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Non smettete mai di protestare; non smettete mai di dissentire, di porvi domande, di mettere in discussione l’autorità, i luoghi comuni, i dogmi. Non esiste la verità assoluta. Non smettete di pensare. Siate voci fuori dal coro. Un uomo che non dissente è un seme che non crescerà mai.

(Bertrand Russell)

08/11/14

IL GOVERNATORE DI BANKITALIA SBUGIARDA RENZI: ALTRO CHE ARTICOLO 18 ''E' LA CRIMINALITA' A BLOCCARE GLI INVESTIMENTI''



IL GOVERNATORE DI BANKITALIA SBUGIARDA RENZI: ALTRO CHE ARTICOLO 18 ''E' LA CRIMINALITA' A BLOCCARE GLI INVESTIMENTI''


La criminalita' organizzata ha fatto perdere all'Italia tra il 2006 e il 2012 ben 16 miliardi di investimenti esteri. Urgente e' l'approvazione di misure contro l'autoriciclaggio. E ancora: "Creare le condizioni per tornare a crescere e' oggi fondamentale e urgente. L'azione di riforma in questa direzione deve rispondere a un disegno ampio e organico, volto a ridurre l'incertezza e ispirato a principi di efficienza, equita' e legalita'".
Sono questi alcuni dei punti sviluppati dal Governatore Ignazio Visco nel corso del suo intervento in apertura del convegno "Contrasto all'economia criminale: precondizione per la crescita economica" presso la Sede di Milano della Banca d'Italia.


"Legalita', buona legislazione, regolazione efficace delle attivita' economiche, pubblica amministrazione efficiente sono le principali componenti di un sistema istituzionale in grado di favorire innovazione e imprenditorialita'. La criminalita' organizzata, la corruzione e l'evasione fiscale non solo indeboliscono la coesione sociale, ma hanno anche effetti deleteri sull'allocazione delle risorse finanziarie e umane e sull'efficacia delle riforme in atto. Rendono impossibile la costituzione di un ambiente favorevole all'attivita' d'impresa, e quindi all'occupazione, e riducono le possibilita' di crescita dell'economia. Nonostante la disponibilita' di indicatori di sintesi che evidenziano la presenza della criminalita' organizzata nelle diverse regioni italiane, con valori piu' elevati nelle regioni di tradizionale insediamento ma con una diffusione significativa anche nel Centro-Nord, non si dispone ancora purtroppo di una quantificazione accurata della sua distribuzione sul territorio e della sua penetrazione nei diversi settori dell'economia" - conclude Visco.
Quindi,altro che Articolo 18 che "impedisce gli investimenti stranieri e non attira capitali freschi in Italia" come ha detto Renzi. Sono la criminalità, la corruzione, la camorra, la 'ndrangheta, la mafia a rendere invivibile per chi vuole investire, l'Italia.
Ma Renzi, tutto preso dal suo stupido Jobs Act, tace. Non replica al Governatore della Banca d'Italia. D'altra parte, che potrebbe dire?

max parisi - 7 nov 2014
fonte: http://www.ilnord.it




Così disarmano la polizia


Ecco il progetto del governo che smantella la polizia di Stato I tagli a carabinieri 

 

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È il requiem della sicurezza. La scure della politica si vuole abbattere sui presidi delle forze dell’ordine, sulle caserme di polizia, carabinieri e guardia di finanza. L’esecutivo di Matteo Renzi vuole chiuderle, riformare alcuni uffici e abbassare i battenti di altri. Nel complesso la coperta si accorcia di 253 sedi, solo per la polizia. È un autogol. Il crimine avanza e i controlli arretrano. I reati aumentano, la tensione sociale pure, il terrorismo fa paura e gli agenti sono sempre meno e male attrezzati. I posti di controllo scompaiono.
Il Tempo è in grado di rivelare i numeri di questo funerale annunciato riservatamente dal Viminale ai sindacati di polizia. Nelle stanze dei bottoni si sono individuati i possibili obiettivi da cancellare dalla mappa della sicurezza: in Italia, nel Lazio e a Roma, dove a fine ottobre la scure dei risparmi si è già abbattuta e solo dieci Commissariati di polizia restano aperti dopo le 20 per prendere le denunce. Nei testi circolati si parla di soppressioni, accorpamenti, allargamenti e declassamenti. Vediamoli.

POSTI A PERDERE
Sono 157 i presidi ai quali si vuole mettere il lucchetto. Le indiscrezioni portano la firma della Direzione centrale per gli Affari generali della Polizia di Stato del capo del Corpo Alessandro Pansa e la data del 9 novembre scorso. Si toccano le Specialità, i Reparti che forniscono una esperienza particolare. Ci sono Stradale, Ferroviaria, Postale, Unità speciali come Nautica, Artificieri, Tiratori scelti, Squadre cinofile, Reparti volo, reparti a cavallo, sommozzatori. La prima schermata è sulla Stradale, si passa da 407 presidi a 373. Carta vince, carta perde: vengono soppressi 29 uffici, se ne accoprano cinque, se ne elevano dieci e se ne declassano due. Nel Lazio si ingrandisce il distaccamento di Aprilia (Latina), viene integrato il Reparto di interventi e scompare la sede di Cassino (Frosinone).
Il comparto della Ferroviaria perde 49 uffici, passa da 212 a 163. Nello specifico, nella nostra regione: istituzione della Polizia ferroviaria Roma, declassamento dei posti di Fiumicino e Ostiense, passaggio di grado di Tiburtina, Civitavecchia e Cassino, soppressione delle sottosezioni Roma Smistamento e Trastevere, e punto di appoggio a Viterbo.
La Postale, che indaga su crimini informatici e pedofili, paga un prezzo pesante: da 101 presidi a 27. Via quella presso il Garante delle Comunicazioni. Per le 187 Unità speciali esistenti si parla "solo" di chiusure: 69. E cioè: 50 squadre nautiche, quattro squadre sommozzatori (di cui a Roma quelle di Tor di Quinto e Ostia) e quattro Nuclei artificieri. I ritocchi colpiscono anche la polizia di frontiera: 27 dolorosi risparmi e solo qui la Capitale viene graziata.

ARMA E BAGAGLI
Se la Polizia piange i carabinieri non ridono. Dai tagli che si annunciano il pennacchio perde parecchie piume: 27 presidi tra Compagnie (sette) e Stazioni (17). Il blocco del turn turn over, già iniziato, ha creato un «decremento di personale che si è attestato su 12.600 unità rispetto alla forza organica prevista dalle leggi, e la decrescente disponibilità di risorse. l’Arma è stata costretta a ripioegare sulla tecnologia per sopperire al controllo del carabiniere classico, con tutte le carenze che tale scelta obbligata comportano. Per cui, con la nasciata a Chieti del «Centro nazionale amministrativo» sono stati soppressi 347 reparti e unità. Col tempo sono state soppresse nove Compagnie e 50 Stazioni. Per altre nove gemelle è stato avviato lo stesso iter, mentre per altre 32 sono stati valutati provvedimenti capestro. Il bilancio è stato un inesorabile il "necrologio", un arretramento delle presenza sul territorio che non ha fatto molto rumore ma i suoi effetti li ha prodotti: 3 Nuclei scali ferroviari e aeroportuali, 12 posti di frontiera, 94 siti navali (passati da 138 a 44, -68%), dismissione di 103 motovedette (ridotte da 172 a 69, -60%), 2 nuclei elicotteri, gli aerei passano da 94 a 43, via 3 Nuclei cinofili, 5 subacquei, 5 squadre a cavallo, 32 reparti di polizia militare nell’ambito della riorganizzazione delle Forze Armate. Poi ben 63 «aliquote notifiche» (per una riduzione del 61% sulle 103 originarie), 39 Nuclei Banca d’Italia, 2 Centrali operative e 4 Centri trasmissione.

ELENCO IMPIETOSO
L’elenco è lungo, impietoso, chiuse tipografie, centri logistici, tecnico-amministrativi, il Reggimento Allievi Brigadieri di Vicenza, la Brigata Scuole Appuntati e Carabinieri di Benevento e le Scuole Allievi Carabinieri di Fossano (CN) e Benevento.
MENO FINANZA
Anche la Guardia di finanza conta le sue perdite. Meno 72 reparti, meno il 4% del parco auto, meno il 20% dei mezzi aerei e meno 32% di quelli navali. Una voragine che nel 2015 dovrebbe essre di 10.300 militari. Una manna per chi non vuole pagare il fisco e sfuggire ai controlli. Dolci frasi per chi ricicla il denaro sporco e lo reinveste in società pulite, in fondi che nei quali in pochi vanno a mettere il naso. Lo spiega la relazione sui risparmi: «Tagli alla logistica nel suo complesso (le infrastrutture, la motorizzazione, il comparto aeronavale, l’informatica, la telematica e altri), al settore del reclutamento e dell’addestramento, del commissariato (vitto, vestiario, spese di pulizia, spese postali) e dell’armamento. Nel comparto delle infrastrutture è stato dato ulteriore impulso alle attività di riallocazione delle caserme (da immobili non di proprietà ad immobili demaniali) e optando per quelle soluzioni che hanno permesso di concentrare più repartipresso la stessa sede, con la soppressione - nel periodo che va dal 2009 al 2013 - di ben 72 Reparti e l’adozione di oltre 1000 ulteriori minori misure ordinative, che hanno consentito di recuperare personale per circa 900 unità. Il decremento delle risorse stanziate per il funzionamento hanno subìto una riduzione dal 2009 al 2013 di circa il 21%».

