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Non smettete mai di protestare; non smettete mai di dissentire, di porvi domande, di mettere in discussione l’autorità, i luoghi comuni, i dogmi. Non esiste la verità assoluta. Non smettete di pensare. Siate voci fuori dal coro. Un uomo che non dissente è un seme che non crescerà mai.
(Bertrand Russell)
04/12/14
Mafia Capitale, Cantone controllerà gli appalti. Alfano, Roma è una città sana
Ignazio Marino, sindaco di Roma, evita il commissariamento della sua giunta, riceve il riconoscimento di argine alla tracotanza della Mafia Capitale, valuterà se accettare la scorta posta dal prefetto di Roma Pecoraro a tutela della sua incolumità e ottiene dal numero uno dell'Autorità anticorruzione, Raffaele Cantone, un regime di sorveglianza speciale su tutti gli appalti comunali, sui quali vigilerà un pool di esperti. Mentre il presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti ha disposto "un'indagine conoscitiva presso tutte le principali centrali appaltanti della Regione per conoscere se società legate all'inchiesta abbiano partecipato a gare e a bandi pubblici ed il loro esito". In attesa delle verifiche, con una scelta legata all'indagine su Mafia Capitale in pieno svolgimento, Zingaretti ha deciso di sospendere l'assegnazione delle gare in corso. Intanto Luca Gramazio, capogruppo Fi in consiglio regionale ed indagato nell'inchiesta, ha presentato le sue dimissioni. Mentre il prefetto di Roma, Giuseppe Pecoraro, che valuta l'eventuale scioglimento del comune di Roma per infiltrazioni mafiose, ha però manifestato estrema prudenza al riguardo: "Stiamo leggendo le 1.200 pagine dell'ordinanza in modo da valutare la possibilità di sciogliere il Comune di Roma e poi riferiremo al ministro", ha detto Pecoraro. "Bisogna comunque tenere conto - ha aggiunto - che siamo la capitale e la nostra decisione, qualunque essa sia, riguarderà tutto il nostro Paese". "Dall'inchiesta della procura di Roma emergono fatti gravi e Roma non ha mai visto una situazione del genere", ha osservato Pecoraro. "Per quanto riguarda le imputazioni contestate agli indagati, ovvero il 416 bis, nella Capitale non si può parlare di mafia in senso tradizionale: camorra, 'ndrangheta e mafia. Si tratta di reati con modalità di tipo mafioso. Siamo fuori dalla mafia tradizionale", ha aggiunto il prefetto. Pecoraro ha ricordato anche che in una audizione del 2011 davanti alla commissione parlamentare antimafia aveva evidenziato che a Roma c'era un tipo di delinquenza che puntava a gestire gli affari e i settori economici. "Avevamo avuto, con forze dell'ordine e magistratura, una intuizione. Tant'è che poi si arrivò al sequestro del Cafè de Paris e di alcuni alberghi". "Sono situazioni diverse che vengono a colpire una società sana come quella romana. C'è bisogno di sana competizione tra le aziende, di una burocrazia efficiente e quello che emerge dall'inchiesta è esattamente il contrario". Anche il ministro dell'Interno Angelino Alfano, dopo avere assicurato che valuterà "con attenzione quello che il prefetto mi farà avere dopo avere esaminato le 1.200 pagine dell'ordinanza", ha difeso la città: "Roma non è una città marcia, Roma non è una città sporca, è una città sana. Se c'è qualcuno che ha rubato - ha sottolineato Alfano - va punito quel qualcuno, senza criminalizzare un'intera comunità e una intera città, che è sana e che è forte"
Terremoto nel Pd
Bufera nel Pd a seguito dell'inchiesta della procura di Roma sul sodalizio di stampo mafioso che nei giorni scorsi ha portato all'arresto di 37 persone. Il premier Matteo Renzi ha annunciato di aver commissariato il partito di Roma
e di aver chiamato Matteo Orfini per fare chiarezza su quanto successo. "Sono stato spedito qui esattamente
perché c'è un problema e per cercare di salvaguardare il tanto di buono che c'è nel Pd", ha detto Orfini al termine di un incontro con il sindaco di Roma, Ignazio Marino. "Abbiamo commissariato il Pd di Roma perché nel Pd ci sono tantissime persone per bene e che hanno lavorato a sostegno di questa amministrazione per costruire una città più vivibile e moderna e un partito che deve essere come un partito deve essere, e poi ci sono state persone che probabilmente hanno commesso degli errori e hanno sbagliato". Alla luce di quanto sta emergendo dall'inchiesta 'Mondo di mezzo', il sindaco di Roma ha incontrato in Campidoglio anche il presidente dell'Autorità nazionale anticorruzione Raffaele Cantone: "Ho chiesto un incontro a Cantone e ci siamo visti oggi nei suoi uffici. Questa amministrazione ha improntato il suo lavoro sulla trasparenza e per questo intendo andare fino in fondo verificando uno per uno tutti gli appalti dubbi o opachi", ha fatto sapere Marino in una nota al termine dell`incontro con Cantone.
"Insieme all'assessore al Bilancio Silvia Scozzese - prosegue Cantone - abbiamo chiesto al presidente che un pool di esperti dell'Autorità passi in rassegna tutti gli appalti che sono al momento in essere e su cui nutriamo delle preoccupazioni. Questa lista, insieme a quesiti specifici sugli aspetti giuridici di altre attività in corso di Roma Capitale che sono già oggetto di indagine, costituiranno una relazione che consegneremo al presidente Cantone nelle prossime ore. Abbiamo il dovere e la volontà di andare fino in fondo, come già abbiamo fatto chiamando gli ispettori del Mef a certificare il buco di bilancio. I cittadini romani meritano rispetto e la nostra Amministrazione continuerà il suo lavoro sulla strada della legalità", conclude il sindaco. "Il commissariamento del Pd romano dopo l'apertura dell'inchiesta 'Mafia capitale' è un segnale molto chiaro all'opinione pubblica e ai nostri militanti della volontà di cambiare pagina. È stato scelto il presidente del partito Matteo Orfini come commissario perché ha l'autorevolezza per svolgere un compito così delicato". Così, in una intervista a Repubblica, il vice segretario del Pd Lorenzo Guerini spiega la decisione del premier. Guerini sottolinea che "il Pd romano non è tutto da rifare", ma "chi ha sbagliato pagherà", "il Pd è a fianco dei magistrati. Occorrerà certo per avere un giudizio definitivo attendere l'esito delle indagini". "Nessuna autoassoluzione", conclude Guerini, "un partito deve avere al proprio interno dei sensori che si mettono in moto quando ci sono situazioni che non sembrano corrette. Deve fare riflettere il fatto che la corsa alle preferenze può anche portare a patologie". L'ex capogruppo del Pd romano ai tempi di Alemanno sindaco, Umberto Marroni, ha ribadito oggi come il partito avesse "già più volte denunciato la collusione tra esponenti dell'amministrazione Alemanno e ambienti della destra estrema e della criminalità organizzata". "Durante i cinque anni di opposizione denunciammo, infatti, la nomina di un ex terrorista Stefano Andrini ad amministratore delegato di Ama Servizi Ambientali, che venne conseguentemente rimosso dal suo incarico e che successivamente comparì nelle indagini riguardanti Gennaro Mokbel", ricorda l'esponente democrat citato nelle intercettazioni . "Invocammo chiarezza sulla gestione dei punti verdi qualità, vicenda che vide coinvolti Antonio Lucarelli e lo stesso Mokbel e che portò all'arresto di alcuni funzionari, chiedendo peraltro di intervenire sulla assurda e più volte contestata procedura delle fideiussioni garantite dal Comune di Roma che ha arrecato e continua ad arrecare ingenti danni economici all'amministrazione capitolina. Chiedemmo anche la rimozione di Franco Panzironi da amministratore delegato di Ama. Fummo i primi a mettere in rilievo un più che discutibile intervento da parte di esponenti dell'amministrazione Alemanno sulla gara per la realizzazione del corridoio per il filobus Eur-Laurentina con le conseguenti dimissioni di Riccardo Mancini da amministratore delegato di Eur Spa. Inoltre chiedemmo per una questione che ancora oggi non appare nelle cronache dei giornali, al contrario di alcune ricostruzioni giornalistiche fantasiose, le dimissioni dell'allora vicesindaco Belviso a seguito della consulenza data con delibera 226 del 2008 al sig. Lattaruolo, ex braccio destro di De Pedis e anch'esso come Carminati esponente di punta della banda della Magliana e che come denunciammo all'epoca aveva un inquietante libero accesso alle "stanze del campidoglio"
Di Giampiero Di Santo - 4 dic 2014
fonte: http://www.italiaoggi.it/
La soluzione alla crisi libica? Si chiama Italia
Per evitare il fallimento dello Stato libico e
salvare gli affari delle imprese italiane il nostro governo deve
assumere un ruolo di primo piano nel Mediterraneo. L’intervista al
presidente della Camera di Commercio Italo-Libica Gianfranco Damiano
Un non-Stato senza un governo né un parlamento, con un
esercito lacerato al suo interno e intere città in mano ai gruppi
terroristici islamici. È questo il quadro della Libia delineato il 2
dicembre dall’inviato speciale Bernardino Leon in audizione alla
Commissione Esteri del Parlamento europeo. L’immagine che affiora dalle
sue parole è quella di una nazione sull’orlo del fallimento. E i recenti
fatti di Derna, dove la lotta intestina tra milizie jihadiste ha
portato al potere il locale Consiglio della Shura affiliato allo Stato
Islamico, lo dimostrano.
