'operazione su larga scala per distruggere la democrazia
        italiana: "Il fine della criminalità mafiosa sembra essere
        identico a quello del terrorismo nella fase più acuta della stagione
        degli anni di piombo: travolgere lo stato democratico nel nostro paese.
        L’obiettivo è sempre lo stesso:  delegittimare lo Stato, rompere
        il circuito di fiducia tra cittadini e potere democratico…se poi noi
        scorgiamo – e ne abbiamo il diritto – qualche collegamento
        internazionale intorno alla sfida mafia più terrorismo, allora ci
        domandiamo: ma forse si rinnovano gli scenari di dodici-undici anni fa?
        Le minacce dei centri di cospirazione affaristico-politica come 
        la P2 sono permanenti nella vita democratica italiana. E c’è un filone
        piduista che sopravvive, non sappiamo con quanti altri. Mafia e P2 sono
        congiunte fin dalle origini, fin dalla vicenda Sindona".
        
        
        
        
Anche  Tina Anselmi  aveva capito i legami fra mafia e
        finanza internazionale: "Bisogna stare attenti, molto attenti... Ho
        parlato del vecchio piano di rinascita democratica di Gelli e confermo
        che leggerlo oggi fa sobbalzare. E’ in piena attuazione... Chi ha
        grandi mezzi e tanti soldi fa sempre politica e la fa a livello
        nazionale ed internazionale. Ho parlato in questi giorni con un
        importante uomo politico italiano che vive nel mondo delle banche. Sa
        cosa mi ha detto? Che la mafia è stata più veloce degli industriali e
        che sta già investendo centinaia di miliardi, frutto dei guadagni fatti
        con la droga, nei paesi dell’est... Stanno già comprando giornali e
        televisioni private, industrie e alberghi… Quegli investimenti si
        trasformeranno anche in precise e specifiche azioni politiche che ci
        riguardano, ci riguardano tutti. Dopo le stragi di Palermo la polizia
        americana è venuta ad indagare in Sicilia anche per questo, sanno di
        questi investimenti colossali, fatti regolarmente attraverso le
        banche". 
        
        
        
        
Anni dopo, l'ex ministro Scotti confesserà a  Cirino
        Pomicino: "Tutto nacque da una comunicazione riservata fattami dal
        capo della polizia  Parisi che, sulla base di un lavoro di intelligence
        svolto dal Sisde e supportato da informazioni confidenziali, parlava di
        riunioni internazionali nelle quali sarebbero state decise azioni
        destabilizzanti sia con attentati mafiosi sia con indagini giudiziarie
        nei confronti dei leaders dei partiti di governo".
        Una delle riunioni di cui parlava Scotti si svolse il 2 giugno del 1992,
        sul panfilo Britannia, in navigazione lungo le coste siciliane. Sul
        panfilo c'erano alcuni appartenenti all'élite di potere
        anglo-americana, come i reali britannici e i grandi banchieri delle
        banche a cui si rivolgerà il governo italiano durante la fase delle
        privatizzazioni (Merrill Lynch, Goldman Sachs e Salomon Brothers).
        
        
        
In quella riunione si decise di acquistare le aziende
        italiane e 
        la Banca
        d'Italia, e come far crollare il vecchio sistema politico per insediarne
        un altro, completamente manovrato dai nuovi padroni. A quella riunione
        parteciparono anche diversi italiani, come  Mario Draghi, allora
        direttore delegato del ministero del Tesoro, il dirigente dell'Eni 
        Beniamino Andreatta e il dirigente dell'Iri  Riccardo Galli. Gli intrighi
        decisi sulla Britannia avrebbero permesso agli anglo-americani di
        mettere le mani sul 48% delle aziende italiane, fra le quali c'erano 
        la Buitoni, 
        la Locatelli, 
        la Negroni, 
        la Ferrarelle, 
        la Perugina
        e 
        la Galbani.
        
        
        
        La stampa martellava su "Mani pulite", facendo intendere che
        da quell'evento sarebbero derivati grandi cambiamenti.
        Nel giugno 1992 si insediò il governo di  Giuliano Amato. Si trattava di
        un personaggio in armonia con gli speculatori che ambivano ad
        appropriarsi dell'Italia. Infatti, Amato, per iniziare le
        privatizzazioni, si affrettò a consultare il centro del potere
        finanziario internazionale: le tre grandi banche di Wall Street,  Merrill
        Lynch, Goldman Sachs e  Salomon Brothers. 
        
