Questo blog non rappresenta una testata giornalistica in quanto viene aggiornato senza alcuna periodicità . Non può pertanto considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge n° 62 del 7.03.2001. L'autore non è responsabile per quanto pubblicato dai lettori nei commenti ad ogni post. Verranno cancellati i commenti ritenuti offensivi o lesivi dell’immagine o dell’onorabilità di terzi, di genere spam, razzisti o che contengano dati personali non conformi al rispetto delle norme sulla Privacy. Alcuni testi o immagini inserite in questo blog sono tratte da internet e, pertanto, considerate di pubblico dominio; qualora la loro pubblicazione violasse eventuali diritti d'autore, vogliate comunicarlo via email all'indirizzo edomed94@gmail.com Saranno immediatamente rimossi. L'autore del blog non è responsabile dei siti collegati tramite link né del loro contenuto che può essere soggetto a variazioni nel tempo.


Non smettete mai di protestare; non smettete mai di dissentire, di porvi domande, di mettere in discussione l’autorità, i luoghi comuni, i dogmi. Non esiste la verità assoluta. Non smettete di pensare. Siate voci fuori dal coro. Un uomo che non dissente è un seme che non crescerà mai.

(Bertrand Russell)

07/10/17

Brani tratti da: " DOVERI VERSO LA PATRIA " di G. Mazzini




"Senza Patria, voi non avete nome, né segno, né voto, né diritti, né battesimo di fratelli tra i popoli. Siete i bastardi dell’ Umanità. Soldati senza bandiera, israeliti delle Nazioni, voi non otterrete fede né protezione"

" A voi uomini nati in Italia, Dio assegnava, quasi prediligendovi, la Patria meglio definita d’ Europa. Dio v’ha steso intorno linee di confini sublimi, innegabili: da un lato, i più alti monti d’Europa, l’Alpi; dall’altro, il Mare, l’ immenso Mare."

" Dio v’ha data, come casa del vostro lavoro, una bella Patria, provveduta abbondantemente di tutte risorse, collocata in modo da esercitare influenza su tutte le terre abitate da uomini come voi, protetta dal mare e dall’Alpi, confini sublimi che la dichiarano destinata ed essere indipendente: questa vostra Patria fu grande e libera un tempo; grande e libera quando le nazioni ch’ora vi stanno innanzi in tutto, erano piccole e serve; e voi non la curate, non l’amate […] e lasciate ch’essa sia decaduta, avvilita, sprezzata, malmenata da principi e governi imbecilli […]. "

" Dio v’ha fatti con una stessa fisionomia per conoscervi, con una stessa lingua madre di tutti i vostri dialetti per intendervi […] e voi vi state divisi, […] spesso ostili tra voi, ubbidienti a vecchie e stolte rivalità fomentate, perché siate sempre deboli, dai vostri padroni, e vi dite romagnoli, genovesi, piemontesi, napoletani, quando non dovreste dirvi ed essere che ITALIANI. "

" In quasi tutti i paesi, la sorte degli uomini di lavoro è diventata più incerta, più precaria. E nondimeno, in questi ultimi cinquanta anni, le sorgenti della ricchezza sociale e la massa dei beni materiali sono andate crescendo. La produzione ha raddoppiato. Il commercio ha conquistato più forza d’attività e una sfera più estesa alle sue operazioni. Le comunicazioni hanno acquistato pressoché dappertutto sicurezza e rapidità, e diminuito quindi, col prezzo del trasporto, il prezzo delle derrate.
Perché dunque la condizione del popolo non ha migliorato? Perché il consumo dei prodotti, invece di ripartirsi equamente fra tutti i membri delle società si é concentrato nelle mani di pochi uomini appartenenti a una nuova aristocrazia? Perché il nuovo impulso comunicato all’industria e al commercio ha creato, non il benessere dei più, ma il lusso d’alcuni? "

Giuseppe Mazzini

Mali: le chiese cristiane nel mirino dei jihadisti

l'8 febbraio scorso era stata rapita una suora cattolica, suor Gloria Argoti






In Mali, Nazione dell’Africa occidentale, “i jihadisti locali hanno iniziato a prendere di mira le comunità cristiane e si tratta di uno sviluppo preoccupante”. E’ l’allarme lanciato da don Edmond Dembélé, Segretario generale della Conferenza Episcopale maliana, il quale riferisce che “nella diocesi di Mopti, nel centro-nord del Paese, ci sono almeno tre chiese che hanno ricevuto la visita dei jihadisti che hanno impedito ai fedeli di riunirsi per pregare, di suonare le campane ed hanno distrutto alcuni arredi e oggetti sacri”.

Bruciati i simboli religiosi

“La settimana scorsa – racconta don Dembélé sull’organo di informazione delle Pontificie Opere Missionarie – nel villaggio di Dobara, alcuni armati hanno forzato la porta della chiesa, hanno preso crocifissi, immagini e statue della Vergine Maria e li hanno bruciati sul sagrato. In precedenza, nel villaggio di Bodwal, i cristiani sono stati cacciati dal luogo di culto da uomini armati che li hanno minacciati, dicendo che li avrebbero uccisi se avessero pregato ancora in chiesa”.

Violenze al sud

La zona di Mopti – un’area al confine con il Burkina Faso già da tempo attaccata dai jihadisti – non era stata finora particolarmente colpita dalle azioni dei fanatici che sono comunque presenti nel Paese da tempo. Ma l’odio degli estremisti si sta estendendo a macchia d’olio anche nel sud del Paese, finora risparmiato dalla violenza, come dimostrato dal rapimento di suor Gloria Cecilia Narváez Argoti, della Congregazione delle Suore Francescane di Maria Immacolata, sequestrata a Karangasso, della quale non si hanno notizie dal giorno del rapimento avvenuto l’8 febbraio scorso.

Suor Cecilia

 

“Quello che ci preoccupa – conclude il Segretario generale della Conferenza Episcopale del Mali – è che questi gruppi finora non avevano preso di mira i cristiani in modo specifico. La situazione è cambiata da qualche mese e per questo abbiamo lanciato l’allarme”. Sulla sorte di Suor Cecilia, don Dembélé ha detto che “purtroppo non abbiamo notizie e non abbiamo contatti con i suoi rapitori”.


fonte: http://www.interris.it

06/10/17

Immigrazione | Gli sbarchi tornano ad aumentare, dopo mesi


Il Ministero dell’Interno, attraverso il suo “cruscotto giornaliero” segnala che sono ripresi gli sbarchi di migranti. E che, dal 26 settembre ad oggi, sono addirittura più numerosi rispetto allo scorso anno. Questo accade dopo che per quasi tre mesi (da luglio a fine settembre, appunto) si era registrato un crollo di arrivi.



Gli osservatori internazionali se ne erano da subito domandati il motivo. Da qualche settimana è emersa la possibilità che il governo italiano avesse pagato le milizie e le brigate che controllano parte della Libia affinché istituissero una sorta di “blocco navale”. Il notevole calo di sbarchi non si poteva infatti spiegare con il codice di condotta per le ONG, ed è noto che il governo di Tripoli non controlla da solo il territorio.

Questa tesi è stata avvalorata da più di una fonte, oltre che da noti media quali Associated Press, New York Times e Washington Post: i quali hanno preso una posizione molto dura sull’accordo, sempre negato dalle istituzioni italiane.
Secondo il Ministro dell’Interno Minniti il calo di sbarchi sarebbe infatti dovuto agli accordi stretti tra l’inverno e la primavera con il governo ufficiale libico, a quelli con i sindaci di diverse città costiere e al potenziamento oltre che all’addestramento (che ormai dura da mesi) della “Guardia Costiera Libica”. Anche se è difficile stabilire cosa si intenda con ciò, dato che la difesa dei mari del Paese nordafricano è spesso affidata a mercenari che – come testimoniato dai rapporti di Amnesty International e non solo – rischiano di mettere in pericolo le vite di coloro che dovrebbero salvare in mare.
La versione di Minniti, però, non convince proprio a causa di questa nuova ondata di sbarchi: non c’è stata infatti alcuna modifica degli accordi “ufficiali”. Al contrario, come testimoniato da Francesca Mannocchi per L’Espresso, sarebbero da tempo in corso degli scontri a Sabratha tra le brigate della zona e i gruppi di trafficanti. Sabratha è uno dei maggiori centri per quanto riguarda le partenze nonché la gestione del traffico di esseri umani da-e-per la Libia.
Non è affatto escluso che gli scontri armati e le violenze siano riconducibili al presunto intervento italiano che, appoggiando e pagando le brigate, avrebbe spostato i delicati equilibri di controllo del territorio. La situazione conferma l’idea secondo la quale affidarsi a tali forze per fermare l’arrivo di migranti non è solo umanamente deprecabile – viste le condizioni in cui i fuggitivi vengono tenuti in Libia – ma anche irragionevole: significa dipendere da soggetti imprevedibili che sfuggono spesso al controllo di qualsiasi autorità. Italiana o libica.

di Giovanni Succhielli - 5 ottobre 2017

fonte: https://www.agoravox.it


Insegnanti, parlamentari, che fate lo sciopero della fame per lo Ius Soli: la fame non è un ricatto politico, è una grave emergenza. Vergognatevi!