Di fronte a questa crisi, abbandonare la Libia a se stessa non può
essere una soluzione per l’Occidente, per la sicurezza dell’area del
Mediterraneo e, ovviamente, per l’Italia. “Non dimentichiamoci che
questo Paese non è lontano ma vicino 300 chilometri alle nostre coste”,
spiega Gianfranco Damiano (nella foto in basso), presidente della Camera di Commercio Italo-Libica, ente che da 16 anni fa da ponte tra la Libia e le imprese italiane.
Quali sono le perdite subite dai nostri imprenditori dall’inizio della guerra civile in Libia?
Dalla caduta di Gheddafi la situazione è andata peggiorando e da una
media di 200-250 aziende iscritte alla nostra Camera di commercio
quest’anno si è passati a solo un centinaio. Viviamo un forte disagio,
le interrelazioni governative sono limitate, mancano punti di
riferimento certi e da parte degli interlocutori libici non c’è la
possibilità di fissare una road map per far ripartire l’economia del
Paese. Questo stato di cose pesa sui grandi player come Eni, Iveco,
Fiati e Telecom, ma soprattutto su quelle piccole e medie imprese che in
Libia operano principalmente nei settori dell’energia,
dell’agroalimentare, della meccanica e della metalmeccanica, del
manifatturiero e dell’abbigliamento. Nonostante tutto qualcosa comunque
si sta muovendo.
La Libia può ancora contare sul suo petrolio?
La produzione libica sta calando seguendo il trend negativo del
mercato globale. I prezzi sono scesi fino a 70 dollari al barile dai 110
di pochi mesi fa. Occorre però fare chiarezza su questa questione. Se
molti pozzi petroliferi in Libia sono fermi non è solo per lo stallo
politico e per l’incapacità delle forze di sicurezza di difenderli. Ai
tempi di Gheddafi tutte le attività che ruotavano attorno ai giacimenti,
come per esempio le manutenzioni, venivano affidate automaticamente a
determinate ditte. Dopo la rivoluzione si sono iniziate a vedere le
prime gare per l’assegnazione degli appalti, e ciò inevitabilmente ha
lasciato scontento qualcuno. Il problema è che mentre in Occidente si
protesta civilmente, qui si passa direttamente ai kalashnikov.
In questo caos come riescono a muoversi le imprese italiane rimaste in Libia?
Rispetto al passato ovviamente i rischi sono aumentati. Molte aziende
hanno uffici nel deserto in prossimità dei pozzi petroliferi,in zona
militarmente protette. Altre invece sono concentrate a Tripoli e
Bengasi, segno che in Libia si può continuare a lavorare. Per gli
imprenditori l’importante è mantenere un low profile, dare
nell’occhio il meno possibile, cambiare albergo e abitudini. Ma
soprattutto è fondamentale mantenere buoni rapporti con i libici. Tra
noi e loro c’è stima reciproca, abbiamo un rapporto privilegiato ma non
lo stiamo sfruttando a dovere per farci valere sugli altri.
L’Italia come può riprendersi il ruolo che le spetta?
Alcuni mesi fa sul Sole 24 Ore il sottosegretario alla
presidenza del Consiglio dei Ministri (con delega ai servizi segreti,
ndr) Marco Minniti disse che avevamo sei mesi di tempo per rimettere
sulla strada corretta la Libia. I nostri servizi di intelligence
evidentemente hanno un quadro chiaro della situazione, come dimostra
anche la recente liberazione dei due ostaggi italiani (Marco Vallisa e
Gianluca Salviato, ndr). Il problema è che la politica non si muove di
conseguenza.
È realistico parlare dell’invio di truppe da parte dell’Italia?
Non possiamo parlare di invio di truppe perché non c’è interposizione
tra due eserciti, né confini precisi da proteggere. Questa crisi non si
può governare con le armi fornendo aiuti a una o all’altra fazione.
Siamo l’unico Paese dell’area UE a mantenere la nostra ambasciata aperta
e abbiamo sufficienti relazioni da una parte e dall’altra per arrivare a
una soluzione diplomatica. L’interesse comune per il Mediterraneo è che
la Libia non si spacchi, sia per una questione di sicurezza che per il
contenimento dei flussi migratori. E non lo vogliono gli stessi libici.
Vale anche per gli islamisti che sostengono il governo parallelo di Tripoli?
Anche in questo caso è bene fare chiarezza. Si pensa che gli
islamisti siano persone con cui non si può dialogare o fare affari. Non è
assolutamente vero, e ciò vale anche per i rappresentanti dell’ex
Congresso Generale Nazionale di Tripoli. Non pensiamo ai libici come a
gente che per mestiere fa il cameriere o il muratore. I libici sono
mediamente benestanti, ci sono molti imprenditori e commercianti,
persone che prima della rivoluzione viaggiavano all’estero molto più di
noi grazie ai proventi del petrolio e del gas che venivano distribuiti
sotto la dittatura. Poi la guerra ha cambiato tutto.
Fino a che punto può spingersi in Libia la deriva del terrorismo islamico?
Derna e tutta l’area nord-orientale della Libia è sempre stata al
centro delle tensioni islamiste. I libici però non hanno nessuna
intenzione di farsi trascinare in questa spirale. Queste bande stanno
riuscendo a guadagnare terreno e a fare razzie perché non ci sono né la
polizia né l’esercito. Chi può si difende, gli altri sono costretti a
sottostare. Ma il terrorismo non può attecchire in Libia perché non c’è
una base povera su cui fare leva. Non parliamo degli arabi o dei berberi
della regione del Fezzan, ma di gente che in media ha ricchezze e
proprietà da salvaguardare.
Questa deriva può essere respinta dall’ex generale Khalifa Haftar?
Haftar è tornato in Libia pensando di essere accolto in modo festoso.
I suoi rapporti con la CIA non lo hanno però avvantaggiato. In questi
mesi ha tentato di fare tutto da solo. Ma i libici credono che dietro di
lui ci siano gli americani e per questo non lo stanno sostenendo in
massa.
Come se ne esce allora?
Quello che manca per risolvere questa crisi è un soggetto terzo che
deve essere l’Italia. Spetta ai nostri politici capire che il tempo a
disposizione è sempre di meno e che questa questione non può più essere
retrocessa in secondo ordine.
di Rocco Bellantone - 4 dic 2014
fonte: http://www.lookoutnews.it
L’intervista a tutto campo al presidente siriano Bashar Al Assad
Dalle armi chimiche ai bombardamenti aerei della
coalizione, dal ruolo della Turchia a quello di Qatar e Arabia Saudita,
il capo dello Stato più colpito dalla guerra sunnita contro lo sciismo
mediorientale risponde su tutto. E, a sorpresa, accusa soprattutto gli
americani
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Mentre
aerei iraniani bombardano l’Iraq, mentre in Libano va in scena la
contesa tra chi sostiene che la donna fermata al confine siriano sia la
moglie del Califfo Abu Bakr Al Baghdadi e chi invece sostiene il
contrario, il presidente della Siria Bashar Assad rilascia un’intervista
al magazine francese Paris Match dove affronta tutti i temi caldi della politica regionale. A cominciare dal rapporto con la coalizione internazionale.
Il presidente siriano parla dalla capitale Damasco, mentre tutto
intorno a lui è un cumulo di macerie, con oltre 190mila morti – stime
ONU, contestate nell’intervista dallo stesso Assad – e quasi tre milioni
di sfollati nei Paesi confinanti.
Assad dice di disapprovare l’Occidente e lo accusa di essere complice
di questo disastro, ma il vero biasimo è rivolto contro i Paesi arabi
sunniti. “Credevamo che (gli USA, ndr) ci avrebbero aiutato
nell’apertura all’esterno e nello sviluppo della Siria, invece hanno
scelto la via opposta. Ma siamo più delusi dal fatto che i loro alleati
siano Paesi medievali come l’Arabia Saudita e il Qatar” afferma il
presidente. Che aggiunge: “Se il Qatar non avesse finanziato fin
dall’inizio questi terroristi, se la Turchia non avesse fornito supporto
logistico e sostegno politico all’Occidente, le cose sarebbero andate
diversamente”.
