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Non smettete mai di protestare; non smettete mai di dissentire, di porvi domande, di mettere in discussione l’autorità, i luoghi comuni, i dogmi. Non esiste la verità assoluta. Non smettete di pensare. Siate voci fuori dal coro. Un uomo che non dissente è un seme che non crescerà mai.

(Bertrand Russell)

08/03/14

8 marzo per onorare le suore di Maloula e la loro delicata, dolorosa resistenza alla furia islamista

Nella festa della donna, la testimonianza di una professoressa amica delle religiose siriane sequestrate dai ribelli legati ad Al Qaeda


Vorrei onorare oggi il coraggio di un gruppo di donne che in Siria sono ostaggio da più di tre mesi di gruppi di ribelli siriani legati ad Al Qaeda, le monache greco-ortodosse del convento di Santa Tecla a Maloula che con Sednaya è forse il paese cristiano di lingua aramaica più conosciuto in Occidente.
Dai rari filmati pervenuti, le cinque suore, tra cui la loro madre superiora Pelagia Sayyaf, dichiarano di godere di buona salute e dichiarano di essere “ospiti” dei loro rapitori ma pare evidente, non solo dai toni di voce e dalle posture ma soprattutto dall’assenza del crocefisso sui loro petti, che la situazione sia molto diversa. Recentemente è stata infatti inoltrata richiesta ad Assad ,da parte del sedicente “Fronte di salvezza”, di scambiarle con almeno mille prigionieri, ma in realtà nulla si sa della loro reale situazione.
In Siria e Libano, paesi che prima della guerra vantavano una popolazione cristiana pari e superiore al 10 per cento, l’esternazione simbolica dell’appartenenza confessionale è consuetudine radicata e non vi è cristiano o musulmano che non esprima la propria identità con simboli esteriori , quali il velo o la croce, ed è questo uno degli elementi che attestano la preoccupante situazione di pericolo nella quale si trovano le monache di Ma’alula. Altro aspetto di preoccupazione è la possibilità che il gruppo di monache venga ceduto ad altri gruppi di rivoltosi: la galassia siriana è ormai inconfutabilmente al di fuori di ogni controllo e la presenza ormai accertata dei salafiti e di criminali comuni nelle azioni di guerra non può lasciare certo tranquilli.

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La prima volta che visitai Maloula e il convento di Santa Tecla nel 2007, ero accompagnata da George e Wadiha, i miei padroni di casa a Damasco. Loro, una coppia di mezza età ormai in pensione, erano originari di lì e in casa parlavano ancora aramaico. Anzi, George parlava solo aramaico e, insoddisfatto dei miei scarsi progressi in arabo, aveva deciso che con l’aramaico me la sarei cavata meglio, per cui ogni mattina, passando davanti alla mia camera, mi invitava a colazione in quella antica lingua per fornirmi istruzioni quotidiane del come districarmi negli uffici pubblici o nelle commissioni quotidiane. Dopo un paio d’anni di conoscenza, di ospitalità estiva e di attente osservazioni delle mie abitudini, la coppia decise che ero forse pronta per visitare insieme a loro l’antica roccaforte della cristianità, dove avevano ancora una piccola casa arroccata tra le altre tra le montagne del Qalamoun.
A dire il vero George a Maloula ci andava quasi ogni giorno nel mese di luglio perché è in quel periodo che le albicocche del suo frutteto maturavano e non potevano essere lasciate certo marcire al sole, per cui ogni sera tornava in mini-bus dal paese con borsoni di frutti che Wadiha doveva provvedere a trasformare in confettura o in quella specie di mega foglio candito che, essiccato al sole della terrazza di casa, diveniva elemento imprescindibile di zuccherosissimi dolcetti da offrire nelle numerose feste di famiglia. Quel giorno quindi, vestiti i migliori abiti della festa, noi signore laccate e pettinate dalla parrucchiera di Ba’ab Touma, partimmo per Maloula in bus e fui portata da Pelagia e dalle sue consorelle nell’antico convento.

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Le monache di Maloula, come in tutta la Terra Santa, non sono giovani e sembrano uscite da un dipinto del nostro medioevo tosco-umbro: il capo velato di nero con un tessuto leggero e opaco consente loro di proteggersi dal sole abbagliante e dalla sabbia che ovunque si infiltra in un paesaggio che se pur montano ed elevato (siamo a 1500 metri di altitudine), è pur sempre desertico e arido. All’antico convento è annesso un orfanotrofio e sicuramente un orto; il complesso monastico è meta di turismo soprattutto interno, da parte di tutti i siriani, siano islamici o cristiani, testimonianza di una tradizione secolare di tolleranza che ha caratterizzato la Siria fin dai tempi degli ummayadi, degli abassidi, dei mamelucchi e persino degli ottomani, oltre che dai fedeli musulmani di ogni tempo.
Tecla, giovane donna seguace di Paolo di Tarso, figlia di un principe seleucide, abitava qui nei primi anni dell’era cristiana… e la leggenda narra che pur di non rinunciare alla sua fede, inseguita dai soldati di suo padre, in fuga tra le montagne del Qalamoun proprio sopra il paese, fu salvata dal miracoloso schiudersi delle rocce che impedirono al suo violento inseguitore di raggiungerla. Tra leggenda e santità le sue reliquie, vere o presunte, sono ancora oggi custodite dalle monache melchite che stanno pagando anch’esse a caro prezzo la resistenza opposta ai jihadisti che, mettendo a ferro e fuoco il paese nel settembre 2013, saccheggiando le chiese, uccidendo e terrorizzando la popolazione non sono riusciti nei loro intenti. Il rapimento delle monache, ancora in corso, rappresenta quindi l’estrema reazione al fallito tentativo di assoggettazione di Ma’alula alla causa dei ribelli.

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Chi avrebbe immaginato, prima del 2011, che un’oasi di pace, laboriosità, preghiera e convivenza interreligiosa si sarebbe trasformata in una interminabile guerra che di civile non ha mai mostrato nulla, comunque si voglia interpretare tale aggettivo?
Mi rigiro tra le mani il braccialetto-rosario nero, in corda intrecciata a nodi che le monache di Maloula confezionavano per i pellegrini nei lunghi periodi di preghiera e solitudine che scandivano le loro giornate e penso quanto queste donne stiano silenziosamente resistendo in una situazione di guerra nella quale non pare esserci soluzione. Immagino i disagi e le sofferenze di una prigionia fisica e spirituale in un contesto ostile e fuori dal controllo che anche qualche giornalista italiano ci ha recentemente testimoniato.
Le rivedo mentre incedono silenziose e attente a ogni particolare mentre custodiscono la grotta di preghiera in cui vengono venerate le reliquie di santa Tecla, oggetto di devozione di fedeli cristiani e musulmani. Nel buio della piccola grotta, scavata sui monti, il silenzio è totale e solo il lume di fioche lampade a olio consentono di intravedere millenarie e preziosissime icone e ricevere un piccolo batuffolo di cotone intriso di olio benedetto. Le sento mentre in greco, in aramaico, in arabo comunicano con il Dio in cui credono e al quale chiedono che anche per la Siria torni la pace e la ragionevolezza del mondo.

marzo 8, 2014 Annamaria Falco
TEMPI

Egitto: il "racket" delle spose forzate convertite all'Islam


Rapite: con la forza o con l’inganno. Strappate alle loro famiglie e costrette ad abbandonare la fede cristiana. 

In Egitto i rapimenti di giovani copte non rappresentano affatto una novità: già durante la presidenza Sadat si registrarono diversi episodi. Tuttavia dopo la caduta di Mubarak il numero di casi è aumentato in modo esponenziale. «Prima della rivoluzione sparivano quattro o cinque ragazze al mese, oggi la media è di quindici», dichiara ad Aiuto alla Chiesa che Soffre Ebram Louis, fondatore dell’Associazione per le vittime di rapimenti e sparizioni forzate (AVAED), organizzazione che garantisce alle vittime e alle loro famiglie assistenza medica, psicologica e legale. «Dal 2011 si ritiene siano state almeno 550 le cristiane rapite», afferma l’attivista. Peraltro è quasi impossibile fornire stime esatte, poiché spesso i crimini e gli aggressori non vengono né riferiti né denunciati. In Egitto una donna violentata è tuttora motivo di vergogna per la sua famiglia.

Secondo l’AVAED, nel 40% dei casi le giovani – di età compresa tra i 14 e i 40 anni - vengono rapite, violentate e in seguito costrette a sposare il proprio carnefice dopo essersi convertite all’islam. Altre vittime vengono invece plagiate da giovani musulmani che prima si guadagnano la loro fiducia, quindi le obbligano a convertirsi e a contrarre matrimonio islamico. In preparazione alle nozze gli aguzzini cancellano con l’acido la croce tatuata sul loro polso: simbolo di una fede cristiana portata con orgoglio da molti esponenti della minoranza copta.