Evidentemente era finito il caviale. Tanto valeva cominciare uno sciopero della fame. Come quelli di Pannella, ma senza la dignità epica della battaglia, della frizione, dell’abitudine militante. La casualità mi preoccupa. A livello di iniziativa, a livello di gesti. E fare lo sciopero della fame per stimolare l’applicazione dello Ius soli, da parte di insegnanti e parlamentari, è un gesto casuale, occasionale, decisamente stupido e irrispettoso. Nella brutta epoca in cui, di fame, in Italia, si può morire ancora. E per davvero. Tutto questo mi preoccupa.
Mi preoccupa vedere tanti professori di sinistra affamati in un’aula di soli bambini. Di soli bambini.
Cosa avete capito? Affamati di cambiamento, di attualità, smanianti di civiltà.
Desiderosi di formare, senza egoismi, né deviazioni ideologiche (non sia mai…), i loro giovani alunnetti, sbarbatelli sorridenti con il pizzutello nello zaino per merenda, che aspettano di sapere quanto sarà utile e rivoluzionario, per il loro futuro lo Ius Soli, quanto li farà sentire realizzati nella vita di italiani e di cittadini, quanto gli farà realizzare ogni desiderio in una società competente e competitiva, che rassicura, protegge, indirizza, e allevia ogni distinzione, che unisce formazione e lavoro, esalta l’educazione culturale e crea il cittadino perfetto, mai angosciato, sempre pettinato, che ha tanti colori nell’astuccio della vita.
Mi preoccupa assistere allo scollamento dell’istituzione dalla realtà, della politica dalla gente, di chi rappresenta la formazione civile e culturale, dalla pazzia latente degli italiani che gridano fino a farsi sanguinare le corde vocali per avere un po’ di attenzione. Un po’ di attenzione, neanche la priorità. Mi preoccupa pensare che la fame, sia diventata un oggetto di ricatto politico (“L’ipotesi è quella di un digiuno a staffetta a sostegno della richiesta della presentazione in Aula prima possibile del disegno di legge. Dunque, per tenere aperto questo spiraglio e provare a inserirci in esso in maniera attiva ed efficace, coinvolgendo il maggior numero di persone affinché il governo decida di porre la fiducia”, si legge nell’appello, pubblicato anche su Repubblica, di Luigi Manconi, ex testa calda di Lotta Continua che fa la morale alla Polizia , docente universitario, sociologo, astronauta, esperto di barbecue, 126mila euro di reddito circa, Elena Ferrara, senatoressatrice PD, 96mila euro di reddito circa, e Paolo Corsini, senatore Art.1-MDP, ex PD, 150mila euro e passa di reddito), la fame ridimensionata a non-urgenza sociale, piuttosto a dimostrazione di schifo verso il razzismo, degradata a vezzo di un’élite che vive in un mondo parallelo in cui gli individui hanno la faccia come il culo.
La tolleranza, et similia, è un concetto vuoto, se prima non lo si riempie di priorità realizzate.
Mi preoccupa il fatto che non ci sia più vergogna. Mi preoccupa che chi è addetto alla formazione degli uomini del domani, che dovrebbe rendere la scuola un’agenzia sociologica, e non un parcheggio per ragazzi o peggio ancora un’agenzia interinale, ma che abbia il dovere di contribuire a plasmare individui e gettare le basi solide e delicate del metodo culturale, anziché perdere l’appetito di fronte al volto del Ministro Fedeli, di vomitare dopo aver saputo delle sue credenziali, del suo curriculum, di fare lo sciopero della fame quando sente cose tipo “Riduciamo di un anno il liceo”, oppure, “Sì agli smartphone in classe come conquista della modernità”, si metta a smettere di mangiare per far sì che ognuno che arrivi in queste lande anarchiche possa diventare uno di noi. Uno di noi, chi, poi, che ormai siamo coinquilini e non cittadini?
Un cuscinetto di irresponsabile surrealismo divide i plebei dai patrizi, giusto una sottile demarcazione, scavata come la X sulla arrabbiatissima sulla scheda elettorale di un cittadino qualunque che fra qualche mese, dopo qualche anno, andrà a votare, tra l’élite che può, e il popolino che non può, l’élite che ostenta, e il popolino che s’incazza a stomaco vuoto. La storia, Vico mi perdoni, è piena di loop simili. Mi piace immaginare Vico ad aver a che fare con il termine loop, se tanto gli italiani, ormai, odiano l’italiano…
Ma la fame, è una cosa seria. Che questo popolo ha condiviso e reso danza triste che finisce con un ricordo passionale, del calore e dello sconforto di un tango, nelle canzoni popolari, nella guerra, nelle campagne, e reso ambiente familiare naturale la fame stessa, compagna infame di viaggio, dei contadini, degli operai, dei signori disgraziati scalzi che eravamo dopo la battaglia. La fame vinta, derisa, temuta, assassina, nel bianco e nero del nostro tempo, di Totò, ossessiva della Grande abbuffata, che anticipa la giustizia e l’ingiustizia, come la morte, come in Brutti, sporchi e cattivi.
La fame s’è sempre fatta, qui, con dignità. Magari non sempre. Ma la fame rimane una cosa seria. Specie in un’Italia alle prese con giusto, giusto 5 milioni di poveri assoluti. Assoluti. Cioè che difficilmente riescono a mettere insieme un pranzo, o una cena. Ed ecco che dalla serietà della storia, si passa troppo facilmente alla rappresentazione della miseria: le élite digiunano per vezzo, gli italiani per vizio, perché ci sono abituati.
Ahhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhh, se vi pigliano gli italiani, cari deputati, cari insegnanti…
Se vi piglia la partita Iva che aspetta da tre mesi che lo paghino, se vi acciuffa l’imprenditore che ha dovuto chiudere per le tasse dopo un anno e mezzo. Il disoccupato storico, il padre di famiglia, se vi piglia il precario. Se vi pigliano costoro…non vi faranno niente, perché altrimenti avrebbero già infranto il vetro dell’istituzione con una molotov; non vi faranno nulla, ma covano rabbia e rancore, che un giorno, esploderà. Alla faccia dei baffi neri, degli spaghetti, della pizza e del mandolino.
Posso dire che tutto questo mi fa vomitare? A me sicuramente. A loro no, hanno lo stomaco vuoto…

da CONTRAEREA il blog di Emanuele Ricucci - 5 ottobre 2017

NATO … nelle scelte che contano l’Italia non c’è!



