La manovra
del popolo è stata finalmente approvata, e i ministri del Movimento 5
Stelle affacciati al balcone di Palazzo Chigi che festeggiano con i
parlamentari e con gli elettori, rimbalzata da tutte le testate del
paese e dai principali giornali europei, sono la misura di quanto Luigi
Di Maio sia finalmente riuscito a rubare la scena a Matteo Salvini, dopo
mesi di sofferenza nel cono d’ombra di quello che è sempre stato il
vero leader del Governo.
Certo, anche Salvini ha avuto quello che voleva, la flat tax, visto
che la rottamazione della Legge Fornero è sostanzialmente figlia dei due
padroni, ma dal punto di vista del dividendo politico il reddito e la
pensione di cittadinanza valgono molto di più, ed è probabile che nella
guerra dei sondaggi fra le due destre di lotta e di governo si possa
fermare e forse invertire il trend che ha portato la Lega a diventare in
pochi mesi il primo partito italiano. In ogni caso, a dispetto della
nuova direzione su cui si sono puntati i riflettori, il fatto che i due
vicepremier sotto il Def ci mettano la firma e la faccia, ci dice che
il Governo ha fatto una precisa scelta politica ancor prima che
economica, dietro la quale non credo sia malizioso individuare la mano e
la vendetta di Paolo Savona. Anche perchè non sfugge a nessuno che il
ministro Tria, che aveva tranquillizzato i mercati e l’Europa garantendo
un disavanzo sotto il 2% del Pil, non si è dimesso solo per le
pressioni di Mattarella.
Di fronte alla manovra del popolo ci sta il popolo della manovra, non
solo sotto il balcone, ma in tutte le piazze virtuali in cui si
riunisce da anni, nelle quali alimenta il vento populista che ha
spazzato via la vecchia classe politica, e nelle quali ha consolidato
una nuova visione del mondo e della società, una società in cui il
principio di responsabilità è stato ridotto a brandelli per costruire un
paese nuovo di cittadini innocenti che sembrano appena arrivati da
Marte, invece che dalla pancia di un popolo che per anni ha votato per
le peggiori classi dirigenti possibili, vendendo ieri come oggi il suo
consenso al miglior offerente.
Per questo popolo la responsabilità è sempre di qualcun altro, e le
colpe del nemico, perché non esistono più avversari, sono sempre usate
per cancellare le proprie, come se la colpa del nostro debito, della
nostra inefficienza, del nostro declino economico, civile, morale e
politico non potesse essere altro che dei politici, dell’Europa, della
Germania, del liberismo economico o dell’immigrazione, e non delle
scelte che abbiamo fatto come paese negli ultimi 40 anni, indifferenti
ai segnali d’allarme che arrivavano da tutte le parti. Il denaro compra
ovunque il consenso, a volte anche in senso nobile, ma è ben singolare
il modo in cui in Italia i termini del contratto fra eletto ed elettore
siano sempre legati al familismo amorale che ci avvelena da sempre, agli
interessi particolari e corporativi, al disinteresse per tutto ciò che
non ci riguarda direttamente, e quasi mai ad un’idea di bene comune, per
non parlare di quel senso civico che preveda doveri e non solo diritti,
e il rispetto dei principi etici basilari.
Oggi, dopo la presentazione del Def, e in assenza dell’opposizione
interna, che in questa fase continua imperterrita a contare quanto
Giuseppe Conte, lo scenario che si delinea per i prossimi due mesi è
evidentemente quello di un confronto senza precedenti fra l’Unione
Europea e uno dei grandi paesi che l’hanno fondata, ben più importante e
drammatico di quello scatenato dalla Brexit, che in fin dei conti è
solo l’uscita di un paese membro sulla base di una decisione
unilaterale, un caso effettivamente nuovo ma previsto e puntualmente
normato dalle regole comunitarie.
La vicenda italiana è invece molto diversa, perchè per la prima volta
la posta in gioco può essere la sopravvivenza stessa dell’Unione, e se
dal punto di vista di Bruxelles, che oggi è la vera opposizione al
Governo gialloverde, l’ipotesi contemplata è quella della bocciatura
della prossima finanziaria italiana nei suoi contenuti economici e
politici, anche a rischio di determinare una grave crisi politica e
l’uscita del paese dalla moneta unica, dal punto di vista del Governo
italiano le opzioni possibili sono almeno tre.