RASCHIARE IL BARILE
I contabili hanno cercato di fare salti mortali per dare un verso migliorativo al taglio di forbici. Hanno informato il governo Renzi che «all’esito di questo articolato processo, tuttora in atto e consistito in una serie di operazioni di dismissioni, acquisizioni e restituzione a privati di immobili, è stato generato un risparmio di spesa a regime di circa 7,5 milioni di euro». Si è continuato a battere su il tasto dei risparmi utili: «Ulteriori economie sono attese dalla gestione degli immobili di nuova acquisizione che sono tutti maggiormente rispondenti ai più moderni canoni di efficienza energetica. Sempre per citare razionalizzazioni di costi aventi natura strutturale, oltre 3 milioni di euro sono stati risparmiati con una articolata operazione di "riduzione" della catena logistica e di insourcing di una serie di funzioni che oggi, grazie all’utilizzo». E altre belle filastrocche: «Oltre 3 milioni di oneri in meno sono stati conseguiti grazie ad un piano di riorganizzazione del parco auto che si è articolato in una riduzione numerica del 4% e, soprattutto, nella dismissione di quei mezzi dai più elevati costi di esercizio e manutenzione. Ulteriori risparmi sono stati ottenuti nel comparto Aereo e Navale per un ammontare di 2 milioni di euro l’anno. In questo caso, è stata realizzata una spinta razionalizzazione delle strutture di supporto volta a valorizzare maggiormente le professionalità del Corpo deputate alle attività di manutenzione dei mezzi e di formazione dei piloti di aeromobili». Dopo avergli tagliato tutto, tagliate loro le vene

Fabio Di Chio- 8 nov 2014
fonte: http://www.iltempo.it

07/11/14

Il “muro” bulgaro per frenare i flussi di rifugiati siriani

 

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Nel 2013 oltre 11 mila persone, per lo più in fuga dalla Siria, hanno presentato richiesta di asilo alla Bulgaria mettendo a dura prova la capacità delle autorità bulgare di gestire l’emergenza. In un primo momento, infatti, il Governo Oresharski si è mostrato del tutto impreparato e incapace ad accogliere un flusso di questa portata soprattutto a causa delle problematiche interne legate alla crisi economica, alla mancanza di fondi sufficienti e di strutture di accoglienza per i rifugiati. In seguito, la mobilitazione di una fetta consistente dell’opinione pubblica, che non ha risparmiato gli atteggiamenti xenofobi nei confronti degli immigrati, e le pressioni ricevute dall’opposizione al governo e da formazioni politiche nazionaliste come il partito Ataka hanno portato all’adozione di misure più rigide per il contenimento del flusso di rifugiati.





A questo proposito, il “Piano per la gestione della situazione di crisi”, adottato dal Parlamento nel novembre del 2013, si basa su tre punti cardine: l’incremento del presidio della polizia (circa 3.000 agenti) al confine con la Turchia, il respingimento degli immigrati illegali oltre frontiera e la costruzione di una rete di 32 km lungo il confine bulgaro-turco per bloccare l’ingresso illegale attraverso i distretti bulgari più difficili da controllare.
È evidente, quindi, che il repentino cambio di posizione di Oresharski, che solo il 3 ottobre affermava che “la Bulgaria non può chiudere le proprie frontiere poiché firmataria di convenzioni internazionali”, non sia stato provocato solo dalle pressioni esterne ma rappresenti una chiara affermazione, a livello internazionale, della sovranità dello Stato bulgaro. Infatti, benché esista una progressiva comunitarizzazione della materia dei rifugiati, spetta ancora ai singoli Stati membri dell’Unione Europea adottare le misure del caso.




La costruzione della rete, conclusa lo scorso mese di febbraio, ha comunque rappresentato una scelta difficile a fronte dei 7,7 milioni di leva (3,9 milioni di euro) spesi per la sua realizzazione e del danno all’immagine della Bulgaria che le violente critiche da parte dell’UNHCR e dell’UE le hanno provocato. In questo senso, anche Michele Cercone portavoce del Commissario europeo agli affari interni, Cecilia Malmstr?m, aveva affermato che “è vietato respingere [i rifugiati].
Questi rinvii, non sono infatti conformi agli obblighi europei e internazionali”. Tuttavia, egli aveva anche ammesso che gli Stati membri sono sovrani e liberi di adottare le misure necessarie per la protezione delle proprie frontiere e dunque, di costruire dei muri. Appare quindi facilmente comprensibile perché, nonostante le rimostranze, l’UE non abbia imposto o potuto imporre alcuna sanzione alle misure prese dalla Bulgaria a protezione dei propri confini.





A difesa della chiusura del tratto di confine bulgaro-turco è poi intervento l’ex Ministro degli Interni, Tsvetelin Yovchev, giustificando la scelta non come la necessità di respingere i richiedenti asilo oltre confine ma di incanalare l’afflusso verso il valico di frontiera a Svilengrad, bloccando gli ingressi illegali nel Paese. In questo senso, la presenza di immigrati illegali che hanno sfruttato i flussi di rifugiati per entrare in Bulgaria ha costituito una seria minaccia alla sicurezza nazionale.
La polizia ha infatti sventato alcuni fallimentari tentativi di costituire cellule qaediste all’interno del maggiore centro di identificazione bulgaro di Harmanli. Inoltre, anche i dati diffusi dell’Agenzia statale per i rifugiati sembrano confermare la tesi di Yovchev rivelando una riduzione di oltre la metà (3.200) dei richiedenti asilo siriani rispetto ai 7.000 del 2013.





Appare doveroso sottolineare come al momento le frontiere siano state eliminate solo tra gli Stati della zona Schengen, di cui la Bulgaria non fa parte. Qualsivoglia altro confine tra due Stati è chiuso a priori, posto sotto il controllo e la protezione della polizia di confine e può essere attraversato solo tramite i punti di controllo al varco di confine.
Non esistono, al momento, principi o convenzioni internazionali che siano in grado di vincolare uno Stato a tenere i propri confini aperti o che gli vietino di tenerli “chiusi” al fine di impedire gli ingressi illegali.
A questo proposito, gli immigrati illegali, che quest’anno non hanno ottenuto lo status di rifugiato dalla Bulgaria, sono stati espulsi in uno Stato terzo (respinti in Turchia) o nel proprio Paese di origine (Siria/Iraq) in forza della Direttiva 2008/115/CE sulla deportazione.





Questo caso specifico, che ha riguardato circa 15.000 richiedenti asilo in Bulgaria lo scorso anno, costituisce la dimostrazione di come Sofia non abbia violato i principi internazionali per la tutela dei rifugiati come quello di “non respingimento” sancito dalla Costituzione di Ginevra del 1951 o la Direttiva 2004/83/CE sullo status di rifugiato.
Le espulsioni hanno infatti riguardato gli stranieri che hanno cercato di entrare nel Paese in maniera illegale, perdendo di conseguenza il diritto di asilo e commettendo un reato. A questo proposito, l’ex Ministro della Difesa Angel Naydenov ha affermato che la maggioranza degli immigrati siriani, anche illegali, richiedono lo status di rifugiato nella speranza di ottenere la cittadinanza bulgara e di emigrare nei Paesi europei più sviluppati.





 La verità è che una minima parte di loro risponde ai criteri per ottenere l’asilo, trattandosi spesso di giovani fuggiti per evitare il richiamo nelle Forze Armate siriane.
Anche quando questi abbiano ottenuto la protezione temporanea, che viene accordata nei casi di conflitti armati, non hanno alcuna possibilità di ottenere il passaporto bulgaro poiché non esiste un accordo tra i due Stati che preveda la doppia cittadinanza, e Damasco vieta di rinunciare alla cittadinanza siriana. L’unica possibilità che hanno è, quindi, di ottenere il permesso di soggiornare a tempo indeterminato in Bulgaria e i documenti che diano loro il diritto di viaggiare in altri Paesi europei, che è il loro obiettivo finale.





Sono molti i siriani e gli iracheni, inclusi i curdi di entrambi gli Stati, che guardano alla Bulgaria come a una via di transito verso altri Paesi economicamente più sviluppati come la Svezia, la Germania o la Svizzera. E questo ruolo rimanda inevitabilmente al nocciolo della questione: la difesa del confine bulgaro con la Turchia. Se Sofia non proteggesse le proprie frontiere non potrebbe essere accettata all’interno della zona Schengen e, d’altro canto, lascerebbe volontariamente il via libera a un incontrollato flusso illegale di persone.
Nel frattempo, mentre a livello internazionale si disquisisce sulla legalità del “muro bulgaro”, il confine tra Grecia e Turchia resta chiuso. La Bulgaria rimane quindi l’unica porta a est verso l’Europa per i siriani in fuga e l’ultimo baluardo orientale della UE che gli Stati membri mostrano però di avere poco a cuore nonostante ne costituisca il confine esterno.