        
        
Appena salito al potere, Amato trasformò gli Enti statali
        in Società per Azioni, valendosi del decreto Legge 386/1991, in modo
        tale che l'élite finanziaria li potesse controllare, e in seguito
        rilevare. 
        
        
        L'inizio fu concertato dal Fondo Monetario Internazionale, che, come
        aveva fatto in altri paesi, voleva privatizzare selvaggiamente e
        svalutare  la nostra moneta,
        per agevolare il dominio economico-finanziario dell'élite. L'incarico
        di far crollare l'economia italiana venne dato a George Soros, un
        cittadino americano che tramite informazioni ricevute dai Rothschild,
        con la complicità di alcune autorità italiane, riuscì a far crollare
        la nostra moneta e le azioni di molte aziende italiane. 
        
        
        Soros ebbe l'incarico, da parte dei banchieri anglo-americani, di
        attuare una serie di speculazioni, efficaci grazie alle informazioni che
        egli riceveva dall'élite finanziaria. Egli fece attacchi speculativi
        degli hedge funds per far crollare la lira. A causa di questi attacchi,
        il 5 novembre del 1993 la lira perse il 30% del suo valore, e anche
        negli anni successivi subì svalutazioni. 
        
        
        
Le reti della  Banca Rothschild, attraverso il direttore
        
        Richard Katz, misero le mani sull'Eni, che venne svenduta. Il gruppo
        Rothschild ebbe un ruolo preminente anche sulle altre privatizzazioni,
        compresa quella della Banca d'Italia. C'erano stretti legami fra il
        Quantum Fund di  George Soros e i Rothschild. Ma anche numerosi altri
        membri dell'élite finanziaria anglo-americana, come  Alfred Hartmann
         e 
        Georges C. Karlweis, furono coinvolti nei processi di privatizzazione
        delle aziende e della Banca d'Italia.
        La  Rothschild Italia
        Spa, filiale di
        Milano della  Rothschild & Sons  di Londra,
        venne creata nel 1989, sotto la direzione di  Richard Katz. Quest'ultimo
        diventò direttore del Quantum Fund di  Soros nel periodo delle
        speculazioni a danno della lira. Soros
        era stato incaricato dai Rothschild di attuare una serie di speculazioni
        contro la sterlina, il marco e la lira, per destabilizzare il sistema
        Monetario Europeo. Sempre per conto degli stessi committenti, egli fece
        diverse speculazioni contro le monete di alcuni paesi asiatici, come
        l'Indonesia e 
        la Malesia. Dopo
        la distruzione finanziaria dell'Europa e dell'Asia, Soros venne
        incaricato di creare una rete per la diffusione degli stupefacenti in
        Europa. 
        
        
        
In seguito, i Rothschild, fedeli al loro modo di fare,
        cercarono di far cadere la responsabilità del crollo economico italiano
        su qualcun altro. Attraverso una serie di articoli pubblicati sul Financial
        Times, accusarono 
        la Germania, sostenendo che 
        la Bundesbank
        aveva attuato operazioni di aggiotaggio contro la lira. L'accusa non
        reggeva, perché i vantaggi del crollo della lira e della svendita delle
        imprese italiane andarono agli anglo-americani.
        La privatizzazione è stata un saccheggio, che ancora continua. Spiega 
        Paolo Raimondi, del Movimento Solidarietà:   
        
Abbiamo avuto anni di privatizzazione, saccheggio dell'economia
        produttiva e l'esplosione della bolla della finanza derivata. Questa
        stessa strategia di destabilizzazione riparte oggi, quando l'Europa
        continentale viene nuovamente attratta, anche se non come promotrice e
        con prospettive ancora da definire, nel grande progetto di
        infrastrutture di base del Ponte di Sviluppo Eurasiatico.
        
