Molti tendono a considerare Matteo Renzi una soluzione, mentre egli è il problema non dell’Italia, ma di se stesso.
Se esaminiamo la vicenda del presidente fiorentino alla luce del 
liberalismo classico, non dei variegati pseudoliberalismi spuntati sotto
 le nostrane bandiere rosse, dopo (dopo!) che il bolscevismo 
era stato ammainato dal pennone del Cremlino nell’anno di grazia 1991, 
constatiamo che, in forza delle capricciose spinte renziane, va 
diffondendosi la dottrina che il potere del premier deve essere meno 
limitato e più potenziato, non solo perché ciò sarebbe un bene in sé 
alla luce della modernità globalizzata, ma anche per consentirgli di 
fare quelle riforme che, a suo dire, sono attese da ben prima che la 
Costituzione fosse emanata. Egli sostiene una sorta di teoria pagana 
dell’Avvento: l’Italia lo aspettava da sempre per risorgere dal letargo 
nel quale, peraltro, la sua radice politica l’aveva addormentata. 
Sennonché Renzi è un risorto senz’essere morto prima. Non c’è niente di 
divino in lui, benché egli lo creda davvero.
Sentiamo spesso dire che in tutti i leader politici la considerazione
 di sé supera i meriti. Insomma, che la presunzione sovrasta la 
valutazione. Ma tra gli scopi nobili di un vero statista non è 
ricompresa l’affermazione personale, se non come un mezzo per conseguire
 un nobile risultato. Tutto questo, appunto, sfugge, per ora, nella 
figura e nell’opera del Oresidente del Consiglio. Il suo “disegno 
deformatore” delle istituzioni (legge elettorale+riforma costituzionale)
 serve a concentrare e rafforzare nelle sue mani il potere politico e 
l’indirizzo governativo. Egli mira ad avere le mani più libere per agire
 più liberamente. Perché? Perché è ultraconvinto di rappresentare, 
politicamente parlando (e forse non solo), il bene della nazione, com’è 
comprovato pure da certe sue demagogiche misure legislative ed 
amministrative le quali denotano l’intenzione di comprare i voti e 
l’appoggio in alto e in basso degli strati sociali, piuttosto che di 
liberalizzare la società.
Secondo le immortali parole del nostro Maestro di libertà, David 
Hume, “Gli scrittori politici hanno stabilito come una massima che, 
nell’escogitare qualunque sistema di governo, e nel fissare i molti 
limiti e controlli della Costituzione, ogni uomo dovrebbe proprio essere
 presunto un farabutto ed avere nessun altro fine, in tutte le 
sue azioni, che l’interesse personale. In base a questo interesse noi 
dobbiamo guidarlo e, per mezzo di esso, farlo cooperare al pubblico bene
 nonostante la sua insaziabile avidità ed ambizione. Senza ciò, essi 
dicono, invano ci glorieremo dei benefici di qualunque Costituzione e 
troveremo, alla fine, che non abbiamo nessuna sicurezza per le nostre 
libertà e proprietà, eccetto la buona volontà dei nostri governanti; 
cioè non avremo nessuna sicurezza in assoluto”.
Orbene, la polimorfa fretta operativa e la ridondante supponenza 
teorica di Renzi non sono appoggiate su alcuna coerente base ideale, ma 
sostenute da ondivaghe e fragili opinioni. Il suo modo di pensare e 
d’agire (cioè secondo lo schema: siccome lo penso io, dev’essere così), 
sembra evocare, sebbene in sedicesimo e in controluce, le preoccupazioni
 humiane.
di Pietro Di Muccio de Quattro - 5 marzo 2016
fonte: http://www.opinione.it

 







 
            
            
 
     
    
  