Foto: AP, Flickr/Stanimir.Stoyanov,You Reporter, Reuters, Anadolu, Francesco Martino OBC,

di di Anna Miykova - 4 novembre 2014


Anna Mijkova - Nata a Kazanlak (Bulgaria), si è laureata con lode in Scienze Internazionali e Diplomatiche a Gorizia. Ha frequentato il Master in Peacekeeping and Security Studies a Roma Tre e ha conseguito il titolo di Consigliere qualificato per il diritto internazionale umanitario. Ha fatto parte del direttivo del Club Atlantico Giovanile del Friuli VG e nel 2013 è stata in Libano come giornalista embedded. Si occupa di analisi geopolitica e strategica dei Paesi della regione del "Grande Mar Nero" e dell'Europa Orientale e ha trattato gli aspetti politico-giuridici delle minoranze etniche e dei partiti etnici.

fonte: http://www.analisidifesa.it

MARE NOSTRUM (FORSE) FINISCE, MA LA FARSA CONTINUA - Analisi Difesa



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Quanta retorica e ipocrisia dietro il passaggio di consegne tra l’operazione italiana Mare Nostrum e l’europea Triton che peraltro non ci sarà (se mai avverrà) prima della fine dell’anno. Dopo 558 interventi, 100.250 persone soccorse (su circa 155 mila sbarcate in Italia dalla Libia tra gennaio e ottobre, 728 scafisti arrestati e 8 navi sequestrate l’operazione cominciata l’anno scorso nel Mediterraneo dopo la tragedia di Lampedusa si è conclusa ma forse no. Di certo è  stata affiancata a inizio novembre dall’Operazione Triton coordinata dall’agenzia europea Frontex che ha però compiti diversi e capacità ben più limitate. Il Ministro degli Interni Angelino  Alfano ha rivendicato l’orgoglio italiano” di essere stati “un modello e un esempio per l’Europa” con un trionfalismo del tutto fuori luogo per tante ragioni.





Innanzitutto perché nessun partner europeo ci ha preso ad esempio (se non in senso negativo) e poi perché il lento afflusso dei pochi mezzi europei richiederà almeno due mesi di transizione tra le due operazioni durante i quali la Marina continuerà a mettere in campo almeno 4 navi.
Basti pensare che il limitato contributo tedesco composto da un pugno di poliziotti e un elicottero arriverà in Sicilia solo a fine anno. Inoltre Triton sarà una missione di controllo delle frontiere marittime non di soccorso come Mare Nostrum (anche se pare che alla UE si cominci a discutere anche di missioni di ricerca e soccorso) e non potrebbe essere diversamente considerato che il dispositivo comprenderà solo due navi d’altura, due navi di pattuglia costiera, 2 motovedette, 2 aerei e un elicottero. E’ poi assurdo sperare che l’Italia possa chiamarsi fuori considerato l’impegno navale europeo poco più che simbolico e l’assoluta determinazione dei nostri partner a non accollarsi l’accoglienza di quanti sbarcano illegalmente in Italia.





I pochi mezzi aerei e navali messi in campo dai partner europei non risolveranno il problema anche perché con Triton, che opera al massimo a 30 miglia dalla costa, non sarà possibile pattugliare il mare aperto e i clandestini continueranno a raggiungere l’Italia.
Del resto l’eventuale disponibilità di ogni membro della Ue ad accogliere immigrati clandestini non farebbe che ingigantire ulteriormente l’esodo contribuendo a “svuotare l’Africa” e ad arricchire ulteriormente i trafficanti.
Con i soli mezzi di Triton in mare non sarà più possibile “intercettare” i barconi dei clandestini a ridosso delle coste libiche come è stato fatto finora dalla Marina Militare e ben difficilmente il debole dispositivo messo in campo dalla Ue potrà fronteggiare eventuali e probabili emergenze.





L’avvio di Triton comporta per ora l’unico vantaggio di ridurre i costi sostenuti da Roma per tenere in mare navi ed equipaggi, pari a circa 10 milioni di euro al mese (114 milioni spesi finora). Triton ne costerà ai contribuenti europei solo 3 ma non esprimerà certo le capacità d’intervento del dispositivo messo in campo dalla flotta italiana che nell’ultimo anno ha destinato la gran parte delle navi operative a questa operazione senza precedenti nella storia.
Alfano ha cantato vittoria affermando che Triton “non costerà un solo euro agli italiani” ma il ministro si illude: innanzitutto perché le spese di Frontex le paghiamo anche noi in quanto membri della Ue, poi perché la Marina sarà ancora costretta a intervenire con costi rilevanti e infine perché  le spese di accoglienza degli immigrati che continueranno ad affluire sul nostro territorio ricadranno ancora sui contribuenti italiani.
Lo sviluppo più probabile è infatti che, senza Mare Nostrum, i barconi tornino a puntare su Lampedusa come facevano prima dell’avvio dell’operazione, con il rischio di nuove tragedie e sovraccaricando le limitate infrastrutture dell’isola che la Marina verrebbe chiamata ad alleggerire trasferendo sul continente migliaia di clandestini.





La stagione invernale ridurrà i flussi anche tenendo conto che per raggiungere Lampedusa occorrono barche in condizioni decenti mentre nell’ultimo anno i trafficanti di esseri umani hanno messo in mare qualsiasi cosa fosse in grado di galleggiare sommariamente approfittando dei “saldi” determinati dalla presenza della Marina italiana davanti alle coste libiche che ha permesso agli scafisti di ridurre sensibilmente il costo del “biglietto”.
L’impiego di imbarcazioni in pessimo stato è stata la causa principale dell’elevato numero di vittime per lo più affogate nelle acque libiche, forse ben di più dei 691 morti e 1.499 presunti dispersi che risultano al Viminale. Per questa ragione l’operazione non ha impedito che vi fossero vittime in mare anche se di certo ne ha ridotto il potenziale numero: unico successo di un’operazione che per il resto si è rivelata fallimentare e per molti versi assurda.





Invece di scoraggiare l’immigrazione clandestina l’ha incentivata come sostiene Londra che non intende appoggiare il mini sforzo europeo nelle acque siciliane.
“Non sosterremo più operazioni di ricerca o di salvataggio nel Mediterraneo perché riteniamo che queste missioni creino un fattore di attrazione involontario incoraggiando più migranti a tentare la traversata pericolosa del mare e determinando così le morti più tragiche ed inutili” ha fatto sapere il Foreign Office.
All’inizio dell’operazione, un anno or sono, Il ministro degli Interni Angelino Alfano e l’allora titolare della Difesa Mario Mauro, avevano annunciato un “ruolo deterrente” di Mare Nostrum precisando che i clandestini sarebbero stati sbarcati nel porto sicuro più vicino, non per forza in Italia. Invece l’operazione ha traghettato solo in Italia oltre 150 mila persone che non avevano nessun titolo per sbarcarvi.
A proposito di “deterrenza” vale poi la pena ricordare che degli oltre 700 scafisti catturati la gran parte sono già stati liberati e rimpatriati (a spese nostre) e hanno già ripreso la loro lucrosa e criminale attività.




Il “libro dei sogni” di Alfano include per il futuro la costituzione di “campi profughi e centri di accoglienza direttamente nei Paesi da cui gli immigrati arrivano. L’elemento comune a tutte le domande d’asilo di migranti provenienti da diverse aree è che “quasi il 100% parte della Libia” ha detto il ministro ma nessuno, tantomeno l’Italia, vuole intervenire per stabilizzare il Paese nordafricano che abbiamo gettato nel caos con la guerra del 2011.
Eppure l’unica operazione che giustificherebbe l’impiego in forze della Marina Militare, cioè la continuazione di Mare Nostrum con gli stessi mezzi ma con altri obiettivi, è rappresentata dal “blocco” dell porto di Zuara e degli altri porticcioli circostanti da cui salpano i barconi. Le navi italiane potrebbero fermare rapidamente i clandestini, trasferirli a bordo e  poi sbarcarli nuovamente in Libia, con una sorta di respingimento protetto attuabile in sicurezza grazie alle forze militari che potrebbero comunque prestare soccorso ai bisognosi e ricoverare temporaneamente in Italia chi necessitasse di cure urgenti.





Certo la Libia non è la Svizzera ma i clandestini vi hanno vissuto per mesi prima di imbarcarsi. Come Analisi Difesa ha sostenuto più volte, un respingimento sistematico e prolungato così effettuato non solo salverebbe tante vite impedendo ai barconi di raggiungere il mare aperto ma in breve tempo determinerebbe la fine dei flussi migratori per la semplice ragione che nessuno pagherà mai i trafficanti per ritrovarsi sulla sponda africana del Mediterraneo.
Con le dovute misure di sicurezza si potrebbero inoltre rimpatriare direttamente nei rispettivi Paesi d’origine la quasi totalità de clandestini giunti in Italia. Nessuno ci ha mai spiegato perché oltre un milione di lavoratori asiatici e africani residenti in Libia che fuggirono in Tunisia ed Egitto durante la guerra del 2011 vennero tutti rimpatriati con un ponte aereo internazionale mentre, col consueto masochismo italico, solo i 40 mila giunti da noi con i barconi gestiti dai trafficanti vennero accolti come rifugiati.

Buonismo e improvvisazione
Di certo Mare Nostrum non poteva continuare così. L’utilizzo di costose navi da guerra (incluse le FREMM da mezzo miliardo di euro l’una) come fossero traghetti è un’assurdità senza precedenti. Nessuno Stato ha mai impiegato le forze armate per consentire a chiunque abbia pagato il “pizzo” ad organizzazioni criminali di oltrepassare i confini nazionali.





