Intervista al Procuratore capo di Catanzaro
di Giorgio Bongiovanni ed Aaron Pettinari
“Quello
della droga è un mercato che non conosce crisi e la ‘Ndrangheta
controlla l’80% del traffico di cocaina che arriva in Europa. Tradotto
significa un guadagno di quarantasei miliardi di euro l’anno. Quanto una
finanziaria di uno Stato medio Europeo”. Le parole di Nicola Gratteri
rendono efficacemente l’idea del potere, non solo economico, che la
mafia calabrese ha acquisito nel corso della sua storia. Sotto scorta
dall’aprile del 1989 è considerato, tanto in Italia quanto all’estero,
tra i massimi esperti nel contrasto al traffico di stupefacenti. E’
stato pm in numerosissime inchieste che hanno riguardato la criminalità
organizzata calabrese, dal 2009 al 2016 come procuratore aggiunto presso
la Dda di Reggio Calabria, ed oggi è Procuratore capo a Catanzaro,
un’area in cui la ‘Ndrangheta è forte e presente. Ed è proprio a
Catanzaro che lo abbiamo incontrato.
Procuratore, come è riuscita la ‘Ndrangheta a diventare monopolista del traffico di droga nel mondo occidentale?
Questo
dato si ha nel momento in cui, nel mondo occidentale, cambiano usi,
costumi e consumi nel campo dello stupefacente. Questo è avvenuto verso
la fine degli anni Ottanta quando la cocaina perde la sua connotazione
sociale diventando una droga di massa. Il risultato è che oggi l’80% dei
tossicodipendenti in Italia ed in Europa sono cocainomani anche se
negli ultimi anni si sta registrando una ripresa del consumo di eroina
(si è passati dal 5 al 7%) grazie agli effetti della guerra in
Afghanistan.
Si è aperto un nuovo canale?
I talebani
si sono rafforzati e nel deserto Afghano ci sono tonnellate e tonnellate
di eroina. I trafficanti hanno ripreso le rotte della Turchia, dell’ex
Jugoslavia ed anche quella del canale di Otranto. I prezzi oggi sono
notevolmente più bassi ed un grammo di eroina su piazza costa appena 25
euro. Questo si deve anche ad una variazione nel consumo di questa
droga. Oggi non si inietta più in vena ma si aspira. Gli effetti sono
ritardati ma i costi sono minori.
E la ‘Ndrangheta gestisce anche questo traffico?
Storicamente
si è sempre detto che l’eroina è stata in mano a Cosa nostra. Attorno
Palermo c’erano le raffinerie ma anche in Calabria, in provincia di
Crotone, su delega di Cosa nostra si raffinava la droga. Ma già negli
anni Settanta la ‘Ndrangheta faceva arrivare in Italia consistenti
carichi di eroina. Ordini tra i cinquanta ed i cento chili che partivano
dal Libano e che venivano sbarcati davanti alle coste del mar Ionio, in
Provincia di Reggio Calabria. Poi, con la crisi di Cosa nostra, la
‘Ndrangheta è riuscita ad intercettare il business della droga. Anche se
l’asse più forte è quello con il Sud America.
Qual è la forza della ‘Ndrangheta?
Il
denaro. Denaro che proviene in grossa parte dal traffico di stupefacenti
ma non solo. Per anni, colpevolmente, è stata considerata una mafia
stracciona, di pastori con il cappello in mano. Dico colpevolmente
perché già nel 1970 nei processi si parlava di unitarietà della
‘Ndrangheta. Nel 1969, presso la montagna di Polsi, c’era stato il
summit di Montalto. Una riunione a cui parteciparono i capi locali di
‘Ndrangheta del Mondo. Ci fu un blitz e vennero arrestati in settanta.
Gli investigatori già allora raccolsero con le microspie questo dato. Un
anno dopo, al processo di Locri, il presidente del tribunale, Marino,
scrisse una sentenza in cui si spiegava proprio questo concetto. Poi, la
Corte d’Appello ne fece carta straccia. Siamo dovuti arrivare noi anni
dopo, con l’operazione “Crimine” (prima ancora chiamata “Patriarca) a
riscoprire l’unitarietà della ‘Ndrangheta e la divisione nei tre
mandamenti, Ionico, Tirrenico e della Montagna.