20120119_120119b-007_rdax_775x516


La recente mancata nomina del generale Claudio Graziano a chairman of the NATO Military Committee non ha avuto (apparentemente) un adeguato risalto da parte dei media nazionali, che hanno relegato l’evento allo stretto contesto militare dell’Alleanza.
In realtà, valutazioni ben più ampie sono verosimilmente poste alla base di questa decisione da parte dei Capi di Stato Maggiore della Difesa della NATO, che all’Italiano hanno preferito – in extremis e a sorpresa – l’Air Chief Marshal Sir Stuart Peach, Chief of Defence Staff of the United Kingdom’s Armed Forces.
È da evidenziare, innanzitutto, l’elevata considerazione di cui gode il Regno Unito nell’ambito militare dell’Alleanza, unitamente a un consolidato, privilegiato e premiante rapporto con gli Stati Uniti.
È il caso di ricordare, infatti, che esiste una particolare relazione che lega Londra agli USA, cosi come per gli altri Paesi anglosassoni, partner non NATO compresi (Australia, Nuova Zelanda), che costituiscono una comunità ristretta all’interno dell’Alleanza.
E questa sorta di “fratellanza” tra Nazioni diventa, così, la chiave di lettura per meglio comprendere l’assegnazione di posizioni di rilievo in seno alla Resolute Support Mission in Afghanistan. Basti pensare, ad esempio, all’incarico di generale vice comandante dell’Operazione Resolute Support che, per ben due turni (luglio 2015 – gennaio 2017), è stato affidato a generali inglesi, pur non essendo presente sul terreno un comando di settore regionale dell’Afghanistan a guida britannica (l’Italia sta ricoprendo tale incarico per la prima volta malgrado abbia un numero almeno doppio di soldati rispetto ai britannici e la responsabilità della Regione Ovest del Paese!!).
A questi fattori si aggiunge, in modo determinante, la reputazione, costruita e consolidata nel tempo di un Paese che ha adottato, sul piano militare, un approccio decisamente combat (sempre pronto ad assumersi tutti i rischi correlati, anche in termini di vite umane perdute), che possiamo ineluttabilmente definire più “remunerativo” e più “qualificante” agli occhi della NATO (e degli USA).
Si consideri inoltre che la Gran Bretagna è una delle sole 5 Nazioni che ha dato seguito alla richiesta dell’Alleanza (con gli Stati Uniti in testa) di dedicare il 2% (reale) del PIL al budget della Difesa, confermandosi la maggiore potenza europea in termini di spesa militare.
Il risultato è una sorta di NATO a doppia o tripla velocità, come da tempo si è detto e come, nella sostanza delle decisioni cruciali della vita dell’Alleanza, è emerso chiaramente.
A tutto ciò, da ultimo ma non per importanza, occorre aggiungere che una parte delle Nazioni della NATO è costituita dai Paesi dell’Europa Settentrionale e Orientale che non condividono, dichiarandolo apertamente, l’approccio italiano al problema dell’immigrazione.
Le argomentazioni esposte portano ad una considerazione conclusiva: il peso politico (e quindi anche militare) dell’Italia ha subito l’ennesimo ridimensionamento sostanziale, la cui gravità sfugge all’attenzione di molti, forse di troppi. Il nostro Paese, dopotutto, oltre ad essere uno dei principali contributori dell’Alleanza, si è sempre mostrato solerte nell’aderire alle decisioni adottate a Bruxelles, a prescindere dal colore politico del Governo in carica, partecipando a tutte le operazioni decise in ambito NATO. Ma questo, evidentemente non è bastato.
Così come non è bastato avere un candidato con tutte le carte in regola per presiedere il NATO Military Committee.

a6968973-7d13-41c6-8403-4c0b3ce30f18_largeRammentiamo, ove ce ne fosse bisogno, che Graziano fu quel generale che nell’ultimo governo Berlusconi “fulminò” ben 19 aspiranti, più titolati per anzianità e (forse) per meriti, divenendo prima il Capo di Stato Maggiore dell’Esercito poi uno dei Capi di Stato Maggiore della Difesa più giovani della storia d’Italia.
Probabilmente, il validissimo generale Graziano ha pagato “sulla sua pelle” la “miopia” di un Paese che non ha fatto sufficientemente “squadra”, mancando l’opportunità di avere un ruolo determinante nelle decisioni strategico-militari (e quindi anche sul futuro) dell’Alleanza Atlantica.
Arrivati a questo punto, una serie di domande sorgono spontanee: premesso che la vicenda si intreccia – forse intenzionalmente – con le tristi, recentissime vicende del DDL di attuazione del Libro Bianco, l’Italia aspirava davvero a ricoprire quella prestigiosa carica?
Il mancato appoggio al generale Graziano è stato voluto o è frutto (l’ennesimo) di una scarsa pianificazione/lungimiranza delle tutele degli interessi nazionali?
Era solo una (legittima) aspirazione personale del generale o, magari, è stato illuso circa un appoggio di altissimo livello? Volendo accettare la seppur triste realtà degli scambi interessati tra gli Stati membri, la mancata elezione di un generale italiano è stata “mercanteggiata” con qualcos’altro?
Si potrebbe continuare tra la fantapolitica e gli scenari occulti di un mondo trasversale che intreccia interessi economici, politici, militari e, forse, individuali.
Una cosa appare certa. L’Italia rimane il “bel Paese” dove tutti vorrebbero trascorrere, quantomeno, una vacanza; un’Italia che tutti elogiano e apprezzano per l’impegno sociale e umanitario pagato a carissimo prezzo dai cittadini e dai militari in prima linea.
Una Nazione che tutti ammirano per l’efficacia dimostrata, da più lustri, dai soldati impegnati nelle operazioni in tutto il mondo … eppure, al momento decisivo, essa viene beffardamente turlupinata e offesa, nel silenzio e nella compiacenza di tutti e a scapito –immeritatamente – anche del più valido dei militari, il cui “mondo” è sempre più “terreno di conquista” o “merce di scambio” nel nome di interessi non sempre “nazionali”.

Foto NATO e Stato Maggiore Difesa

5 ottobre 2017 - di




05/10/17

ALLARME! Gentiloni tenta di far approvare oggi in Senato la censura sul web!


128_censura-internet-520x292Sono costretto ad aggiornare il mio post di ieri. Oggi in Senato il premier Gentiloni tenterà di far approvare il disegno di legge che introduce la censura e la schedatura di massa sul web. E’ un fatto gravissimo. Ieri ne ho parlato sul blog, lanciando un appello alla mobilitazione, chiedendo un intervento delle forze di opposizione. Matteo Salvini ha risposto, rilanciando l’appello su Facebook, ora mi auguro che i senatori della Lega facciano il possibile per fermare uno dei provvedimenti più liberticidi della storia.
Come spiega l’avvocato Sarzana, che per primo ne ha scritto sul Fatto Quotidiano, il trucco escogitato dal premier Gentiloni è di infilare il provvedimento nel pacchetto omnibus dei regolamenti europei da recepire senza possibilità di modifiche, tra cui  4 righe che anticipano la norma.
Insomma, il liberticida Gentiloni (altro che premier moderato! altro che leader innocuo!) ricorre a un trucco procedurale per tenere all’oscuro l’opinione pubblica. Infatti i media non ne parlano. Così nel silenzio assoluto ( o quasi) si cerca di far passare una norma gravissima che prevede, come ho scritto ieri.
1) i dati internet e telefonici potranno essere conservati per 6 anni, ben oltre le attuali consuetudini internazionali.
2) l’Agcom, ovvero l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni,  avrà il potere di intervenire sulle comunicazioni elettroniche dei cittadini italiani, allo scopo – in via cautelare si intende, come dubitarne –  di impedire l’accesso agli stessi cittadini a contenuti presenti sul web.
Che cosa questo significhi lo spiega benissimo Sarzana con queste parole:
“da oggi con un regolamento dell’Agcom, in Italia si sperimenta la notice and stay down e le piattaforme dovranno rimuovere i contenuti illeciti e impedirne la riproposizione”.
Ora, poiché il web è composto di milioni di informazioni che cambiano in nanosecondi e la maggior parte di questi dati sono all’estero, non c’è modo di conoscere in anticipo la riproposizione dei contenuti che la norma vorrebbe censurare, se non con una tecnica di intercettazione di massa denominata Deep packet inspection. L’unico modo, insomma, di fare ciò che il governo sta per fare approvare, è di ordinare ai provider italiani di “seguire” i cittadini su internet per vedere dove vanno, al fine poi di realizzare questo “impedimento” alla riproposizione, attraverso un meccanismo di analisi e raccolta di tutte le comunicazioni elettroniche dei cittadini che intendano recarsi su siti “dubbi”.
Questo, naturalmente senza alcun controllo preventivo da parte di un magistrato.
Dunque: l’Agcom potrà seguire e memorizzare quel che voi fate. E, ad esempio, se giudicherà inopportuni i contenuti di questo blog vi impedirà di leggerlo. Vi schederanno e vi censureranno
Capito? Solo un regime dittatoriale, forse, potrebbe pensare a norme come queste. Ma in una democrazia mai. Eppure a proporle è proprio il premier di un partito che si definisce “democratico”: il PD del finto innocuo Gentiloni.
Claudio Messora su Byoblu è tornato sull’argomento intervsitando Sarzana
 