L’elevato numero di ragazze scomparse e il ripetersi di un identico modus operandi hanno convinto avvocati, attivisti e sacerdoti - da tempo impegnati a combattere una piaga tanto atroce - che dietro ai sequestri vi sia una organizzazione capillare. Lo conferma ad ACS l’avvocato cristiano Said Fayez: «In Egitto vi sono molteplici cellule islamiche dedite esclusivamente ai rapimenti di donne copte». Fayez riferisce inoltre di numerose cristiane che, una volta sfuggite ai sequestratori, chiedono di ritornare alla propria fede: almeno cinquemila negli ultimi diciotto mesi. «Chi di loro ha avuto dei figli dal matrimonio forzato deve però attendere – spiega l’avvocato - Se lasciassero l’islam per riabbracciare il cristianesimo perderebbero i loro bambini, poiché la legge egiziana stabilisce che i figli piccoli debbano vivere con il genitore che pratica la “vera fede”. E ovviamente per “vera fede” s’intende l’islam».

Le poche informazioni disponibili riguardanti i sequestri sono tratte dalle testimonianze delle ragazze che sono riuscite a fuggire. Come Ingy, ancora minorenne, che si è tagliata le vene dei polsi due volte per convincere i suoi carcerieri a liberarla. In molte però non hanno avuto la stessa fortuna. Come la piccola Nadia Makram, rapita nel 2011 a soli 14 anni. I genitori di Nadia conoscevano il nome del suo rapitore - Ahmed Hammad, un musulmano di 48 anni - e si sono rivolti immediatamente alla polizia. L’uomo non è stato arrestato. Stando ai numerosi episodi documentati dall’AVAED, spesso la polizia si rifiuta di cercare le ragazze sostenendo che queste abbiano abbandonato spontaneamente la casa paterna. Se poi le giovani vengono ritrovate e convocate alla stazione di polizia, quasi sempre sono accompagnate dai nuovi “parenti” musulmani, perfino in occasione del colloquio che dovrebbe servire ad appurare l’avvenuto sequestro. Comprensibilmente in molte confermano d’aver lasciato la famiglia d’origine senza alcuna costrizione.

La vicenda di Nadia, e di altre bambine rapite e costrette alle nozze, è ancor più grave. Perché la legge egiziana vieta il matrimonio e la conversione delle minorenni, anche se queste si dichiarano consenzienti. Eppure nel 2012, quando la ragazza appena quindicenne aveva già dato alla luce il suo primo figlio, il caso è stato archiviato e il marito prosciolto. All’uomo è stato sufficiente mostrare un certificato di matrimonio che attestava la “regolare” unione con la sua minorenne consorte.

Aiuto alla Chiesa che Soffre sostiene da diversi anni i progetti della Chiesa cattolica egiziana relativi alla promozione della dignità della donna. Roma, 8 marzo 2014


fonte: La Perfetta Letizia - 8 marzo 2014

Marò presentano istanza a Corte India contro Nia No polizia antiterrorismo. Mogherini, tutto per fermare processo



........arrivare alle elezioni senza nulla di definitivo

08-03-2014


NEW DELHI. Nuovo capitolo nella vicenda dei marò. Questa volta proprio su iniziativa di due fucilieri di Marina: Massimiliano Latorre e Salvatore Girone hanno chiesto formalmente alla Corte Suprema indiana di allontanare da loro qualsiasi equivoco che l'incidente in cui sono rimasti coinvolti due anni fa, con la morte di due pescatori, possa essere trattato come un caso di terrorismo.
Giovedì, due marò hanno presentato ai giudici del massimo tribunale indiano, che sta esaminando un ricorso italiano, una 'petition' (istanza) in cui si oppongono fermamente all'utilizzazione della polizia antiterrorismo Nia per le indagini sul loro caso.
Sul piano diplomatico, invece, il ministro degli Esteri Federica Mogherini ha chiamato il collega indiano Salman Khurshid perché - ha spiegato - "stiamo facendo il possibile per fermare il processo in India di cui non riconosciamo la giurisdizione".
La richiesta dei fucilieri riguarda un documento di una cinquantina di pagine che è stato preparato col sostegno dell'equipe di legali italiani che li assiste da due anni. In esso si sostiene che per la sua natura di polizia antiterrorismo, la National Investigation Agency (Nia) non può agire senza la presenza di specifiche leggi speciali, come il Sua Act, per la repressione della pirateria. L'iniziativa, si sottolinea, è stata presa dagli stessi Fucilieri e non dallo Stato italiano. Che, con il ritiro "per consultazioni" dell'ambasciatore in India, Daniele Mancini, e con l'inizio di una fase di internazionalizzazione della crisi, ha deciso di "congelare" il proprio sostegno ad un processo che continua ad avanzare lentamente e fra equivoci, come quello della polizia anti-terrorismo.
In questa chiave va valutata anche la decisione dell'inviato del governo, Staffan de Mistura, di non tornare per il momento a New Delhi né per contatti diplomatici, né per assistere alle sedute della Corte Suprema. E ieri la giornata è stata caratterizzata anche dalla prima telefonata che il ministro Mogherini ha fatto al suo collega indiano Salman Khurshid (considerato, va detto, una 'colomba' fra i ministri di Delhi implicati nel caso).












"Ho parlato ora con Khurshid - ha riferito la titolare della Farnesina in un tweet - e stiamo lavorando per riportarli a casa".
Fonti consultate dall'Ansa hanno indicato che "è stata la telefonata di un nuovo ministro al suo interlocutore principale in India", per un colloquio "utile e franco".
Nel corso dell'ultima udienza in Corte Suprema il 24 febbraio scorso, il procuratore generale indiano, G.E. Vahanvati, aveva annunciato che il governo di Delhi rinunciava all'uso del Sua Act per incriminare i militari italiani, chiedendo però ai giudici di mantenere la Nia come soggetto delle indagini e responsabile della stesura dei capi d'accusa. Argomento a cui si è subito opposto quel giorno con forza il legale di Latorre e Girone, Mukul Rohatgi.
Preso atto della inconciliabilità delle posizioni la Corte ha aggiornato l'udienza senza fissare una data, in attesa che prima la difesa dei marò e poi la Procura presentassero proprie memorie sostenendo giuridicamente le rispettive posizioni. I giudici della sala n.4, presieduta da S.E. Chauhan, attendono ora la mossa e il documento che il procuratore Vahanvati ha facoltà di presentare "entro una settimana" per confortare la tesi che, sotto le direttive della Corte, la Nia ha possibilità di operare. Pur, va detto, non avendolo mai fatto dalla sua nascita dopo gli attentati di Mumbai del 2008. Se questo avverrà nei tempi stimati, una decisione del massimo tribunale indiano potrebbe arrivare verso il 20 marzo.

fonte: America Oggi -  8.3.2014

gli effetti perversi di recessione, austerità e finto risanamento dei conti pubblici


Ecco gli effetti perversi di recessione, austerità e finto risanamento dei conti pubblici

Lacrime e sangue inutili, anni di sacrifici buttati al vento. L’Unione Europea di Olli Rehn ha inserito l’Italia tra i Paesi con squilibri macroeconomici eccessivi insieme a Croazia e Slovenia, mentre ha fatto salve Spagna, Grecia, Portogallo, Cipro e Romania.

STORIA E NUMERI
E’ inutile ora prendercela con chi ci misura la febbre: il debito pubblico italiano non è stato mai così alto in oltre 150 anni di storia unitaria, avendo raggiunto il 132,6% del pil, mentre il prodotto è ritornato indietro al 2000. Quando si parla di una generazione di giovani persa, di anni di sacrifici buttati al vento, la colpa è delle decisioni politiche adottate in questi ultimi anni: invece di mettere in riga un sistema pubblico fuori controllo, il patrimonio dei cittadini italiani è stato usato come un tesoretto da mungere.

LE COLPE

 Immobili, auto, barche, conti correnti, investimenti, tutto è stato tassato per mantenere in piedi un apparato assurdamente costoso ed inefficiente, che serve solo per distribuire prebende, appalti e per trasferire risoese prelevate con la tassazione. Dietro l’apparato della pubblica amministrazione c’è il vero apparato di potere che domina l’Italia, il sistema prenditoriale.

LE ILLUSIONI

Il risanamento proclamato dai Governi Berlusconi, Monti e Letta si dimostra una illusione: anni trascorsi a baloccarsi con la riduzione del deficit pubblico attraverso l’aumento della tassazione. La politica basata sull’avanzo primario del bilancio doveva servire per pagare gli interessi e rimborsare il debito eccessivo: ha drenato risorse dall’economia reale mettendola in ginocchio, ha abbattuto il reddito, i consumi delle famiglie, azzerato i risparmi e gli investimenti, massacrato la produzione industriale.