Quanto alla guerra, Assad è più prudente. Alla domanda dell’inviato di Paris Match,
Régis Le Sommier, “da un punto di vista militare, avete i mezzi per
vincere la guerra?” la risposta che segue è la seguente: “Non è una
guerra facile, da un punto di vista militare. Tuttavia, l’esercito
siriano sta progredendo in molte aree. Nessuno può ancora prevedere
quando questa guerra finirà, o come. I nostri avversari pensavano, in un
primo momento, di conquistare il cuore dei siriani. Non ci sono
riusciti. Hanno perso il sostegno della popolazione locale. Questo è
precisamente ciò che ha permesso all’esercito di avanzare. […] Ogni
volta che l’esercito decide di prendere una regione, ci riesce. Ma
questa non è una guerra tra due eserciti, è un tipo diverso di
conflitto. Abbiamo a che fare con gruppi terroristi che s’infiltrano in
città e villaggi. Questa guerra sarà lunga e difficile”.
Pungolato sulle sue possibili dimissioni, Bashar Assad cita quindi il
proverbiale esempio del capitano della nave “l’ultimo ad andarsene”,
con ciò sgombrando il campo da ogni possibile speculazione sulla sua
eventuale destituzione, che primo fra tutti il governo francese
desidererebbe, e lanciando un messaggio direttamente al presidente
Francois Hollande.
“In tutto il mondo, un capo di Stato sale al potere attraverso un
meccanismo costituzionale e lascia attraverso lo stesso meccanismo –
spiega Assad -. Un presidente non può né vincere né lasciare il potere
per il caos. Prova tangibile sono le conseguenze della politica francese
in Libia, con la decisione di attaccare Gheddafi. Qual è stato il
risultato? […] Qualunque cosa accada, noi siriani non permetteremo mai
che il nostro Paese diventi un giocattolo nelle mani dell’Occidente. Si
tratta di un principio fondamentale per noi”. In ogni caso, aggiunge il
capo dello Stato, “Hollande non è mio nemico, non è una questione
personale. Come Sarkozy, non agisce per propria iniziativa”.
Quanto allo Stato islamico, il presidente accusa gli Stati Uniti: “…è
stato fondato in Iraq nel 2006. Abu Bakr al-Baghdadi era nelle carceri
degli Stati Uniti e non in carceri siriane. Chi ha creato lo Stato
islamico allora? La Siria o gli Stati Uniti?”.
Ma il punto probabilmente più importante dell’intervista di Le
Sommier è sulla sovranità del territorio siriano e sul coordinamento dei
bombardamenti aerei tra Siria e Stati Uniti. “Si tratta di un’azione
illegale (quella USA, ndr) e quindi di una violazione della
sovranità nazionale, in primo luogo perché non ha ricevuto
l’approvazione del Consiglio di Sicurezza (ONU, ndr) e anche
perché non ha tenuto conto della sovranità di uno Stato, che è la Siria
[…] Non vi è alcun coordinamento diretto. Noi attacchiamo il terrorismo
ovunque si trovi, senza considerare quello che fanno gli Stati Uniti o
la coalizione. Sareste sorpresi di sapere che il numero giornaliero di
missioni della forza aerea siriana per colpire i terroristi è superiore a
quello della coalizione”.
Quindi, in primo luogo, secondo il presidente non vi è alcun
coordinamento con altre forze armate. Anzi, Assad definisce gli strike
della coalizione come “cosmétique”, ovvero superficiali e di facciata. E
rivendica come preminenti e determinanti le sole missioni condotte
dell’aviazione siriana, accusando l’Occidente soltanto di fingere di
voler colpire lo Stato Islamico.
“Non è vero che gli attacchi della coalizione ci aiutano. Avrebbero
certamente aiutato se fossero stati seri ed efficaci. Siamo soltanto noi
che conduciamo battaglie terrestri contro Daesh (lo Stato Islamico, ndr) e non abbiamo visto alcun cambiamento, mentre la Turchia fornisce loro ancora supporto diretto in queste aree”.
Infine, sulle armi chimiche il presidente della Siria risponde
categorico. “Non abbiamo usato tali armi. In caso contrario, ci
sarebbero state decine, se non centinaia di migliaia di morti, non solo
100 o 200, come si è detto l’anno scorso. E poi, da quando gli americani
raccontano la verità sulla crisi siriana?”.
Siria 4 dic 2014
fonte: http://www.lookoutnews.it
#iostoconimarò, MANDIAMO UNA LETTERA AI POLITICI ITALIANI
Questa
lettera a sostegno dei due fucilieri del Reggimento San Marco, che si
trovano da quasi tre anni in India accusati ingiustamente di aver
causato la morte di due pescatori indiani. dovrebbe venire recapitata a
tutti i politici italiani affinchè questa storia abbia finalmente una
giusta fine.
Tre anni e
niente è stato ancora fatto? ma che politici abbiamo? ... già, non
dovrei neppure chiedermelo vedendo e leggendo cosa "combinano" e dove ci
hanno portato!
Questi cari
signori si sono insediati giurando sulla Costituzione di operare per il
bene della Nazione e dei suoi abitanti, .... ma lo sanno o sono convinti
che: "a noi tutto è permesso"?
Io credo che
questa lettera deva raggiungerli tutti (e-mail, lettere, profili
Facebook, Twitter, ... e ogni altro mezzo di comunicazione).
E' stato creato, per questo, anche un'evento apposito dove
si chiede, a tutti quelli di buona volontà, di partecipare e di
collaborare spedendo più lettere possibile fino a sommergerli.
Si dirà che
queste "letterine" non servano a niente e che verranno cestinate ma
sicuramente verranno anche lette e, se saranno tante, capiranno pure di
non ignorarci perchè "il numero" per la politica conta molto (anche se
da qualche anno fanno da soli).
In fondo partecipare a questa "azione" non costa poi molto.
Egregi Senatori, Deputati e Politici tutti,
in vista del prossimo Natale vogliamo avere fiducia.
Vogliamo
credere che entrambi i nostri fucilieri, dopo quasi tre anni di
sequestro e di giustizia negata, potranno finalmente trascorrere le
prossime festività serenamente a casa propria.
Vogliamo credere che per Natale il loro rientro in Italia sarà definitivo.
Vogliamo
avere fiducia perché rispetto ad un anno fa, anche se poco o niente è
purtroppo cambiato in Italia e da parte vostra, le cose sono
fortunatamente cambiate in India dove i registi politici del sequestro
dei marò sono usciti pesantemente sconfitti alle ultime elezioni.
Vogliamo
anche credere che, una volta rientrati i marò in Italia, le prove
schiaccianti della loro innocenza - disponibili fin dal Giugno 2013
quando il giornalista Toni Capuozzo le portò in televisione - trovino
finalmente il dovuto spazio anche nei vostri interventi e nelle vostre
azioni dopo quasi tre anni di inconcludenza e ipocrisia.
Vogliamo
credere che all'interno del parlamento italiano sentiremo presto da
parte di chi tra voi – Senatori, Deputati e Politici tutti - ha ancora
un'etica o una coscienza le parole: 'Salvo e Max, scusateci perché per
conformismo e quieto vivere abbiamo preferito ignorare le prove della
vostra innocenza!'.
Vogliamo
credere che da parte di chi tra voi – Senatori, Deputati e Politici
tutti - ha ancora un'etica o una coscienza arrivi presto il momento di
dire all'opinione pubblica italiana: 'Scusateci perché, per coprire chi
in questa storia ha pesantemente sbagliato, si è di fatto accettato che
venisse oscurata la verità!'.
Nel
frattempo vogliamo credere che, consci di quanto sopra, quest'anno
rimaniate davvero vigili affinché ciò che deve accadere a breve in India
accada davvero e di conseguenza anche Salvatore Girone venga fatto
rientrare nei prossimi giorni.
Vogliamo
infine credere che nessuno di voi pensi – Senatori, Deputati e Politici
tutti - che si possa accettare un altro Natale senza Latorre e Girone
entrambi in Italia con le loro famiglie!
(Nome Cognome)
Suvvia italiani, cedete sovranità: sarete felici!
Due esempi colti al volo su come sia facile orientare i media. Uno
clamoroso: il video del salvataggio di un ragazzino siriano che salva
una bambina tra un diluvio di pallottole, che ha emozionato il mondo ed è
stato indicato come esempio dell’efferatezza dell’esercito di Assad era
un falso. Una falso voluto da un regista norvegese per dimostrare come
sia facile impiantare notizie non vere, tanto più se sostenute da
immagini a forte impatto emotivo. Una volta creato il “frame” su chi sia
il buono e il cattivo, il giudizio, in questo caso il pregiudizio, è
automatico anche se il video presenta diverse incongruenze. Non mi
dilungo oltre: in questo ottimo articolo di Maram Susli, proposto in Italia da ComeDonChisciotte e da MegaChip, è spiegato tutto con dovizia di dettagli.