        
        
        
Qualche anno dopo la magistratura italiana procederà
        contro Soros, ma senza alcun successo. Nell'ottobre del 1995, il
        presidente del Movimento Internazionale per i Diritti Civili-Solidarietà,
        Paolo Raimondi, presentò un esposto alla magistratura per aprire
        un'inchiesta sulle attività speculative di Soros & Co, che avevano
        colpito la lira. L'attacco speculativo di Soros, gli aveva permesso di
        impossessarsi di 15.000 miliardi di lire. Per contrastare l'attacco,
        l'allora governatore della Banca d’Italia,  Carlo Azeglio Ciampi, bruciò
        inutilmente 48 miliardi di dollari. 
        
        
        Su Soros indagarono le Procure della Repubblica di Roma e di Napoli, che
        fecero luce anche sulle attività della Banca d'Italia nel periodo del
        crollo della lira. Soros venne accusato di aggiotaggio e insider
        trading, avendo utilizzato informazioni riservate che gli permettevano
        di speculare con sicurezza e di anticipare movimenti su titoli, cambi e
        valori delle monete.
        Spiegano il Presidente e il segretario generale del "Movimento
        Internazionale per i Diritti Civili - Solidarietà", durante
        l'esposto contro Soros: 
        
È stata... annotata nel 
        1992 l
        'esistenza... di un contatto molto stretto e particolare del sig. Soros
        con  Gerald Carrigan, presidente della Federal Reserve Bank di New York,
        che fa parte dell'apparato della Banca centrale americana, luogo di
        massima circolazione di informazioni economiche riservate, il quale,
        stranamente, una volta dimessosi da questo posto, venne poi
        immediatamente assunto a tempo pieno dalla finanziaria "Goldman
        Sachs & co." come presidente dei consiglieri internazionali. 
        La Goldman Sachs
        è uno dei centri della grande speculazione sui derivati e sulle monete
        a livello mondiale. 
        La Goldman Sachs
        è anche coinvolta in modo diretto nella politica delle privatizzazioni
        in Italia. In Italia inoltre, il sig. Soros conta sulla strettissima
        collaborazione del sig.  Isidoro Albertini, ex presidente degli agenti di
        cambio della Borsa di Milano e attuale presidente della "Albertini
        e co. SIM" di Milano, una delle ditte guida nel settore speculativo
        dei derivati. Albertini è membro del consiglio di amministrazione del
        "Quantum Fund" di Soros.
        
        
        
III. L'attacco speculativo contro la lira del settembre 1992 era stato
        preceduto e preparato dal famoso incontro del 2 giugno 1992 sullo yacht
        "Britannia" della regina Elisabetta II d'Inghilterra, dove i
        massimi rappresentanti della finanza internazionale, soprattutto
        britannica, impegnati nella grande speculazione dei derivati, come 
        la S. G.
        Warburg,
        la Barings
        e simili, si incontrarono con la controparte italiana guidata da Mario
        Draghi, direttore generale del ministero del Tesoro, e dal futuro
        ministro  Beniamino Andreatta, per pianificare la privatizzazione
        dell'industria di stato italiana. A seguito dell'attacco speculativo
        contro la lira e della sua immediata svalutazione del 30%, codesta
        privatizzazione sarebbe stata fatta a prezzi stracciati, a beneficio
        della grande finanza internazionale e a discapito degli interessi dello
        stato italiano e dell'economia nazionale e dell'occupazione.
        Stranamente, gli stessi partecipanti all'incontro del Britannia avevano
        già ottenuto l'autorizzazione da parte di uomini di governo come Mario
        Draghi, di studiare e programmare le privatizzazioni stesse. Qui ci si
        riferisce per esempio alla Warburg, alla Morgan Stanley, solo per fare
        due tra gli esempi più noti. L'agenzia stampa EIR (Executive
        Intelligence Review) ha denunciato pubblicamente questa sordida
        operazione alla fine del 1992 provocando una serie di interpellanze
        parlamentari e di discussioni politiche che hanno avuto il merito di
        mettere in discussione l'intero procedimento, alquanto singolare, di
        privatizzazione.
        
        
        
I complici italiani furono il ministro del Tesoro  Piero
        Barucci, l'allora Direttore di Bankitalia  Lamberto Dini  e l'allora
        governatore di Bankitalia Carlo Azeglio Ciampi. Altre responsabilità
        vanno all'allora capo del governo  Giuliano Amato  e al Direttore Generale
        del Tesoro  Mario Draghi. Alcune autorità italiane (come Dini) fecero il
        doppio gioco: denunciavano i pericoli ma in segreto appoggiavano gli
        speculatori. 
        