IL CIRCOLO VIZIOSO
Si è dimostrato per quello che è: un onirico circuito virtuoso. La politica economica, a partire dal 1993, si è basata sulla moderazione salariale: mentre sarebbe servita per recuperare la competitività internazionale ha invece nascosto una ben peggiore realtà, garantendo per anni all’imprenditoria privata profitti elevati senza investimenti adeguati ed al sistema politico un potere basato sulla redistribuzione dei proventi della tassazione senza ridurre le inefficienze.

LE URGENZE

Ci sono questioni da affrontare con urgenza: il pagamento dei debiti arretrati della Pubblica amministrazione che arriverebbero a 70 miliardi di euro; la disoccupazione giovanile che non è stata mai così alta da che sono tenute le statistiche ufficiali; le sofferenze bancarie che sono il frutto di un sistema economico ormai al collasso. Tutto sembra continuare come se nulla fosse: la Tasi sulla prima casa, e l’aumento ulteriore della scorsa settinama, sono state introdotte con la levità di una nuvola, senza considerare che abbatteranno la tenue ripresa prevista per quest’anno. Nel 2013, il pil è caduto solo dell’1,9%, anziché del 2,4% registrato l’anno precedente, solo per il mancato pagamento dell’IMU sulle prine case e per il ritardo nell’aumento dell’Iva al 22%. Le previsioni di un pil che quest’anno crescerà dello 0,6% sono fondate sul nulla.

COME (NON) RISANARE

Per anni, i governi si sono illusi di poter risanare i conti pubblici aumentando il prelievo sul reddito. Da qualche tempo hanno preso di mira anche i patrimoni, tassando quanto era stato messo da parte dopo che il reddito era già stato tassato. Dopo aver ridotto progressivamente il reddito disponibile delle famiglie, si stanno rendendo improduttivi i risparmi accumulati in immobili, mentre gli investimenti mobiliari non hanno mai recuperato i valori pre-crisi.

UN PAIO DI CONSIGLI

C’è un sistema pubblico onnivoro che dilapida senza sosta le risorse tributarie. Ogni scusa è buona per spendere e spandere: tenere le scuole in condizioni fatiscenti è la maniera migliore per piangere miseria e farsi finalmente rimpolpare i bilanci. Imbianchiamo pure le aule, ma facciamo almeno una seria controriforma che reintroduca nei bilanci comunali l’elenco delle spese obbligatorie, da finanziarie obbligatoriamente, rispetto a quelle facoltative. Altrimenti non cambia nulla: solo carote mediatiche ed altre bastonate fiscali.


fonte: http://www.formiche.net

UCRAINA...LA CRIMEA SE NE VA


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Agli Stati Uniti che annunciano le prime sanzioni contro la Russia accusandola di aver violato la sovranità ucraina, l’India e la Cina rispondono invitando alla calma e alla moderazione. Secondo Beijing, la crisi ucraina ha bisogno di un approccio prudente. “Più complesso è il problema, tanto più è necessario poterlo gestire prudentemente“, ha detto il ministro degli Esteri cinese Wang Yi. “La priorità ora è esercitare calma e moderazione ed evitare un’ulteriore escalation“. Nel frattempo, New Delhi ha detto che Mosca ha interessi “legittimi” in Ucraina e che si dovrebbe discutere per trovare una soluzione soddisfacente al problema. “Osserviamo ciò che accade in Ucraina con preoccupazione… La questione è conciliare diversi interessi tra cui i legittimi russi, speriamo che siano discussi e negoziati in modo soddisfacente“, aveva detto il consigliere per la sicurezza nazionale indiano Shivshankar Menon. Il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov avvertiva a sua volta Washington contro passi “frettolosi e sconsiderati” sulla crisi in Ucraina, che potrebbero danneggiare le relazioni Russia-USA. Lavrov ha detto al segretario di Stato USA che eventuali sanzioni contro la Russia “colpirebbero inevitabilmente gli Stati Uniti come un boomerang“.
In effetti, il Consiglio della Federazione della Russia prepara una legge per confiscare beni esteri in risposta alle sanzioni dell’occidente contro Mosca. “Il disegno di legge prevede la concessione di tali poteri (di confisca dei beni) al presidente e al governo, per proteggere la nostra sovranità“, dichiarava il capo del Comitato per la legge costituzionale del Senato Andrej Klishas, autore dell’iniziativa. “Non c’è dubbio che corrisponda agli standard europei. Basta ricordare l’esempio di Cipro, quando l’espropriazione fu imposta quale condizione per gli aiuti dall’Unione europea“.