Come si forma il legame con i cartelli della droga? Ci sono delle locali di ‘Ndrangheta in Sud America?
Noi
abbiamo la prova giudiziaria dell’esistenza di locali all’estero. Sono
presenti in Canada, a Toronto e Montreal, ed anche a New York negli
Stati Uniti ma in Sud America, allo stato, non abbiamo prova di questo.
Tuttavia in quei Paesi dove la cocaina viene prodotta (Colombia, Bolivia
e Perù) ci sono decine di ‘ndranghetisti che si sono trasferiti a
vivere in quei luoghi in maniera stabile, che si sono sposati ed hanno
anche figli. Il loro compito è quello di comprare la cocaina al prezzo
più basso e saturare il mercato. Dei veri e propri broker.
Generano un rapporto diretto con il produttore?
Loro
comprano cocaina con un principio attivo al 98%. Questa può costare
fino a mille euro al chilo. Un prezzo bassissimo. Da un chilo di questa,
tagliandola con la mannite, si possono ricavare quattro chili di
cocaina da strada. Se si considera che in Italia un grammo costa 50 euro
ecco che si comprende facilmente come non possa esistere allo stato
un’attività illecita o lecita più redditizia.
Come viene prodotta la cocaina?
Allo
stato naturale esistono dieci tipi di piante di coca e la migliore è la
Boliviana blanca perché con questa si possono fare tre raccolti
all’anno. E’ come una pianta di nocciole, con un grande cespuglio e
foglie spesse. La pasta di coca si estrae direttamente da queste e per
farlo ci possono essere più metodi.
In Perù, ad esempio, vengono
utilizzati dei bambini che, con delle raspe tipo quelle per il Noce
moscato, raspano le foglie. In Colombia, una volta raccolte, le mettono
in una tinozza, frullandole fino a creare una pasta. Questo impasto, se
molle, viene indurito con del cemento di costruzione, come si fa con la
farina per il pane. Una volta creato l’impasto questo viene messo a
macerare nel cherosene o in alternativa nell’urina dei maiali. Quindi si
comincia a lavorare con i reagenti chimici.
Tenuto conto che ciò avviene all’interno della foresta amazzonica, come riescono a procurarsi reagenti chimici?
Quando
con il professore Nicaso abbiamo scritto “Oro bianco” e siamo stati in
Sud America ci siamo fatti proprio questa domanda. Per rispondere,
forse, dobbiamo chiederci perché in Paesi come l’Argentina, dove alle
industrie farmaceutiche basterebbe importare un milione e mezzo di
tonnellate di precursori chimici, ne vengono importati 21 milioni di
tonnellate? Lo stesso accade in altri stati del Sud America. Cifre
spaventose. Questi precursori vengono prodotti da tre sole
multinazionali. Perché non vengono bloccati? Sarebbe un modo per
arginare ed abbattere il traffico di stupefacente già alla produzione.
Ebbene quando queste domande le abbiamo poste in Sud America ci è stato
risposto che le industrie chimiche sovvenzionano la campagna elettorale
dei Presidenti della Repubblica Sudamericani.
Produrre cocaina crea anche danni all’Ambiente?
Sono
tali e tanti i passaggi per i lavaggi e le operazioni dei reagenti
chimici necessari per arrivare alla cocaina che si inquinano interi
pezzi di foresta amazzonica e si avvelenano fiumi. In quei luoghi non
cresce più nulla per anni. Consideriamo che per piantare un ettaro di
piante di Coca ci vogliono quattro ettari di foresta amazzonica
disboscati. Spesso però i narcos scelgono un’altra strada, ovvero
sequestrare i campi dei contadini. Per ottenerli sono disposti a tutto
ed attuano torture raccapriccianti. Ho visto con i miei occhi foto di
donne legate ad un palo a cui, con cucchiaio, tolgono gli occhi da vivi.