        
        Amato aveva costretto i sindacati ad accettare un accordo salariale non
        conveniente ai lavoratori, per la "necessità di rimanere nel
        Sistema Monetario Europeo", pur sapendo che l'Italia ne sarebbe
        uscita a causa delle imminenti speculazioni. 
        
        
        Gli attacchi all'economia italiana andarono avanti per tutti gli anni
        Novanta, fino a quando il sistema economico- finanziario italiano non
        cadde sotto il completo controllo dell'élite. Nel gennaio del 1996, nel
        rapporto semestrale sulla politica informativa e della sicurezza, il
        Presidente del Consiglio Lamberto Dini disse: 
        
I mercati valutari e le borse delle principali piazze mondiali
        continuano a registrare correnti speculative ai danni della nostra
        moneta, originate, specie in passaggi delicati della vita
        politico-istituzionale, dalla diffusione incontrollata di notizie
        infondate riguardanti la compagine governativa e da anticipazioni di
        dati oggetto delle periodiche comunicazioni sui prezzi al consumo... è
        possibile attendersi la reiterazione di manovre speculative fraudolente,
        considerato il persistere di una fase congiunturale interna e le
        scadenze dell'unificazione monetaria.
        
        
        
        
Il giorno dopo, il governatore della Banca d'Italia, 
        Antonio Fazio, riferiva che l'Italia non poteva far nulla contro le
        correnti speculative sui mercati dei cambi, perché "se le banche
        di emissione tentano di far cambiare direzione o di fermare il vento
        (delle operazioni finanziarie) non ce la fanno per la dimensione delle
        masse in movimento sui mercati rispetto alla loro capacità di
        fuoco". 
        
        
        Le nostre autorità denunciavano il potere dell'élite internazionale,
        ma gettavano la spugna, ritenendo inevitabili quegli eventi. Era in
        gioco il futuro economico-finanziario del paese, ma nessuna autorità
        italiana pensava di poter fare qualcosa contro gli attacchi
        destabilizzanti dell'élite anglo-americana. 
        
        
        
Il Movimento Solidarietà fu l'unico a denunciare quello
        che stava effettivamente accadendo, additando i veri responsabili del
        crollo dell'economia italiana. Il 28 giugno 1993, il Movimento
        Solidarietà svolse una conferenza a Milano, in cui rese nota a tutti la
        riunione sul Britannia e quello che ne era derivato.
        
        
        Il 6 novembre 
        1993, l
        'allora presidente del Consiglio, Carlo Azeglio Ciampi scrisse una
        lettera al procuratore capo della Repubblica di Roma,  Vittorio Mele, per
        avviare "le procedure relative al delitto previsto all'art. 501 del
        codice penale ("Rialzo e ribasso fraudolento di prezzi sul pubblico
        mercato o nelle borse di commercio"), considerato nell'ipotesi
        delle aggravanti in esso contenute". Anche a Ciampi era evidente il
        reato di aggiotaggio da parte di Soros, che aveva operato contro la lira
        e i titoli quotati in Borsa delle nostre aziende. 
        
        
        
Anche negli anni successivi avvennero altre
        privatizzazioni, senza regole precise e a prezzi di favore. Che stesse
        cambiando qualcosa, gli italiani lo capivano dal cambio di nome delle
        aziende, la Sip
        era diventata Telecom Italia e le Ferrovie dello Stato erano diventate
        Trenitalia. 
        
        
        Il decreto legislativo 79/99 avrebbe permesso la privatizzazione delle
        aziende energetiche. Nel settore del gas e dell'elettricità apparvero
        numerose aziende private, oggi circa 300. Dal 24 febbraio del 1998,
        anche le Poste Italiane diventarono una S.p.a. In seguito alla
        privatizzazione delle Poste, i costi postali sono aumentati a dismisura
        e i lavoratori postali vengono assunti con contratti precari. Oltre 400
        uffici postali sono stati chiusi, e quelli rimasti aperti appaiono come
        luoghi di vendita più che di servizio. 
        