http://photo.unian.net

Anche il presidente del Consiglio della Federazione, Valentina Matvenko, annunciava che il Senato sostiene l’adesione della Crimea alla Russia. “Se il popolo decide con il referendum l’integrazione della Crimea alla Russia, il Senato sosterrà sicuramente questa decisione“, aveva detto Matvenko durante l’incontro con il presidente del parlamento della Crimea Vladimir Konstantinov. Il capo della Duma Sergej Naryshkin, dichiarava “Rispetteremo la decisione storica della popolazione di Crimea e ne sosterremo la scelta“. Da parte sua, il presidente del parlamento di Crimea dichiarava che le autorità della penisola si aspettano tale decisione da Mosca, “Non abbiamo fretta, ma la situazione attuale la richiede… cerchiamo di rispondere ai sentimenti diffusi nella popolazione, come incertezza e paura. Dobbiamo dargli fiducia e offrire una chiara via d’uscita dalla crisi. Domandiamo alla Russia di accoglierci. Ecco perché abbiamo approvato l’adesione alla Federazione Russa. Ora la palla è nel suo campo decidendo il futuro della Crimea. Spero che la decisione sia definitiva“. Il Viceprimo ministro della Crimea Rustam Temirgalev dichiarava alla BBC che la “Crimea ora è Russia. I parlamentari della Crimea hanno chiesto a Mosca di accogliere la regione ucraina nell’ambito della Federazione russa.” Mosca decideva anche di avviare delle grandi esercitazioni della difesa aerea presso il poligono di Kapustin Jar, a circa 450 chilometri ad est dall’Ucraina. Vi parteciperanno 3500 truppe e oltre 1000 tra sistemi S-300, Buk-M1 ed altri mezzi della difesa aerea. “E’ la prima volta che tutte le unità della difesa aerea del distretto, comprese anche unità della difesa costiera della Flotta del Nord, si riuniscono in un unico luogo“, dichiarava il portavoce del Distretto militare occidentale della Russia, Colonnello Oleg Kochetkov. “E’ la più grande esercitazione mai tenuta dalle unità della difesa aerea del Distretto militare occidentale“. Inoltre il ministero della Difesa russo dichiarava che, il 3 marzo, un ICBM RS-12M Topol che trasportava un carico simulante “una testata avanzata“, era stato lanciato da Kapustin Jar. L’RS-12M Topol (SS-25 Sickle) è un missile balistico intercontinentale con una gittata di 10000 chilometri e trasporta una testata nucleare da 550 kiloton.
Il Pentagono a sua volta annunciava l’intenzione di inviare sei caccia F-15C e un aereo-cisterna KC-135 a pattugliare i cieli di Estonia, Lettonia e Lituania. Inoltre, il cacciatorpediniere lanciamissili USS Truxtun, della classe Arleigh Burke, si dirige verso il Mar Nero per esercitazioni da svolgersi “per un periodo indeterminato di tempo”. Il Truxtun fa parte del George HW Bush Carrier Strike Group, recentemente entrato nel Mediterraneo. Il gruppo comprende anche il Carrier Air Wing 8, il cacciatorpediniere USS Roosevelt e l’incrociatore USS Philippine Sea. Il Truxtun si unirà alla fregata USS Taylor ormeggiata a Samsun, in Turchia, dopo essersi arenata a febbraio. L’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa, OSCE, annunciava l’invio di 35 “osservatori” in Ucraina e il segretario della Difesa USA Hagel dichiarava, “All’inizio di questa settimana, ho detto al dipartimento della Difesa di sospendere tutti gli impegni militari e le esercitazioni con la Russia“, tra cui due manovre trilaterali con russi, canadesi e norvegesi. “Inoltre, il dipartimento della Difesa porta avanti misure volte a sostenere i nostri alleati, tra cui il rafforzamento dell’addestramento congiunto tramite il nostro distaccamento aeronautico in Polonia … e l’incremento della nostra partecipazione alla missione di polizia aerea della NATO sul Baltico. Penso che tutti in questo comitato sappiano… che è tempo per una leadership saggia, costante e ferma, è tempo per tutti noi di stare con il popolo ucraino sostenendone l’integrità territoriale e la sovranità”. Infine, la macchina propagandistica statunitense, oramai a corto di risorse dopo aver sfruttato nazisti, invertiti e prostitute, ha tirato fuori il decrepito buffone hollywoodiano Dalai Lama, che ha incoraggiato “gli Stati Uniti a dimostrare fiducia nella difesa della democrazia” in una riunione al Congresso di Washington. Il mese precedente il 79enne agente della CIA era intervenuto presso il think tank neoconservatore American Enterprise Institute.
Nel frattempo, l’inviato speciale delle Nazioni Unite, l’agente neocon Robert Serry, arrivava il 5 marzo in Crimea, ma dopo qualche ora doveva andarsene dopo essere stato fermato. “L’inviato speciale delle Nazioni Unite in Ucraina, Robert Serry, era in Crimea per avere un’idea della situazione nella penisola. Il 5 marzo, intorno alle ore 17, aveva visitato la guarnigione Karl Marx della Guardia Costiera ucraina a Simferopoli, dove aveva incontrato il Capo di Stato Maggiore e gli ufficiali. Alle ore 18, si era diretto alla conferenza stampa presso l’Hotel Moskva. Ma sulla strada, il veicolo venne circondato da tre auto non identificate. Senza presentare alcun documento, gli uomini hanno chiesto che Serry e il suo assistente tornassero immediatamente all’aeroporto per “motivi di sicurezza personale”. Quando gli chiesi se sapevano chi eravamo hanno insistito che ce ne andassimo verso l’aeroporto, ignorando i desideri di Serry e del suo assistente di recarsi all’hotel per raccogliere la loro roba. Serry e il suo assistente lasciarono l’auto per raggiungere a piedi la  conferenza stampa. Questi uomini li inseguirono, Serry prima era entrato in un caffè e poi si recò all’aeroporto per prendere un volo per Istanbul“. Il Primo ministro della Crimea Sergej Aksjonov aveva detto che non aveva invitato il rappresentante delle Nazioni Unite: “Non gli abbiamo inviato alcun invito e non siamo stati avvertiti del suo arrivo. La procedura usuale non è stata osservata“. Per meschina vendetta, a dimostrazione del grado di confusione inconsulta in cui sprofonda Washington per le sconfitte subite in Siria e Ucraina, il dipartimento di Stato degli Stati Uniti limitava i movimenti dell’ambasciatore della Siria alle Nazioni Unite, Dr. Bashar al-Jafari, e della delegazione diplomatica siriana all’ONU, imponendogli di non andare oltre un raggio di 25 miglia da New York City. La delegazione diplomatica siriana ha protestato contro tale sanzione illegale.
Il 6 marzo, nella città ucraina di Donetsk, la popolazione innalzava la bandiera russa sugli edifici del governatorato, tra cui gli edifici del Tesoro e dell’amministrazione regionale. “Abbiamo appeso un cartello che avverte che l’ente non funziona temporaneamente. Ora non si devono trasferire fondi a Kiev, lasciateli qui. Prepariamo un governo ad interim e quindi indiremo un referendum sullo status della regione di Donetsk e l’elezione di autorità legittime. Già formiamo gruppi di autodifesa per garantire la sicurezza dei cittadini”, aveva dichiarato il governatore “popolare” Pavel Gubarev. Infine, il Presidium del partito polacco Samooborona (Autodifesa) chiedeva al governo polacco di prendere misure per dialogare con la Federazione russa al fine di evitare la guerra civile in Ucraina. Nella dichiarazione, il partito polacco afferma che “il nuovo governo dell’Ucraina è golpista, anticostituzionale e contrario all’accordo tra l’opposizione e il Presidente Viktor Janukovich, adottato in presenza del ministro degli Esteri della Polonia, ed inizia la repressione delle minoranze nazionali in Ucraina. Autodifesa teme un palese attacco al popolo russo e che le altre minoranze, come l’ungherese e polacca, possano essere oggetto di discriminazione. Le forze scioviniste continuano a terrorizzare la popolazione dell’Ucraina. ‘Autodifesa’ comprende la posizione delle autorità russe, che vogliono stabilizzare la situazione in Ucraina. La Polonia, vicino occidentale dell’Ucraina, deve dialogare con Mosca per intraprendere un’azione congiunta per stabilizzare la situazione in Ucraina. Le autorità polacche hanno una speciale responsabilità verso le regioni dell’ovest ucraino, e una missione di pace russo-polacca potrebbe impedire ulteriore caos nello Stato ucraino“.
Alessandro Lattanzio, 8/3/2014
 
Fonte: http://aurorasito.wordpress.com/

Processo Marò, Il no alla polizia antiterrorismo mette in crisi l’accusa, salta l'ennesima udienza








8.3.2014
La fermezza italiana nel gestire il «caso marò» ha messo la pubblica accusa indiana all’angolo. Ieri, giorno per il quale era stata fissata l’ennesima udienza davanti alla Corte suprema di New Delhi, in realtà non c’è stata alcuna audizione. Tutto è slittato di alcuni giorni, per dare il tempo alla Procura di organizzare una risposta alla richiesta della difesa di non usare la polizia antipirateria e antiterrorismo contro due militari che hanno agito proprio durante una missione di pace antipirateria.
Dopo l’esclusione del Sua Act, contro Latorre e Girone, avvenuta nell’udienza del 24 febbraio, l’accusa aveva chiesto che potesse comunque essere lasciata in campo la la polizia antipirateria e antiterrorismo, la Nia. Ma a questo si erano opposti i legali dei marò. Così, giovedì scorso, il pool di avvocati della difesa ha presentato un’istanza scritta alla Corte suprema indiana in cui si oppongono all’utilizzo della Nia. La Nia, ha spiegato l’inviato del governo, Staffan de Mistura, può agire in base a leggi speciali, come quella per la repressione della pirateria, appunto il Sua Act. Ma la Corte Suprema, nel corso dell'ultima udienza, ha annunciato che il governo indiano rinunciava a questa legge per incriminare Salvatore Girone Massimiliano Latorre. A questo punto quindi, secondo la difesa dei due fucilieri della Marina, non ci sono più i presupposti per lasciare alla Nia la titolarità delle indagini.


  L’accusa si trova così a dover usare una padella senza manico o un manico senza padella e dovrà, nei prossimi giorni, spiegare cosa intende fare. Prevedibilmente i due marò torneranno davanti alla Corte suprema nella seconda metà di marzo. Questo in senso puramente figurato, visto che i due fucilieri di marina non sono mai comparsi personalmente davanti ai giudici indiani, tranne in un caso, lo scorso anno. Questo per ribadire la volontà italiana di far rispettare i loro diritti visto che, essendo militari italiani che hanno agito in acque internazionali durante un’operazione di peacekeeping, devono essere giudicati in Italia, sempre che meritino un giudizio.
Intanto, ieri, il ministro degli Esteri, Federica Mogherini, ha parlato con il capo della diplomazia indiana Salman Khurshid. Lo ha annunciato la stessa Mogherini su Twitter: «Parlato ora con il Ministro degli Esteri indiano Khurshid dei nostri # marò. Lavoriamo per riportarli in Italia».
La lapidaria affermazione ha scatenato reazioni indignate dell’opposizione: «Il ministro degli Esteri Mogherini oggi si è limitata a twittare di aver parlato con l’omologo indiano per riportare a casa i due marò - ha dichiarato il senatore Bruno Alicata, capogruppo di Forza Italia in commissione Difesa a Palazzo Madama - Ci aspettiamo qualcosa di più che non i soliti proclami senza sostanza». E ha continuato: «La presentazione da parte dei nostri marò di un'istanza contro l'impiego della Nia, la polizia indiana antiterrorismo che dovrebbe indagare sul caso - ha aggiunto - era sicuramente un atto dovuto e un passaggio obbligato. È infatti inaccettabile che Girone e Latorre siano ancora bloccati in India, che debbano essere processati da uno Stato che ha già dimostrato inaffidabilità per quanto riguarda il rispetto dei diritti umani, che continua a provocare attraverso continui rinvii e attraverso l'eventuale coinvolgimento di reparti antiterrorismo».
«Preferiremmo che alle parole, su questa delicata vicenda, seguissero finalmente delle azioni concrete», ha affermato il segretario nazionale dell'Italia dei Valori, Ignazio Messina, che ha aggiunto: «Come annunciato nei giorni scorsi, durante il sit-in promosso dall'IdV a sostegno dei marò, che si è tenuto davanti al ministero della Difesa, vogliamo che sia chiarito ogni dubbio, al fine di far emergere la verità. Anche per questo abbiamo presentato un'interrogazione parlamentare all'Unione europea».