Oppure bambini di 4-5 anni a cui aprono la pancia con il coltello per
poi prendere le budella ed imbrattare la faccia della madre. Questa la
ferocia che viene mostrata per spaventare e far scappare i contadini che
cercando di resistere, fino alla morte. Loro sanno che abbandonando la
terra il loro destino non è altro che quello di ingrossare le favelas
della periferia di Bogotà, dove ci sono cinque milioni di persone non
censite e dove la vita di un uomo vale quanto una bicicletta o un
telefonino.
Quanti possono essere i laboratori esistenti?
La stima media è di uno ogni cinque-sei chilometri.
Come sono organizzati i cartelli della droga?
In
Colombia oggi più che i grandi cartelli, come quello di Calì o
Medellín, ci sono tanti piccoli cartelli e, così come accade in Italia
tra le famiglie di ‘Ndrangheta che si mettono d’accordo per l’acquisto,
così si consorziano tra di loro i cartelli per l’acquisto e la raccolta.
Una volta essiccata la Coca viene messa sotto le presse per realizzare i
panetti da un chilo. Ma prima di tutto viene scelto il marchio da
imprimere a secco. Può essere una luna, un leone, il marchio della
Toyota, della Yahoo, della Ktm. Il marchio serve per far capire la
provenienza. Se la cocaina che arriva non ha il principio attivo al
97-98% questa può essere contestate e viene rispedita al mittente.
Come avviene la spedizione?
Da quando la
Colombia ha iniziato un certo tipo di contrasto, la Coca viene fatta
partire da altri porti sudamericani. In particolare dal porto di Santos,
in Brasile, uno dei più grandi in assoluto con 30 km di banchine. E da
lì i container partono per Gioia Tauro, Amsterdam, Rotterdam ed Anversa.
Ma prima di arrivare nei porti sudamericani l’organizzazione criminale
deve pagare una tassa. Per coltivarla parliamo di una tassa di quattro
dollari al chilo. Poi c’è un’altra tassa per il trasporto. Se non si
pagano questi dazi si rischia la vita.
Cioè vengono pagati ad una struttura superiore?
Sì, c’è un’altra organizzazione sovranazionale che ha potere su tutti i cartelli colombiani, boliviani e peruviani.
Una volta arrivata nei porti come viene imbarcata la coca?
Ci
sono società, in particolare panamensi, che offrono chiavi in mano il
carico di copertura. Una documentazione che comprende tutto: bolle di
accompagnamento, beni viaggianti. E la cocaina viene nascosta
all’interno di succhi di frutta, gelatine, pellami, frutta esotica,
anche all’interno delle tavole di legno. Il metodo più diffuso è quello
inserire dei borsoni da 20-25 kg l’uno prima che i container siano
chiusi. Questi vengono dotati di galleggianti qualora fosse necessario
buttarli in acqua.
Quando arrivano al porto di Gioia Tauro chi gestisce lo scarico?
Le
famiglie di ‘Ndrangheta che gestiscono il porto fanno scaricare i
container togliendo i borsoni che vengono messi su una macchina o un
furgone. Anche loro si fanno pagare delle mazzette dalle altre famiglie
per il “disturbo”, in genere pari al 20% del valore della cocaina.
Intanto i container vengono richiusi con un sigillo, detto chiodo, che
ha lo stesso numero dell’originale ma che è semplicemente una copia.
Che valore ha la cocaina giunta in Italia?
Una
volta arrivata al porto di Gioia Tauro ha un valore di 30mila euro al
chilo. Una volta venduta arriviamo a 60mila euro al chilo. Ogni volta
che c’è un passaggio il valore cresce. Teniamo conto che con 100 grammi
di cocaina, aggiunti a trecento di mannite, possiamo produrre 400 grammi
di cocaina da strada. E la ’Ndrangheta gestisce tutto l’affare
all’ingrosso. Poi apre alle varie organizzazioni criminali anche una
specie di conto vendita, con la possibilità di pagare dopo la vendita
della droga. Ad esempio nel nord Italia, in Piemonte, ci sono i
cingalesi che comprano la droga dalla ‘Ndrangheta per poi distribuirla
nelle piazze di Torino.
