 Molto di ciò che avevo scritto pochi giorni fa a proposito di La7 e 
del suo telegiornale è stato confermato ieri sera con eloquente 
tempestività. L’esternazione di Enrico Mentana durante il notiziario 
delle 20 sul censimento rom ha addirittura rilanciato in bluff sul 
tavolo da gioco della manipolazione. Se nel pezzo precedente ero stato 
analitico, qui sarò sintetico. Il parallelismo fra la proposta di 
anagrafe avanzata da Matteo Salvini e la schedatura della razza ebraica 
paventato da Mentana è un volgare accozzo di fallacie logiche. Si parte 
con un argumentum ad populum (ma populista non era proprio il leader 
leghista?), che fa subdolamente leva sui sentimenti di orrore suscitati 
dal ricordo delle leggi razziali e sulla universale commozione che 
ispira la vicenda della famiglia Segre e dell’allora piccola Liliana. Si
 prosegue con una grossolana fallacia di pertinenza, postulando 
un’affinità fra la registrazione di individui che vivono entro i confini
 di uno Stato, ma al di fuori delle sue leggi (le comunità rom) e la 
schedatura degli ebrei italiani. E si finisce con un doppio errore di 
ragionamento, formale e di rilevanza, noti in logica come falsa 
argomentazione a catena e non sequitur: «Si inizia sempre con una 
schedatura e non si sa mai dove si va a finire», ha affermato Mentana. 
Il Direttore insinua cioè che da un censimento dei rom, a successivi 
arresti, alle conseguenti deportazioni, ai campi di sterminio… il passo 
non sia poi così impervio, anche perché è già successo in passato per 
gli ebrei. Fregnacce che possono essere persuasive solo per quegli 
stessi analfawebeti funzionali della cui dabbenaggine si affligge 
quotidianamente.
Molto di ciò che avevo scritto pochi giorni fa a proposito di La7 e 
del suo telegiornale è stato confermato ieri sera con eloquente 
tempestività. L’esternazione di Enrico Mentana durante il notiziario 
delle 20 sul censimento rom ha addirittura rilanciato in bluff sul 
tavolo da gioco della manipolazione. Se nel pezzo precedente ero stato 
analitico, qui sarò sintetico. Il parallelismo fra la proposta di 
anagrafe avanzata da Matteo Salvini e la schedatura della razza ebraica 
paventato da Mentana è un volgare accozzo di fallacie logiche. Si parte 
con un argumentum ad populum (ma populista non era proprio il leader 
leghista?), che fa subdolamente leva sui sentimenti di orrore suscitati 
dal ricordo delle leggi razziali e sulla universale commozione che 
ispira la vicenda della famiglia Segre e dell’allora piccola Liliana. Si
 prosegue con una grossolana fallacia di pertinenza, postulando 
un’affinità fra la registrazione di individui che vivono entro i confini
 di uno Stato, ma al di fuori delle sue leggi (le comunità rom) e la 
schedatura degli ebrei italiani. E si finisce con un doppio errore di 
ragionamento, formale e di rilevanza, noti in logica come falsa 
argomentazione a catena e non sequitur: «Si inizia sempre con una 
schedatura e non si sa mai dove si va a finire», ha affermato Mentana. 
Il Direttore insinua cioè che da un censimento dei rom, a successivi 
arresti, alle conseguenti deportazioni, ai campi di sterminio… il passo 
non sia poi così impervio, anche perché è già successo in passato per 
gli ebrei. Fregnacce che possono essere persuasive solo per quegli 
stessi analfawebeti funzionali della cui dabbenaggine si affligge 
quotidianamente.
In questo maldestro tentativo di avvelenamento del pozzo – che 
vogliamo generosamente giustificare per il forte trasporto emotivo 
suscitato da una tragedia assoluta ancora viva nel ricordo – vi è infine
 un effetto collaterale, che folgora come nemesi la propaganda 
farisaica: suscitare in chi ascolta un’associazione mnemonica fra le 
abitudini sociali dei rom contemporanei e quelle degli ebrei italiani di
 allora, vittime delle leggi fasciste. Associazione che trovo 
disturbante. Perché la famiglia Segre ha il diritto di essere 
discriminata, separata, distinta, anche solo nell’immaginario, da una 
famiglia zingara. E non per razza, ma per civiltà.
di Augusto Bassi - 19 giugno 2018