Un’altra forma di persuasione, ricorrente sui media italiani, è
quella che mira a convincere l’opinione pubblica italiana che l’unica
soluzione alla crisi sia un’ulteriore cessione di sovranità.
La tecnica è doppia: da un lato ripetendo costantemente quella è
un’opinione, la si fa penetrare placidamente nelle coscienze fino a
quando non diventa un dogma, una verità assoluta, una conseguenza
inevitabile.
Tanto più – e siamo alla seconda tecnica – quando sotto l’impulso di
una crisi moralmente impressionante e socialmente distruttiva si potrà
far cadere le residue resistenze come invece non accadrebbe mai in tempi
normali. E’ il concetto spiegato da Mario Monti, in un impeto di
inspiegabile sincerità, qualche anno fa in questo video.
A questa seconda fase non si è ancora giunti, nonostante le
condizioni drammatiche dell’economia italiana. Siamo ancora alla prima.
Fateci caso: lo ripete Draghi e Renzi lo applaude (vedi qui),
Napolitano dovrebbe difendere la Costituzione ma da anni si prodiga per
smantellare quel che resta dell’indipendenza italiana a vantaggio
dell’amatissima Unione europea (digitate su un motote di ricerca le
parole “Napolitano cedere sovranità” e usciranno decine di citazioni).
L’ultimo caso è di Padoan, la cui appartenenza all’establishment
filoeuropeista e globalista, è nota agli addetti ai lavori. L’altro
giorno intervenendo in aula in Senato ha tenuto un discorso a modo suo
esemplare, che il Sole24Ore ha correttamente titolato così: Padoan: sì all’unione fiscale, bisogna cedere altra sovranità alla Ue.
La tesi è che cedendo sovranità alla Ue l’Italia ritroverà il cammino
della crescita. La storia recente rivela il contrario: da quando
l’Italia ha ceduto quote di sovranità ha subito un processo di
ingiustificata e finora irreversibile deindustrializzazione e di
crescente impoverimento della popolazione, come dimostra tra gli altri
Alberto Bagnai nel suo ultimo, eccellente saggio L’Italia può farcela.
Ma i fatti non contano per chi persegue un’agenda di lungo periodo e
ama talmente tanto il proprio Paese da sognare di vederlo dissolto nel
grande magma che prende il nome di Unione europea.
Suvvia, italiani, non siate scortesi. E cedetela questa sovranità! Tra un po’ non avrete più nulla da perdere…
Marcello Foa 3 dic 2014
fonte: http://blog.ilgiornale.it/foa
Stampano moneta e comprano noi, poveri euro-fessi
Stampare moneta per l’economia reale, contro lo strapotere del sistema finanziario. Moneta funzionale, emessa direttamente dallo Stato o dalla “banca centrale di emissione”, di cui il potere pubblico assuma il governo. Obiettivo: fornire «tutto il denaro necessario a fare gli investimenti pubblici diretti», destinati a incentivare «occupazione, domanda interna, adeguamento infrastrutturale, innovazione scientifico-tecnologica, assicurando al contempo l’impossibilità del default». Per Marco Della Luna, è esattamente ciò che servirebbe per «uscire dall’attuale recessione-deflazione, dopo il fallimento ormai visibile delle ricette dell’austerità e del quantitative easing, difese oramai soltanto da soggetti in malafede e per interesse». Di fronte alla possibilità di creazione monetaria, il neoliberismo obietta: non si può immettere moneta a piacimento nell’economia, perché ci deve essere un rapporto tra quantità di moneta e quantità di beni, altrimenti la moneta si svaluta o si generano bolle speculative, mobiliari e immobiliari. L’alternativa? Ce l’abbiamo sotto gli occhi, e si chiama disastro.
Se la moneta aggiuntiva viene usata per aumentare la produzione,
quindi l’offerta di beni e servizi, allora non vi sarà inflazione
monetaria (ossia aumento generalizzato dei prezzi), mentre vi sarà un
aumento della ricchezza prodotta e del reddito, oltre che dell’occupazione.
Certo, aggiunge Della Luna, questa moneta in più «bisogna spenderla
bene, e una classe dirigente avida e idiota, come tale selezionata, non
lo può fare». Se invece la moneta aggiuntiva viene usata per acquistare
titoli finanziari e immobili, «allora vi sarà una salita dei valori
delle Borse e degli immobili, e questo fa piacere a tutti gli
investitori mobiliari e immobiliari». E se anche vi fosse, come
conseguenza dell’immissione monetaria, una certa inflazione iniziale,
«questa aiuterebbe i debitori (cioè gli Stati, molte imprese, molti
privati) e danneggerebbe i creditori non indicizzati all’inflazione,
mentre stimolerebbe le spese che oggi vengono differite perché si
prevede un calo o una costanza dei prezzi, il che alimenta la
deflazione». Quindi, nel complesso, «dopo la presente deflazione, una
certa inflazione o reflazione sarebbe benefica».
Oggi, continua Della Luna, il grosso dell’offerta monetaria è
assorbito dal settore finanziario-speculativo, ossia da “prodotti”
finanziari separati dall’economia
reale (produzione, consumi). Sono “prodotti” producibili all’infinito,
fino alla saturazione del mercato, cioè all’esaurimento «dell’abilità di
collocarli, rifilarli o sbolognarli ai clienti ingenui, allorquando una
bolla sta per scoppiare». Problema: questo settore dell’economia
assorbe il grosso dell’offerta monetaria, «lasciando a secco della
fisiologica liquidità il mercato dei beni-servizi reali e degli
investimenti per produrli». Ed ecco il paradosso di oggi: «Da un lato
un’esorbitante creazione-offerta di moneta, che le banche centrali creano e mettono a disposizione, in quantità enormi, non dell’economia reale ma delle banche universali per le loro speculazioni finanziarie, improduttive anzi distruttive, e dall’altro
una carestia di moneta nell’economia reale, cui le medesime banche
(in Italia) fanno sempre meno credito, con conseguente
declino-insufficienza di domanda solvibile e di possibilità di
investimento e occupazione – onde la deflazione».
In altre parole, l’offerta di moneta «è eccessiva per il settore
finanziario, da cui viene continuamente alimentata, mentre è gravemente
insufficiente per quello reale, a cui viene continuamente ridotta».
Primo passo: non solo «separare le banche di credito e risparmio da quelle speculative», ma anche «fare in modo che la liquidità del settore produttivo, dell’economia
reale (quello da cui dipendono gli stipendi, il cibo, i servizi) sia
assicurata e protetta dalle interferenze e distrazioni del settore
finanziario, molto più grosso e turbolento». Della Luna Parla di
«anemizzazione monetaria dell’economia
reale», con detentori di liquidità che “tesaurizzano” gli investimenti
anche all’estero, mentre il prelievo fiscale imposto dal Mes, il
Meccanismo Europeo di Stabilità, drena altro denaro dal sistema-Italia,
insieme al regime di austerity europea che impone «la realizzazione
forzata di avanzi primari del bilancio pubblico e il pagamento di alti
interessi a detentori esteri di titoli del debito pubblico». Domanda:
«In una situazione di recessione interna e fuga verso l’estero di
imprenditori, lavoratori qualificati e capitali, che cosa potrebbe
essere più demenziale che imporre tasse al paese per sostenere il debito pubblico di paesi in crisi
(Spagna, Grecia) al fine puntellare una valuta, l’euro, che ostacola le
esportazioni e induce la deindustrializzazione del paese?».
«Eppure gli italiani hanno dato fiducia persino a chi ha fatto
questo», continua Della Luna. «Si aggiunga, infine, a questo museo degli
orrori dell’imbecillità politica,
o dell’alto tradimento istituzionale – se preferite – il fatto che la
deprivazione-anemizzazione monetaria del paese, di cui sopra, fa sì che
gli asset produttivi migliori – industria, commercio, finanza,
alberghi, terreni agricoli pregiati – si deprezzino e vengano
massicciamente comperati da soggetti-capitali finanziari stranieri, e
che quindi il reddito generato da questi asset esca dal reddito
nazionale italiano, divenendo reddito dei paesi che li comperano». E
l’auto-privazione monetaria, che produce tutti questi mali, non è che un
trucco: perché la moneta sovrana «è solo un simbolo e non ha costi o
limiti di produzione intrinseci», e i paesi stranieri che rastrellano le
nostre migliori aziende «lo possono fare appunto perché fanno la scelta
opposta all’auto-privazione monetaria, ossia perché scelgono di
produrre a costo zero grandi masse di moneta-simbolo». Che dire: «Il
quadro dell’idiozia totale è perfetto. Non resta che ringraziare i
nostri governanti nazionali ed europei e le nostre banche centrali, e lusingarci per tutti i consensi, i voti, le tasse e gli onori che continuiamo tributare loro».