Anche perché un tale flusso migratorio sta già avendo un pesante impatto sociale in Italia. Mettendo da parte buonismo e terzomondismo va sottolineato che la gran parte dei clandestini accolti in Italia non sono profughi di guerra né fuggono da brutali dittature ma provengono da Stati di cui l’Italia riconosce i governi e con i quali ha normali rapporto economici e diplomatici.
Certo alcuni di questi Paesi sono instabili, altri sono interessati da banditismo e insurrezioni, ma sono soprattutto poveri. Se però passasse il concetto che condizioni economiche peggiori delle nostre sono un motivo sufficiente per indurci ad accettare l’immigrazione illegale, in Europa dovremmo prepararci ad accogliere 5 miliardi di persone poiché quasi ovunque nel mondo il tenore di vita e il livello di sicurezza sono inferiori ai nostri. Se anche tutto questo avesse un senso, non potremmo comunque permettercelo.
La gran parte degli immigrati vengono in Europa attratti dalla possibilità che diamo a quasi tutti di chiedere lo status di rifugiato (spesso in modo ingiustificato) e dal nostro assistenzialismo che consente di incassare in un giorno quello che al loro Paese guadagnerebbero in un mese di duro lavoro. Come ci hanno confermato in Niger fonti dell’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni, in tutta l’Africa Occidentale c’è chi vende beni e attività per pagarsi il viaggio. Il sogno, comprensibile, è di vivere meglio a spese nostre.





Molti siriani ed eritrei scappano per sfuggire alla leva militare e quasi tutti gli altri cercano solo migliori condizioni economiche che l’Europa non vuole e non può offrire (infatti alla Ue pretendono che tutti  clandestini restino nel Paese dove sbarcano, il nostro) e ancor meno l’Italia. Già oggi la distribuzione dei clandestini in quasi tutti i comuni solleva decise reazioni e malumori popolari (dovuti al fatto che per ogni clandestino l’Italia spende di più di quanto non incassino tanti pensionati e lavoratori italiani in un mese) e continuando di questo passo non potranno che dilagare a macchia d’olio razzismo e xenofobia.
In più le note di linguaggio politicamente corrette utilizzate dalle istituzioni per definire il fenomeno stridono con la realtà e con la sua percezione da parte di molti italiani. Nonostante fiction televisive strappalacrime cerchino di dimostrarci che aveva ragione l’allora  Ministro della Difesa, Mario Mauro, quando disse l’anno scorso che “le Forze Armate sono la più grande organizzazione umanitaria del Paese”, se definiamo migrante chi compie il reato di immigrazione clandestina con quale termine dovremmo definire gli stranieri che entrano in Italia regolarmente, con permesso di soggiorno e senza finanziare criminali e terroristi?  Ingenui, sprovveduti,  “pirla”?

 Tra l’altro l’ immigrazione clandestina è ancora un reato in Italia, come ha stabilito la  Corte di Cassazione che con una sentenza depositata il 29 ottobre ha decretato che l’ingresso irregolare nel territorio italiano resta reato penale e non semplice “violazione amministrativa”.
Tutti ricordiamo il voto buonista con cui la Camera dei Deputati aveva decretato il 2 aprile scorso l’abrogazione del reato con il palese obiettivo di rendere più agevole lo sbarco incontrollato di chiunque avesse interesse a venire in Italia con mezzi illeciti ma, come spesso accade in politica, alle chiacchiere ha fatto seguito.…il nulla.  Dopo il voto il governo avrebbe infatti dovuto emanare i decreti attuativi che avrebbero reso applicabili le nuove norme.
Ma non lo ha fatto, la Cassazione ha quindi  precisato che in tema di immigrazione la delega che il Parlamento ha attribuito al governo “non è ancora stata esercitata” , ragion per cui restano in vigore le norme precedenti, cioè la Legge Maroni che prevede il reato di clandestinità. Inoltre, ricorda la Cassazione, “la direttiva europea non vieta che il diritto di uno Stato membro qualifichi il soggiorno irregolare come reato o lo punisca con una sanzione penale”.

Il rischio di fomentare “guerre tra poveri”
A termini di legge, che dovrebbe essere “uguale per tutti”, dovremmo espellere oltre 150 mila immigrati giunti illecitamente in Italia dalla Libia dall’inizio dell’anno.





Curiosamente, il governo da un lato ferma l’operazione Mare Nostrum facendo insorgere tutte le organizzazioni che gestiscono con fondi pubblici l’accoglienza ai clandestini e dall’altro zittisce con l’accusa di razzismo e xenofobia chiunque osi criticare l’operazione navale e la demenziale gestione dell’immigrazione. Le nostre istituzioni fingono così di non sapere che i veri razzisti sono i trafficanti di esseri umani che proprio Roma sta contribuendo ad arricchire nonostante l’anno scorso l’allora ministro della Difesa Mario Mauro ne avesse denunciato i legami con il terrorismo islamico.
Come hanno raccontato molti immigrati clandestini, nei barconi arabi e asiatici viaggiano sulla parte scoperta, all’aria aperta, mentre i neri africani affrontano in molti casi la traversata nella stiva dove sono i primi a morire per le esalazioni della sala macchina e ad affogare per le infiltrazioni d’acqua. Questione di prezzo del “biglietto” ma anche di discriminazioni razziali molto diffuse tra quei popoli ed etnie.
Buon senso vorrebbe che, specie in un momento economico come quello attuale, il governo si occupasse prioritariamente dei suoi tanti cittadini in difficoltà prima di spendere centinaia di milioni di euro solo quest’anno per ospitare immigrati clandestini nello stesso momento in cui taglia o rende più cari tutti i servizi per gli italiani, persino quelli per i disabili.





Per l’Istat quasi il 13% degli italiani non trova lavoro e nel caso dei giovani la percentuale va più che triplicata. I nostri figli vanno ormai in massa a cercare lavoro all’estero e lo Stato spende miliardi per consentire a qualunque straniero di venire accolto e mantenuto in Italia?
Un cittadino italiano su tre è a rischio di povertà mentre uno studio della Coldiretti ha rivelato che 10 milioni d italiani (+  35% dal 2012) non riescono a permettersi un pasto proteico adeguato almeno ogni due giorni. La punta dell’iceberg di questa situazione sono i 4.068.250 poveri che nel 2013 in Italia sono stati costretti a chiedere aiuto per il cibo. Tra questi si contano ben 428.587 bambini con meno di 5 anni di età e 578.583 over 65. Ben  303.485 persone hanno beneficiato dei servizi mensa e sono ben 3.764.765 i poveri che nel 2013 hanno avuto assistenza con pacchi alimentari.
In queste condizioni solo dei folli o degli improvvisati possono spalancare le frontiere agli immigrati, soprattutto a clandestini che non sappiamo come e dove accogliere e che per di più non sono sempre riconoscenti come invece dovrebbero.
Oltre ai danni e alle violenze registrati in alcuni centri d’accoglienza ci sono anche episodi di arroganze e pretese che hanno il sapore della beffa e non aiutano certo la diffusione della “cultura della solidarietà”. Il 25 ottobre scorso 221 “naufraghi” siriani raccolti in mare da un mercantile si sono rifiutati di sbarcare a Malta. Volevano andare in Italia per tentare di raggiungere altri Paesi Ue. Ovviamente in modo illegale e ovviamente sono stati accontentati e sbarcati a Catania, neanche fossero turisti su una nave da crociera.

Senza controlli
Gli accertamenti sanitari su quanti sbarcano sono spesso sommari, a volte inesistenti, di certo inadeguati e ai clandestini non viene neppure imposto di identificarsi come ha ammesso l’ammiraglio Filippo Maria Foffi, comandante della Squadra Navale.























Parlando in una conferenza organizzata dall’Ecre (il Consiglio Europeo per i Rifugiati e gli Esuli) Foffi ha detto che “non possiamo da un lato salvare della gente che sta annegando e dall’altro costringerli con la violenza a essere identificati. Ci sono regole a livello di Unione Europea che sono ferree, ma poi c’è la realtà. Noi salviamo vite in mare e poi chiediamo agli immigrati di farsi identificare, facciamo loro delle foto, ma se non vogliono farsi identificare non li costringiamo” si legge nel resoconto pubblicato dall’agenzia Redattore Sociale.
“D’altro canto il diritto comunitario è paradossale in tal senso: c’è un siriano che, per esempio, ha un fratello, una sorella o un genitore in Svezia, lì ha una casa, un posto letto, una famiglia, un lavoro, un sostegno economico. Ma per la Convenzione di Dublino lui dovrebbe essere identificato in Italia e non potrebbe lasciare l’Italia per un altro Paese. E’ normale che non voglia farsi identificare no? Noi ci atteniamo all’obbligo di salvare vite sancito dal diritto internazionale, poi per l’identificazione ovviamente incoraggiamo i migranti a farlo, ma non li costringiamo di certo con la forza”.
Che ai clandestini venga consentito di eludere le leggi italiane e comunitarie è già di per sé grave e spiega forse perché in Europa diffidino di noi ma l’aspetto paradossale è che mentre nessun cittadino italiano può sottrarsi alla richiesta di identificazione da parte di un pubblico ufficiale a un immigrato clandestino viene concessa la facoltà di scegliere.





Per tutte queste ragioni la farsa di Mare Nostrum è solo uno degli esempi più eclatanti del crollo di ogni residua credibilità dell’Italia e delle sue istituzioni, incluse le forze armate. Eppure altri Paesi hanno scelto di contrastare l’immigrazione clandestina come la Grecia (che ha eretto un muro di 12,5 chilometri nell’unico tratto di confine con la Turchia in cui non scorre il fiume Evros), Malta o la Bulgaria che ha respinto profughi siriani in arrivo dalla Turchia sostenendo di non potersi permettere di accoglierli poiché tanti bulgari versano in gravi condizioni economiche.
Come spiega l’articolo di Anna Mykova la Ue ha dovuto riconoscere che i singoli Paesi hanno piena sovranità in termini di accesso di stranieri al territorio nazionale.
Del resto in tema di solidarietà internazionale Roma avrebbe potuto fare qualcosa di meglio che favorire gli affari di trafficanti senza scrupoli. Nel 1979 un gruppo navale italiano raggiunse le acque del Golfo del Tonchino per contribuire a soccorrere i boat-people sudvietnamiti in fuga dal regime comunista. La Marina portò in Italia un migliaio di persone poi integratesi perfettamente. Oggi potremmo soccorrere davvero popoli bisognosi senza arricchire mafie e trafficanti, ad esempio accogliendo parte degli 850 mila cristiani e yazidi iracheni cacciati dalle loro case dai terroristi islamici e riparati in campi profughi che l’inverno imminente renderà invivibili.