Antonio Angeli- Il Tempo

07/03/14

Putin trionfa in Ucraina


Chi ha vinto, chi ha perso
Possiamo dire che l’occidente ucraino e l’occidente nel suo complesso, hanno perso in Ucraina. Dopo la rivoluzione arancione nel 2004, fui l’unico analista russo che, sconcertando molti in Russia, Ucraina e occidente, dissi in modo inequivocabile che, mentre i presidenti vincono le elezioni con il supporto dell’oriente e del meridione, ciò impedisce la mobilitazione di quelle regioni per i propri fini. Leonid Kuchma e Leonid Kravchuk capirono quanto fossero pericolose le mosse brusche, mentre avevano a che fare con l’instabilità dovuta alla presenza di due distinte culture, due lingue e due Paesi distinti storicamente. Avvertii anche allora che era meglio avere al potere Viktor Jushenko che Viktor Janukovich, perché Jushenko era dopo tutto un politico prevedibile anche se radicale. Non avrebbe seguito i radicali, una volta al potere, portando alla frattura del Paese. Mentre Kiev sembrava mantenere legittimità, il precario equilibrio era preservato. Dobbiamo constatare che in effetti, il vero sogno degli occidentali in Ucraina avrebbe dovuto essere tenere Janukovich al potere perché era un garante della stabilità e della conservazione dell’integrità territoriale dell’Ucraina.  L’arrivo al potere di radicali e nazionalisti, soprattutto con mezzi illegittimi, ovviamente porta al crollo dello Stato ucraino. Questo ha permesso alla Crimea di fare la stessa cosa, e così anche i protettori della Crimea e dell’Ucraina orientale, cosa che non si sarebbero mai sognato prima. Il crollo della legittimità a Kiev ha permesso alla Crimea di eleggere il sindaco di Sebastopoli e il suo Primo Ministro a Simferopol, che sono de facto filo-russi. Queste regioni hanno avuto l’opportunità di essere veramente indipendenti, ciò che il prossimo referendum suggellerà. Questo permette alle autorità della Crimea di non riconoscere la legittimità di Kiev, di fatto in conformità con la legge e la Costituzione. I golpisti hanno cacciato il legittimo Presidente Yanukovich e violato gli accordi garantiti dai ministri degli Esteri polacco, tedesco e francese. Inoltre, gli eventi in Crimea hanno ispirato russi e russofoni a Kharkov, Donetsk, Lugansk, Dnepropetrovsk e Odessa e, naturalmente, permesso a queste città di premere per la federazione. Il livello di federalizzazione in queste città, da un lato, e Kiev dall’altro, sarà oggetto di intensi negoziati, perché la popolazione russa e russofona dominante nelle città orientali e meridionali vuole avere una decisiva voce in capitolo sul proprio governo, sulla lingua che usa, sui libri che legge e sui media che guarda. Risultato di tutto ciò, l’Ucraina occidentale e l’occidente che purtroppo ha sostenuto, stimolato e aiutato l’intero processo, hanno subito una sconfitta schiacciante. Non hanno nemmeno capito che la caduta di Janukovich sarà la rovina dell’unità territoriale dell’Ucraina e che hanno incendiato casa con le proprie mani, piazzando una bomba a orologeria sull’integrità territoriale dell’Ucraina.

La strada per uscire dalla crisi
Nulla impedirà il referendum in Crimea, dopo di che sarà indipendente, avendo già dichiarato di negoziare le proprie relazioni con Kiev. Il nuovo trattato probabilmente legittimerà le sue forze militari, il suo ministero degli esteri e le istituzioni governative per le quali si terranno le elezioni. Forse conserverà ancora certi rapporti simbolici con Kiev. E l’Ucraina orientale seguirà questa strada. Può essere emotivamente soddisfacente per i politici occidentali denunciare questi eventi, ma la Russia continuerà a perseguire i propri legittimi interessi nazionali.

bigucraina


Andranik Migranjan
è il direttore dell’Istituto per la Democrazia e la Cooperazione di New York, che collabora con l’amministrazione presidenziale russa. È professore presso l’Istituto di Relazioni Internazionali di Mosca, ex-membro della Camera ed ex-membro del Consiglio di Presidenza russa.


fonte: AURORA

Il gioco delle tre carte prosegue, punto e accapo

Il Presidente Napolitano afferma che la disoccupazione in Italia è insopportabile, ennesimo e rituale richiamo al Governo. Renzi lo aveva già dichiarato all’atto della sua nomina, così come tutti indistintamente i ministri e i leader politici. Ma al contempo si inchinano ai diktat dell’Unione Europea e alle indicazioni dei banchieri. 



Lo scorso 28 febbraio l’ISTAT ha diffuso i dati su occupazione e disoccupazione in Italia, il tasso di disoccupazione è aumentato dello 0,2 per cento rispetto a dicembre 2013, raggiungendo il 12,9 per cento. In numeri assoluti, significa che ci sono 60 mila disoccupati in più rispetto a dicembre e 260 mila in più rispetto al gennaio 2013: in totale, 3.293.000 persone. Il tasso di disoccupazione giovanile (15-24 anni) è aumentato dello 0,3 per cento rispetto a dicembre e dello 0,8 rispetto a un anno fa e ha raggiunto il 42,24 per cento. In questo paese un giovane su due è senza lavoro per il semplice motivo che il sistema impresa si è disciolto come neve al sole.
Non occorrono particolari studi di Economia per comprendere che la drammatica flessione dell’apparato produttivo e commerciale, espande la disoccupazione. Di insopportabile c’è solo una cosa, egregio signor Presidente Napolitano e  signor Presidente del Consiglio: la pressione fiscale che è indegna di un paese civile, dissuadendo qualunque soggetto italiano o estero dal fare impresa.
O si è capaci di mettere mano al sistema fiscale riducendolo drasticamente di almeno la metà o va tutto a carte quarantotto. Non ci sarà alcun miracolo per mano di un Governo che sta ricalcando gli schemi precedenti, cioè impegnato prioritariamente nel rispetto di quegli obblighi finanziari UE che si traducono in una emorragia inarrestabile. Non c’è un barlume di attenzione dell’Europa verso la condizione sociale e la dignità della vita dei popoli, esiste solo arida contabilità nella perversa logica del ripianamento dei debiti bancari, intrisi di titoli tossici e dissoluzione dei depositi. Stiamo assistendo al gioco delle tre carte: i responsabili della più grande truffa della storia europea recitano ogni giorno la parte dei buoni, mentre continuano ad inventare nuovi balzelli, piegati ad una burocrazia del tutto sterile  e indifferente.
“Scarsa competitività e riforme insufficienti per tagliare il debito pubblico ormai fuori controllo”, la Commissione UE farà un controllo mirato sulle politiche da mettere in atto durante il semestre europeo. Il ministero dell’Economia risponde: “riforme del governo in linea con l’Europa!”. La sceneggiata continua, da Monti a Letta a Renzi. 

5/3/2014 - NITANO . La nuova Italia

Il governo italiano non perda tempo in slogan e intervenga subito



Roma, 7 mar. (Adnkronos) - "Il governo italiano non perda tempo in slogan e intervenga subito con azioni mirate e concrete per riportare a casa i nostri Marò. Non possiamo più accettare inutili e inconsistenti declinazioni al futuro (faremo, diremo, garantiremo, vigileremo...), quando in gioco ci sono da una parte le sorti dei due fucilieri di Marina, da due anni trattenuti ingiustamente in India, e dall'altra la riaffermazione urgente della nostra sovranità nazionale. E' arrivato il momento di dimostrare molto più di un semplice sostegno ideale. E' l'ora di azioni reali e determinate da parte del governo italiano, di un arbitrato giusto e di un autentico ed efficace sostegno di tutta la comunità internazionale". Lo dichiara il senatore di Forza Italia Riccardo Mazzoni, componente della commissione Difesa a palazzo Madama.

libero quotidiano.it

UCRAINA LE OPZIONI E LE DIVISIONI EUROPEE



Le diplomazie internazionali sono al lavoro per cercare una exit strategy dalla crisi ucraina. Oggi a Bruxelles si riuniscono i leader dei 28 paesi UE. Sul tavolo delle discussioni gli aiuti economici stanziati per l'Ucraina, che dovrebbero aggirarsi attorno agli 11 miliardi nei prossimi due anni, e la possibilità di adottare sanzioni contro la Russia.
Alla vigilia del Consiglio europeo, appare tuttavia complicato trovare una posizione comune con gli stati fermi sulle loro diverse posizioni. Una stretta economica contro la Russia potrebbe avere pesanti ripercussioni anche sui membri dell’UE, in particolare sulle forniture energetiche e l’export di beni e servizi. I 28 condividono la necessità per l’Unione di avere un ruolo più attivo e incisivo nella crisi ma la spaccatura tra i sostenitori della linea dura e coloro che spingono per una mediazione diplomatica, tra i quali Italia e Germania, rischia di paralizzare i lavori.