di Marcello Foa - 5 ottobre 2017

La manfrina antifascista


.
Oggidì il fascismo (ammesso che l’onorevole Giorgia Meloni sia fascista o fascistottarda piuttosto che cripto o tarda finiana) non è un serio, incombente pericolo.
Qualificati politologi sostengono, concordemente, che non è necessario rammentare che al presente sono sconosciute e per la maggioranza degli italiani perfino incomprensibili le circostanze storiche, le idee e gli stati d’animo, che, nel primo dopoguerra, hanno suscitato e in qualche modo incoraggiato e giustificato la vincente azione del partito di Benito Mussolini.
A cauti passi – tuttavia – gli storici, che hanno considerato e meditato seriamente i fatti propriamente detti, avviano una puntuale revisione della storia del Novecento italiano, proponendo un abbassamento delle unidirezionali sentenze sulla guerra civile.
Il fascismo appartiene interamente al passato dunque l’antifascismo oggidì ha tanta attualità quanta ne potrebbe vantare l’azione di un partito ghibellino, governato (regnante in Vaticano un improbabile guelfo) dalla germanica cancelliera Angela Merkel.
Robustissima e mutante (trans politica) la domina teutonica (ex comunista), che (pur avendone i requisiti fisici e mentali) non fa ridere l’ammansito e addomesticato popolo tedesco.
E’ pertanto lecito sostenere che sarebbe utile considerare i cambiamenti avvenuti nella scena filosofica postmoderna, dunque preservare la politologia dalle ottenebranti e depistanti suggestioni dell’anacronismo, ossia dalla tentazione di usare, quali parametri dell’attualità spensante intorno alle salme delle ideologie, pensieri e fatti inattuali, in ultima analisi appartenenti a un passato, che è – per obbligante e categorica definizione – irrevocabile.
La ventennale storia del fascismo infine appartiene all’irripetibile passato e come tale andrebbe letta sine ira et studio. Di qui l’esigenza di uscire da una lettura polemica e irosa di fatti storici, che la scolastica, generata dal progressismo retroattivo,consegna e affida al partito dei passatisti militanti (a sinistra e al centro liberale).
La storia del ventennio fascista deve pertanto incominciare dall’espulsione della pretesa – strutturalmente irrazionale – di trascinare nel presente idee e fatti appartenenti al passato. Si pensi alla polemica antifascista che, sotto l’impulso dell’irrealtà, ha proiettato nel passato – facendone quasi il temibile e agguerrito erede del duce di Predappio – una foglia al vento quale è stato il politicamente (auto)emarginato Gianfranco Fini.
Dopo le indispensabili messe a punto è forse possibile proporre una lettura storica e non più politica del ventennio di Mussolini, delle sue felici imprese, dei suoi gravi errori e della sua tragica fine.
Non si può negare seriamente che Mussolini riuscì nell’impresa di trasformare l’Italietta dei liberali in una nazione capace di condurre splendide imprese: la pacificazione nazionale, il concordato con la Chiesa cattolica (non è certo per un caso che la giovane classe dirigente democristiana – Moro e Fanfani, ad esempio – ebbe un passato in camicia nera), la gigantesca impresa della bonifica pontina, l’attivazione di un sistema sociale (che il regime degli antifascisti non ha osato debilitare, prima che su di esso precipitasse, dall’estero, la sciagura del neoliberalismo), il rinnovamento della scuola e la sua apertura alle c.d. classi subalterne, l’attivazione di una grandiosa campagna contro le malattie sociali, la civilizzazione della Libia (sulla cui memoria i libici – se potessero conoscere la storia – dovrebbero manifestare le ragioni del loro rimpianto), l’avveniristica progettazione e costruzione di autostrade, e infine la proiezione del mondo di una splendida immagine dell’Italia.
Errori capitali e imperdonabili furono la promulgazione delle leggi razziali, l’abolizione del sistema elettorale (da cui il fascismo avrebbe ottenuto strepitosi consensi) e l’alleanza con i parenti serpenti di Germania, una decisione contraria per diametrum, ai giudizi beffardi e devastanti, che Mussolini aveva espresso su Adolf Hitler, sul suo partito e sul suo popolo (lo ha rammentato, sviluppando un tema di Renzo De Felice, Fabio Andriola autore di un fondamentale saggio su Mussolini nemico di Hitler (Piemme, Milano 1997) puntualmente censurato dai severi vigilanti progressisti.
Mussolini era perfettamente consapevole dell’oscurità incombente sul partito nazionalsocialista, cui si avvicinò spinto dalla cieca avversione delle cancellerie di Francia e Germania e dalla impellente necessità di importare le materie prime indispensabili all’industria italiana.
Ad attenuazione del fatale, imperdonabile errore commesso da Mussolini alleato della Germania di Hitler, è doveroso rammentare l’ostilità delle democrazie massoniche e anti italiane, che nell’inseguimento corsaro dell’odio (antifascista e anti italiano) superarono (in larga misura) l’Unione Sovietica.
Al seguito dello storico (antifascista ma onesto e veridico) Renzo De Felice, è ora necessario uscire dalla sentenza settaria che, nel fascismo, contempla esclusivamente una malattia morale. Il futuro della storiografia proporrà il ristabilimento della verità che – nel concordato con la Santa Sede – manifesta la dura negazione fascista della mefitica cultura dei lumi e l’implacabile avversione alla sozza e criminosa cialtroneria degli iniziati ai misteri dei muratori. Negazioni che – in un futuro disintossicato dagli ambidestri pregiudizi settari – dovranno bilanciare gli errori del regime fascista ed essere iscritte nella colonna dei meriti di Benito Mussolini.

di di Piero Vassallo - 4 ottobre 2017

04/10/17

Terremoto centro Italia, scandalo casette: spesi quasi 7mila euro a mq


Le casette del terremoto costano più di un attico in San Marco a Venezia, tra spese di urbanizzazione e costo vivo. Giorgini M5S Marche: “Uno scandalo”


Terremoto centro Italia, scandalo casette: spesi quasi 7mila euro a mq

Con 5590 euro a metro quadro compri un attico in piazza San Marco a Venezia o nelle calli adiacenti. A 4050 euro a mq compri casa in Santa Croce a Firenze. Invece 5300 euro a mq bastano per acquistare un appartamento nel quartiere Prati di Roma e con qualcosina in più puoi aspirare al centro storico. Con 7000 euro si può approdare al centro di Milano, una soluzione abitativa si trova sempre. (Dati di Immobiliare.it).
Non ti aspetteresti le stesse cifre per le casette temporanee dei terremotati nel centro Italia. Ma è quanto spende lo Stato italiano per costruirle, quasi 7000 euro a mq, precisamente nelle Marche. Basta calcolare i costi accessori che permettono alle casette di essere impiantate, cioè sbancamento delle aree, posa delle fondamenta, spese di urbanizzazione e sommarli al costo vivo dei prefabbricati in legno.


Se ne è accorto il consigliere regionale del M5S Peppe Giorgini che ha spiegato ad Affaritaliani il suo sconcerto: “I costi sono tripli degli appartamenti sul territorio (quelli di un certo pregio, ndr). Con quanto si spende potremmo traferire un terremotato nel ricco centro di una città italiana”. Un ragionamento comprensibile.
Una “gola profonda” dentro le istituzioni ha fatto pervenire al consigliere anche una dettagliata relazione con tanto di documenti e cifre. Incrociando i dati, tra decreti regionali, numeri della protezione civile e dei Comuni i calcoli tornano. E da diverse ore sembra che gli uffici tecnici dell'ente siano a caccia dell'uomo che ha parlato.


Giorgini dopo le verifiche ha presentato un'interrogazione al presidente della Regione Marche Luca Ceriscioli del Pd, chiedendo spiegazioni sui costi esorbitanti. Le “casette di legno” si chiamano Sae (Soluzioni abitative in emergenza).
Per realizzare sette casette a Bolognola Val di mezzo in provincia di Macerata si è speso, scrive Giorgini, per “le sole opere di fondazione e delle urbanizzazioni 1,738.413,53 euro, quindi quasi 250 mila euro a casetta a Villa di Mezzo Bolognola (5 da 40 mq, una da 60 mq e una da 80 mq), ai quali vanno aggiunti i costi delle casette prefabbricate (1100 euro al metro quadrato) per un costo totale di oltre 6.200 euro al metro quadrato”. Mentre per le 30 Sae di San Paolo di Camerino, sempre in provincia di Macerata “l’importo delle opere di fondazione e urbanizzazione è pari ad euro 6,8 milioni (oltre 225 mila euro a casetta) per un costo complessivo, compreso il costo della casetta (20 casette da 40 mq, 5 da 60 mq e 5 da 80 mq), di 6.750 a metro quadro”.


