Quante
volte abbiamo protestato e invocato il voto in questi cinque anni di
centrosinistra? Tante volte, l’abbiamo fatto quando Giorgio Napolitano
incaricò Enrico Letta pur in presenza di una chiara confusione
parlamentare.
L’abbiamo fatto nuovamente quando lo stesso capo dello Stato, in piena sindrome di Bismark, e tirando la Costituzione, impose Matteo Renzi defenestrando Letta “motu proprio”. Infine, ci abbiamo provato quando dopo il fallimento del referendum su una proposta di riforma costituzionale impresentabile, Renzi sconfitto si è dimesso fragorosamente.
Eppure, nonostante tutto e nonostante fosse chiaro che le maggioranze dei governi (Letta, Renzi, Gentiloni) risultassero non solo risicate, ma assolutamente spurie e piuttosto ipocrite, non ci hanno fatto votare. E non ci è stato permesso con la scusa della stabilità, della tenuta dei mercati, delle indicazioni costituzionali, insomma di tutto pur di impedire il plebiscito popolare. Parliamo di scuse perché si sapeva bene che le ragioni fossero altre, del resto altrove in Europa si è votato e rivotato pur di arrivare a maggioranze più chiare e coerenti senza che scoppiassero rivoluzioni e disastri finanziari.
Ma da noi no, da noi bisognava andare avanti a dispetto dei Santi e soprattutto per volere dell’Europa e della catena di poteri forti e finanziari che ci costringe. Perché sia chiaro, il vero merito della scaltrezza e della capacità del centrosinistra è stato quello di creare in decenni di potere, una rete di comando e di collegamento nei posti chiave interni e esterni al Paese. Si tratta di un lavoro che viene da molto lontano, dalla Prima Repubblica e che gli anni di governo del centrodestra non sono riusciti a spazzare per scarsa coesione e coerenza dell’alleanza. Ecco perché stavolta il centrodestra deve essere unito e solidale imperturbabilmente in caso di auspicabile vittoria. Perché il centrosinistra in sessanta anni di potere, sui settanta di vita repubblicana, è riuscito a creare un Paese a sua immagine e somiglianza.
Dc e Pci hanno, prima da fronti apparentemente opposti e poi attraverso una fusione astuta e concordata, generato un’architettura di sistema e di potere inestricabile, diffusa e centralista. Hanno cresciuto un’Italia statalista, assistenzialista, clientelare, familista, come nemmeno nei socialismi reali si è potuto fare. I due ex giganti della politica nostrana hanno costruito un apparato statale e burocratico da brividi, costituito enti e società pubbliche ad hoc, distribuito cariche e poltrone strategiche utili solo al mantenimento del potere. Come se non bastasse, hanno fatto della previdenza uno strumento elettorale, del deficit spending un uso familista, dell’ingresso in Europa una assicurazione personale. Insomma, non è per caso che l’Italia si ritrovi la devastazione pensionistica, la voragine del debito, la frattura tra Nord e Sud, il capitalismo familiare, gli infiniti enti pubblici, un sistema bancario in parte compromesso e lo Stato onnipresente. Non è un caso perché solo con un certo sistema sarebbe stato possibile mantenere potere e controllo, distribuire incarichi, tramandare poltrone, assicurarsi voti, gestire l’informazione e diluire sia la giustizia sociale e sia quella fattuale. Ecco perché l’Italia è cresciuta non solo come un albero storto, che non si è mai raddrizzato, ma si ritrova per un motivo o per l’altro sempre la stessa catena di comando.
Bene, il quattro marzo finalmente ci sarà dato modo di esprimere quel voto che in questi cinque anni così tanto abbiamo invocato inutilmente. Potremo scegliere fra l’ossessione fiscale e la flat tax, fra la Legge Fornero e l’equità previdenziale, fra l’immigrazione sfuggita ad ogni controllo e una gestione possibile dei flussi. Potremo decidere se essere sudditi in Europa oppure farci sentire come Paese fondatore e indispensabile. Potremo optare per un governo laico che ponga lo sviluppo del Sud, delle bellezze artistiche, dell’ambiente, dei giovani e degli anziani al primo posto. Potremo, infine, decidere per una maggioranza che voglia meno Stato, meno burocrazia, meno leggi e più liberalismo, pluralismo di mercato e democrazia della concorrenza.
Insomma, il quattro marzo dunque sarà l’unica occasione prima di ritornare all’ininfluenza elettorale per cambiare il Paese contro gli sbagli del centrosinistra, dei cattocomunisti, emancipandolo così dalla continua interferenza vaticana. Cari amici, votiamo e invitiamo a farlo, il futuro dell’Italia dipende da questo. Solo da questo.