E le altre mafie?
Non entrano in
conflitto con la ‘Ndrangheta. Anche la Camorra riesce a comprare cocaina
dalla Spagna perché ci sono le colonie colombiane. Si tratta di un
mercato talmente aperto che c’è spazio per tutti. Ed il consumo di
cocaina in Europa è tale che questo business non conoscerà mai crisi.
In Colombia, a lungo, hanno recitato un ruolo politico
importante strutture come le Farc (Forze Armate Rivoluzionarie della
Colombia ) o le Auc (Autodifese Unite della Colombia). Che tipo di
rapporto c’è tra queste organizzazioni e la ‘Ndrangheta?
Nel
corso delle nostre indagini sono emersi più volte dei collegamenti. Le
Auc, nate nel 1997 con l’intento di creare una struttura che si
occupasse dell’ordine pubblico, nel corso degli anni sono passati dal
chiedere mazzette ai produttori di cocaina al fare affari direttamente
con la ‘Ndrangheta. Un esempio è l’indagine che aveva tra gli indagati
Salvatore Mancuso, l'ex capo delle Auc. Lui trattava per conto della
'Ndrangheta l'acquisto di droga, occupandosi anche del riciclaggio del
denaro sporco in mano ai paramilitari colombiani. Un giro d’affari che
per sua stessa ammissione era di 7 miliardi di dollari l'anno. Prima di
finire in un carcere americano con l'accusa di traffico internazionale
di sostanze stupefacenti, Mancuso stava persino progettando di
trasferirsi in Italia, il paese dal quale era emigrato il padre,
originario di Sapri, in provincia di Salerno. Nel suo computer trovammo
36 parlamentari a libro paga e più volte lui stesso si era recato in
Parlamento durante le trattative per la pacificazione tra i paramilitari
ed il governo.
Con le Farc invece?
Anche qui le
indagini hanno mostrato dei collegamenti. E ritengo pericoloso il
processo di pacificazione che è stato fatto dal governo con la garanzia
della famiglia Castro, a Cuba. A mio parere è stata una corsa al ribasso
per chiudere questa partita. A differenza delle Auc, con i paramilitari
che si sono fatti sei anni di carcere, che hanno ammesso di aver
sbagliato e che hanno riconsegnato le armi, le Farc hanno solo
consegnato le armi. Non solo. Hanno rilanciato chiedendo una
rappresentanza in parlamento e l’ammissione di zone franche in alcune
zone della foresta Amazzonica. Cosa fanno in quei luoghi? Chi le
controlla? Un conto è se si piantano verdure, un altro se si pianta
coca. Piantando a regime in dieci anni si può diventare potentissimi,
persino più dello Stato. Io credo che si debba stare molto attenti a
festeggiare questa pacificazione. Ho visto che Oslo ha dato il premio
Nobel al presidente della Repubblica della Colombia ma sono certo che si
poteva fare di meglio.
Procuratore, tenuto conto della sua affermazione il
traffico internazionale di droga, il contrasto al narcotraffico, diventa
un problema politico a livello mondiale. Fino a che punto
l’organizzazione criminale, la ‘Ndrangheta, può mettere a repentaglio
una democrazia?
La questione è semplice ed è una
questione che riguarda tanto il Sud America quanto il mondo Occidentale.
Il traffico di droga crea un problema non solo sul piano della saluta
ma anche sul piano economico. Se io immetto miliardi di euro sul mercato
legale è ovvio che altero le regole del libero mercato e allo stesso
modo posso drogare le regole di una libera democrazia fino a farla
saltare. Io posso comprare alberghi, ristoranti e pizzerie ma se compro
pezzi di giornale e televisioni io acquisisco potere perché posso
cambiare il pensiero della gente.
E’ possibile spezzare questo meccanismo?
A
mio parere, essendo un problema sovranazionale, servirebbe una
riorganizzazione di una struttura come quella delle Nazioni Unite.