Oltre a stigmatizzare i gravi ritardi negli interventi il consigliere dei 5 Stelle chiede al presidente Ceriscioli se si “ritiene un esempio di buona amministrazione la realizzazione di abitazioni temporanee con tempi che in alcuni casi supereranno di gran lunga l’anno dall’evento calamitoso; se ritiene rispettato il principio di economicità, efficienza ed efficacia nella realizzazione di abitazioni temporanee con costi tripli rispetto alle abitazioni realizzabili o a quello reperibili sul libero mercato”.


L'amara ironia sembra evidente ma il dato e il possibile spreco non fanno per nulla ridere.
Infatti per comprendere meglio le dimensioni economiche del fenomeno va moltiplicato il dato dei singoli esempi per il numero degli interventi complessivi, spesa più spesa meno. Ad oggi sarebbero 836 le casette richieste dalla Regione Marche.

Di Antonio Amorosi - Mercoledì, 4 ottobre 2017
fonte: http://www.affaritaliani.it

EUROPA MUSULMANA IN 40 ANNI? SECONDO UN ECONOMISTA FRANCESE SÌ. MA C’È CHI NON È D’ACCORDO…


 
Nell’arco di quaranta anni, in base alle tendenze demografiche attuali, la popolazione banca in Francia e in altri Paesi d’Europa diminuirà in maniera così consistente che si avrà una maggioranza musulmana. È la conclusione – naturalmente passibile di dibattito e di dissenso, come sempre in questi casi di proiezioni a lungo termine – di uno studioso ed economista francese, Charles Gave, che l’ha pubblicata sul sito del suo think tank, Libertes. Gave parla di una graduale “sparizione delle popolazioni europee”, a fronte di un robusto tasso di nascite dei musulmani.
Gave è presidente del Gavekal Reasearch. Il suo articolo, intitolato “The white Plague”, “La peste bianca”, è pericoloso, afferma, “per la mia rispettabilità personale e le mie possibilità di essere ascoltato nella nostra bella democrazia”.
Gave ha tratto le sue conclusioni comparando il tasso di nascita per donna delle francesi – 1.4 – con il tasso di 3.4 delle donne musulmane. Secondo Gave dei 67 milioni di francesi, circa il 10 per cento – cioè 6.7 milioni – sono musulmani. Il tasso di natalità europeo si colloca intorno all’1.6 per donna.
Queste le conclusioni di Charles Gave: “Nell’arco di 40 anni al più tardi, è quasi sicuro che la maggioranza della popolazione sarà musulmana in Austria, Germania, Spagna, Italia Belgio e Olanda. Queste non sono predizioni, ma calcoli, e non tengono neanche conto dei nuovi immigrati”. Il processo potrebbe essere infatti accelerato vista la continua immigrazione in Francia e in altri stati europei di musulmani. “La nostra estate sarà davvero finita quando la demografia cambierà, semplicemente perché noi dovremo diventare una minoranza nei nostri stessi Paesi e la maggioranza non farà più attenzione alle geremiadi vecchie di 68 anni, i cui autori saranno tutti morti o in pensione”.
E continua: “La grande, immensa notizia dei prossimi trenta o quaranta anni sarà così la sparizione delle popolazioni europee, i cui antenati hanno creato il mondo moderno. E con queste popolazioni spariranno le diverse e complementari nazioni europee che hanno permesso l’immenso successo del vecchio continente per almeno cinque secoli”.
Gave non dà una lettura religiosa, ma piuttosto agnostica su ciò che un Europa islamica vorrà dire per quanto riguarda la democrazia liberale e la libertà di parola. “Non dico che sarà sbagliato, o sarà un bene. Sto semplicemente dicendo che questo necessariamente avrà un’influenza sul nostro sistema politico”.
Le conclusioni di Charles Gave non sono condivise dal Gatestone Institute, secondo cui i tempi di questo processo potrebbero essere molto più lunghi. E non si sa che cosa sarà l’islama in Europa fra qualche decina di anni. Dreu Godefridi, analista del Gatestone, ricorda che solo due o tre generazioni fa l’Europa era ancora cristiana, e di quel fervore religioso rimane molto poco. Godefridi ricorda che nel 2015 in Francia, grazie all’aborto legale, 204.000 bambini sono stati soppressi, a fronte di 760.421 nascite. “Messa brutalmente, gli europei non fanno più abbastanza bambini. E questo non ha niente a che vedere con l’islam: questa ‘malattia’ è interamente autoprovocata”. Solo qualche giorno fa c’era la notizia secondo cui per il terzo anno di seguito il nome più comune fra i nuovi nati britannici era Muhammad, Maometto.

Marco Tosatti
FONTE: http://www.marcotosatti.com

01/10/17

L’Orlando fumoso e l’Italia mafiosa







Il ministro Orlando, con il concorso del suo governo e della sinistra, ha compiuto un miracolo che nemmeno Gesù Cristo ha mai fatto: la moltiplicazione dei mafiosi.
Grazie al nuovo codice antimafia, saranno considerati mafiosi e trattati come tali anche coloro che sono accusati dei reati più vari: concussione, corruzione, peculato, reati contro la pubblica amministrazione, persino terrorismo e stalkeraggio.
E non solo: sarà possibile sequestrare il patrimonio e adottare drastiche misure preventive, perché dove c’è mafia ci sono corsie preferenziali. Non più in dubio pro reo, ma nel dubbio lo trattiamo da mafioso. Complimenti, libertari del cactus.
Un codice come questo compie tre scempi in un colpo solo: allarga la categoria dei mafiosi a dismisura, includendo anche coloro che non lo sono; restringe gli spazi di libertà di tutti, con una barbara legge del sospetto che si estende a uomini, gruppi e imprese; e aumenta la boscaglia fitta di leggi e codici, in un paese che già detiene il record mondiale delle leggi insieme al record mondiale d’inosservanza delle leggi.
E le due cose non sono separate.
Il codice antimafia è così aperto a due esiti: o diventa una legge liberticida, che sbatte in galera chi è in odore di reato già al primo grado di giudizio, o diventa una legge seppia che sparge inchiostro intorno, non fa più distinguere tra criminali, ladri, disonesti e persone per bene e alla fine si traduce in un Tana per tutti.
Ovvero, tutti mafiosi nessun mafioso.
Eppure l’esperienza dovrebbe aver insegnato qualcosa: quando si è accusato di mafia figure politiche che andavano invece processati per reati più specifici e circoscritti, il risultato è stato farli assolvere e farli passare pure per vittime.
Quando si è trasformato un circuito di affaristi addirittura in associazione mafiosa, come è capitato con Mafia Capitale, l’effetto è stato boomerang e ha appesantito l’accertamento delle vere, specifiche responsabilità.
E quando si sono inventate figure penali estrose, come il concorso esterno in associazione mafiosa, il risultato prodotto è stato grottesco, per la semplice ragione che o concorri in un’associazione mafiosa in vario modo o misura o non concorri, non c’è una terza via.
Invece, imperterrito l’Orlando Fumoso e la sinistra inferocita, che cercava rivincite ideologiche dopo lo stop allo ius soli, hanno partorito questa ennesima porcata.
Per la verità non è solo sul piano della giustizia che si producono questi codici; in ogni campo della vita, appena insorge un fattaccio, non si puniscono i colpevoli ma si producono ennesime nuove leggi ad hoc, si inventano nuovi codici o in mancanza si istituiscono commissioni d’inchiesta.