L’abbiamo fatto nuovamente quando lo stesso capo dello Stato, in piena sindrome di Bismark, e tirando la Costituzione, impose Matteo Renzi defenestrando Letta “motu proprio”. Infine, ci abbiamo provato quando dopo il fallimento del referendum su una proposta di riforma costituzionale impresentabile, Renzi sconfitto si è dimesso fragorosamente.
Eppure, nonostante tutto e nonostante fosse chiaro che le maggioranze dei governi (Letta, Renzi, Gentiloni) risultassero non solo risicate, ma assolutamente spurie e piuttosto ipocrite, non ci hanno fatto votare. E non ci è stato permesso con la scusa della stabilità, della tenuta dei mercati, delle indicazioni costituzionali, insomma di tutto pur di impedire il plebiscito popolare. Parliamo di scuse perché si sapeva bene che le ragioni fossero altre, del resto altrove in Europa si è votato e rivotato pur di arrivare a maggioranze più chiare e coerenti senza che scoppiassero rivoluzioni e disastri finanziari.
Ma da noi no, da noi bisognava andare avanti a dispetto dei Santi e soprattutto per volere dell’Europa e della catena di poteri forti e finanziari che ci costringe. Perché sia chiaro, il vero merito della scaltrezza e della capacità del centrosinistra è stato quello di creare in decenni di potere, una rete di comando e di collegamento nei posti chiave interni e esterni al Paese. Si tratta di un lavoro che viene da molto lontano, dalla Prima Repubblica e che gli anni di governo del centrodestra non sono riusciti a spazzare per scarsa coesione e coerenza dell’alleanza. Ecco perché stavolta il centrodestra deve essere unito e solidale imperturbabilmente in caso di auspicabile vittoria. Perché il centrosinistra in sessanta anni di potere, sui settanta di vita repubblicana, è riuscito a creare un Paese a sua immagine e somiglianza.
Dc e Pci hanno, prima da fronti apparentemente opposti e poi attraverso una fusione astuta e concordata, generato un’architettura di sistema e di potere inestricabile, diffusa e centralista. Hanno cresciuto un’Italia statalista, assistenzialista, clientelare, familista, come nemmeno nei socialismi reali si è potuto fare. I due ex giganti della politica nostrana hanno costruito un apparato statale e burocratico da brividi, costituito enti e società pubbliche ad hoc, distribuito cariche e poltrone strategiche utili solo al mantenimento del potere. Come se non bastasse, hanno fatto della previdenza uno strumento elettorale, del deficit spending un uso familista, dell’ingresso in Europa una assicurazione personale. Insomma, non è per caso che l’Italia si ritrovi la devastazione pensionistica, la voragine del debito, la frattura tra Nord e Sud, il capitalismo familiare, gli infiniti enti pubblici, un sistema bancario in parte compromesso e lo Stato onnipresente. Non è un caso perché solo con un certo sistema sarebbe stato possibile mantenere potere e controllo, distribuire incarichi, tramandare poltrone, assicurarsi voti, gestire l’informazione e diluire sia la giustizia sociale e sia quella fattuale. Ecco perché l’Italia è cresciuta non solo come un albero storto, che non si è mai raddrizzato, ma si ritrova per un motivo o per l’altro sempre la stessa catena di comando.
Bene, il quattro marzo finalmente ci sarà dato modo di esprimere quel voto che in questi cinque anni così tanto abbiamo invocato inutilmente. Potremo scegliere fra l’ossessione fiscale e la flat tax, fra la Legge Fornero e l’equità previdenziale, fra l’immigrazione sfuggita ad ogni controllo e una gestione possibile dei flussi. Potremo decidere se essere sudditi in Europa oppure farci sentire come Paese fondatore e indispensabile. Potremo optare per un governo laico che ponga lo sviluppo del Sud, delle bellezze artistiche, dell’ambiente, dei giovani e degli anziani al primo posto. Potremo, infine, decidere per una maggioranza che voglia meno Stato, meno burocrazia, meno leggi e più liberalismo, pluralismo di mercato e democrazia della concorrenza.
Insomma, il quattro marzo dunque sarà l’unica occasione prima di ritornare all’ininfluenza elettorale per cambiare il Paese contro gli sbagli del centrosinistra, dei cattocomunisti, emancipandolo così dalla continua interferenza vaticana. Cari amici, votiamo e invitiamo a farlo, il futuro dell’Italia dipende da questo. Solo da questo.