Foto: Marina Militare, ICSA, Ansa, TM News, Google

di Gianandrea Gaiani - 7 novembre 2014
fonte: http://www.analisidifesa.it

CASO MARO' - Il Risiko indiano

 




E’ difficile scrivere ancora della vicenda dei due Fucilieri di Marina dopo che lo Stato li ha ceduti “a mani ostili” senza pretendere che fossero rispettati i loro diritti. Sono trascorsi anni da quando sono stati consegnati alla Giustizia indiana applicando un’estradizione passiva, nonostante che nei loro confronti non fossero prodotte prove di accusa.


Intanto fonti di stampa ci dicono che per i marò si fa sempre più reale l’ipotesi dello scambio di prigionieri. Un negoziato silenzioso sviluppato per chiudere la vicenda attraverso un link diretto fra Palazzo Chigi e l’ufficio del primo ministro indiano, Narendra Modi. L’Italia potrebbe, infatti, in cambio di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, consegnare a Delhi 18 marinai indiani arrestati in flagranza di reato a bordo di una nave carica con 40 tonnellate di stupefacenti in navigazione nelle acque territoriali italiane.
Viene quindi abbandonata l’internazionalizzazione tramite arbitrato, anche se sbandierata dai Ministri responsabili della gestione della vicenda come “tecnicamente” pronta, per dare spazio ad una diplomazia bilaterale segreta che di fatto, però, di diplomatico non ha nulla se la trattativa viene sviluppata per uno scambio di prigionieri secondo un accordo bilaterale sottoscritto fra India ed Italia nell’agosto del 2012.
Una strada che aiuterebbe Modi ad uscire da un impasse e guadagnare credibilità in ambito internazionale, ma che nello stesso tempo ed ancora una volta rappresenterebbe per l’Italia una falsa vittoria.
Una “vittoria di Pirro” dopo quel tragico 2013 quando i due Fucilieri di Marina furono riconsegnati all’India e considerato il fatto che lo Stato pur di risolvere il problema accetterebbe soluzioni pragmatiche sicuramente non onorevoli per tutte le nostre Forze Armate; dal momento che due militari italiani sarebbero considerati allo stesso livello di 18 mercanti di droga fermati in flagranza di reato a bordo di una nave carica di 40 tonnellate di stupefacenti in navigazione in acque territoriali italiane.
Roma continua a cercare di non urtare la suscettibilità indiana dopo che l’India ha, invece, oltraggiato la nostra sovranità appropriandosi indebitamente del diritto di giudizio su due nostri soldati senza nemmeno produrre circostanziate prove di accusa e dopo avere prevaricato i loro diritti umani con la restrizione della libertà personale. Una timidezza quella italiana difficile da comprendere specialmente in questi mesi in cui il Presidente del Consiglio è anche Presidente di turno dell’Unione Europa e considerando la recente nomina del nostro Ministro degli Esteri responsabile della politica estera europea.
Modi, invece, nonostante le aspettative ottimistiche italiane sta dimostrando al mondo che l’India non è assolutamente disposta a cedere sovranità. Ha assegnato, infatti, il caso dei due Fucilieri di Marina al consigliere per la sicurezza nazionale, ex capo dei servizi segreti indiani, Rajiv Doval, nemmeno i nostri militari fossero terroristi che abbiano attentato alla sicurezza di Delhi.

Fernando Termentini -7 novembre 2014
Generale di Brigata della riserva dell’Arma del Genio dell’Esercito Italiano
Analista di Sistemi Informatici, ufficiale Addetto alla Difesa Nbc in particolare per quanto attiene la valutazione dei rischi
Brevetto Nato nel settore della Bonifica mine ed Ordigni Esplosivi


fonte: http://www.interris.it

The Indian Risk - Italian Marines case




It is quite difficult to write the story of the two marine riflemen after 1000 days since the state has given them over to “hostile hands” without demanding their rights to be observed. Years have passed since they were brought into custody in India through passive extradition, although no evidence has as yet been put forward proving their guilt.Meanwhile press sources account that an extradition of prisoners is becoming a real possibility for the marines.  Negotiations behind the scenes are to bring to a conclusion of the whole affair through a direct link between Palazzo Chigi and the Office of the Prime Minister of India, Narendra Modi.  Italy,  could in fact, in the exchange for Massimo Latorre and Salvatore Girone, hand over to Dehli, eighteen Indian sailors  who have been caught in possession of 40 tons of narcotics on board ship while sailing in Italian territorial waters.

Internationalization is being dropped for arbitration, though it has been blown to the four winds by the ministers responsible in the handling of the entire  affair as being”technically”open to make room for secret bilateral diplomacy,  which, however, has nothing of diplomatic in iteself,  if negotiations are to be moving towards an exchange of prisoners in accordance with a bilateral agreement signed between India and Italy in August 2012. A way that would help Modi to move out of the deadlock and earn himself credibility on the international scene, but for Italy,  at the same time and once more, it will prove to be just another ‘fake’ victory.

The “Pyrrhic victory” after that tragic March 22, 2013 when the two marine riflemen were handed over back to India and given the fact that in order to solve the problem, the state was ready to accept pragmatic solutions, soemthing which would not have honoured our armed forces; since the two Italian soldiers would be put at the same level as 18 drug dealers that have been arrested upon fragrant crime on board a vessel carrying 40 tons of narcotics sailing around Italian territorial sea waters.

Rome is continually doing its utmost in not arousing susceptibility of the Indian government  which instead,  has offended our sovereignty by adopting unfair judgement on two of our soldiers without even producing circumstantial evidence on the accusations, moreover, transgressing all human rights in restricting their  personal freedom.  An awkwardness on the part of Italy, difficult to  to understand,  especially now when the president of the Council has also been appointed as President of the European Union, and considering the recent appointment of our  new Foreign Minister who will also be in charge of European foreign policy.
On the other hand, Modi, despite optimistic expectations on the part of Italy, has made it clear that India does not intend giving up its sovereignty. In fact, the case of the two marine riflemen has been handed over to the National Security Advisor, former head of the Indian intelligence, Rajiv Doval.  Not even were they to be terrorists who attacked the security of Delhi.

Translation provided by Marina Stronati

by Fernando Termentini - november 6, 2014

fonte: http://www.interris.it

L’ITALIA DEI MARO’ Mille giorni di debolezza .... e l'Italia sta a guardare.




 

Conto alla rovescia: tra cinque giorni i nostri due fucilieri di marina “festeggeranno” – diciamo così – mille giorni di prigionia. Circa tre anni di tribolazioni, di scelte sbagliate, di interessi equivoci, soprattutto di promesse non mantenute. Da quel fatidico 15 febbraio 2012 lo Stato italiano non è riuscito né a riportare a casa i marò, né a incassare l’appoggio reale dell’Unione europea, né ad imporre il processo in sede internazionale. Un fallimento totale, dunque, una pagina buia della nostra politica estera. Passata attraverso due governi e tre ministri degli Esteri. Non è un tema che sposta le italiche coscienze: se ne parla sporadicamente, in occasione di qualche anniversario, ma sostanzialmente la vita del Paese non sembra risentire più di tanto di questa vicenda.
Il fatto può essere riassunto in poche righe; quello che invece paradossalmente prende spazio è la sequela di dichiarazioni ottimistiche del governo italiano, di date presunte, di scadenze realizzabili che hanno caratterizzato questa telenovela. Per quanto attiene alla storia basti ricordare che l’incidente della Enrica Lexie – la nave da trasporto che imbarcava anche i fucilieri di marina in servizio antipirateria – è avvenuto a 20,5 miglia nautiche al largo delle coste del Kerala, oltre quindi le acque territoriali indiane ma all’interno della cosiddetta “zona di interesse economico esclusivo” che si estende tra le 12 e le 200 miglia nautiche e su cui il Sua Act (la legge antipirateria indiana che prevede la pena capitale in caso di omicidio) si applica. Quel giorno un’imbarcazione si avvicinò troppo alla nave, ignorando gli avvertimenti dei marò: che fecero fuoco uccidendo due persone. Pescatori, per le autorità indiane, terroristi, per quelle italiane. Poi l’ingresso della Lexie nella baia indiana e l’arresto di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone.
Da qui in poi è partita la raffica di dichiarazioni ufficiali, il più delle volte senza riscontro effettivo. Settembre 2013 la Ministro Bonino: “Il Governo Letta ha “ereditato un dossier di grande complessità” sulla vicenda dei due marò italiani trattenuti in India. Il nostro impegno è portare a casa i marò”. Ottobre 2013, ancora la titolare della Farnesina. “Ma noi non abbiamo tanta credibilità da spendere all’estero”. “…Confido e sono speranzosa di riuscire, posso dare la garanzia del nostro impegno massimo”.