04/12/2014
fonte: http://www.libreidee.org
Se i marò non tornano, addio missioni anti-pirateria
04/09/2014
Si vota la proroga delle missioni, 450 milioni. L’Italia pronta a lasciare l’operazione Ocean Shield .
" .......... L’Italia
alza la voce. Le missioni internazionali anti-pirateria per ora non
sono a rischio. Ma se la vicenda dei due fucilieri di Marina detenuti in
India con l’accusa di aver ucciso due pescatori non si sbloccherà a
breve, dal 31 dicembre il nostro Paese è pronto a sospendere il proprio
impegno nel corno d’Africa. Lo hanno deciso ieri sera i deputati della
commissione Difesa di Montecitorio, che hanno approvato un apposito
emendamento al decreto di rifinanziamento delle missioni internazionali all’esame del Parlamento.... "
" ... E mentre il provvedimento arriva all’esame dell’Aula - nel pomeriggio
di oggi erano una ventina i deputati presenti durante le prime battute
della discussione generale - la vicenda di Massimiliano Latorre e
Salvatore Girone torna al centro della politica italiana. Al recente
malore di uno dei due fucilieri è seguito l’improvviso volo a Nuova
Delhi del ministro della Difesa Roberta Pinotti. E proprio la
rappresentante del governo ha voluto sottolineare «la preoccupazione»
con cui Palazzo Chigi segue la vicenda. Ormai «la situazione dei due
marò è insostenibile» ha chiarito ieri in audizione davanti alle
commissioni Affari Esteri e Difesa di Camera e Senato. Mentre gli
esponenti di Fratelli d’Italia manifestavano per il rilascio dei nostri
militari davanti a Montecitorio... "
" ... Intanto i marò finiscono nel decreto di proroga delle missioni
internazionali delle nostre Forze armate. Appena concluse le operazioni
anti-pirateria in corso, e comunque non oltre il 31 dicembre di
quest’anno, «la partecipazione dell’Italia sarà valutata in relazione
agli sviluppi della vicenda dei due fucilieri di marina del Battaglione
San Marco attualmente trattenuti in India», spiega l’emendamento nato
per iniziativa del leghista Gianluca Pini, riformulato dal presidente
della commissione Elio Vito ed approvato a larga maggioranza dai gruppi
parlamentari........... "
di Marco Sarti pubblicato da: http://www.linkiesta.it
03/12/14
Così le coop hanno riempito Roma di profughi e campi rom
"Gli immigrati rendono più della droga". Ecco perché, nonostante il tetto di 250 profughi, a Roma ce ne sono più di 2.500
"Gli immigrati rendono più della droga". Ecco perché, nonostante il tetto di 250 profughi, a Roma ce ne sono più di 2.500
"Tu c’hai idea quanto ce guadagno sugli immigrati? Il traffico di droga rende meno". Massimo Carminati aveva un braccio destro proveniente dall'estrema sinistra.
Ma Salvatore Buzzi, 59 anni, arrestato con il presunto capo della "Mafia Capitale", intercettato dai carabinieri diceva candidamente che "la politica è una cosa, gli affari sò affari".
E
lui, condannato in passato per omicidio, si era inventato prima una
cooperativa sociale con ex detenuti, poi aveva creato un piccolo impero
nel settore. Capace di mettere al tavolo - in senso letterale -
esponenti di destra e di sinistra, a lui Carminati aveva chiesto di "mettersi la minigonna e battere"
per ingraziarsi la nuova giunta Marino. Perché, grazie alla sua
cooperativa e al sodalizio con l'ex vicecapo di gabinetto di Walter
Veltroni, Luca Odevaine, facevano tutti una "paccata" di soldi coi fondi per l'accoglienza degli immigrati e per la gestione dei campi nomadi.
Fare affari (sporchi) col Welfare
"Quando la Lega denunciava che c’è gente che si arricchisce
grazie alla presenza di Rom e immigrati eravamo razzisti: adesso che a
Roma è venuto fuori, forse abbiamo ragione noi?". La denuncia di Matteo Salvini corre su Facebook. E incarna un mal di pancia tutto romano nei confronti del Campidoglio. Il bubbone capitolino esplode a pochi giorni dalle proteste e dagli scontri di Tor Sapienza.
Altro
che accoglienza, dietro al traffico di immigrati e profughi ci sarebbe
un vero e proprio giro d'affari. Che guarda alle cooperative rosse. Il
link col welfare è proprio Buzzi, il "braccio destro imprenditoriale"
del Nero. Il gip Flavia Costantini nell'ordinanza d’arresto descrive "il
suo ruolo apicale indiscusso, la sua posizione di primazia nel settore
dell’organizzazione volto alla sfera pubblica, la sua presenza operativa
in tutti i numerosissimi reati commessi nel settore". Lui, signore delle coop, lo dice chiaramente in un’intercettazione allegata all’ordinanza di circa 1200 pagine: "Il traffico di droga rende meno". L’affare dei centri di accoglienza per rifugiati e immigrati è, secondo la procura di Roma, garantito da Odevaine, descritto nell’ordinanza come "un
signore che attraversa, in senso verticale e orizzontale, tutte le
amministrazioni pubbliche più significative nel settore dell’emergenza
immigrati".
I fondi per i centri d’accoglienza
I fondi per i centri d’accoglienza sono un piatto ricco. Gli inquirenti lo chiamano, appunto, "sistema Odevaine". "La
gestione dell’emergenza immigrati è stato ulteriore terreno,
istituzionale ed economico, nel quale il gruppo si è insinuato con
metodo eminentemente corruttivo – si legge nell'ordinanza del gip
Costantini – alterando per un verso i processi decisionali dei decisori
pubblici, per altro verso i meccanismi fisiologici dell’allocazione
delle risorse economiche gestite dalla pubblica amministrazione". Un sistema studiato per far arrivare i soldi pubblici ai gestori amici che "si dividono il mercato".
La "qualità pubblicistica" di Odevaine sta tutta nella possibilità di
sedere al Tavolo di coordinamento nazionale insediato al ministero dell’Interno
e, al tempo stesso, di essere uno degli esperti del presidente del Cda
per il Consorzio "Calatino Terra d’Accoglienza", l'ente che soprintende
alla gestione del Cara di Mineo. In una intercettazione è lo stesso
Odevaine a spiegare al commercialista che, "avendo questa relazione continua" con il Viminale, è "in grado un po’ di orientare i flussi
che arrivano da… da giù… anche perché spesso passano per Mineo… e poi…
vengono smistati in giro per l’Italia… se loro c’hanno strutture che
possono essere adibite a centri per l’accoglienza da attivare subito in
emergenza… senza gara… le strutture disponibili vengono occupate… e io
insomma gli faccio avere parecchio lavoro…".
Così Roma è stata invasa dai profughi
Siriani, libici, tunisini e iracheni. Tutti smistati a Roma, tra Caracolle e Tor Sapienza. I residenti delle banlieue capitoline lo dicevano che, forse forse, erano un filino troppi. È lo stesso Odevaine a spiegare il perché: "I posti Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo
e rifugiati, ndr) che si destinano ai comuni in giro per l'Italia fanno
riferimento a una tabella tanti abitanti tanti posti Sprar... per
quella norma a Roma toccherebbero 250 posti... che è un assurdo...
pochissimo per Roma, no?... allora... una mia... un mio intervento al
ministero ha fatto in modo che... lo Sprar a Roma... fosse portato a
2.500 per cui si sono presentati per 2.500 posti... di cui loro...
secondo me ce n'hanno almeno un migliaio". Insomma, a Roma erano
destinati 250, ma grazie allo zampino di Odevaine i posti sono lievitati
a dieci volte tanto, in modo che almeno mille venissero "ospitati"
nelle case accoglienza di Buzzi. Per questo "servizio" l'ex vicecapo
gabinetto di Veltroni riceveva un regolare stipendio da 5mila euro.
Il (ri)finanziamento dei campi rom
La cupola di Mafia Capitale specula (e fa affari) con qualsiasi
emergenza della Capitale. Dal maltempo ai protocolli per la prevenzione
del rischio, dal servizio giardini del comune alla raccolta
differenziata. Ma, soprattutto, con i fondi per la costruzione e la
gestione dei campi nomadi. Gli inquirenti hanno, infatti, messo a nudo
la capacità di interferire nelle decisioni dell’Assemblea Capitolina in
occasione della programmazione dei bilanci pluriennale in modo da "ottenere l’assegnazione di fondi pubblici"
per rifinanziare i campi nomadi, la pulizia delle aree verdi e il
progetto "Minori per l’emergenza Nord Africa". Tutti settori in cui
operano le società cooperative di Buzzi. "Noi quest'anno abbiamo
chiuso... con quaranta milioni di fatturato - spiega lo stesso Buzzi -
ma tutti i soldi... gli utili li abbiamo fatti sui zingari,
sull'emergenza alloggiativa e sugli immigrati, tutti gli altri settori
finiscono a zero".