All’università fanno carne da porco dei meriti e delle capacità, fanno carriera solo i nipoti, gli affiliati e i raccomandanti? Bene, allora ci spariamo un bel codice, come quello che sta preparando quel genio colto della Fedeli, Ministro pro-gender della pubblica distruzione, e ci mettiamo la coscienza a posto. Lei, come è noto, è la persona più adatta per riformare l’università nel nome del merito e della competenza: con quel curriculum lì, può permettersi tutto.
Le banche compiono abusi e raggiri? E noi facciamo una bella commissione d’indagine e l’affidiamo a uno come Casini che fino al giorno prima riteneva giustamente fumose le commissioni parlamentari d’inchiesta. Ci sono violenze alle donne? E noi anziché sbattere in galera gli stupratori seriali o magari neutralizzarli chimicamente, ci inventiamo un nuovo bouquet di leggi e di codici per la tutela delle donne.
O ci inventiamo quell’abominio giuridico che è il femminicidio, come se uccidere un uomo, un vecchio o un bambino fosse meno assassinio di uccidere una donna. E buonanotte all’universalità del diritto.  Ma cos’ questa ipertrofia di leggi, questa bulimia di codici, questa necessità di gonfiarsi a botte di norme e regolamenti?
Un misto di giacobinismo e fuffa, di ferocia e inconcludenza, di astrazione e di castrazione. Anziché affrontare la realtà, la sinistra al governo produce norme, leggi, codici, teoremi, carte che vogliono pulire la società e perciò possono definirsi a buon diritto carte igieniche, anche per il valore intrinseco e l’uso che ne fanno.
Andrea Orlando è il testimonial perfetto per quest’ennesimo stupro alla giustizia. È un putto del tutto ignaro, che si trova al ministero della giustizia per grazia ricevuta. Un bambolotto gonfiabile, anzi gonfiato da Renzi, notammo tempo fa, che ha il curriculum adatto per rappresentare la sinistra, la sua idea di giustizia e il suo spirito riformatore: il Nulla.
Pasolini trovò una terribile definizione per la Dc: è il nulla ideologico mafioso. Mi sa che la dc vista da Pasolini ha trovato eredi a sinistra.

MV, Il Tempo 1 ottobre 2017

Gratteri: ''I miliardi del narcotraffico possono alterare una democrazia''