Febbraio 2013, il giorno dell’insediamento dell’attuale Governo, il Premier Renzi lanciava un twitter: “Ho appena parlato al telefono con Massimiliano Latorre e Salvatore Girone”. Ed ancora il 25 febbraio alla Camera il Premier ribadiva: “Vanno giudicati in Italia”.
Marzo 2013 il Ministro della Difesa Onorevole Pinotti in un’intervista a Sky TG24 ammetteva che “di errori ne sono stati fatti tanti, dalle regole di ingaggio, alla mancanza di una chiara strategia…”. Una posizione condivisa dalla Ministro degli Esteri On. Mogherini che il 25 marzo dichiarava dopo aver incontrato il proprio omologo indiano: “Abbiamo ribadito la nostra determinazione ad esplorare tutte le azioni politiche e legali per vedere riconosciuti i nostri diritti ad esercitare la giurisdizione sul caso marò”.
Ad aprile l’On. Pinotti affermava: “Siamo usciti dall’alveo bilaterale, per innalzare il contenzioso a livello internazionale: siamo ancora aperti a discutere con gli indiani”, ma “non abbiamo altra via che ricorrere all’arbitrato internazionale”.
Le parole rimangono tali. La conclusione è sempre più lontana e si passa alla fase riservata, quella della “secret diplomacy”, applicata un anno prima dalla Ministro Bonino ed il romanzo continua quando domenica 2 novembre 2014 il governo informa: “Aperta interlocuzione con governo indiano, speriamo porti ottimi frutti”. Dichiarazioni di auspicio che si aggiungono alle parole del neo Ministro degli Esteri, on. Gentiloni che dichiara poco dopo l’investitura: “le prime telefonate” che ha fatto “sono state a Massimiliano Latorre e Salvatore Girone”, perché il “dossier” è prioritario anche per il neo titolare della Farnesina resta il destino dei due Maro”. Peccato siano frasi già pronunciate il 22 febbraio scorso dal Premier Renzi e ancora prima all’insediamento del Governo Letta. Cambiano gli Esecutivi, resta la prigionia. E l’Italia sta a guardare.

Angelo Perfetti - 7 nov 2014
fonte: http://www.interris.it

06/11/14

La vera casta di intoccabili di Stato ........





La vera casta di intoccabili di Stato nel nuovo libro di Sergio Rizzo: politici, usceri, boiardi, tutti i nomi di chi succhia il sangue e i soldi agli italiani con rendite perenni ed esagerate, vitalizi scandalosi
Corriere della Sera, martedì 21 ottobre 2014



Qualche faccia tosta, molto tosta, oserà sporgergli querela. Lui lo sa. Ma non si preoccupa più di tanto. Tanto ha le «carte». Che se le porta in tribunale quei parassiti che succhiano il sangue e i soldi agli italiani dovranno pagare anche le spese di giudizio. «Carte» di carta che pesano decine di chili. E «carte» di file elettronici (legali, non che violino la privacy) leggere come l’aria ma pesanti come un grande sasso che ti inchioda alle tue responsabilità: magari niente di penale, ma di morale sì. Si sta parlando di Sergio Rizzo e del suo nuovo libro: Da qui all’eternità. L’Italia dei privilegi a vita (Feltrinelli, pp.200, e 15).
Rizzo è un vero signore, laureato in architettura, educato e gentile, che, ogni tanto, sono costretti quelli che fanno gli ormai inutili talk show in tv a invitare perché le cose che scrive (sul «Corriere della Sera» e nei suoi libri) non si possono ignorare. Lui non strilla. Non spara bombe. Non manda a quel paese nessuno. Ma osa dire cose che pochi osano. Il fatto che sia un vero giornalista è dimostrato dal fatto che ha più nemici che amici.
Bene: parliamo di questo libro che tra ventiquattr’ore potrete trovare in libreria. Come si dice in gergo: fa «un mazzo tanto» a chi — politico, sindacalista, alto magistrato, funzionario di Stato, manager pubblico ma anche privato, rettore di università, burocrate che condiziona i ministri, ministro che condiziona i burocrati eccetera — s’è approfittato di leggi (ingiuste) per arricchirsi (legalmente ma vergognosamente).
È un libro dove non si dice: Tizio ha una rendita superiore a 2.000 euro al mese da un vitalizio (della Regione Lazio, per esempio) che spudoratamente somma a un altro reddito (del Parlamento europeo, per esempio). No, qui si dice: Tizio, Caio, Sempronio, Mevio e Filano (nel libro i nomi sono quelli veri) «rubano» (nel senso che non se li meritano) 2.765,38 euro al mese. Tutto scritto nelle «carte» che Rizzo conserva. Rizzo è preciso: alla virgola.
Chi scrive diffida dei risvolti di copertina dei libri: spesso sono enfatici, esagerano. Nel caso di questo libro (che Rizzo se lo sia scritto da solo il risvolto?) coincide esattamente («è conforme», come direbbe il suo amico Gian Antonio Stella con cui ha scritto il memorabile La Casta ) con il contenuto delle 200 pagine che precedono la morale finale. Dice: «È accettabile, in un Paese martoriato da una crisi infinita, che un deputato regionale cinquantenne, con l’età di Brad Pitt e Monica Bellucci, incassi un vitalizio dopo solo qualche mese di legislatura? E prendendo più del doppio di un operaio inchiodato 42 anni in fabbrica? Come possono i cittadini esposti da anni al massacro dei loro diritti, dall’innalzamento inarrestabile dell’età pensionabile al taglio degli assegni previdenziali, rassegnarsi all’intoccabilità dei privilegi ingiustificati di altri cittadini, considerati di serie A? Quello delle rendite perenni e spropositate. Dei vitalizi scandalosi o delle poltrone perpetue è il più odioso dei vizi nazionali. Pubblici e privati: perché chi entra nel circolo vizioso del potere burocratico finisce per rimanervi felicemente intrappolato per sempre.
Ci sono dirigenti pubblici pressoché inamovibili anche ben oltre la pensione, boiardi che hanno portato al collasso aziende del parastato e sono stati premiati con poltrone di prestigio. E poi ancora consiglieri regionali, assessori provinciali, generali, ambasciatori, top manager di banche e imprese che possono contare su infinite prebende e inappellabili incarichi a vita, sindacalisti a cui la politica garantisce sistemazioni eterne con vitalizi da favola. La colpa è spesso delle regole. Regole sbagliate, assurde, scritte per un mondo che non c’è più o forse non c’è mai stato. Regole che hanno spalancato un abisso tra il Palazzo e il paese. Talvolta, frutti avvelenati del Sessantotto, la cui generazione voleva cambiare il mondo, ma ha cambiato in meglio solo la propria esistenza a scapito di quella dei figli. Per rimettere in moto l’Italia si deve ripartire da qui. Mettere in discussione i privilegi eterni. Abbattere le rendite parassitarie. Cambiare le regole assurde che rischiano di distruggere il Paese».
Ma che Paese è quello dove (esagerando, ma tanto per capirsi) hai uno o più vitalizi cumulabili se sei stato consigliere comunale, provinciale, regionale, deputato, senatore, parlamentare europeo e, tra un incarico e l’altro, ufficiale dell’esercito, della marina, dell’aeronautica, della guardia di finanza, dei carabinieri, rettore universitario, capo dipartimento di qualche ente inutile, magistrato, giudice di pace, manager di qualche inutile e costosa fondazione, babbo di figli che vincono concorsi pubblici da cardiologo esaminati da un oculista, presidente di enti pubblici che comprano siringhe per l’ospedale della tua città quando ad Amsterdam costano dodici volte meno, presidente di una Asl tu che hai fatto la scuola di ricamo e cucito, tu che hai fatto approvare una leggina che crea una «posizione» da garante dei detenuti (e magari in galera ci saresti dovuto andare tu) e poi ne diventi il presidente.
Basta: ci vuole il fegato di Rizzo che dice: «Però si può fare qualcosa per eliminare, abolire, limitare questo sconcio». Lui ci crede, altrimenti non avrebbe dedicato la sua vita professionale a denunciare quello che ha denunciato. «Qualcosa sta per succedere — dice — , il Paese è stanco. E tutto questo non lo sopporta più. Forse l’ha capito anche chi fa politica».
Speriamo che Rizzo abbia ragione: se non altro per sapere che il suo lavoro a qualcosa è servito.
Per illuderci leggiamo dal suo libro quello che Giuseppe Garibaldi scrisse al figlio Menotti nel 1870 e qualcosa (noi non siamo precisi come Rizzo) rinunziando a un vitalizio da ben centomila lire: «Dirai a lui (il ministro Pasquale Stanislao Mancini) che le centomila lire mi peserebbero sulle spalle come la camicia di Nesso. Accettando avrei perduto il sonno, avrei sentito ai polsi il freddo delle manette, le mani calde di sangue. E ogni volta che mi fossero giunte notizie di depredazioni governative e di pubbliche miserie mi sarei coperto il volto dalla vergogna. Questo governo la cui missione è d’impoverire il paese per corromperlo, si cerchi complici altrove».
Però c’è un problema: un paio d’anni dopo queste nobili parole il nostro mitico Giuseppe Garibaldi «masticando amaro quelle centomila lire le intascò».

Francesco Cevasco - 21 ott 2014
fonte: http://cinquantamila.corriere.it

La crescita potenziale dell’economia è davvero nulla?