Quali sono le divergenze in seno all'Unione Europea?
La crisi ucraina ha messo nuovamente in luce le contraddizioni del rapporto tra Unione Europea e Russia. Come sottolineato dal Financial Times, l'Unione Europea sembra intenzionata a reagire in maniera diversa: da un lato le posizioni più dure della Polonia e degli altri paesi dell'Est, dall'altro la cautela mostrata da Germania, Italia, Francia, Gran Bretagna e Paesi Bassi. A pesare, oltre agli interessi economici, sono il forte grado di dipendenza energetica di alcuni di questi Paesi, ma anche le ripercussioni che eventuali danni arrecati all'economia russa potrebbero avere sul centro finanziario di Londra (la City è una delle destinazioni preferite dei flussi di denaro da parte dei magnati russi), o sugli stessi investimenti europei in Russia.
Quali sanzioni può imporre l’UE alla Russia?
Oggi scade l’ultimatum lanciato dall’UE alla Russia per ritirare le truppe dalla Crimea. Se ciò non dovesse accadere il Consiglio straordinario dell’UE riunitosi a Bruxelles potrebbe decidere di imporre sanzioni economiche e diplomatiche. Il Financial Times ne elenca 6 tipologie valutandone ripercussioni e rischi. Se l’UE dovesse imboccare questa strada, la risposta russa non si farà attendere. Secondo il Moscow Times la Russia è pronta a confiscare le proprietà europee, una mossa legalmente eccepibile e che potrebbe rivelarsi un boomerang per gli investimenti esteri dei quali Mosca ha un disperato bisogno.
Perchè Berlino non vuole isolare Mosca?
Mentre gli Stati Uniti continuano a premere sugli alleati per l’introduzione di sanzioni contro Mosca, il ministro degli esteri tedesco, Frank-Walter Steinmeier, ha ribadito l’intenzione del governo tedesco di proporre una soluzione diplomatica. Angela Merkel è stata la principale fautrice della missione Ocse, incominciata ieri a Odessa, per accertare sul campo la situazione segnando così la ferma opposizione di Berlino all'isolamento russo. Il Guardian sottolinea come per la Germania, che dipende per un terzo dalle forniture russe di gas, uno stallo con Mosca potrebbe rallentare la crescita economica e danneggiare la proiezione orientale.
Verso la “Guerra del Gas”?
La dipendenza energetica dell’Europa dalle forniture di gas naturale russo sarebbe un elemento che non permetterebbe alla UE stessa di avere le mani libere nella politica verso Mosca. Secondo l’Economist, circa il 25% dei consumi europei viene prodotto dalla Russia, e gran parte di questo (circa l’80%) transita attraverso l’Ucraina. La UE sarebbe quindi realmente minacciata dalla crisi in Ucraina e dovrebbe intervenire, favorendo il ricorso allo shale gas e promuovendo un accordo sull’esportazione di gas nord-americano. Di opinione simile il Financial Times che consiglia alla Ue una riduzione dalla dipendenza (70%) dal gas russo. Tuttavia, altri analisti contestualizzano questo pericolo ritenendo che i nuovi corridoi già esistenti aumentino la capacità di esportazione complessiva proprio mentre i consumi europei sono in calo per la crisi economica (con gasdotti che lavorano a capacità ridotta): la minaccia reale nel breve periodo sarebbe solamente per alcuni Paesi membri dell’UE, come la Slovacchia o la Bulgaria, mentre per gli altri i pericoli sarebbero più modesti anche grazie alla capacità degli stoccaggi.
Quanto pesa la Russia per l’economia italiana?
L’Italia è il quinto partner commerciale per la Russia, superata solo da Cina, Germania, Paesi Bassi ed Ucraina. Come riportato dai dati MAE aggiornati a ottobre 2013, il valore dell’interscambio italo-russo è stato di 26,4 miliardi di dollari, in leggero calo rispetto al 2012 e contro un interscambio russo-tedesco nello stesso anno di 42 miliardi. In questo documento, la Italian Trade Agency presenta l’evoluzione delle relazioni commerciali tra Roma e Mosca mentre Il Sole 24 Ore elenca le principali ripercussioni che le tensioni con Kiev potrebbero avere sui mercati e il commercio internazionale
6.3.2014 ISPI