Andrebbero messe di fronte alle loro responsabilità Colombia, Bolivia e
Perù che sono i principali produttori di cocaina. Si dovrebbe
intervenire parlando direttamente con i cocaleros (i contadini
coltivatori di coca) proponendo loro un affare semplice garantendo gli
stessi guadagni che hanno coltivando la coca ma imponendo un altro tipo
di coltivazione. Inoltre le Nazioni avrebbero anche il ruolo di
verificare il raccolto. Con meno di un terzo della spesa s risolverebbe
un problema alla sua radice. I tre Stati accetterebbero l’ingerenza
dell’ONU sul proprio territorio? Sono molto scettico.
Ma solo per ingerenza o anche per i soldi?
Probabilmente
anche per i soldi. Quelli della droga per certi Stati possono essere un
grande indotto per l’economia legale. Però bisogna anche tenere conto
di un altro aspetto. In Sud America viene reinvestito solo il 9% del
denaro ottenuto con la vendita della cocaina. Il resto del guadagno
viene speso dai cartelli colombiani in Europa alla stessa maniera delle
nostre mafie che investono e comprano in Belgio, Olanda, Spagna,
Portogallo, e Germania.
Secondo lei perché, dopo tanti anni, ancora non si
riescono a sconfiggere le mafie? E’ possibile che ai vertici del potere
si ritenga la mafia funzionale al sistema per cui, come diceva un ex
ministro, “è meglio conviverci”?
Se il potere politico
pensasse ad un contrasto forte, netto e definitivo contro il traffico di
cocaina è ovvio che per poterlo fare si devono cambiare le regole del
gioco, ovvero le leggi. Nel momento in cui si crea un sistema
processuale penale detentivo per stroncare traffico droga quelle riforme
normative devono essere applicate anche per altri reati come quelli per
la corruzione, per i reati all’interno della pubblica amministrazione
ed anche per mafia.
Intervenendo, ad esempio, con modifiche che vanno
a migliorare e velocizzare il processo penale, magari
informatizzandolo, si ha un effetto a cascata anche su altri generi di
reato. Così difficilmente si arriverebbe alla prescrizione dei reati.
Per quale motivo non c’è questa volontà?
Perché chiunque ha il potere non vuole un sistema giudiziario forte. Perché così è difficile controllare il manovratore.
Eppure ogni anno sentiamo parlare di riforma della giustizia...
Da
trent’anni su parla di riforma e con la bocca tutti dicono le stesse
cose. Ma poco o nulla è cambiato. Un esempio è l’articolato di legge che
ho proposto con la Commissione composta da magistrati, avvocati e
professori. Allora suggerimmo delle modifiche superficiali, quasi ovvie,
con la promessa che, qualora fossero andate a buon fine, in un secondo
momento saremmo andati più in profondità. L’effetto è che di quelle
proposte solo un articolo è stato colto: quello sul processo penale a
distanza in quanto portava a un risparmio di 70milioni di euro all’anno.
Procuratore il Tribunale del riesame di Reggio Calabria
lo scorso agosto ha confermato l’ordinanza di custodia cautelare in
carcere per Rocco Santo Filippone, di 77 anni, e Giuseppe Graviano,
accusati dalla Dda di Reggio Calabria di essere i mandanti degli
attentati compiuti a Reggio contro pattuglie dei carabinieri tra il '93
ed il '94 che portarono alla morte di due militari ed al ferimento di
altri due. Attentati che, secondo la ricostruzione della Dda,
rientravano nella strategia stragista voluta da Totò Riina agli inizi
degli anni '90 per ricattare lo Stato ed avviare una trattativa con le
istituzioni. Anche la ‘Ndrangheta, dunque, ha preso parte a quel piano
eversivo?Premesso che ancora deve essere avviato un
dibattimento, qualora dovesse essere fondato l’impianto accusatorio ci
troviamo di fronte ad alcune famiglie che hanno aderito a quel piano
dopo una riunione che si è tenuta vicino Lamezia Terme. Ad aderire non
sarebbe stata tutta la ‘Ndrangheta. Se tutta la ‘Ndrangheta avesse
partecipato, tenuto conto che già allora c’erano ventimila
‘ndranghetisti divisi tra tutte le famiglie, vi sarebbe stata una vera
carneficina. Resta poi il fatto che la filosofia dominante criminale
dell’organizzazione calabrese è sempre stata quella di fare accordi con
gli uomini delle istituzioni, senza scontrarsi con lo Stato.