Andrea Indini
- Mer, 03/12/2014
fonte: http://www.ilgiornale.it
Business immigrati-zingari 'Rendono più della droga'
"Tu c'hai idea quanto ce guadagno sugli
immigrati? Il traffico di droga rende meno". Salvatore Buzzi, braccio
destro e sodale di Massimo Carminati nella cupola affaristica che ha
avvelenato Roma, intercettato svela qual è il suo business principale.
Lui, signore delle coop, lo dice chiaramente in un'intercettazione
allegata nelle circa 1200 pagine dell'ordinanza che ieri ha svelato la
'cupola' di affari e politica e portato in carcere 37 persone e che vede
tra gli indagati anche l'ex sindaco Gianni Alemanno. L'affare dei
centri di accoglienza per rifugiati e immigrati è, secondo la Procura di
Roma, garantito dall'ex vicecapo di gabinetto all'epoca
del'amministrazione Veltroni, Luca Odevaine, descritto nell'ordinanza
come "un signore che attraversa, in senso verticale e orizzontale, tutte
le amministrazioni pubbliche più significative nel settore
dell'emergenza immigrati". Ed eccolo l'altro business della cupola nera.
"Noi quest'anno abbiamo chiuso... con quaranta milioni di fatturato ma
tutti i soldi e gli utili li abbiamo fatti sui zingari, sull'emergenza
alloggiativa e sugli immigrati, tutti gli altri settori finiscono a
zero", dice Buzzi al telefono con un altro indagato. Secondo l'ordinanza
Buzzi ha gestito tramite di una rete di cooperative "le attività
economiche della associazione nei settori della raccolta e smaltimento
dei rifiuti, della accoglienza dei profughi e rifugiati, della
manutenzione del verde pubblico e negli altri settori oggetto delle gare
pubbliche aggiudicate anche con metodo corruttivo". Buzzi tentava
l'aggancio con Marino - "E mo vedemo Marino, poi ce pijiamo 'e misure
con Marino", dice in un'intercettazione Salvatore Buzzi. E' il 2013, il
chirurgo Pd è diventato sindaco di Roma e 'Mafia Capitale' ha il
problema di insinuarsi nella nuova amministrazione. Perchè "se vinceva
Alemanno ce l'avevamo tutti comprati", sostiene Buzzi, che però conta di
avere buone carte anche nel Pd. "C'avemo Ozzimo - dice - (Daniele, poi
nominato assessore alla Casa indagato e ieri dimessosi, ndr)" e altri
tre nomi che non sono tra i 40 indagati resi noti ieri. E ancora "me so'
comprato Coratti (Presidente Pd dell'Assemblea capitolina indagato e
ieri dimessosi, ndr) - dice Buzzi -, lui sta con me, gioca con me
ormai". Altro "cavallo" della "scuderia" di Carminati è Luca Odevaine,
ex vice capo gabinetto di Walter Veltroni e ora membro del Tavolo
nazionale sui richiedenti asilo, il business immigrazione delle coop di
Buzzi. Il quale afferma di dargli cinquemila euro al mese. Ma avvicinare
Marino non è facile. Il capo Carminati in un'intercettazione dice:
"Loro stanno facendo un'operazione direttamente con Zingaretti per
sistemarsi Berti (Giuseppe, avvocato nominato da Gianni Alemanno nel Cda
di Ama, indagato, ndr) questi qua, pe sistemasse... perché de
Zingaretti se fidano de Marino non se fida nessuno". Mafia Capitale
riuscirà però - secondo l'inchiesta - a piazzare Italo Walter Politano
alla guida della Direzione Trasparenza, di fatto il capo
dell'anticorruzione del Campidoglio. Politano oggi è stato rimosso. Il
libro mastro del clan affidato ad una donna - Il clan mafioso di Massimo
Carminati era in possesso anche di un libro mastro che conteneva "una
vera partita doppia del dare e avere illecito dei destinatari delle
tangenti". Il dato emerge dall'ordinanza di custodia firmato dal gip di
Roma Flaminia Costantini. La contabilità era stata affidata ad una
donna, Nadia Cerrito, finita ieri in carcere. Nel libro sono riportati
anche "i costi illegali sostenuti - scrive il gip - dall'organizzazione
per il raggiungimento del suo scopo nel settore
economico-istituzionale". Contiene l'indicazione "dei soggetti cui
vengono veicolati i profitti, come Carminati, o come Fabrizio Franco
Testa, testa di ponte di Mafia Capitale verso la politica e la pubblica
amministrazione". Carminati sapeva di indagine"mostruosa". Lamenta: non è
più come una volta Carminati era a conoscenza di una indagine a suo
carico che definiva "mostruosa". Il dato emerge dall'ordinanza di
custodia firmata dal gip Flaminia Costantini. L'ex Nar nel corso del
colloquio sbotta e afferma: ''ce stanno a comincià a dimostrà che stanno
a fà carte false per qua per inculà... la gente eh...se vonno inculà...
non è più come una volta". Le indagini - Non solo il Campidoglio, gli
enti pubblici e le aziende municipalizzate, ma anche la Regione Lazio.
Gli accertamenti della procura di Roma sulla cupola mafiosa sgominata
nella capitale puntano ora anche sul livello di infiltrazione
dell'organizzazione capeggiata da Massimo Carminati nei palazzi di via
della Pisana e di via Cristoforo Colombo. Le indagini, secondo quanto si
apprende, prendono esame sia l'attuale amministrazione, sia quella
precedente. Boldrini: totale sdegno, chiarezza quanto prima - "Manifesto
totale sdegno. Bisogna fare quanto prima chiarezza, chi ha
responsabilità deve renderne conto quanto prima", commenta la presidente
della Camera Laura Boldrini. "La giustizia deve andare avanti fino in
fondo", ritenendo "deprecabile che ci sia gente che fa affari anche
sulle spalle delle persone più deboli". Alemanno: mi autosospendo da
incarichi in Fdi - "Cara Giorgia, ti comunico la mia irrevocabile
decisione di autosospendermi da tutti gli organi del Partito, fino a
quando la mia posizione non sarà pienamente e positivamente chiarita".
Lo scrive Gianni Alemanno in una lettera inviata al Presidente di Fdi
Giorgia Meloni. "In questo momento il mio impegno principale non può non
essere quello di capire realmente la portata di questa inchiesta e di
dimostrare in maniera chiara e puntuale, in tutte le sedi, la mia
estraneità agli addebiti che mi vengono mossi". "Nello stesso tempo -
scrive ancora - mi rendo conto della necessità di evitare facili
strumentalizzazioni che potrebbero usare queste vicende per attaccare
l'immagine di Fratelli d'Italia - Alleanza Nazionale, che evidentemente
nulla c'entra con tutto ciò". Marino: ho sbarrato porta ad inciuci.
Cambieremo città - "L'ho detto e lo ripeto. Abbiamo sbarrato la porta
agli interessi, agli inciuci, ai rapporti poco chiari. Il nostro
obiettivo resta uno e uno soltanto: cambiare questa città solo per i
romani e le romane". Così il sindaco di Roma Ignazio Marino commentando
su Facebook l'indagine della Procura di Roma sulla 'Mafia Capitale'.
03 dicembre 2014
fonte: http://notizie.tiscali.it
LE PRIMARIE DEL PD A ROMA ''PILOTATE'' DAI CLAN DEL BOSS CARMINATI E DEI SUOI ''SOCI'' (EMERGE DALLE CARTE DALL'INCHIESTA)
ROMA - Adesso
ci sara' un bel problema per gli ultra' della doppia P. Vestali e
sacerdoti della liturgia delle primarie prima e delle preferenze poi
avranno nuovi motivi per riflettere. Perche', se c'e' un aspetto, ancora
non evidenziato, che merita invece particolare attenzione nella vicenda
di criminalita' e affari emersa con l'indagine della Procura romana, e'
esattamente il dato squisitamente elettorale.
E', cioe', la
capacita' di controllo di pacchetti di voti, che diventano poi
preferenze, a vantaggio di questo o quell'altro candidato, di questo o
di quell'altro partito. Non e' certo una novita'. Con poco sforzo ci si
ricordera' che era stato il leitmotiv della campagna per l'abolizione
delle preferenze multiple di Mariotto Segni oltre vent'anni fa.
L'inquinamento e il condizionamento criminale o mafioso, attraverso il
controllo e la compravendita di pacchetti di voti.
La proverbiale
memoria corta degli italiani e l'insipienza di una classe politica
oggettivamente incapace e spesso impresentabile ne ha poi determinato
l'oblio, dando cosi' fiato e argomenti a chi invece voleva riportarle in
auge. Preferenze che non ci sono praticamente da nessuna parte e che da
noi sembrerebbero essere invece assolutamente necessarie. Cosi' come le
primarie, dove il meccanismo di controllo del voto e' addirittura ancor
piu' semplice e che, ove esistono, presuppongono condivisione e
chiarezza, mentre da noi sono aperte a tutto e a tutti. Basta pagare.