Washington non ha modo di far nulla per l'Ucraina



FBII 5 marzo 2014

Mentre il segretario di Stato John Kerry invia un duro messaggio alla leadership russa, la stampa occidentale critica all’unanimità il presidente statunitense Barack Obama per la sua vaga posizione sull’Ucraina. Ma è tutto chiaro in questa faccenda?
La prerogativa delle affermazioni nette è responsabilità del segretario di Stato USA. Quindi non sorprende che John Kerry abbia promesso pieno sostegno alle nuove autorità di Kiev e isolamento internazionale ed espulsione dal G8 del Cremlino. “Ci sono molti modi per risolvere tale problema. Mentre il presidente Obama esortava il presidente russo Vladimir Putin, è il momento d’impegnarsi direttamente con il governo dell’Ucraina. Può essere fatto. Siamo pronti a mediare, ad aiutare. Siamo pronti a fornire ampia assistenza economica. Vogliamo che il Congresso si unisca a noi nel fornire tale assistenza“, ha detto Kerry il 2 marzo. Tuttavia, la cosa non poteva che essere diversa. Le azioni di Mosca hanno spezzato il lungo e proficuo lavorio degli Stati Uniti nell’insediare un regime conforme in Ucraina. D’altro canto, la reazione di Barack Obama (cioè, questo aspetto dovrebbe essere riconosciuto determinante nella strategia estera degli Stati Uniti) s’è rivelata sorprendentemente lenta. Obama ha avvertito la Russia che “ci sarà un costo” per l’intervento militare in Ucraina. Ma gli Stati Uniti hanno poche opzioni con cui imporre tale costo, e la storia recente ha dimostrato che quando ritiene i suoi interessi in gioco, la Russia è disposta a pagarne il prezzo. Il presidente degli Stati Uniti Barack Obama non ha parlato molto dalla Casa Bianca, il 28 febbraio, ma il suo messaggio era chiaro: la Russia non deve usare la forza militare per cambiare il destino dell’Ucraina. “Gli Stati Uniti sono con la comunità internazionale affermando che ci sarà un prezzo per qualsiasi intervento militare in Ucraina”, ha detto Obama. Il presidente ha fatto i suoi commenti mentre gli eventi si svolgevano rapidamente in Ucraina, con truppe che dalla Russia si sarebbero dirette in Crimea, nel meridione dell’Ucraina favorevole a legami stretti con la vicina Russia. Altre regioni dell’Ucraina e i nuovi capi di governo vogliono allinearsi con l’Europa. “Ora siamo profondamente preoccupati dalle notizie su movimenti militari della Federazione Russa in Ucraina“, ha detto Obama. “La Russia ha un rapporto storico con l’Ucraina, anche legami culturali ed economici, e una struttura militare in Crimea, ma qualsiasi violazione della sovranità e dell’integrità territoriale dell’Ucraina sarebbe profondamente destabilizzante, e non nell’interesse di Ucraina, Russia o Europa.” Ha detto che l’Ucraina deve essere autonoma. Inoltre, Obama ha ammesso di aver discusso la situazione con Vladimir Putin, e che in futuro continueranno i contatti diretti su questo tema.
Analizzando il discorso di Obama, i media internazionali sono completamente unanimi. L’editorialista e collaboratore di Fox News Charles Krauthammer ha detto ai telespettatori, il 28 febbraio su “Relazione speciale di Bret Baier“, che la dichiarazione di Obama sugli ultimi sviluppi in Ucraina mostra “debolezza” e implica che “non abbiamo davvero intenzione di fare nulla” nei tumulti politici in Ucraina. Krauthammer, tuttavia, ha detto che la dichiarazione del presidente non ha vigore. “Gli ucraini, e penso tutti, sono scioccati dalla debolezza della dichiarazione di Obama“, ha detto. “Ciò che dice è che non abbiamo realmente intenzione di fare nulla.” Krauthammer ha detto che la Russia deve interpretare le osservazioni di Obama quali suo autocompiacimento. “Ha detto che ogni violazione del territorio ucraino è destabilizzante e che non è nell’interesse della Russia. Istruisce Putin su ciò che è nell’interesse della Russia?“, s’è detto Krauthammer. “Vi posso assicurare, Putin ha calcolato i propri interessi ed ha calcolato il distacco della Crimea dall’Ucraina che la rende, in sostanza, una colonia della Russia, ed è nell’interesse della Russia, perché sa che non ha nulla da temere dall’occidente, perché non c’è nessuno a guidarlo. Era guidato dagli Stati Uniti.” La rivoluzione islamista in Egitto, la posizione vile in Libia, quando il presidente Nicolas Sarkozy dovette assumersi la responsabilità dell’operazione militare. Infine, Obama è stato “sconfitto” da Putin sulla questione siriana. Parlando su Fox News, il commentatore conservatore Charles Krauthammer ha detto che “tutti sono scioccati dalla debolezza della dichiarazione di Obama. Trovo sbalorditivo che … in realtà abbia detto che non facciamo niente...” “Putin agisce, e Obama dichiara solennemente“, titola la una nota del redattore della rivista conservatrice Weekly Standard, William Kristol. L’autore osserva che il presidente USA non ha specificato quali conseguenze attendono Mosca per l’intervento, e non ha nemmeno detto che gli USA guideranno la comunità internazionale per far pagare il minacciato “prezzo alto” al Cremlino. Obama ha detto che “dichiara solennemente” insieme ad altri Paesi che la Russia pagherà questo prezzo. “Ho il sospetto che il Presidente Putin non sia particolarmente preoccupato dalle proteste della comunità internazionale su eventuali conseguenze future, scrive Kristol. Ha visto che Bashar Assad ha ignorato dichiarazioni simili ed è sopravvissuto. Come Assad, Putin capisce l’azione, non una dichiarazione solenne“.
Non solo i conservatori, ma anche i liberali pretendono grande determinazione da Obama. The Washington Post dice: “Il presidente non ha fatto menzione di altre conseguenze oltre alla “condanna” internazionale e non specificati “costi”, e il presidente russo Vladimir Putin difficilmente ne sarà scoraggiato… L’occidente ha risposto con telefonate. Il Cremlino ha detto che Putin ha parlato con il primo ministro britannico David Cameron e la cancelliera tedesca Angela Merkel, e il segretario di Stato John F. Kerry ha chiamato il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov. Lavrov s’è lamentato che la Russia non viola il suo impegno all’integrità territoriale dell’Ucraina e Kerry non l’ha contraddetto“. L’occupazione russa della Crimea sfida Obama come in nessun’altra crisi internazionale, e al suo cuore, l’avvertimento sembra porre la stessa domanda: Obama è abbastanza duro da affrontare l’ex colonnello del KGB al Cremlino? Non è un compito facile. È una crisi molto diversa dalle altre affrontate da Obama. I limiti della sua influenza sono stati ricacciati indietro nelle ultime settimane, con la Siria che continua la guerra contro i ribelli e l’Afghanistan che si rifiuta di firmare l’accordo che consenta alle residue forze statunitensi di restare. Ora la crisi in Crimea presenta per Obama una minaccia essenziale che ricorda quella che affrontarono i suoi predecessori per quattro decenni, la lotta geopolitica nel cuore dell’Europa. In primo luogo, il governo filo-russo a Kiev, ora deposto, ha sfidato i suoi avvertimenti a non sparare sui manifestanti, e ora Putin ignora i suoi avvertimenti di starsene fuori dall’Ucraina. Le opzioni sul tavolo sono la sospensione della Russia dal G8, boicottaggio del vertice del G8 di giugno a Sochi, e l’imposizione di sanzioni che avrebbero per bersaglio gli oligarchi russi e le loro società, ma Putin sa già tutto questo, nota il Telegraph. In termini numerici, semplicemente non c’è peso, la Russia rappresenta meno del due per cento del commercio degli Stati Uniti, e l’Europa dipende ancora fortemente dal gas russo. Putin inoltre ricorda che simili minacce furono fatte nel 2008 dall’amministrazione di George W. Bush, dopo che i russi entrarono in una guerra con la Georgia, ma subito dopo l’insediamento di Obama nel 2009, gli USA ancora una volta avviarono il “reset”. Ma dato il suo ultra-realismo in politica estera, Obama sarà stato consapevole delle sue limitate possibilità più di chiunque altro. I critici ancora una volta si chiedono perché Obama rischia di ripetere l’errore sulla Siria, facendo minacce chiaramente vane. “Né gli USA né la NATO possono fermarlo. Hanno dimostrato di non farlo in Georgia, perché nessuno vuole una guerra nucleare con la Russia, ed è giusto sia così. Così, mentre Washington e Bruxelles fanno la voce grossa su linee, sovranità e diplomazia, la Russia farà quello che deve fare e non c’è cosa che possiamo fare al riguardo“, scrive la giornalista e blogger Julia Ioffe nel suo articolo sul liberal New Republic.
James F. Jeffrey, ex-viceconsigliere per la sicurezza nazionale di Bush nell’agosto del 2008, fu il primo ad informarlo che le truppe russe si muovevano in Georgia in risposta a ciò che il Cremlino  chiamò aggressione georgiana contro l’Ossezia del sud. Com’è accaduto, lo scontro ebbe luogo durante le olimpiadi; Bush e Putin erano entrambi a Pechino. Jeffrey, ora presso l’Istituto di Washington per la Politica del Vicino Oriente, ha detto che Obama dovrebbe ora rispondere in modo assertivo, suggerendo che la NATO schieri forze al confine polacco-ucraino per tracciare una linea. “Non c’è niente che possiamo fare per salvare l’Ucraina, a questo punto“, ha detto. “Tutto quello che possiamo fare è salvare l’alleanza“. Tuttavia, tutte queste discussioni non riguardano la questione sul modo con cui “salvare l’Ucraina”. La questione andrebbe posta così: gli Stati Uniti devono rischiare la reputazione sostenendo i burattini che hanno preso il potere con un golpe, o in questo Paese dovrebbero farsi da parte. In questo caso la Russia potrebbe completare la missione di pace nelle immediate vicinanze dei suoi confini? Più della metà dei politici e giornalisti stranieri è consapevole della vera natura del conflitto, incolpandone direttamente il mondo occidentale. “Piuttosto che riconoscere che la guerra fredda era finita, l’abbiamo riattivata senza nessuna buona ragione, incoraggiando i vicini della Russia ad aderire all’UE o alla NATO, come se l’URSS esistesse ancora. Negli ultimi mesi, l’Unione europea e gli Stati Uniti erano disposti a ferire, ma avevano paura di colpire, cercando aggressivamente di staccare l’Ucraina dalla Russia e trarla nell’orbita dell’UE, ben sapendo che questo avrebbe fatto infuriare Mosca“, dice il Daily Mail.
Sulla scia della rivoluzione arancione, che impedì a Janukovich di andare al potere dopo le elezioni truccate del 2004, secondo una delle più rispettate fonti online statunitense, Bloomberg, le forze filo-russe “con il finanziamento e la direzione di Mosca“, hanno intrapreso un pluriennale sforzo per attizzare le tensioni comunali in Crimea e “impedire all’Ucraina di volgersi a occidente verso  istituzioni come NATO e UE“, secondo un altro cablo trapelato del dipartimento di Stato degli Stati Uniti. E’ più che probabile che non solo la debolezza renda Obama molto attento nelle sue dichiarazioni. Forse, valutando gli argomenti ucraini e russi, la Casa Bianca ha fatto la scelta giusta. L’Ucraina potrebbe rischiare i rapporti con Mosca, ma per cosa? Le nuove autorità separatiste in una settimana hanno precipitato il Paese nell’anarchia, commettendo violenze e operazioni di pulizia. Hanno compiuto una serie di provocazioni avviando un processo di segregazione culturale e linguistica nell’Ucraina orientale e meridionale. Ragionevolmente, tra l’altro USA, UE e FMI  ritardano il problema della sistemazione con Kiev dei prestiti a lungo promessi… Sembra che Barack Obama questa volta abbia deciso di agire senza emozione e secondo le regole della vera  politica. Dopo tutto, la Russia è profondamente integrata nei programmi politici ed economici internazionale. Inoltre, Washington è alla mercé del Cremlino su una serie di questioni. La liquidazione delle armi chimiche siriane, l’evacuazione delle truppe statunitensi dall’Afghanistan, il programma nucleare iraniano, ecc. Ecco perché Washington alla fine sarà costretta a riconoscere legittima l’azione per la prevenzione dei conflitti in Crimea effettuata dalla presenza delle forze armate russe. Dettagli sottili sono la prova indiretta che gli statunitensi hanno scelto questo scenario. Per esempio, un funzionario della Casa Bianca ha contattato alcuni giornalisti per dirgli che la squadra del presidente Obama li avrebbe incontrati il 1 marzo per discutere della situazione in Ucraina. Sembra che il presidente Obama non vi abbia partecipato.
Pochi giorni prima del deterioramento delle relazioni con la Russia, gli Stati Uniti hanno ritirato il loro ambasciatore dalla Russia per una sostituzione programmata. Di conseguenza, ora Washington ha il pretesto per non applicare una forma estrema di pressione diplomatica, ritirando il cosiddetto ambasciatore per consultazioni. E’ una coincidenza?


fonte: Aurora

06/03/14

indagini approssimative, non sanno nemmeno chi ha sparato

 

    Parla l'avvocato Michele Spina, docente di Diritto e procedura penale e militare alla Seconda Università di Napoli