 
 
Non è pari a zero come dice la Ue ma è bassa. C’è un motivo strutturale se da 20 anni non cresciamo
(Sean Gallup/Getty Images)


Istat
Istat
Istat
Istat
Istat
Fonte: Istat


Uno dei punti di scontro sulla legge di Stabilità tra il governo italiano e la Commissione Ue ha riguardato il Pil potenziale dell’Italia. Una volta individuato il Pil potenziale si può calcolare l’“output gap”, cioè il divario del Pil effettivo rispetto al suo livello normale. È in funzione di questo output gap, come ha fatto notare Francesco Daveri su lavoce.info, che dopo la revisione del trattato di Maastricht la Commissione e i vari ministeri dell’Economia dei Paesi europei calcolano il deficit di bilancio normale (o “strutturale”), sottraendo dal deficit effettivo la parte imputabile alla fortuna o sfortuna della fase ciclica.
La posizione ufficiale del governo italiano, nei confronti della Commissione Ue, che ha stimato un Pil potenziale vicino allo zero, è stata quella di rilevare in diverse occasioni, l’ultima delle quali nella nota di aggiornamento del Def, degli errori di stima. Per i tecnici del Mef, essendo una variabile non direttamente osservabile, i metodi statistici di stima, spesso molto complessi, non riuscirebbero a catturare il vero potenziale della nostra economia.
Le implicazioni politiche sono abbastanza rilevanti: un potenziale vicino a zero implica tra le altre cose un output gap (la differenza fra Pil osservato e potenziale) più piccolo e un deficit strutturale di bilancio più negativo, a parità di altri fattori. Da qui deriva l’importanza di tale variabile tecnica per la politica economica del governo.
Tralasciando i tecnicismi, ed evitando di avventurarsi in stime noiose, una semplice media della crescita negli ultimi 20 anni aiuta comunque  capire l’importanza della questione e a delimitarne quantitativamente i confini. I grafici mostrano i tassi di crescita annuali di diverse misure di prodotto potenziale: il Pil assoluto, Il Pil per persona, il Pil per ora lavorata e per occupato (ovvero due misure di produttività del lavoro). La linea rossa si riferisce alla media nel periodo, mentre quella verde è la media escludendo gli anni della grande crisi. La ratio del mostrare due medie differenti risiede nell’osservazione che, in recessione, probabilmente gli errori di stima del prodotto potenziale sono più alti.


Quale lezione trarne? Se ci si concentra sulla definizione di Pil totale, si nota come il potenziale annuale negli ultimi venti anni è solo dello 0,5%. Non è zero, come i tecnici della Commissione vorrebbe far credere, ma nemmeno è una cifra di cui andar fieri. Escludendo gli anni di recessione (metodo comunque discutibile, poiché il capitale umano tende a diventare obsoleto se si resta a lungo tempo fuori dal mercato del lavoro), il potenziale sale a 1,5 per cento.
Cosa dire, invece, se si astraesse dalla demografia e dall’input lavoro, che è stato ancor crescente nel  periodo considerato, sebbene di poco a causa dell’invecchiamento della popolazione? La misura pro-capite ci è più sfavorevole. Nel periodo che va dal 1995 a oggi, il Pil pro-capite è cresciuto in media solo dello 0,2%, e dell’1,2 per cento se si esclude l’ultima recessione. Un risultato onestamente deludente. La situazione è ancora peggiore per quanto riguarda la produttività del lavoro. Anche escludendo il periodo recessivo, la crescita non è mai superiore allo 0,6 per cento. Nel caso della produttività per occupato il potenziale è in pratica zero.
Cosa dedurre da queste cifre? La questione posta con forza dal nostro governo non è del tutto infondata, ma visti i numeri gli effetti sull’output gap e sul deficit strutturale sarebbero comunque minimi. Si usa tanta foga retorica per dei benefici sul budget strutturale nell’ordine di pochi punti percentuali. Forse è tempo per i nostri politici di realizzare che 20 anni di non crescita sono ben causati da arretratezze strutturali, senza eliminare le quali tirare in ballo errori nella stima del Pil potenziale appare come discutere del sesso degli angeli.

di Thomas Manfredi - 5 nov 2014
fonte: http://www.linkiesta.it

UNA FIRMA PER LICENZIARE MARINO SABATO MATTINA APPUNTAMENTO IN CAMPIDOGLIO


QUANDO IL CENTRODESTRA ROMANO SI SVEGLIA DAL TORPORE NEL QUALE E’ 


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SPROFONDATO E MOSTRA SEGNALI DI VITA DIETRO C’E’ SEMPRE LO ZAMPINO DI FABRIZIO SANTORI, IL CONSIGLIERE REGIONALE CHE SABATO 8 NOVEMBRE LANCERA’ LA SUA SFIDA A IGNAZIO MARINO

Come si fa a cacciare il sindaco Marino dal Campidoglio? Esistono tre percorsi: la prima è che muoia, la seconda che si dimetta spontaneamente e la terza è che venga sfiduciato dal consiglio comunale. La prima non la auguriamo a nessuno, la seconda è alquanto improbabile. L’unica via da percorrere è la terza: la sfiducia dell’Aula Giulio Cesare. Operazione difficilissima ma non impossibile. Serve una mozione di sfiducia e serve che questo atto, che va votato in consiglio comunale dalla maggioranza dei consiglieri, arrivi forte di  un sostegno che parta dal basso, dai cittadini.

Santori

Fabrizio Santori

Ecco perchè Fabrizio Santori, consigliere regionale e in passato consigliere comunale ai tempi di Alemanno, sabato 8 novembre, insieme all’associazione DifendiAmo Roma, ha invitato tutti i cittadini stanchi di Marino e del suo modo di governare Roma a firmare una petizione per fargli abbandonare il Campidoglio, l’appuntamento proprio sotto la statua del Marco Aurelio a partire dalle nove di mattina. L’iniziativa si chiama “#Sgomma” e ha il chiaro intento di prendere in giro quel “Daje” targato Marino, slogan con il quale l’attuale sindaco vinse le elezioni nel Maggio del 2013.
La mozione recita così: “La città di Roma vive, in particolare da più di un anno a questa parte, uno stato di degrado, di percezione di insicurezza diffusa e di abbandono gravissimo, testimoniato dalle numerose manifestazioni che si ripetono settimanalmente nei diversi quadranti della città. I sottoscritti cittadini, consapevoli delle gravi quanto acclarate responsabilità dell’attuale Sindaco, responsabile dell’incapacità ad adempiere i doveri derivanti dal proprio mandato, e stante l’aggravarsi delle difficoltà riscontrate nella maggioranza che lo sostiene, esprimono sfiducia, al dott. Ignazio Marino e lo impegnano a rassegnare le dimissioni da Sindaco di Roma Capitale”.


Marino, evidenzia la petizione, è stato eletto con “palese astensionismo e, di fatto, senza il consenso di neanche un terzo dei cittadini”. Romani che “risultano ad oggi i cittadini più tassati d’Italia, con aliquote Tares, Tasi e addizionali regionali e comunali Irpef tra le più alte del Paese”.
Ora non staremo qui ad elencare tutte le cose che non vanno in città. Basta affacciarsi alla finestra e vi accorgerete di essere circondati da zingari, degrado e delinquenti che si aggirano indisturbati per le vie di Roma. Testimonianze evidenti di un sindaco e di una Giunta leggera e impalpabile che non riesce a tenere le impegnative briglie della Capitale.
Santori, uno dei pochi a Roma e nel Lazio in grado di organizzare una opposizione responsabile e lontana da toni populisti, è chiamato alla sua ennesima prova di forza. Arriva a questo appuntamento in  un  periodo in cui l’elettorato del centrodestra è smarrito e sfiduciato, senza punti di riferimento, costretto ad aggrapparsi alla giacchetta nordista di Salvini a livello nazionale e a quella di cachemire di Alfio Marchini a livello cittadino. Due leader “stranieri”, lontani anni luce dall’universo culturale e politico dell’elettorato che fu di Berlusconi e di Alemanno. Non è un caso se Santori, figlio del popolo e senza potentati politici alle spalle, sia arrivato quarto nel sondaggio lanciato dal quotidiano Il Tempo su un ipotetico sindaco di Roma. Il gradino più alto del podio è andato ad Alfio Marchini, figlio di un campagna mediatica a suon di milioni di euro, seconda è arrivata Giorgia Meloni, romana della Garbatella, ex VicePresidente della Camera, ex Ministro Berlusconiano, e con alle spalle un partito come Fratelli d’Italia, la medaglia di bronzo è andata al collo di Sveva Belviso, ex vicesindaco dell’era Alemanna e sostenuta dalla rete di appoggi del potentissimo senatore Augello. Ecco che, dopo i tre politici figli di apparati, si piazza Santori, forte, appunto, della forza esplosiva della gente comune. E sabato  sarà proprio la forza della gente comune a far tremare la poltrona di Ignazio Marino.

di Michele Ruschioni
fonte: http://www.noiroma.tv

Vergognoso regalo dello Stato ai padroni del Gratta&Vinci. GTech va a Londra ma la concessione resta. La politica tace e la lobby ne approfitta







Partiamo da un dato. Il giro d’affari del gioco, secondo gli ultimi dati, supera di gran lunga i 70 miliardi. Una cifra incredibile. E ciò spiegherebbe perchè l’attenzione dello Stato deve essere massima. La domanda allora sorge spontanea: perchè mai si permette che una concessione, senza che venga indetta nuova gara pubblica, passi di mano, motu proprio, da una società ad un’altra? Il riferimento è al colosso del gioco GTech (meglio nota come ex Lottomatica) che sta concludendo il passaggio di fusione con Igt (leader mondiale nel settore dei casinò) per poi lasciare l’Italia ed emigrare in Inghilterra. Non solo: la società abbandonerà anche Piazza Affari per poi quotarsi solo e soltanto negli States.