        
        
Le nostre autorità giustificavano la svendita delle
        privatizzazioni dicendo che si doveva "risanare il bilancio
        pubblico", ma non specificavano che si trattava di pagare altro
        denaro alle banche, in cambio di banconote che valevano come la carta
        straccia. A guadagnare sarebbero state soltanto le banche e i pochi
        imprenditori già ricchi (Benetton, Tronchetti Provera,  Pirelli,
        Colaninno, Gnutti  e pochi altri).
        Si diceva che le privatizzazioni avrebbero migliorato la gestione delle
        aziende, ma in realtà, in tutti i casi, si sono verificati disastri di
        vario genere, e il rimedio è stato pagato dai cittadini italiani.
        
        
        
Le nostre aziende sono state svendute ad imprenditori che
        quasi sempre agivano per conto dell'élite finanziaria, da cui
        ricevevano le somme per l'acquisto. La privatizzazione della Telecom
        avvenne nell'ottobre del 1997. Fu venduta a 11,82 miliardi di euro, ma
        alla fine si incassarono soltanto 7,5 miliardi. La società fu rilevata
        da un gruppo di imprenditori e banche., e al Ministero del Tesoro rimase
        una quota del 3,5%. 
        
        
        Il piano per il controllo di Telecom aveva la regia nascosta della 
        Merril Lynch, del Gruppo Bancario americano  Donaldson Lufkin &
        Jenrette  e della  Chase Manhattan Bank. 
        
        
        Alla fine del 1998, il titolo aveva perso il 20% (4,33 euro). Le banche
        dell'élite, la Chase Manhattan
        e 
        la  Lehman Brothers,  si fecero avanti per
        attuare un'opa. Attraverso Colaninno, che ricevette finanziamenti dalla
        Chase Manhattan, l'Olivetti diventò proprietaria di Telecom. L'Olivetti
        era controllata dalla Bell, una società con sede a Lussemburgo, a sua
        volta controllata dalla Hopa di Emilio Gnutti e Roberto Colaninno. 
        
        
        
Il titolo, che durante l'opa era stato fatto salire a 20
        euro, nel giro un anno si dimezzò. Dopo pochi anni finirà sotto i tre
        euro.  
        
        
        Nel 2001 
        la Telecom
        si trovava in gravi difficoltà, le azioni continuavano a scendere. La Bell
        di Gnutti e la Unipol
        di  Consorte decisero di vendere a Tronchetti Provera buona parte loro
        quota azionaria in Olivetti. Il presidente di Pirelli, finanziato dalla
        J. P. Morgan, ottenne il controllo su Telecom, attraverso la finanziaria
        Olimpia, creata con la famiglia Benetton (sostenuta da Banca Intesa e
        Unicredit).
        
        
        
Dopo dieci anni dalla privatizzazione della Telecom, il
        bilancio è disastroso sotto tutti i punti di vista: oltre 20.000
        persone sono state licenziate, i titoli azionari hanno fatto perdere
        molto denaro ai risparmiatori, i costi per gli utenti sono aumentati e
        la società è in perdita. 
        
        
        La privatizzazione, oltre che un saccheggio, veniva ad essere anche un
        modo per truffare i piccoli azionisti. 
        
        
        
        La Telecom
        , come molte altre società, ha posto la sua sede in paesi
        esteri, per non pagare le tasse allo Stato italiano. Oltre a perdere le
        aziende, gli italiani sono stati privati anche degli introiti fiscali di
        quelle aziende. 
        La Bell, società che controllava
        la Telecom Italia, aveva sede in Lussemburgo, e aveva all'interno società con sede alle
        isole Cayman, che, com'è noto, sono un paradiso fiscale. 
        
        
        
Gli speculatori finanziari basano la loro attività
        sull'esistenza di questi paradisi fiscali, dove non è possibile
        ottenere informazioni nemmeno alle autorità giudiziarie. I paradisi
        fiscali hanno permesso agli speculatori di distruggere le economie di
        interi paesi, eppure i media non parlano mai di questo gravissimo
        problema. 
        
        
        Mettere un'azienda importante come quella telefonica in mani private
        significa anche non tutelare la privacy dei cittadini, che infatti è
        stata più volte calpestata, com'è emerso negli ultimi anni. 
        