gratteri bongiovanni c acfbIntervista al Procuratore capo di Catanzaro
di Giorgio Bongiovanni ed Aaron Pettinari
“Quello della droga è un mercato che non conosce crisi e la ‘Ndrangheta controlla l’80% del traffico di cocaina che arriva in Europa. Tradotto significa un guadagno di quarantasei miliardi di euro l’anno. Quanto una finanziaria di uno Stato medio Europeo”. Le parole di Nicola Gratteri rendono efficacemente l’idea del potere, non solo economico, che la mafia calabrese ha acquisito nel corso della sua storia. Sotto scorta dall’aprile del 1989 è considerato, tanto in Italia quanto all’estero, tra i massimi esperti nel contrasto al traffico di stupefacenti. E’ stato pm in numerosissime inchieste che hanno riguardato la criminalità organizzata calabrese, dal 2009 al 2016 come procuratore aggiunto presso la Dda di Reggio Calabria, ed oggi è Procuratore capo a Catanzaro, un’area in cui la ‘Ndrangheta è forte e presente. Ed è proprio a Catanzaro che lo abbiamo incontrato.
Procuratore, come è riuscita la ‘Ndrangheta a diventare monopolista del traffico di droga nel mondo occidentale?
Questo dato si ha nel momento in cui, nel mondo occidentale, cambiano usi, costumi e consumi nel campo dello stupefacente. Questo è avvenuto verso la fine degli anni Ottanta quando la cocaina perde la sua connotazione sociale diventando una droga di massa. Il risultato è che oggi l’80% dei tossicodipendenti in Italia ed in Europa sono cocainomani anche se negli ultimi anni si sta registrando una ripresa del consumo di eroina (si è passati dal 5 al 7%) grazie agli effetti della guerra in Afghanistan.
Si è aperto un nuovo canale?
I talebani si sono rafforzati e nel deserto Afghano ci sono tonnellate e tonnellate di eroina. I trafficanti hanno ripreso le rotte della Turchia, dell’ex Jugoslavia ed anche quella del canale di Otranto. I prezzi oggi sono notevolmente più bassi ed un grammo di eroina su piazza costa appena 25 euro. Questo si deve anche ad una variazione nel consumo di questa droga. Oggi non si inietta più in vena ma si aspira. Gli effetti sono ritardati ma i costi sono minori.
E la ‘Ndrangheta gestisce anche questo traffico?
Storicamente si è sempre detto che l’eroina è stata in mano a Cosa nostra. Attorno Palermo c’erano le raffinerie ma anche in Calabria, in provincia di Crotone, su delega di Cosa nostra si raffinava la droga. Ma già negli anni Settanta la ‘Ndrangheta faceva arrivare in Italia consistenti carichi di eroina. Ordini tra i cinquanta ed i cento chili che partivano dal Libano e che venivano sbarcati davanti alle coste del mar Ionio, in Provincia di Reggio Calabria. Poi, con la crisi di Cosa nostra, la ‘Ndrangheta è riuscita ad intercettare il business della droga. Anche se l’asse più forte è quello con il Sud America.
Qual è la forza della ‘Ndrangheta?
Il denaro. Denaro che proviene in grossa parte dal traffico di stupefacenti ma non solo. Per anni, colpevolmente, è stata considerata una mafia stracciona, di pastori con il cappello in mano. Dico colpevolmente perché già nel 1970 nei processi si parlava di unitarietà della ‘Ndrangheta. Nel 1969, presso la montagna di Polsi, c’era stato il summit di Montalto. Una riunione a cui parteciparono i capi locali di ‘Ndrangheta del Mondo. Ci fu un blitz e vennero arrestati in settanta. Gli investigatori già allora raccolsero con le microspie questo dato. Un anno dopo, al processo di Locri, il presidente del tribunale, Marino, scrisse una sentenza in cui si spiegava proprio questo concetto. Poi, la Corte d’Appello ne fece carta straccia. Siamo dovuti arrivare noi anni dopo, con l’operazione “Crimine” (prima ancora chiamata “Patriarca) a riscoprire l’unitarietà della ‘Ndrangheta e la divisione nei tre mandamenti, Ionico, Tirrenico e della Montagna.
Come si forma il legame con i cartelli della droga? Ci sono delle locali di ‘Ndrangheta in Sud America?
Noi abbiamo la prova giudiziaria dell’esistenza di locali all’estero. Sono presenti in Canada, a Toronto e Montreal, ed anche a New York negli Stati Uniti ma in Sud America, allo stato, non abbiamo prova di questo. Tuttavia in quei Paesi dove la cocaina viene prodotta (Colombia, Bolivia e Perù) ci sono decine di ‘ndranghetisti che si sono trasferiti a vivere in quei luoghi in maniera stabile, che si sono sposati ed hanno anche figli. Il loro compito è quello di comprare la cocaina al prezzo più basso e saturare il mercato. Dei veri e propri broker.
Generano un rapporto diretto con il produttore?
Loro comprano cocaina con un principio attivo al 98%. Questa può costare fino a mille euro al chilo. Un prezzo bassissimo. Da un chilo di questa, tagliandola con la mannite, si possono ricavare quattro chili di cocaina da strada. Se si considera che in Italia un grammo costa 50 euro ecco che si comprende facilmente come non possa esistere allo stato un’attività illecita o lecita più redditizia.
Come viene prodotta la cocaina?
Allo stato naturale esistono dieci tipi di piante di coca e la migliore è la Boliviana blanca perché con questa si possono fare tre raccolti all’anno. E’ come una pianta di nocciole, con un grande cespuglio e foglie spesse. La pasta di coca si estrae direttamente da queste e per farlo ci possono essere più metodi.
In Perù, ad esempio, vengono utilizzati dei bambini che, con delle raspe tipo quelle per il Noce moscato, raspano le foglie. In Colombia, una volta raccolte, le mettono in una tinozza, frullandole fino a creare una pasta. Questo impasto, se molle, viene indurito con del cemento di costruzione, come si fa con la farina per il pane. Una volta creato l’impasto questo viene messo a macerare nel cherosene o in alternativa nell’urina dei maiali. Quindi si comincia a lavorare con i reagenti chimici.
Tenuto conto che ciò avviene all’interno della foresta amazzonica, come riescono a procurarsi reagenti chimici?
Quando con il professore Nicaso abbiamo scritto “Oro bianco” e siamo stati in Sud America ci siamo fatti proprio questa domanda. Per rispondere, forse, dobbiamo chiederci perché in Paesi come l’Argentina, dove alle industrie farmaceutiche basterebbe importare un milione e mezzo di tonnellate di precursori chimici, ne vengono importati 21 milioni di tonnellate? Lo stesso accade in altri stati del Sud America. Cifre spaventose. Questi precursori vengono prodotti da tre sole multinazionali. Perché non vengono bloccati? Sarebbe un modo per arginare ed abbattere il traffico di stupefacente già alla produzione. Ebbene quando queste domande le abbiamo poste in Sud America ci è stato risposto che le industrie chimiche sovvenzionano la campagna elettorale dei Presidenti della Repubblica Sudamericani.
Produrre cocaina crea anche danni all’Ambiente?
Sono tali e tanti i passaggi per i lavaggi e le operazioni dei reagenti chimici necessari per arrivare alla cocaina che si inquinano interi pezzi di foresta amazzonica e si avvelenano fiumi. In quei luoghi non cresce più nulla per anni. Consideriamo che per piantare un ettaro di piante di Coca ci vogliono quattro ettari di foresta amazzonica disboscati. Spesso però i narcos scelgono un’altra strada, ovvero sequestrare i campi dei contadini. Per ottenerli sono disposti a tutto ed attuano torture raccapriccianti. Ho visto con i miei occhi foto di donne legate ad un palo a cui, con cucchiaio, tolgono gli occhi da vivi. Oppure bambini di 4-5 anni a cui aprono la pancia con il coltello per poi prendere le budella ed imbrattare la faccia della madre. Questa la ferocia che viene mostrata per spaventare e far scappare i contadini che cercando di resistere, fino alla morte. Loro sanno che abbandonando la terra il loro destino non è altro che quello di ingrossare le favelas della periferia di Bogotà, dove ci sono cinque milioni di persone non censite e dove la vita di un uomo vale quanto una bicicletta o un telefonino.
Quanti possono essere i laboratori esistenti?
La stima media è di uno ogni cinque-sei chilometri.
Come sono organizzati i cartelli della droga?
In Colombia oggi più che i grandi cartelli, come quello di Calì o Medellín, ci sono tanti piccoli cartelli e, così come accade in Italia tra le famiglie di ‘Ndrangheta che si mettono d’accordo per l’acquisto, così si consorziano tra di loro i cartelli per l’acquisto e la raccolta. Una volta essiccata la Coca viene messa sotto le presse per realizzare i panetti da un chilo. Ma prima di tutto viene scelto il marchio da imprimere a secco. Può essere una luna, un leone, il marchio della Toyota, della Yahoo, della Ktm. Il marchio serve per far capire la provenienza. Se la cocaina che arriva non ha il principio attivo al 97-98% questa può essere contestate e viene rispedita al mittente.
Come avviene la spedizione?
Da quando la Colombia ha iniziato un certo tipo di contrasto, la Coca viene fatta partire da altri porti sudamericani. In particolare dal porto di Santos, in Brasile, uno dei più grandi in assoluto con 30 km di banchine. E da lì i container partono per Gioia Tauro, Amsterdam, Rotterdam ed Anversa. Ma prima di arrivare nei porti sudamericani l’organizzazione criminale deve pagare una tassa. Per coltivarla parliamo di una tassa di quattro dollari al chilo. Poi c’è un’altra tassa per il trasporto. Se non si pagano questi dazi si rischia la vita.
Cioè vengono pagati ad una struttura superiore?
Sì, c’è un’altra organizzazione sovranazionale che ha potere su tutti i cartelli colombiani, boliviani e peruviani.
Una volta arrivata nei porti come viene imbarcata la coca?
Ci sono società, in particolare panamensi, che offrono chiavi in mano il carico di copertura. Una documentazione che comprende tutto: bolle di accompagnamento, beni viaggianti. E la cocaina viene nascosta all’interno di succhi di frutta, gelatine, pellami, frutta esotica, anche all’interno delle tavole di legno. Il metodo più diffuso è quello inserire dei borsoni da 20-25 kg l’uno prima che i container siano chiusi. Questi vengono dotati di galleggianti qualora fosse necessario buttarli in acqua.
Quando arrivano al porto di Gioia Tauro chi gestisce lo scarico?
Le famiglie di ‘Ndrangheta che gestiscono il porto fanno scaricare i container togliendo i borsoni che vengono messi su una macchina o un furgone. Anche loro si fanno pagare delle mazzette dalle altre famiglie per il “disturbo”, in genere pari al 20% del valore della cocaina. Intanto i container vengono richiusi con un sigillo, detto chiodo, che ha lo stesso numero dell’originale ma che è semplicemente una copia.
Che valore ha la cocaina giunta in Italia?
Una volta arrivata al porto di Gioia Tauro ha un valore di 30mila euro al chilo. Una volta venduta arriviamo a 60mila euro al chilo. Ogni volta che c’è un passaggio il valore cresce. Teniamo conto che con 100 grammi di cocaina, aggiunti a trecento di mannite, possiamo produrre 400 grammi di cocaina da strada. E la ’Ndrangheta gestisce tutto l’affare all’ingrosso. Poi apre alle varie organizzazioni criminali anche una specie di conto vendita, con la possibilità di pagare dopo la vendita della droga. Ad esempio nel nord Italia, in Piemonte, ci sono i cingalesi che comprano la droga dalla ‘Ndrangheta per poi distribuirla nelle piazze di Torino.
E le altre mafie?
