Nella festa della donna, la
testimonianza di una professoressa amica delle religiose siriane
sequestrate dai ribelli legati ad Al Qaeda
Vorrei onorare oggi il coraggio di un gruppo di donne che in Siria sono ostaggio da più di tre mesi di gruppi di ribelli siriani legati ad Al Qaeda, le monache greco-ortodosse del convento di Santa Tecla a Maloula che con Sednaya è forse il paese cristiano di lingua aramaica più conosciuto in Occidente.
Dai rari filmati pervenuti, le cinque suore, tra cui la loro madre superiora Pelagia Sayyaf, dichiarano di godere di buona salute e dichiarano di essere “ospiti” dei loro rapitori ma pare evidente, non solo dai toni di voce e dalle posture ma soprattutto dall’assenza del crocefisso sui loro petti, che la situazione sia molto diversa. Recentemente è stata infatti inoltrata richiesta ad Assad ,da parte del sedicente “Fronte di salvezza”, di scambiarle con almeno mille prigionieri, ma in realtà nulla si sa della loro reale situazione.
In Siria e Libano, paesi che prima della guerra vantavano una popolazione cristiana pari e superiore al 10 per cento, l’esternazione simbolica dell’appartenenza confessionale è consuetudine radicata e non vi è cristiano o musulmano che non esprima la propria identità con simboli esteriori , quali il velo o la croce, ed è questo uno degli elementi che attestano la preoccupante situazione di pericolo nella quale si trovano le monache di Ma’alula. Altro aspetto di preoccupazione è la possibilità che il gruppo di monache venga ceduto ad altri gruppi di rivoltosi: la galassia siriana è ormai inconfutabilmente al di fuori di ogni controllo e la presenza ormai accertata dei salafiti e di criminali comuni nelle azioni di guerra non può lasciare certo tranquilli.
La prima volta che visitai Maloula e il convento di Santa Tecla nel 2007, ero accompagnata da George e Wadiha, i miei padroni di casa a Damasco. Loro, una coppia di mezza età ormai in pensione, erano originari di lì e in casa parlavano ancora aramaico. Anzi, George parlava solo aramaico e, insoddisfatto dei miei scarsi progressi in arabo, aveva deciso che con l’aramaico me la sarei cavata meglio, per cui ogni mattina, passando davanti alla mia camera, mi invitava a colazione in quella antica lingua per fornirmi istruzioni quotidiane del come districarmi negli uffici pubblici o nelle commissioni quotidiane. Dopo un paio d’anni di conoscenza, di ospitalità estiva e di attente osservazioni delle mie abitudini, la coppia decise che ero forse pronta per visitare insieme a loro l’antica roccaforte della cristianità, dove avevano ancora una piccola casa arroccata tra le altre tra le montagne del Qalamoun.
A dire il vero George a Maloula ci andava quasi ogni giorno nel mese di luglio perché è in quel periodo che le albicocche del suo frutteto maturavano e non potevano essere lasciate certo marcire al sole, per cui ogni sera tornava in mini-bus dal paese con borsoni di frutti che Wadiha doveva provvedere a trasformare in confettura o in quella specie di mega foglio candito che, essiccato al sole della terrazza di casa, diveniva elemento imprescindibile di zuccherosissimi dolcetti da offrire nelle numerose feste di famiglia. Quel giorno quindi, vestiti i migliori abiti della festa, noi signore laccate e pettinate dalla parrucchiera di Ba’ab Touma, partimmo per Maloula in bus e fui portata da Pelagia e dalle sue consorelle nell’antico convento.
Le monache di Maloula, come in tutta la Terra Santa, non sono giovani e sembrano uscite da un dipinto del nostro medioevo tosco-umbro: il capo velato di nero con un tessuto leggero e opaco consente loro di proteggersi dal sole abbagliante e dalla sabbia che ovunque si infiltra in un paesaggio che se pur montano ed elevato (siamo a 1500 metri di altitudine), è pur sempre desertico e arido. All’antico convento è annesso un orfanotrofio e sicuramente un orto; il complesso monastico è meta di turismo soprattutto interno, da parte di tutti i siriani, siano islamici o cristiani, testimonianza di una tradizione secolare di tolleranza che ha caratterizzato la Siria fin dai tempi degli ummayadi, degli abassidi, dei mamelucchi e persino degli ottomani, oltre che dai fedeli musulmani di ogni tempo.
Tecla, giovane donna seguace di Paolo di Tarso, figlia di un principe seleucide, abitava qui nei primi anni dell’era cristiana… e la leggenda narra che pur di non rinunciare alla sua fede, inseguita dai soldati di suo padre, in fuga tra le montagne del Qalamoun proprio sopra il paese, fu salvata dal miracoloso schiudersi delle rocce che impedirono al suo violento inseguitore di raggiungerla. Tra leggenda e santità le sue reliquie, vere o presunte, sono ancora oggi custodite dalle monache melchite che stanno pagando anch’esse a caro prezzo la resistenza opposta ai jihadisti che, mettendo a ferro e fuoco il paese nel settembre 2013, saccheggiando le chiese, uccidendo e terrorizzando la popolazione non sono riusciti nei loro intenti. Il rapimento delle monache, ancora in corso, rappresenta quindi l’estrema reazione al fallito tentativo di assoggettazione di Ma’alula alla causa dei ribelli.
Chi avrebbe immaginato, prima del 2011, che un’oasi di pace, laboriosità, preghiera e convivenza interreligiosa si sarebbe trasformata in una interminabile guerra che di civile non ha mai mostrato nulla, comunque si voglia interpretare tale aggettivo?
Mi rigiro tra le mani il braccialetto-rosario nero, in corda intrecciata a nodi che le monache di Maloula confezionavano per i pellegrini nei lunghi periodi di preghiera e solitudine che scandivano le loro giornate e penso quanto queste donne stiano silenziosamente resistendo in una situazione di guerra nella quale non pare esserci soluzione. Immagino i disagi e le sofferenze di una prigionia fisica e spirituale in un contesto ostile e fuori dal controllo che anche qualche giornalista italiano ci ha recentemente testimoniato.
Le rivedo mentre incedono silenziose e attente a ogni particolare mentre custodiscono la grotta di preghiera in cui vengono venerate le reliquie di santa Tecla, oggetto di devozione di fedeli cristiani e musulmani. Nel buio della piccola grotta, scavata sui monti, il silenzio è totale e solo il lume di fioche lampade a olio consentono di intravedere millenarie e preziosissime icone e ricevere un piccolo batuffolo di cotone intriso di olio benedetto. Le sento mentre in greco, in aramaico, in arabo comunicano con il Dio in cui credono e al quale chiedono che anche per la Siria torni la pace e la ragionevolezza del mondo.
marzo 8, 2014
Annamaria Falco
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