        
        
Anche per le altre privatizzazioni, Autostrade, Poste
        Italiane, Trenitalia ecc., si sono verificate le medesime devastazioni:
        licenziamenti, truffe a danno dei risparmiatori, degrado del servizio,
        spreco di denaro pubblico, cattiva amministrazione e problemi di vario
        genere.
        
        
        La famiglia Benetton è diventata azionista di maggioranza delle
        Autostrade. Il contratto di privatizzazione delle Autostrade dava
        vantaggi soltanto agli acquirenti, facendo rimanere l'onere della
        manutenzione sulle spalle dei contribuenti. 
        
        
        I Benetton hanno incassato un bel po' di denaro grazie alla fusione di
        Autostrade con il gruppo spagnolo Abertis. La fusione è avvenuta con la
        complicità del governo Prodi, che in seguito ad un vertice con Zapatero,
        ha deciso di autorizzarla.  Antonio Di Pietro, Ministro delle
        Infrastrutture, si era opposto, ma ha alla fine si è piegato alle
        proteste dell'Unione Europea e alla politica del Presidente del
        Consiglio. 
        
        
        
Nonostante i disastri delle privatizzazioni, le nostre
        autorità governative non hanno alcuna intenzione di rinazionalizzare le
        imprese allo sfacelo, anzi, sono disposte ad utilizzare denaro pubblico
        per riparare ai danni causati dai privati. 
        
        
        La società Trenitalia è stata portata sull'orlo del fallimento. In
        pochi anni il servizio è diventato sempre più scadente, i treni sono
        sempre più sporchi, il costo dei biglietti continua a salire e
        risultano numerosi disservizi. A causa dei tagli al personale (ad
        esempio, non c'è più il secondo conducente), si sono verificati
        diversi incidenti (anche mortali). Nel 
        2006, l
        'amministratore delegato di Trenitalia,  Mauro Moretti, si è presentato
        ad una audizione alla commissione Lavori Pubblici del Senato, per
        battere cassa, confessando un buco di un miliardo e settecento milioni
        di euro, che avrebbe potuto portare la società al fallimento.
        Nell'ottobre del 2006, il Ministro dei Trasporti,  Alessandro Bianchi,
        approvò il piano di ricapitalizzazione proposto da Trenitalia. Altro
        denaro pubblico ad un'azienda privatizzata ridotta allo sfacelo. 
        
        
        
Dietro tutto questo c'era l'élite economico finanziaria (Morgan, Schiff, Harriman, Kahn, Warburg, Rockfeller, Rothschild
         ecc.)
        che ha agito preparando un progetto di devastazione dell'economia
        italiana, e lo ha attuato valendosi di politici, di finanzieri e di
        imprenditori. Nascondersi è facile in un sistema in cui le banche o le
        società possono assumere il  controllo
        di altre società o banche. Questo significa che è sempre difficile
        capire veramente chi controlla le società privatizzate. E' simile al
        gioco delle scatole cinesi, come spiega  Giuseppe Turani: "Colaninno
        & soci controllano al 51% la Hopa, che controlla il 56,6% della Bell, che controlla il 13,9% della
        Olivetti, che controlla il 70% della Tecnost, che controlla il 52% della
        Telecom".Numerose aziende di imprenditori italiani sono state
        distrutte dal sistema dei mercati finanziari, ad esempio 
        la Cirio
        e la Parmalat. Queste
        aziende hanno truffato i risparmiatori vendendo obbligazioni societarie
        ("Bond") con un alto margine di rischio. 
        La Parmalat
        emise Bond per un valore di 7 miliardi di euro, e allo stesso tempo attuò
        operazioni finanziarie speculative, e si indebitò. Per non far scendere
        il valore delle azioni (e per venderne altre) truccava i bilanci. 
        
        
        
Le banche nazionali e internazionali sostenevano la
        situazione perché per loro vantaggiosa, e l'agenzia di rating, Standard
        & Poor's, si è decisa a declassare 
        la Parmalat
        soltanto quando la truffa era ormai nota a tutti. 
        