CORNUTI E MAZZIATI
Nulla di sbagliato, certo. Scelte imprenditoriali importanti, dato che la fusione proietterà il gruppo De Agostini (attuale proprietario di GTech) a regnare sul mondo del gioco con un fatturato previsto superiore ai 6 miliardi di dollari. Quello che però puzza è il fatto che, nonostante la società abbia deciso di emigrare all’estero, fondersi con Igt e dar vita ad una nuova holding, la Georgia Wordlwide, la concessione non è stata ritirata. Anzi: in barba a qualsiasi legge e spirito di buon senso, si andrà fino al 2016 in prorogatio. In poche parole: un regalo di Stato. Bello e buono. Non potrebbe essere altrimenti se pensiamo che centinaia di milioni non entreranno più nelle casse italiane dato che la società non avrà più residenza in Italia e dunque non sarà più soggetta alla nostra imposizione fiscale. E, nonostante questo, lo Stato comunque le assicura la concessione. Senza indire una nuova gara pubblica, ma andando avanti di proroga. Insomma, cornuti e mazziati.

L’ALLARME
Il motivo per cui, allora, lo Stato abbia deciso di muoversi in questo modo (o, meglio, di non muoversi affatto) resta oscuro. Anche perchè la stessa Agenzia delle Entrate aveva presentato al governo forti dubbi sulla proroga della concessione. In risposta ad un’interpellanza parlamentare, è stato lo stesso ex sottosegretario dell’Economia Giovanni Legnini a ricordare che secondo l’Agenzia “una valutazione circa eventuali perdite di gettito derivanti dal trasferimento all’estero della residenza fiscale della società in questione potrà essere effettuata solo in base alla analisi della situazione patrimoniale nonché dei dati contabili e fiscali della società”.Insomma, i Monopoli diretti da Giuseppe Peleggi hanno preferito garantire la concessione. Così: a scatola chiusa.

L’ESCAMOTAGE
Una giustificazione in realtà è stata cercata. Come confermatoci dagli stessi Monopoli, la GTech ha comunicato lo scorso 5 settembre “la richiesta di autorizzazione preventiva” delle concessioni ad una nuova società, “Italian Holding”, che assumerebbe in questo modo il ruolo di capogruppo in sostituzione della GTech. Se così è, si penserà allora, il problema è evitato. Ma attenzione. Se “la nuova concessionaria dei servizi del lotto sarà controllata direttamente da Italian Holding”, è anche vero che questa sarà “controllata a sua volta al 100% dalla holding di nuova costituzione di diritto inglese con sede nel Regno Unito”. Insomma, altro non è che un escamotage per mantenere la concessione in proroga, dato che la nuova società detentrice si sposta. Fuori dall’Italia. Nel silenzio di tutti. Connivenza o negligenza che sia.


di Carmine Gazzanni

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GTech azzarda e va a Londra. Ma lo Stato salva chi lo beffa


Era Lottomatica. È GTech. Sarà Georgia Worldwide. E, soprattutto, lo sarà lontano dall’Italia, dato che la nuova holding del gioco avrà sede legale in Regno Unito e sarà quotata solo e soltanto al New York Stock Exchange, negli Usa. Dopo l’annuncio fatto a luglio della fusione tra GTech e il leader mondiale nel settore dei casinò Internatioal Game Technology (Igt) e della loro incorporazione nella NewCo Georgia Wordlwide, infatti, due giorni fa è arrivato l’ok anche da parte dell’assemblea degli azionisti del colosso della ex Lottomatica.

VIA LIBERA
Ok, dunque, all’operazione da 6,4 miliardi di euro. A tanto ammonta la portata della fusione. Una cifra gigantesca, di molto superiore – per capire la portata – anche a quella compiuta dalla Fiat che per 4,35 miliardi di dollari ha acquisito il 41,5% di Chrysler. Eppure se quella fusione ha fatto tanto discutere, quella del duo Marco Sala (Ad di GTech) e Lorenzo Pelliccioli (presidente) sta ricevendo solo plausi e paginoni dai giornali che esaltano la nascita del “colosso dei giochi”. Nessuno che si accorga (o che si voglia accorgere) che agli evidenti vantaggi economici per la società si contrappone una enorme fuoriuscita di imposte, dato che GTech non sarà più soggetta all’imposizione fiscale italiana. Pur conservando – ecco l’assurdo – la concessione da parte dei Monopoli. Una concessione che lo Stato dovrebbe rimettere in gara, incassando molti soldi a cui oggi rinuncia a vantaggio della stessa GTech.

VANTAGGI E SILENZI
Lo stesso Pelliccioli lunedì scorso ha ribadito che il trasloco della sede legale dall’Italia all’Inghilterra “non è assolutamente motivata da ragioni di tipo fiscale. Potrebbero esserci dei vantaggi fiscali che non sono stati però valutati nel momento della scelta della sede”. Dichiarazione quanto meno poco credibile. A meno di voler immaginare che un gruppo di tali dimensioni cambi niente di meno che la sede senza valutarne gli effetti. Che si voglia o meno credere a Pelliccioli, i vantaggi sono sotto gli occhi di tutti. Come osserva Il Sole 24 Ore, infatti, per attrarre gli investimenti esteri, Londra ha ridotto dal 2010 le tasse al 21%, in attesa di una ulteriore riduzione prevista dall’aprile 2015 (guarda caso proprio quando si concretizzerà il passaggio) al 20%. Molto meno della media dei Paesi del G20 che è intorno al 30. Insomma, l’El Dorado per Sala e compari. E l’Italia? Pace: con un escamotage ad hoc (si veda l’articolo nella pagina accanto) GTech non perderà le sue entrate, dato che la concessione non verrà ritirata e andrà avanti in prorogatio fino al 2016. Un illecito palese. Su cui tutti tacciono. Monopoli, politica, magistratura. Tanto c’è chi brinda. In volo tra gli Usa e Londra. Comunque lontano dall’Italia.

di Antonio Acerbis

6 nov 2014
fonte: http://www.lanotiziagiornale.it

Coniugi arsi vivi in Pakistan. 44 arresti, ma i cristiani chiedono l’intervento dell’Onu perché i colpevoli non la facciano franca

 

Ricostruiti alcuni particolari della tragica vicenda dei due coniugi linciati per una falsa accusa di blasfemia. Il primo ministro promette condanne esemplari, ma la comunità cristiana non si fida


Shehzad Masih e Shama Bibi in una foto tratta da internet
         Shehzad Masih e Shama Bibi in una foto tratta da internet

Si arricchisce di nuovi (tragici) particolari la vicenda dei due coniugi cristiani arsi vivi in Pakistan, in seguito a una falsa accusa di blasfemia. Secondo quanto si apprende di queste ore, i due giovani – il trentenne Shehzad Masih e la moglie Shama Bibi, 24 anni, incinta di quattro mesi, genitori di tre figli – erano tenuti in «condizioni di schiavitù» e «sequestrati per debiti» dal padrone della fabbrica di mattoni per la quale lavoravano in un villaggio a una trentina di chilometri da Lahore.

IL LINCIAGGIO. È quanto hanno raccontato i parenti delle due vittime riferendo che il datore di lavoro, in complicità con un mullah locale, avrebbe incitato la folla al linciaggio. A quanto pare, i due coniugi lavoravano per la ditta di Mohammed Yousuf per ripagare un debito che avevo nei suoi confronti. I due, come molti altri altri, lavoravano in condizioni pessime, svolgendo i lavori più pesanti e avevano deciso di scappare dal villaggio di Kot Radha Kishan nel Punjab, ormai stanchi dei continui soprusi. Questo sarebbe stato all’origine dell’ira di Yousuf che avrebbe, prima tenuto in ostaggio la donna, e poi fatto circolare la voce che lei avrebbe bruciato alcune pagine del testo sacro dell’islam. Secondo un’altra ricostruzione, invece, un netturbino avrebbe riferito all’imam che la donna, dopo aver fatto le pulizie nella casa del suocero, avrebbe gettato nella spazzatura il Corano, ritrovato tra i rifiuti davanti a casa.

44 ARRESTATI. Al di là dell’esatta dinamica, resta il fatto che i due hanno subito una fine terrificante tanto che ieri il primo ministro pakistano, Nawaz Sharif, ha promesso che non vi sarà «alcuna pietà» per i colpevoli di questo «crimine inaccettabile». Il primo ministro ha aggiunto che sarà impegno del governo «proteggere le minoranze del paese da violenza e ingiustizia» e promuovere «l’armonia tra le varie religioni».
Martedì la polizia ha arrestato 44 sospetti. Oltre 460 persone sono state denunciate per aver partecipato al linciaggio. La sicurezza nel quartiere cristiano è stata rafforzata e il consiglio degli Ulema ha condannato il gesto incolpando la polizia di essere stata negligente.

INTERVENGA L’ONU. Ieri la comunità cristiana è scesa in piazza in alcune città del Pakistan per protestare. Padre James Channan, direttore del “Peace center” di Lahore, ha chiesto l’intervento dell’Onu per «un esame obiettivo sulla legge di blasfemia, sulla sua strumentalizzazione e sulle sue conseguenze, urge una analisi attenta e neutrale. Chiediamo che una apposita commissione venga in Pakistan. Se questa legge non sarà fermata e corretta vi saranno altri incidenti e tragedie come questa». Il problema, ha detto il religioso, è che anche per episodi accaduti in passato poi nessuno dei colpevoli è stato punito.

novembre 6, 2014 Redazione
fonte:  http://www.tempi.it/