Così lo zelo antispagnolo ha
spinto gli indipendentisti e la sinistra radicale a gonfiare l’enclave
musulmana in Catalogna. Per di più corteggiando la gente sbagliata. Come
dimostra la strage di Barcellona
Secondo l’Ucide, Unione delle comunità islamiche di Spagna, alla fine del 2016 nel paese di re Felipe V vivevano 1.919.141 musulmani, pari al 4 per cento di tutta la popolazione. Di quei quasi due milioni di musulmani 515.482 risiedevano in Catalogna, regione dove vivono 7 milioni e 523 mila persone. Questo significa che in Catalogna i musulmani rappresentano il 6,4 per cento della popolazione, mentre nel resto della Spagna sono il 3,58 per cento: la densità dei musulmani in Catalogna è quasi il doppio di quella nel resto della Spagna. Secondo i dati più recenti, nel paese iberico esistono 1.264 luoghi di culto islamici (moschee e sale di preghiera), 109 dei quali possono essere indicati come aderenti alla tendenza salafita, cioè l’interpretazione fondamentalista dell’islam che in molti casi è risultata propedeutica all’adesione da parte di molti al jihadismo e alle organizzazioni del terrorismo islamista. Secondo dati incrociati della polizia spagnola e di quella catalana, delle 109 moschee di tendenza salafita censite su tutto il territorio spagnolo ben 79 sorgono in Catalogna, dove i luoghi di preghiera islamici sarebbero 256. Nella comunità autonoma governata dagli indipendentisti di Carles Puigdemont una moschea su tre sarebbe salafita, mentre nel resto della Spagna solo una su 30. Nel 2006 le moschee salafite in Catalogna erano 36: in dieci anni sono più che raddoppiate. E non abbiamo ancora detto tutto. Gli spagnoli convertiti all’islam risultano essere circa 70 mila, 20 mila dei quali si sono convertiti negli ultimi sei-sette anni. Di costoro, 7 mila sono catalani. Secondo l’Observatorio islamico de Perpignan, il 70 per cento dei 7 mila convertiti catalani proviene dalla sinistra radicale della Cup e dalla sinistra indipendentista storica dell’Erc, due dei tre principali partiti catalani che hanno promosso il referendum secessionista dell’1 ottobre (l’altro è il PdeCat di Puigdemont, erede del centrista CiU). Sommati insieme questi due partiti non raccolgono più del 20-25 per cento dei voti in una normale elezione catalana. La Guardia civil ritiene che il 40 per cento di questi 7 mila convertiti sia esposto a un processo di radicalizzazione, e che il 5 per cento di questi ultimi (cioè circa 140 persone) rappresenti una minaccia reale per la sicurezza dello Stato.
Un vuoto da riempire
La Catalogna è stata colpita dal terrorismo jihadista il 17 e 18 agosto scorsi, con gli attentati di Barcellona e di Cambrils che hanno causato 16 morti innocenti. Prima di allora erano stati sventati attacchi imminenti nell’aprile 2015, quando la polizia catalana aveva arrestato 11 terroristi (cinque dei quali spagnoli convertiti all’islam), nel 2008 quando furono bloccati undici jihadisti (nove dei quali pakistani) che volevano compiere attentati suicidi nella metropolitana di Barcellona, e nel 2006 quando l’operazione Sciacallo portò all’arresto di 20 jihadisti nei pressi di Tarragona, in seguito prosciolti a causa di errori di forma nell’inchiesta.
I dati di fatto di cui sopra, compreso il terreno fertile nel quale sono maturati attentati terroristici riusciti e sventati, sono il prodotto delle politiche dei partiti pro-indipendentisti che hanno governato la Catalogna negli ultimi vent’anni, e della militanza ideologica della sinistra antisistema che si raccoglie nella Cup. Gli uni e l’altra hanno favorito l’islamizzazione della Catalogna in funzione antispagnola, per di più corteggiando le persone sbagliate all’interno della comunità musulmana. Come ha scritto tempo fa Luis del Pino su Libertad Digital: «La politica di immersione educativa in catalano e la marginalizzazione del castigliano hanno agito da freno all’immigrazione proveniente dai paesi latinoamericani. Se sei peruviano e vuoi lavorare in Spagna, perché complicarti la vita andando in un posto dove obbligano te e i tuoi figli a imparare una nuova lingua? Meglio andare altrove. Questo fenomeno ha creato un vuoto in Catalogna e i posti di lavoro che non sono occupati da immigrati latinoamericani tendono ad essere coperti da immigrati di altri paesi, principalmente nordafricani e pakistani. E non solo gli immigrati latinoamericani si sono trovati dissuasi dall’andare in Catalogna, ma il governo regionale ha adottato una politica intenzionalmente orientata a premiare l’immigrazione proveniente dal Marocco». Esecutore esemplare di questa politica è stato Angel Colom, che nel 1996 lasciò Erc per approdare a CiU, il partito che ha quasi sempre governato la Catalogna. Di lì a poco fu nominato responsabile dell’immigrazione del Cdc (uno dei due partiti federati in CiU), presidente della Fondazione Nuovi Catalani e ambasciatore ufficioso della Generalitat in Marocco. In questa veste costui ha incoraggiato l’immigrazione marocchina in Catalogna, ha stretto rapporti con le comunità islamiche nella regione allo scopo di guadagnarle alla causa indipendentista, ha visitato un gran numero di moschee dove ha spiegato che nella Catalogna indipendente per gli immigrati sarebbe diventato più facile ottenere la piena cittadinanza. In un’occasione Colom ha dichiarato a El País nel 2012: «Non si può costruire uno stato catalano senza la partecipazione dei catalano-marocchini».