Ecco percio' che se l'impianto accusatorio dovesse essere confermato,
quanto accaduto a Roma diverrebbe addirittura lo spot piu' efficace per
chi contrasta questa deriva. Con buona pace di chi parla di democrazia
violata, appaiono le preferenze il problema, il cancro. Sono i pacchetti
di voti che si spostano da una parte all'altra, garantendo affari e
corruzione. La preferenza come volano del controllo criminale. E' anche
questo che emerge dall'inchiesta.
Dopo anni di
bla-bla inconcludente sulla democrazia violata, dopo gli sperperi e le
ruberie dei consiglieri regionali, sara' dura adesso andare a spiegare
che il voto di preferenza e' necessario e le primarie sono la panacea.
Perchè potrebbe essere vero il contrario. Che preferenze e primarie sono
soltanto un bell'alibi per tutti. Partiti e movimenti. Che hanno buon
gioco a parlare di "casi isolati", di "mele marce". Di mettere cioe' le
mani avanti. Di indicare appunto che il sostegno "inquinato" e' stato al
candidato e non al partito. Cioe' di driblare l'accusa. Cosa
impossibile con la lista bloccata, perchè li' non potrebbe che essere
proprio il partito il diretto e unico responsabile delle scelte.
Chissà', magari tutto il male non viene per nuocere. Magari ora si
rifletterà di piu' e meglio.
fonte: il nord.it - 3 dicembre 2014
tramite: http://tentor-maurizio.blogspot.it
Mario Giordano: il Papa che prega Allah mi sembra una resa, non un dialogo
Francesco nella Moschea Blu
Sarà pur stata un’“adorazione
silenziosa”, e non una vera e propria preghiera. Sarà pur stato un gesto
simile a quello compiuto da Benedetto XVI nel 2006, come s’affanna a
precisare il preoccupato portavoce della Santa Sede. Sarà tutto quel che
si vuole, ma fa un certo effetto vedere il Papa che si mette a mani
giunte verso la Mecca nella Moschea Blu di Istanbul, mentre l’imam
recita i versetti del Corano. E fa ancor più effetto pensare che quel
Corano è lo stesso che, poco distante da lì, gli islamici usano per
eccitare le folle a squartare i cristiani, a impalarli e crocefiggerli. A
spazzarli via. C’è un contrasto troppo forte fra il Papa che rispetta
fino all’ultimo tutti i riti dell’Islam, si toglie le scarpe e s’inchina
al "mihrab", e gli islamici che a pochi chilometri dalla Moschea Blu
non rispettano nulla dei cristiani. Non le loro chiese, non le
tradizioni, non i riti. E nemmeno la loro vita.
Papa Francesco vuole dialogare con l’Islam, si capisce. Ma
come si fa a dialogare con chi non vuole farlo? Come si fa dialogare con
chi vuole solo abbatterti? Come si fa a dialogare con chi vuole
piantare la bandiera del Califfato in piazza San Pietro? Il dialogo è
una parola bellissima, che permette discorsi straordinari, preghiere
comuni, gesti esemplari. Ci si toglie le scarpe insieme. Ci si inchina
alla Mecca. Ci si trova d’accordo con l’imam e il gran muftì. Ma poi, in
realtà, gli islamici non vogliono dialogare. L’hanno dichiarato
apertamente: vogliono conquistarci. E distruggerci.
L’Islam buono e l’Islam cattivo? Una favola. Se fosse vero
che i terroristi sono pochi fanatici marginali, non li avrebbero forse
già messi a tacere? Non li avrebbero combattuti? Non li avrebbero almeno
condannati con durezza? Invece no. Non sento dure condanne unite del
mondo islamico contro gli orrori dei tagliagole. Non vedo mobilitazioni
dei pellegrini della Mecca per fermare le mani dei loro confratelli. Non
vedo fremiti di sdegno contro i massacri che vengono perpetrati contro i
cristiani. Anzi: vedo silenzio. Quasi compiacimento. E, anzi, vedo
fremiti di anti-cristianità che scuotono tutto il mondo arabo e arrivano
perfino in Paesi che fino a ieri laici e nostri amici. A cominciare
proprio dalla Turchia che sta scivolando sempre di più nell’Islam
radicale, che non a caso sostiene sottobanco le milizie dell’Isis. E il
cui presidente Erdogan ha appena riunito i 57 Paesi islamici per
incitarli alla rivolta contro di noi: «L’Occidente ci sfrutta, vuole le
nostre ricchezze - ha detto -. Fino a quando sopporteremo?».
Qualcuno ha cercato di spiegarmi che c’è pure una differenza
tra il gesto di Benedetto XVI (che in moschea si fermò in raccoglimento
ma non giunse le mani in preghiera) e quello di Francesco (che invece
le ha unite, proprio come se stesse pregando). Se fosse vero, sarebbe un
motivo in più per rimanere un po’ perplessi. Ma per rimanere perplesso a
me basta, per la verità, vedere un Papa che si rivolge alla Mecca
insieme con gli islamici proprio mentre molti islamici che si stanno
rivolgendo alla Mecca hanno le mani sporche del sangue dei cristiani.
Mi pare che, dopo il famoso discorso Ratzinger a Ratisbona e
la furiosa reazione che ne seguì da parte dei musulmani, i cattolici
siano stati costretti a piegarsi. Noi facciamo gesti distensivi e loro
moltiplicano i massacri. Noi costruiamo per loro moschee e loro
distruggono le nostre chiese. Noi ci inchiniamo ai loro simboli nei
nostri Paesi e loro non ci permettono di mostrare i nostri nei loro
Paesi. Noi ascoltiamo i versetti del Corano con ammirazione e loro
minacciano di declamarli dal Cupolone di San Pietro. Che vogliono
trasformare all’incirca in un parcheggio dei loro cammelli.
Capisco l’ansia di Papa Francesco, che è un grande
comunicatore, di costruire ponti con tutti: con gli islamici e con i non
credenti (Eugenio Scalfari). Ma per costruire i ponti ci vogliono due
cose. Primo: bisogna che dall’altra parte non ci sia chi ti vuol
sgozzare o annientare, altrimenti è un autogol. Secondo: bisogna che i
pilastri siano saldi, tutti e due. E il dubbio è proprio questo: il
pilastro dell’Islam è saldo, quello dei non credenti pure. Ma il
pilastro cattolico? È incerto. Barcollante. Sradicato. In effetti: non
abbiamo radici. Le stiamo perdendo. L’Europa non ce le riconosce. Le
chiese si svuotano. I preti invecchiano. I ragazzi non vanno più a
catechismo. Dopo la cresima c’è la fuga. I valori del matrimonio e della
vita sono messi costantemente in discussione. La famiglia tradizionale è
massacrata. Come si può dialogare se non si hanno più valori da
rappresentare? Come si possono aprire le porte agli altri, se non si è
fortemente saldi dei propri principi? Se i propri valori sono stati
attaccati, messi in vendita e liquidati?
In queste condizioni il ponte rischia di crollare. Non per
il gesto del Papa, non per una preghiera rivolta alla Mecca, non per la
Moschea Blu circondata da Paesi rosso sangue. Il ponte rischia di
crollare perché lanciamo gittate in avanti senza assicurarci della
nostra tenuta. Non perché loro sono violenti, ma perché noi siamo
deboli. E perché anziché rafforzare la nostra debolezza, ci esponiamo
alla loro forza. Al loro fanatismo. Alla loro violenza. Fino al giorno
in cui sarà troppo tardi.
E ci accorgeremo che quello che ci ostiniamo a chiamare
dialogo, in realtà è un loro monologo. O, peggio, una loro invasione. La
conquista definitiva. E allora addio cattolici: rivolgersi alla Mecca
non sarà più un gesto distensivo. Ma un comando del padrone islamico.
di Mario Giordano - 30 novembre 2014
fonte: http://www.liberoquotidiano.it/news/libero-pensiero
Al “vaccino anti-influenzale show” il direttore di Aifa fa il bis
Sono
andati in tivù alla trasmissione di Bruno Vespa e si sono vaccinati
davanti alle telecamere. Tutti quanti, ieri sera, dal conduttore Bruno Vespa agli ospiti: il direttore di Aifa, Luca Pani, il commissario dell’Istituto superiore sanità Walter Ricciardi e Giacomo Milillo, segretario della Fimmg (la Federazione italiana che riunisce i medici generici).
Hanno offerto il braccio, si sono lasciati pungere dall’ago e hanno aspettato che il Fluad (il vaccino della Novartis sospettato
di aver provocato 19 morti) entrasse nelle loro vene. Per dire agli
spettatori che se lo fanno loro, c’è da stare tranquilli. Preso da tanto
animo, il direttore di Aifa Luca Pani, ha rifatto una seconda dose di
vaccino. Perché aveva già dichiarato davanti alle telecamere
di tutti i telegiornali, il 28 novembre, di essersi appena vaccinato,
giustappunto con il Fluad della Novartis.