Non entrano in conflitto con la ‘Ndrangheta. Anche la Camorra riesce a comprare cocaina dalla Spagna perché ci sono le colonie colombiane. Si tratta di un mercato talmente aperto che c’è spazio per tutti. Ed il consumo di cocaina in Europa è tale che questo business non conoscerà mai crisi.
In Colombia, a lungo, hanno recitato un ruolo politico importante strutture come le Farc (Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia ) o le Auc (Autodifese Unite della Colombia). Che tipo di rapporto c’è tra queste organizzazioni e la ‘Ndrangheta?
oro bianco 1000Nel corso delle nostre indagini sono emersi più volte dei collegamenti. Le Auc, nate nel 1997 con l’intento di creare una struttura che si occupasse dell’ordine pubblico, nel corso degli anni sono passati dal chiedere mazzette ai produttori di cocaina al fare affari direttamente con la ‘Ndrangheta. Un esempio è l’indagine che aveva tra gli indagati Salvatore Mancuso, l'ex capo delle Auc. Lui trattava per conto della 'Ndrangheta l'acquisto di droga, occupandosi anche del riciclaggio del denaro sporco in mano ai paramilitari colombiani. Un giro d’affari che per sua stessa ammissione era di 7 miliardi di dollari l'anno. Prima di finire in un carcere americano con l'accusa di traffico internazionale di sostanze stupefacenti, Mancuso stava persino progettando di trasferirsi in Italia, il paese dal quale era emigrato il padre, originario di Sapri, in provincia di Salerno. Nel suo computer trovammo 36 parlamentari a libro paga e più volte lui stesso si era recato in Parlamento durante le trattative per la pacificazione tra i paramilitari ed il governo.
Con le Farc invece?
Anche qui le indagini hanno mostrato dei collegamenti. E ritengo pericoloso il processo di pacificazione che è stato fatto dal governo con la garanzia della famiglia Castro, a Cuba. A mio parere è stata una corsa al ribasso per chiudere questa partita. A differenza delle Auc, con i paramilitari che si sono fatti sei anni di carcere, che hanno ammesso di aver sbagliato e che hanno riconsegnato le armi, le Farc hanno solo consegnato le armi. Non solo. Hanno rilanciato chiedendo una rappresentanza in parlamento e l’ammissione di zone franche in alcune zone della foresta Amazzonica. Cosa fanno in quei luoghi? Chi le controlla? Un conto è se si piantano verdure, un altro se si pianta coca. Piantando a regime in dieci anni si può diventare potentissimi, persino più dello Stato. Io credo che si debba stare molto attenti a festeggiare questa pacificazione. Ho visto che Oslo ha dato il premio Nobel al presidente della Repubblica della Colombia ma sono certo che si poteva fare di meglio.
Procuratore, tenuto conto della sua affermazione il traffico internazionale di droga, il contrasto al narcotraffico, diventa un problema politico a livello mondiale. Fino a che punto l’organizzazione criminale, la ‘Ndrangheta, può mettere a repentaglio una democrazia?
La questione è semplice ed è una questione che riguarda tanto il Sud America quanto il mondo Occidentale. Il traffico di droga crea un problema non solo sul piano della saluta ma anche sul piano economico. Se io immetto miliardi di euro sul mercato legale è ovvio che altero le regole del libero mercato e allo stesso modo posso drogare le regole di una libera democrazia fino a farla saltare. Io posso comprare alberghi, ristoranti e pizzerie ma se compro pezzi di giornale e televisioni io acquisisco potere perché posso cambiare il pensiero della gente.
E’ possibile spezzare questo meccanismo?
A mio parere, essendo un problema sovranazionale, servirebbe una riorganizzazione di una struttura come quella delle Nazioni Unite. Andrebbero messe di fronte alle loro responsabilità Colombia, Bolivia e Perù che sono i principali produttori di cocaina. Si dovrebbe intervenire parlando direttamente con i cocaleros (i contadini coltivatori di coca) proponendo loro un affare semplice garantendo gli stessi guadagni che hanno coltivando la coca ma imponendo un altro tipo di coltivazione. Inoltre le Nazioni avrebbero anche il ruolo di verificare il raccolto. Con meno di un terzo della spesa s risolverebbe un problema alla sua radice. I tre Stati accetterebbero l’ingerenza dell’ONU sul proprio territorio? Sono molto scettico.
Ma solo per ingerenza o anche per i soldi?
Probabilmente anche per i soldi. Quelli della droga per certi Stati possono essere un grande indotto per l’economia legale. Però bisogna anche tenere conto di un altro aspetto. In Sud America viene reinvestito solo il 9% del denaro ottenuto con la vendita della cocaina. Il resto del guadagno viene speso dai cartelli colombiani in Europa alla stessa maniera delle nostre mafie che investono e comprano in Belgio, Olanda, Spagna, Portogallo, e Germania.
Secondo lei perché, dopo tanti anni, ancora non si riescono a sconfiggere le mafie? E’ possibile che ai vertici del potere si ritenga la mafia funzionale al sistema per cui, come diceva un ex ministro, “è meglio conviverci”?
Se il potere politico pensasse ad un contrasto forte, netto e definitivo contro il traffico di cocaina è ovvio che per poterlo fare si devono cambiare le regole del gioco, ovvero le leggi. Nel momento in cui si crea un sistema processuale penale detentivo per stroncare traffico droga quelle riforme normative devono essere applicate anche per altri reati come quelli per la corruzione, per i reati all’interno della pubblica amministrazione ed anche per mafia.
Intervenendo, ad esempio, con modifiche che vanno a migliorare e velocizzare il processo penale, magari informatizzandolo, si ha un effetto a cascata anche su altri generi di reato. Così difficilmente si arriverebbe alla prescrizione dei reati.
Per quale motivo non c’è questa volontà?
Perché chiunque ha il potere non vuole un sistema giudiziario forte. Perché così è difficile controllare il manovratore.
Eppure ogni anno sentiamo parlare di riforma della giustizia...
Da trent’anni su parla di riforma e con la bocca tutti dicono le stesse cose. Ma poco o nulla è cambiato. Un esempio è l’articolato di legge che ho proposto con la Commissione composta da magistrati, avvocati e professori. Allora suggerimmo delle modifiche superficiali, quasi ovvie, con la promessa che, qualora fossero andate a buon fine, in un secondo momento saremmo andati più in profondità. L’effetto è che di quelle proposte solo un articolo è stato colto: quello sul processo penale a distanza in quanto portava a un risparmio di 70milioni di euro all’anno.
Procuratore il Tribunale del riesame di Reggio Calabria lo scorso agosto ha confermato l’ordinanza di custodia cautelare in carcere per Rocco Santo Filippone, di 77 anni, e Giuseppe Graviano, accusati dalla Dda di Reggio Calabria di essere i mandanti degli attentati compiuti a Reggio contro pattuglie dei carabinieri tra il '93 ed il '94 che portarono alla morte di due militari ed al ferimento di altri due. Attentati che, secondo la ricostruzione della Dda, rientravano nella strategia stragista voluta da Totò Riina agli inizi degli anni '90 per ricattare lo Stato ed avviare una trattativa con le istituzioni. Anche la ‘Ndrangheta, dunque, ha preso parte a quel piano eversivo?Premesso che ancora deve essere avviato un dibattimento, qualora dovesse essere fondato l’impianto accusatorio ci troviamo di fronte ad alcune famiglie che hanno aderito a quel piano dopo una riunione che si è tenuta vicino Lamezia Terme. Ad aderire non sarebbe stata tutta la ‘Ndrangheta. Se tutta la ‘Ndrangheta avesse partecipato, tenuto conto che già allora c’erano ventimila ‘ndranghetisti divisi tra tutte le famiglie, vi sarebbe stata una vera carneficina. Resta poi il fatto che la filosofia dominante criminale dell’organizzazione calabrese è sempre stata quella di fare accordi con gli uomini delle istituzioni, senza scontrarsi con lo Stato.
Che tipo di rapporti ci sono con i poteri esterni?
Con la politica sicuramente molto forti, fortissimi con la massoneria deviata.
E con il mondo della comunicazione, con quello economico e delle banche?
Ci sono delle ipotesi di studio. Posso dire che le incursioni della ‘Ndrangheta nelle banche sono possibili soprattutto in quelle piccole a carattere locale. Sono più vulnerabili ed avvicinabili in operazioni di riciclaggio perché i consigli di amministrazione sono costituiti soprattutto da gente del territorio. Le grandi banche internazionali e nazionali, invece, non rischiano grandi riciclaggi.
In passato lei ha detto che la City di Londra è uno dei centri di riciclaggio...
E lo confermo perché il sistema normativo inglese è molto permeabile. Il Regno Unito è diventato una sorta di porto sicuro per gli investimenti dei capitali mafiosi e, altresì, un luogo dove trovare efficienti servizi per la realizzazione di complesse strutture societarie create al solo scopo di favorire il riciclaggio dei soldi sporchi. Ci sono soggetti e società di servizi che si adoperano al fine di costituire società schermo che vengono vendute “chiavi in mano”. Forniscono atti costitutivi, edifici, i soci e gli amministratori di facciata attraverso i quali agevolare la commissione di reati di natura finanziaria, fiscale e societaria. E le mafie fiutano tutto questo.
Come mai a livello europeo non si comprende la pericolosità delle mafie?
Perché non hanno avuto la nostra stessa percezione del fenomeno. Probabilmente se a Duisburg assieme ai sei italiani fossero morti anche dei tedeschi la storia odierna sarebbe diversa.
Secondo lei nel prossimo futuro avremo un Governo, magari composto da gente nuova, con la volontà di porre in essere una riforma seria della giustizia e di contrasto alla mafia ed alla corruzione?
Non sarei tanto ottimista per un semplice fatto. Il mio articolato di legge lo hanno avuto tutti i partiti, quelli di destra, di sinistra ed anche il Movimento Cinque Stelle. Un lavoro che non era una relazione sulla mafia e che era pronto per essere votato, se si era convinti. Poteva essere un modo per avviare una discussione. Nessuno ha fatto questo.
Il Procuratore Gratteri cosa chiederebbe come primo atto al prossimo ministro della Giustizia?
La cosa più semplice e banale che si possa fare: informatizzare il codice di procedura penale e l’ordinamento giudiziario.
E al Ministro degli Interni?
Una migliore razionalizzazione delle risorse in modo che Polizia, Carabinieri e Guardia di Finanza non si ritrovino a fare tutti le stesse cose. E a questo aggiungerei anche più concorsi perché ci sono dei posti in cui si è arrivati alla canna del gas a livello numerico ma anche in termini di età. C’è bisogno di un rinnovamento.
Lei gira molto nelle scuole, ha scritto diversi libri. Cosa dovrebbe fare il prossimo Ministro dell'Istruzione?
Dovrebbe investire sull’istruzione, dovrebbe introdurre il tempo pieno a scuola, siano esse le elementari le medie o i licei. Solo con l’istruzione possiamo colmare quel gap che abbiamo con gli altri Stati europei. Sarebbe importante per tutti. Per i nostri ragazzi, per gli insegnanti che al momento sono demotivati e mal pagati, e ne guadagnerebbe tutto il Paese. Basta vedere ciò che è avvenuto nell’Est dell’Europa. Paesi come la Polonia sono cresciuti in maniera esponenziale proprio perché investono nell’istruzione e nella formazione.

Foto di copertina © ACFB

fonte: http://www.antimafiaduemila.com - 30 settembre 2017