Che tipo di rapporti ci sono con i poteri esterni?
Con la politica sicuramente molto forti, fortissimi con la massoneria deviata.
E con il mondo della comunicazione, con quello economico e delle banche?
Ci
sono delle ipotesi di studio. Posso dire che le incursioni della
‘Ndrangheta nelle banche sono possibili soprattutto in quelle piccole a
carattere locale. Sono più vulnerabili ed avvicinabili in operazioni di
riciclaggio perché i consigli di amministrazione sono costituiti
soprattutto da gente del territorio. Le grandi banche internazionali e
nazionali, invece, non rischiano grandi riciclaggi.
In passato lei ha detto che la City di Londra è uno dei centri di riciclaggio...
E
lo confermo perché il sistema normativo inglese è molto permeabile. Il
Regno Unito è diventato una sorta di porto sicuro per gli investimenti
dei capitali mafiosi e, altresì, un luogo dove trovare efficienti
servizi per la realizzazione di complesse strutture societarie create al
solo scopo di favorire il riciclaggio dei soldi sporchi. Ci sono
soggetti e società di servizi che si adoperano al fine di costituire
società schermo che vengono vendute “chiavi in mano”. Forniscono atti
costitutivi, edifici, i soci e gli amministratori di facciata attraverso
i quali agevolare la commissione di reati di natura finanziaria,
fiscale e societaria. E le mafie fiutano tutto questo.
Come mai a livello europeo non si comprende la pericolosità delle mafie?
Perché
non hanno avuto la nostra stessa percezione del fenomeno. Probabilmente
se a Duisburg assieme ai sei italiani fossero morti anche dei tedeschi
la storia odierna sarebbe diversa.
Secondo lei nel prossimo futuro avremo un Governo, magari
composto da gente nuova, con la volontà di porre in essere una riforma
seria della giustizia e di contrasto alla mafia ed alla corruzione?
Non
sarei tanto ottimista per un semplice fatto. Il mio articolato di legge
lo hanno avuto tutti i partiti, quelli di destra, di sinistra ed anche
il Movimento Cinque Stelle. Un lavoro che non era una relazione sulla
mafia e che era pronto per essere votato, se si era convinti. Poteva
essere un modo per avviare una discussione. Nessuno ha fatto questo.
Il Procuratore Gratteri cosa chiederebbe come primo atto al prossimo ministro della Giustizia?
La cosa più semplice e banale che si possa fare: informatizzare il codice di procedura penale e l’ordinamento giudiziario.
E al Ministro degli Interni?
Una
migliore razionalizzazione delle risorse in modo che Polizia,
Carabinieri e Guardia di Finanza non si ritrovino a fare tutti le stesse
cose. E a questo aggiungerei anche più concorsi perché ci sono dei
posti in cui si è arrivati alla canna del gas a livello numerico ma
anche in termini di età. C’è bisogno di un rinnovamento.
Lei gira molto nelle scuole, ha scritto diversi libri. Cosa dovrebbe fare il prossimo Ministro dell'Istruzione?
Dovrebbe
investire sull’istruzione, dovrebbe introdurre il tempo pieno a scuola,
siano esse le elementari le medie o i licei. Solo con l’istruzione
possiamo colmare quel gap che abbiamo con gli altri Stati europei.
Sarebbe importante per tutti. Per i nostri ragazzi, per gli insegnanti
che al momento sono demotivati e mal pagati, e ne guadagnerebbe tutto il
Paese. Basta vedere ciò che è avvenuto nell’Est dell’Europa. Paesi come
la Polonia sono cresciuti in maniera esponenziale proprio perché
investono nell’istruzione e nella formazione.
Foto di copertina © ACFB
fonte: http://www.antimafiaduemila.com - 30 settembre 2017