Indagini effettuate in modo approssimativo, esami fondamentali mai fatti. Spiega contraddizioni e lacune degli investigatori indiani Michele Spina, avvocato penalista, docente alla Seconda Università di Napoli in Diritto e procedura penale e militare. È membro dell’esecutivo nazionale dell’Italia Dei Valori.
Avvocato Spina, ci sono molte zone d’ombra nella vicenda marò. Quali sono le più gravi?
«È acclarato che i fatti sono avvenuti in acque internazionali, ma l’India vuole far passare il discorso della contiguità delle acque, che invece riguarda solo gli aspetti economici-commerciali e non ha nulla a che vedere con il penale. Tra l’altro non sappiamo neanche chi ha dato l’ordine di rientro della nave. Inoltre, si parla di proiettili compatibili, ma io faccio il penalista da 40 anni e un proiettile, se è compatibile con un’arma, non vuol dire che è stato sparato da quell’arma. Ritengo che in Italia si sarebbe arrivati a dare una sentenza di eccesso colposo nell’uso legittimo delle armi».
Carenze anche dal punto di vista procedurale.
«Noi non abbiamo partecipato alla perizia balistica e questa è un’altra burla. In Italia se io vengo incriminato il primo atto irripetibile è vedere se quella mano ha sparato di recente, attraverso il guanto di paraffina. Neanche questo è stato fatto».
Come giudica il comportamento dell’Italia nella vicenda dei marò?
«Il governo Monti ha gestito questa vicenda con leggerezza, poi con il governo Letta si è tentato di rimettere le cose a posto. Adesso vedremo cosa succederà con Renzi. L’Italia riteneva che tutto si sarebbe risolto a livello diplomatico, ma l’intendimento dell’India è stato chiaro fin da subito. Quando un ministro parla, parla a nome di tutto il governo, non a titolo personale. Inoltre ritengo che sarebbe stato opportuno informare maggiormente gli italiani su quanto veramente è accaduto. Purtroppo c’è ancora molta disinformazione sui marò».
Anche l’Europa si è mossa colpevolmente in ritardo?
«L’Europa è stata proprio completamente assente. Bisogna ottenere un arbitrato internazionale e in questo ci deve dare una mano l’Onu. Sembrava che qualcosa si stesse muovendo, ma poi c’è stata una frenata. Non si deve dimenticare che sulla nave vi era un nucleo di militari armati sulla base di una funzione anti-pirateria, comandata dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Per far sì che si arrivi a una soluzione internazionale dobbiamo sensibilizzare molto l’opinione pubblica».
Quanto hanno influito in questa vicenda gli intensi rapporti economici tra Italia e l’India?
«Non lo so, ma i rapporti economici non si può escludere che abbiano influito. L’Italia adesso, finalmente, in un modo un po’ più deciso sta rivendicando la nostra giurisdizione».
Cosa nascondono i 27 rinvii della Corte suprema indiana?
«Lì c’è una situazione incandescente, a causa delle elezioni che si terranno il prossimo maggio. La vicenda rischia di essere quindi strumentalizzata dai partiti in lizza per la vittoria. Io sono convinto che c’è stata una disattenzione da parte dell’Italia, perché si pensava a una soluzione bonaria e diplomatica. L’india non ha rispettato precisi accordi internazionali e ha proceduto in maniera molto poco chiara. Ad esempio, ancora non sappiamo quasi nulla anche sul capo di imputazione. C’è stato un palese mancato rispetto delle regole processuali. Anche su questo dobbiamo protestare e farci sentire».
Inizialmente si era parlato anche di una condanna alla pena di morte con l’applicazione delle legge anti-pirateria.
«È incredibile, l’India voleva applicare la legge anti-pirateria, a coloro, i due marò, che stavano lì proprio per contrastare la pirateria. Paradossale».
Andrea Barcariol- Il Tempo.it





I piloti boicottano l'alfabeto in volo in onore dei due Marò







E' una protesta garbata e non violenta quella che frulla nella testa dei piloti civili italiani, che volano in tutto il mondo, per sostenere le ragioni della liberazione dei due Marò. A due anni di distanza dal fermo dei fucilieri Salvatore Girone e Nicola Latorre in India si sta diffondendo tra i comandanti e i piloti l'idea di boicottare il tradizionale alfabeto Icao, quello usato per le comunicazioni in volo – per intenderci il linguaggio da Top gun per cui Alpha sta per "a", Bravo sta per "b", Tango per "t" –, e sostituire il canonico "India" con "Italy" o "Italia". Il tam tam sulla rete è partito a fine febbraio e nei cieli qualcuno ha già cominciato a cambiare linguaggio e così sarà finché i due militari della Marina non saranno liberi e rimpatriati. Si tratta di piloti degli aerei di linea, chissà se anche quelli dell'aeronautica militare decideranno di rivedere il loro alfabeto.

" bisogna alzare forte la voce "






Ardea 6/3/2014
 
...e ad Ardea si continua a parlare di sicurezza, c'è stato un consiglio comunale che doveva essere improntato su questa questione...doveva....

Il senso di sicurezza non è un vestito da indossare, è una sensazione, tanto più sentita quanto più si avverte la presenza dello Stato, quello che non ti lascia solo, che ti segue, ti ascolta e riesce a risolvere i problemi che affliggono la comunità. Quei problemi che quando invece si protraggono nel tempo, ti provocano una sensazione di “violenza”, che può entrarti in casa, nel tuo intimo, che ti perseguita, che contamina il vivere quotidiano, le azioni più comuni e semplici che non possiamo fare a meno di fare............una indescrivibile insicurezza.

Leggevo ieri su un quotidiano di informazione locale ( Vd. Il Pontino N°5 – 1/15 marzo 2014 ) alcune dichiarazioni di esponenti politici del Comune Rutulo, sulle quali preferisco non commentare, e “ Una forte nota dell'Associazione Nuova California in merito alla sicurezza del territorio “
" BISOGNA ALZARE FORTE LA VOCE “.
Una nota nella quale, ancora una volta, si riafferma la vocazione turistica che dovrebbe avere il comune di Ardea e di come ciò non possa essere possibile, motivo principale la mancanza di sicurezza e controlli, e ciò che ne consegue, non per lo scarso impegno delle Forze dell'ordine quanto per la carenza di uomini e mezzi. E si che Ardea, nell'ultimo rapporto presentato dalla Regione sulla criminalità nel Lazio non si trova certo agli ultimi posti ed è quindi un mistero se dopo tanti anni di cronaca nera e ripetute richieste, si lamenta ancora la scarsa presenza di tutori dell'ordine, considerato anche che, secondo gli addetti ai lavori, uno dei più efficaci deterrenti contro le attività criminose è proprio il controllo del territorio, e per questo servono appunto uomini e mezzi. Una denuncia di oggi,  quella dell'Associazione, che credo si ripeta da anni.
Nella nota si fa cenno anche al complesso “ LE TORRI ” da anni occupato illegalmente da extracomunitari nulla facenti e rom, dove gli abitanti che vivono nelle immediate vicinanze sono costretti da tempo a convivere e ad assistere inermi a soprusi di ogni genere che vanno dallo spaccio della droga ai furti nelle abitazioni, passando per ogni tipo di attività illecite. Gli stessi soprusi che sono stati costretti a subire, ed in parte subiscono ancora, alcuni abitanti regolari che vivono nel complesso “ LIDO DELLE SALZARE “.
E quelli che hanno la sfortuna di possedere un appartamento confinante con il residence, comprato con tanti sacrifici, vivono di fatto nel terrore, in continua apprensione nel periodo estivo e non di meno durante l'inverno per il timore di furti, o che l'appartamento venga abusivamente occupato e danneggiato. Basta farsi una passeggiata su Google per rendersi conto della quantità impressionante di atti delinquenziali di cui è stato testimone quello che viene chiamato anche “ Il Serpentone”.
Il complesso, oggetto anche di innumerevoli vertenze giudiziarie, sorge a pochi passi dalla litoranea e a un centinaio di metri dal sito archeologico Castrum Inui ( http://www.castruminui.it/ ), le vie che lo circondano non sono illuminate, le strade non sono manutenute, si tocca con mano la scarsa presenza delle istituzioni. E quando chi vive ai bordi della legalità incontra un sito come questo ha trovato il suo paradiso....e qui si ferma.

Di seguito alcuni scatti relativi al residence, sono di ieri, un degrado ambientale che nel corso della scorsa estate ci ha regalato la gradita presenza di mosche, mosconi, zanzare e topi, un buon odore e qualche sana boccata di diossina quando qualche cumulo di rifiuti andava a fuoco.
Insomma, se l'Italia ha vinto l'Oscar e Roma si fa pubblicità con “ la grande bellezza “ qui trionferebbe, mettendo da parte la vergogna, “ La grande monnezza “.





   







emme