di D. Emone (The Fielder)*
Domenica 22 marzo si sono svolte in 
Francia le elezioni per i dipartimenti, corrispondenti alle nostre 
province, ma là sono ancora eletti direttamente. Fin dalla sera, sui 
media italiani, non si sono sprecati i commenti e le analisi 
prêt-à-porter a risultati ancora per nulla chiari. A risultati 
definitivi, ora, si possono analizzare le elezioni d’oltralpe e si può 
facilmente capire come l’informazione italiana abbia preso un ennesimo 
granchio nell’urlare alla sconfitta del Fronte Nazionale e al trionfo 
dell’ex presidente Sarkozy.
Iniziamo dai dati, quelli del Ministero 
dell’Interno, e non degli exit poll. L’alleanza tra la destra 
repubblicana dell’UMP e i centristi liberaldemocratici dell’UDI ha 
ottenuto il 28,8% dei voti, seguito dal partito di Marine Le Pen, in 
solitario al 25,2%, e dai socialisti insieme agli alleati, al 21,8%. La 
sinistra estrema nelle sue varie articolazioni si ferma al 6%, i verdi 
crollano al 2%, mentre vari candidati di «destra diversa» e «sinistra 
diversa» ottengono rispettivamente il 6,8% e il 6,7%. Queste due 
etichette comprendono candidati che a livello locale si schierano in un 
campo politico ma senza l’appoggio dei partiti, oppure con l’appoggio ma
 non ufficiale, mantenendo una denominazione formalmente distinta da 
quella dei grandi partiti nazionali. Mutatis mutandis, come certe liste 
civiche a livello locale che si trovano sparse per l’Italia.
Si può 
parlare, allora, di sconfitta del Fronte Nazionale? A parere di chi 
scrive, e di molti analisti francesi, no, per vari motivi. L’equivoco 
s’è generato poiché i sondaggi avevano previsto l’FN in testa col 30%, e
 invece è arrivato secondo con cinque punti in meno. Inoltre, alle 
elezioni europee dello scorso maggio, l’FN — peraltro con mezzo punto in
 meno — arrivò effettivamente al primo posto. Certo, oggi il partito 
dell’estrema destra non è più la prima forza politica francese, ma resta
 il primo partito, perché il centrodestra è riuscito a superarlo solo 
grazie all’alleanza tra centro dell’UDI e destra dell’UMP. Inoltre, 
bisogna considerare che partiva dal 15% delle corrispondenti elezioni 
del 2011, con un solo consigliere, e oggi ne ottiene già 6 al primo 
turno, oltre a qualificarsi al secondo turno in oltre 1.000 cantoni (le 
circoscrizioni che eleggono, ognuna, due consiglieri dipartimentali in 
ticket). Ma, al di là dei numeri, già di per sé eloquenti, la prova per 
il Fronte non era semplice, perché si tratta d’elezioni locali, in cui 
entrano in gioco dinamiche anche non sovrapponibili a quelle nazionali, 
con un sistema elettorale maggioritario che storicamente lo sfavorisce, e
 in un contesto senza praticamente consiglieri uscenti su cui poter 
contare. 
Manca 
l’exploit del 30%, ma conferma (aumentando anche in termini di voti 
assoluti) le progressioni degli ultimi anni e continua il processo di 
radicamento territoriale nelle istituzioni locali, dopo l’elezione dei 
primi sindaci frontisti un anno fa. Ci si può chiedere se il 25% sia una
 barriera non oltrepassabile, un limite fisiologico per questo partito 
«antisistema», e se reggerà in contesti in cui l’affluenza non si 
attesta sul 50% (era prevista inferiore), ma al 75% almeno, come alle 
presidenziali.
In seconda
 battuta, ha davvero vinto Sarkozy? A prima vista, l’alleanza della 
destra e del centro è al primo posto, e si direbbe di sì, ma la realtà è
 più complessa. Parlando sempre di numeri, le liste dell’UMP e dei 
centristi alle europee dello scorso maggio (quando l’ex presidente non 
era ancora tornato in campo) si presentarono separate, ottenendo 
rispettivamente il 20% e il 10% circa: sommate, superarono il 28,8% di 
questa tornata. Paragone da prender con le pinze1 ma che rende l’idea 
del motivo per cui parlare di trionfo è ingiustificato. Certo la destra 
ha vinto le elezioni, e sarà ancor più evidente dopo il secondo turno, 
ma il merito non pare da attribuire a Sarkozy. La sua elezione alla 
guida dell’UMP, con le votazioni di fine novembre ristrette agli 
iscritti, non fu un trionfo: di fronte ad avversari di scarsa rilevanza,
 ottenne solo il 64%. Questo anche perché all’interno del suo stesso 
movimento restano parecchie divisioni, e l’idea di una sua ricandidatura
 alla presidenza della Repubblica nel 2017 è fortemente avversata da 
molti esponenti di spicco, tra cui gli ex premier Juppé e Fillon, pronti
 ad avversarlo alle primarie. 