Nel 2014 il governo catalano ha approvato un Piano Marocco 2014-2017 col quale di fatto offriva al governo di Rabat il controllo dell’islam in Catalogna e prometteva di introdurre l’insegnamento dell’arabo e del tamazigh in orario scolastico e di far votare gli immigrati alle elezioni.
In occasione del referendum consultivo sull’indipendenza del 2014 i nazionalisti catalani hanno proposto ai musulmani di istituire seggi per il voto presso le moschee, e in alcuni casi hanno incontrato risposte positive. Alla vigilia del referendum del 1° ottobre scorso la Commissione islamica, massimo organo di rappresentanza dei musulmani in Spagna, ha diffidato le moschee catalane dall’ospitare iniziative filo-indipendentiste, consapevole delle conseguenze negative che avrebbe avuto per la presenza dell’islam in Spagna.
«Noi conquisteremo municipi»
Per portare avanti il loro programma gli indipendentisti si sono appoggiati a personaggi equivoci. Per un certo periodo braccio destro di Colom è stato l’imam Noureddin Ziani, presidente dell’Unione dei centri culturali islamici in Catalogna, organizzazione che aveva sede negli stessi locali della Fondazione Nuovi Catalani. Nel 2013 Ziani è stato espulso dalla Spagna su istanza dei servizi segreti, accusato di spionaggio e di complicità con l’islam radicale. Ziani era infatti molto legato a Mohamed Attaouil, fondatore di una moschea nei pressi di Girona nota come punto di riferimento dei salafiti radicali di tutta Europa, e di Abdelwahab Houizi, imam a Lerida noto per essere stato registrato mentre teneva il seguente discorso ai suoi correligionari a proposito degli indipendentisti: «Loro si appoggiano a noi per ottenere voti, ma non sanno che quando ci lasceranno votare voteremo tutti per i partiti islamici, perché noi non siamo né di destra né di sinistra. Noi conquisteremo municipi, e a partire da lì, grazie alle competenze dell’autonomia, cominceremo a impiantare l’islam». Il 15 novembre 2012 Houizi interveniva pubblicamente insieme a Noureddin Ziani e ad altri imam radicali, fra i quali Mohamed et-Takkal, responsabile della moschea Al Forkan di Villanueva y Geltrú, successivamente espulso dalla Spagna a causa del suo estremismo, a un evento promosso dalla Fondazione Nuovi Catalani a Barcellona. La moschea di Villanueva y Geltrù era ben conosciuta da Abdelbaki Es Satty, l’imam di Ripoll ucciso il 16 agosto scorso dalla esplosione delle bombole del gas con le quali stava preparando un attentato contro la Sagrada Familia. Es Satty utilizzava la moschea Al Forkan come base di reclutamento e di indottrinamento di combattenti che venivano inviati a combattere in Iraq al tempo dell’occupazione anglo-americana, e più recentemente in Siria e Iraq per conto dell’Isis e altri gruppi estremisti. Risiedeva, almeno fra il 2003 e il 2005, nello stesso appartamento dell’imam Mohamed Mrabet, poi arrestato nel contesto dell’operazione Sciacallo, e dove soggiornò anche Belgacem Bellil, l’algerino che nel novembre 2003 si lanciò con un camion carico di esplosivo contro la base dei carabinieri italiani a Nassiriya. I terroristi che gravitavano sulla moschea di Al Forkan sono inoltre coinvolti negli attentati di Madrid e Casablanca del 2003. Nonostante tutto ciò, ancora nel maggio di quest’anno l’Asamblea nacional catalana (Anc), un’importante organizzazione indipendentista, ha promosso un evento propagandistico rivolto ai musulmani proprio nella moschea di Al Forkan.
Perché diventare salafiti
Mrabet, arrestato nel 2006 e condannato nel 2009, è stato assolto in Cassazione insieme a cinque compagni nel 2011. Suo avvocato era Jaume Asens, vicesindaco di Barcellona e uno dei fondatori di Podemos, eletto nelle liste di Barcelona en Comù. Asens è stato anche un dirigente della Ong specializzata in problemi della casa creata da Ada Colau, sindaco di Barcellona. Altro esponente politico della sinistra radicale catalana specializzato nella difesa di musulmani accusati di terrorismo è Benet Salellas, che ha ottenuto l’assoluzione di un sodale di Mrabet ed è membro del parlamento catalano per conto della Cup.
Così spiega le conversioni di estremisti di sinistra catalani all’islam salafita lo studioso Vicente Salafranca: «La Spagna per loro è la patria del cattolicesimo, dei grandi eroi esaltati da alcuni storici, eroi che forgiarono la loro leggenda attraverso la fede in Cristo. Rinunciare al cattolicesimo per loro è un modo di rinunciare alla Spagna. Effettivamente molti di loro si sono fatti musulmani per odio verso le tradizioni spagnole».
Foto Shutterstock
ottobre 21, 2017
- Rodolfo Casadei
fonte: http://www.tempi.it