Bugia? E bugia la prima o la seconda volta? E se non sono bugie perché Luca Pani si è esposto a un sovra dosaggio?
Dal numero uno di Aifa – l’ente nato per stabilire i prezzi delle
medicine, per trattare con Big Pharma con i soldi dei contribuenti e al
posto dei malati, insomma per stare dalla nostra parte – ci
saremmo aspettati una spiegazione verosimile. Chessò, quanti e quali
controlli si fanno su questi vaccini. Non ci basta sapere che il Fluad
venne approvato nel 1997 visto che ogni anno la formulazione cambia.
Invece, siamo stati catapultati al circo. Assordati da rassicurazioni senza dati, circondati da un parterre di testimonial, nulla di più lontano dal mondo reale.
Proviamo ad appoggiare i piedi per terra: 19 morti da vaccino anti influenzale cosa scatenano quaggiù? Per prima cosa il bisogno di una risposta, è un rispetto che si deve ai parenti e alla comunità che si è deciso di tutelare.
In secondo luogo, un mettere le cose al loro vero posto: non esiste un vaccino senza rischi, come non esiste un’operazione senza rischi, come non esiste una vita senza rischi.
Chi è convinto di aver bisogno del vaccino, perché immunodepresso o
già provato da malattie respiratorie, continuerà a farlo soppesando pro
e contro (e senza bisogno di show in televisione). Chi è incerto, chi
non ci aveva mai pensato prima ma-forse-ha- sentito-che-a-65anni- è
meglio-iniziare, ci ragionerà una volta in più. Un bene, senz’altro. Un
modo di trasformare le tragedie di questi giorni in un cammino
consapevole.
RIASSUNTO
Aifa ha bloccato due lotti del vaccino Fluad di Novartis.
- 19: sono le morti sospette segnalate ad oggi all’Aifa. Sono anziani che avevano appena fatto il vaccino Fluad.
- 143301 e 142701: sono i due lotti collegati ai decessi sospetti e bloccati.
- 8: è il numero dei lotti dello stesso vaccino ad oggi collegati ai decessi.
- 3,5 milioni: il numero delle dosi di Fluad distribuite in Italia.
- 1 milione: il numero di dosi che potrebbero essere già state utilizzate in Italia.
- 65 milioni: il numero di dosi del vaccino distribuite nel mondo dall’anno della sua approvazione, il 1997.
- 38: il numero di controlli sul vaccino previsto dalle procedure
internazionali di autorizzazione. Di questi, 14 sono svolti sul prodotto
finito e 23 sui singoli componenti prima che i singoli lotti siano
rilasciati in commercio.
- 6: il numero delle inchieste aperte da diverse procure a seguito
delle morti sospette. Si tratta delle procure di Siena, Siracusa, Prato,
Chiesti, Parma e Larino. A queste inchieste, si aggiunge anche quella
aperta dalla procura di Torino su un altro vaccino antinfluenzale della
Novartis, l’Agrippal, a seguito di una segnalazione di evento avverso ma
non mortale.
- 8.000: il numero medio di decessi che si verificano ogni anno in
Italia percomplicanze cardiovascolari riconducibili all’influenza.
http://blog.ilgiornale.it - il blog di Gioia Locati 2 dicembre 2014
La demenziale convivenza tra Triton e Mare Nostrum
Come previsto l’avvio dell’Operazione Triton, dell’agenzia europea
Frontex, non ha cambiato nulla nella demenziale gestione dei flussi
migratori dalla Libia che Italia e Ue gestiscono litigando ma accomunati
da una passiva accettazione che ingrassa i trafficanti nordafricani
quando i mezzi militari in campo consentirebbero di attuare un programma
di respingimenti coordinato e con tutte le necessarie garanzie di
sicurezza.
I flussi sono di fatto limitati solo dall’eventuale maltempo non certo dalla missione europea e dall’italiana Mare Nostrum.
Le due operazioni che avrebbero dovuto essere complementari continuano invece a soffrire di una difficile convivenza ma soprattutto, al di là di chi li raccolga in mare, le migliaia di immigrati clandestini.
Le due operazioni che avrebbero dovuto essere complementari continuano invece a soffrire di una difficile convivenza ma soprattutto, al di là di chi li raccolga in mare, le migliaia di immigrati clandestini.
Continuano
a venire accolti in Italia. Esclusivamente in Italia: oltre 5mila negli
ultimi dieci giorni, 10 mila in novembre (quasi un terzo raccolti dalle
navi della missione targata Ue) 18 dei quali morti in mare e circa 170
mila dall’inizio dell’anno.
Una marea umana che, come Analisi Difesa aveva anticipato già l’anno
scorso quando prese il via Mare Nostrum, non poteva non provocare
problemi sociali, disordini e tumulti tra i tanti cittadini italiani
indigenti o disagiati che non godono dei “privilegi” offerti dallo Stato
ai clandestini.
Frontex, da quanto riferito dall’agenzia ANSA, ha manifestato alle
autorità italiane perplessità per il fatto che le navi impegnate
nell’operazione vengono costantemente chiamate dalle Capitanerie di
Porto per interventi di soccorso a ridosso delle coste libiche, ben al
di fuori dunque dello spazio di mare di competenza di Triton, che si
estende nell’ambito di 30 miglia da Lampedusa.
Dall’1 novembre sono giunte 15 richieste di soccorso che hanno impegnato un’unità navale di Triton per complessivi 25 giorni.
Nei giorni precedenti la partenza di Triton, i ministri dell’Interno e
della Difesa, Angelino Alfano e Roberta Pinotti, avevano concordato di
chiedere a Frontex che il centro di coordinamento della missione fosse
insediato presso il comando della squadra navale della Marina Militare a
Santa Rosa (Roma).
Frontex è stata però ferma nella decisione di mantenere il
coordinamento presso il comando aeronavale della Guardia di Finanza di
Pratica di Mare (Roma),come era avvenuto per le precedenti operazioni
dell’Agenzia europea delle Frontiere.
Se
da un lato non si comprende il senso (anche in termini finanziari) di
avere due comandi che dovrebbero essere complementari in sedi diverse,
dall’altro i litigi di campanile tra Mare Nostrum e Triton sono
paradossali e ben evidenziano il tentativo di Ue e Italia di scaricarsi
reciprocamente addosso le responsabilità di una crisi che nessuno ha il
coraggio di affrontare con la necessaria determinazione.
Le due missioni messe assieme non hanno infatti alcun effetto
deterrente sui flussi di immigrati clandestini. Anzi, li incoraggiano.
Nell’ultimo mese sono state sequestrate 7 carrette del mare e arrestati
32 scafisti che però verranno come al solito liberati in breve tempo,
sempre ammesso che finiscano nelle carceri italiane anche solo per un
breve “soggiorno”.
Il mandato di Triton è quello di fare controllo delle frontiere nell’ambito delle 30 miglia dalle coste italiane.
Ma
fin dall’inizio dell’operazione, si sono susseguite quotidianamente le
richieste di intervento avanzate al centro di coordinamento della
missione Frontex da parte delle Capitanerie di Porto per barconi in
difficoltà nello spazio di mare a 50 miglia dalla Libia, ben al di
fuori, dunque, dell’area di competenza.
E questo rende problematico assolvere il compito dell’operazione
Frontex che, per mandato UE, è esclusivamente quello di controllare le
frontiere marittime comunitarie.
A contribuire al “superlavoro” di Triton c’è anche un altro fenomeno
segnalato dagli addetti ai lavori. Negli ultimi tempi, infatti, i
mercantili che incrociano nelle acque del canale di Sicilia tendono a
spegnere il sistema di posizionamento che consente loro di esser
contattati via radio.
Questo
per evitare di venire chiamati ad interventi di soccorso verso le acque
libiche, ai quali debbono necessariamente rispondere per le leggi del
mare, ma che rappresentano anche un costo. E’ così continua a squillare
il ‘telefono’ del Centro di Coordinamento di Triton.
A fine anno, con la fine annunciata di Mare Nostrum, presumibilmente
la situazione peggiorerà ulteriormente poiché su Triton ricadranno tutte
le richieste di soccorso mentre gran parte dei barconi tornerà a
puntare su Lampedusa. All’agenzia europea con sede a Varsavia si
attendevano un calo dei flussi migratori dalla Libia ma la realtà è ben
diversa soprattutto se l’inverno resterà mite e le condizioni meteo
favorevoli.
“Considerato che probabilmente gli arrivi via mare per il momento non
diminuiranno, il rischio di naufragi resta ancora altissimo” ha
sottolineato Federico Soda, capo missione dell’Organizzazione
internazionale per le migrazioni (OIM) in Italia.
Foto: Marina Militare
di Gianandrea Gaiani - 30 novembre 2014
fonte: http://www.analisidifesa.it
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