        
        I risparmiatori truffati hanno avviato una procedura giudiziaria contro Calisto Tanzi, Fausto
        Tonna, Coloniale S.p.a. (società della
        famiglia Tanzi), Citigroup, Inc. (società finanziaria americana),
        Buconero LLC (società che faceva capo a Citigroup), Zini &
        Associates (una compagnia finanziaria americana), Deloitte Touche
        Tohmatsu (organizzazione che forniva consulenza e servizi
        professionali), Deloitte & Touche SpA (società di revisione
        contabile), Grant Thornton International (società di consulenza
        finanziaria) e Grant Thornton S.p.a. (società incaricata della
        revisione contabile del sottogruppo Parmalat S.p.a.). 
        
        
        
La Cirio
         era gestita dalla
        Cragnotti & Partners. I "Partners" non erano altro che una
        serie di banche nazionali e internazionali. 
        La Cirio
        emise Bond per circa 1.125 milioni di Euro. Molte di queste obbligazioni
        venivano utilizzate dalle banche per spillare denaro ai piccoli
        risparmiatori. Tutto questo avveniva in perfetta armonia col sistema
        finanziario, che non offre garanzie di onestà e di trasparenza.
        Grazie alle privatizzazioni, un gruppo ristretto di ricchi
        italiani ha acquisito somme enormi, e ha permesso all'élite
        economico-finanziaria anglo-americana di esercitare un pesante
        controllo, sui cittadini, sulla politica e sul paese intero. 
        
        
        Agli italiani venne dato il contentino di "Mani Pulite", che
        si risolse con numerose assoluzioni e qualche condanna a pochi anni di
        carcere. 
        
        
        
A causa delle privatizzazioni e del controllo da parte
        della Banca Centrale Europea, il paese è più povero e deve pagare
        somme molto alte per il debito. Ogni anno viene varata la finanziaria,
        allo scopo di pagare le banche e di partecipare al finanziamento delle
        loro guerre. Mentre la povertà aumenta, come la disoccupazione, il
        lavoro precario, il degrado e il potere della mafia.
        
        
        Il nostro paese è oggi controllato da un gruppo di persone, che
        impongono, attraverso istituti propagandati come "autorevoli"
        (Fondo Monetario Internazionale e Banca Centrale Europea), di tagliare
        la spesa pubblica, di privatizzare quello che ancora rimane e di attuare
        politiche non convenienti alla popolazione italiana. I nostri governi
        operano nell'interesse di questa élite, e non in quello del paese. 
        
Antonella Randazzo ha scritto Roma Predona. Il colonialismo italiano in Africa, 1870-1943, (Kaos
        Edizioni, 2006); 
        La Nuova Democrazia.
         Illusioni di civiltà nell'era
        dell'egemonia Usa (Zambon Editore 2007) e Dittature.                La Storia Occulta
         (Edizione Il Nuovo Mondo, 2007).
        
        
         
        
            http://www.reti-invisibili.net/georgofili/                        
            
            
            La Repubblica
            , 27 maggio 1992.
            
            
            La Repubblica
            , 28 maggio 1992.
            
            
            La Repubblica
            , 10 giugno 1992.
            
            
            La Repubblica
            , 23 giugno 1992.
            
            
            La Repubblica
            , 23 giugno 1992.
            
            
            La Repubblica
            , 25 giugno 1992.
            
            
            
            
            La Repubblica
            , 27 maggio 1992.
            
            
            La Repubblica
            , 11 agosto 1992.
            
            L'Unità, 12 agosto 1992.
            
            Solidarietà, anno IV n.
            1, febbraio 1996.
            
            Esposto della Magistratura contro George Soros presentato dal
            Movimento Solidarietà al Procuratore della Repubblica di Milano il
            27 ottobre 1995.
            
            
            
            Servizio per le Informazioni e 
            la Sicurezza Democratica
            , Rivista N. 4 gennaio-aprile 1996.
            
            Solidarietà, anno 1, n.
            1, ottobre 1993.
            
            
            La Repubblica
            , 5 settembre 1999.
           
 
 
Fonte: disinformazione.it
 
Leggi anche:
Tratto da: http://informatitalia.blogspot.com/2014/06/dossier-come-e-stata-svenduta-litalia.html
tramite: http://www.nocensura.com ...... ADMIN