Come s’è 
detto, decisivo è stato l’apporto dei centristi per arrivare in prima 
posizione, e proprio il rapporto col centro è un tema di polemica 
ricorrente tra Sarkozy e Juppé. Il secondo vorrebbe un’alleanza larga 
comprendente anche il MoDem di Bayrou; il primo li vorrebbe escludere 
per vendicare l’appoggio dato da questo a Hollande nel secondo turno 
delle elezioni presidenziali del 2012. In secondo luogo, l’onda di 
vittorie del centrodestra a livello locale non inizia certo oggi, ma già
 subito dopo i primi mesi del mandato d’Hollande, e prosegue con la 
netta vittoria delle comunali del 2014. In sintesi, è sicuramente un 
buon risultato, figlio anche della grave difficoltà in cui versa la 
sinistra in Francia, ma è lungi dall’essere un biglietto di sola andata 
direzione Eliseo per Sarkozy. Egli ha sicuramente avuto il merito di 
portare un po’ di chiarezza in un partito che aveva visto, dopo la sua 
uscita di scena, lotte fratricide, elezioni interne contestate, e 
l’assenza di un leader. Tuttavia, la sua popolarità non è quella di un 
tempo, e i francesi sono ancora delusi dal suo quinquennato. La 
strategia di tornare presidente solo grazie alla paura per l’avversario 
(Le Pen) o all’essere considerato semplicemente «meno peggio» (Hollande)
 si rivela pericolosa ed esposta a rischi: il 2017 è ancora lontano.
E, in 
tutto ciò, i socialisti? Chiaramente è una dura sconfitta, ma non una 
catastrofe. Come si suol dire, una volta toccato il fondo (14% alle 
scorse europee), scendere ancora è impossibile. Grazie a un recupero di 
partecipazione al voto, ad alleanze a macchia di leopardo con gli altri 
partiti di sinistra, allo storico radicamento (anche clientelare, in 
alcuni casi) e al crollo degli ecologisti, il 20% viene superato. Sarà 
però il secondo turno a rendere più negativo il risultato: le previsioni
 dicono che, dei 60 (su 100) dipartimenti che erano governati dal PS, 
meno di 40 vedranno confermata l’amministrazione socialista. 
L’impopolarità d’Hollande non è stata nemmeno significativamente 
scalfita dal clima d’«unità repubblicana» che ha seguìto i terribili 
fatti di Parigi. L’economia non dà segni importanti di crescita, i 
disagi sociali restano elevati, e questo non può che nuocere al 
risultato del partito di governo. Tuttavia, con la nomina di Manuel 
Valls a primo ministro e, soprattutto, d’Emmanuel Macron a ministro 
dell’Economia, il presidente ha dato una svolta «socio-liberale» alla 
sua politica, e il governo ha portato avanti alcune riforme per 
liberalizzare l’economia, facendo d’altro canto sollevare la sinistra 
del partito, che s’è più volte espressa in dissenso in parlamento. 
Questo il difficile compito dei socialisti per tentare di risalir la 
china: aprire al centro senza lasciare autostrade a sinistra. Ma, 
soprattutto, cercare di rimettere in moto l’economia.
Proprio 
sull’economia si giocherà, infatti, buona parte delle chance di tutti i 
pretendenti alla vittoria tra due anni, e queste elezioni non sono che 
un piccolo indice. Ma attenzione a dare per morta Marine Le Pen e per 
risorto Nicolas Sarkozy: la partita è ancora tutta da giocare. Checché 
ne dicano i media italiani, sempre alla ricerca di nuovi fenomeni 
all’estero e sempre pronti a cadere dalle nuvole quando non si accorgono
 dei processi in atto.
1 Innanzitutto perché in questa tornata 
d’elezioni dipartimentali non si sono espressi gli elettori delle città 
di Parigi e Lione, che in base alla riforma territoriale hanno uno 
statuto particolare. Inoltre, perché il fenomeno delle liste di «destra 
diversa», tipico delle elezioni locali, non si presentò alle europee. 
Infine, giova ricordare che la differenza dei sistemi elettorali 
(maggioritario «binominale» a doppio turno per le dipartimentali, 
proporzionale con sbarramento al 4% per le europee) influenza le scelte 
degli elettori.
25 Marzo 2015
Fonte: The Fielder http://thefielder.net/25/03/2015/perche-i-media-non-hanno-compreso-le-elezioni-in-francia/
tramite: http://www.lanuovaitalia.eu