La prima è quella di piegare Bruxelles con la forza del peso
specifico del nostro paese, le cui dimensioni, in caso di rottura con
l’Europa, sono tali da poter determinare una tempesta politica e
finanziaria imprevedibile, che certamente uscirà dai nostri confini e
potrà avere una forza tale da scardinare l’Unione e l’Euro, facendola
diventare una cosa molto diversa da oggi, e non necessariamente in senso
positivo. La seconda è quella di doversi piegare obtorto collo ad una
correzione della manovra, in una misura più o meno significativa a
seconda degli sviluppi del confronto, e utilizzare questa sconfitta come
benzina per alimentare la rabbia popolare e il consenso populista per i
partiti di governo in vista delle prossime elezioni europee. La terza,
legata alla seconda, è quella di utilizzare sul mercato elettorale
dell’Europa l’esito negativo di questo scontro feroce, per puntare ad un
vasto consenso dei partiti sovranisti, mettere in crisi il disegno
dell’unità politica del vecchio continente, e tentare la costruzione
dell’Europa dei popoli, qualunque cosa ciò possa significare, con i
paesi di Visegrad e con le destre oggi all’opposizione nei paesi a
maggioranza socialdemocratica o cristiano democratica.
Credo che nessuno fra Bruxelles e Roma sappia con certezza quale sarà
la direzione che potranno prendere gli eventi. Il Governo italiano ha
chiaramente puntato allo scontro con l’Europa, e anche se non siamo la
Grecia è impensabile che la Commissione europea accetti il Def che è
stato presentato, perché non è nell’interesse dell’Europa, quanto meno
di questa, e perché se lo facesse perderebbe ogni credibilità politica. È
possibile che per non rischiare uno tsunami politico e finanziario, la
cui responsabilità sarebbe di altri, la Commissione si intesti un
cedimento che potrebbe ugualmente scardinare dall’interno l’Europa che
lei ha in mente? Personalmente fatico a crederlo, ma sui tavoli da poker
non c’è mai nulla di scontato.
Contemporaneamente il Governo italiano, che forse sta bluffando e
forse no, dovrà fronteggiare il rialzo dello spread, le fibrillazioni
della borsa, il probabile declassamento dei titoli di stato, e il loro
non scontato rinnovo alle prossime scadenze, con effetti immediati la
cui misura è determinante per l’esito dello scontro, almeno quanto la
sua reale intenzione di attuare il Piano di Palo Savona, uscire
dall’Unione, o all’opposto, rimanerci per rivoltarla come un calzino.
In questo momento il Governo ha detto che non cambierà la manovra del
popolo, che non ha paura dell’Europa, che non teme lo spread, e che per
una finanziaria finalmente espansiva i soldi ci sono. A parte il fatto
che i soldi ci saranno se qualcuno ce li vorrà prestare, e potrebbe
anche succedere che tanti non avranno voglia di farlo, resta poi da
capire se con l’aumento dello spread la finanziaria potrà essere
effettivamente espansiva, o se alla fine non diventerà invece recessiva,
vanificando l’aumento del debito, oltre che la strampalata
dichiarazione di Di Maio, secondo il quale dovrebbe invece calare,
chissà poi per quali motivi.
Io credo che non sarà semplice gestire il popolo della manovra in
questi frangenti: troppe promesse, troppe aspettative, troppi nemici,
troppa debolezza internazionale, troppa rabbia alle spalle e davanti
agli occhi perché la montagna possa partorire il topolino. Oggi il
popolo della manovra pensa di essere arrivato al traguardo, pensa che le
cose cambieranno e immagina un futuro migliore. Io penso che non
l’avrà, perché a prescindere dal merito delle questioni, i rapporti di
forza in Europa non sono a suo favore, e ancor meno lo sono quelli con i
mercati, ben più grandi, più grossi e più cattivi di lui, oltre che più
indifferenti.
Se anche salterà il banco in Europa, in un futuro sovrano e
populista, con la lira e il miraggio delle svalutazioni e il sogno di
aver abolito la povertà, il popolo italiano resterà lo stesso di oggi,
un piccolo popolo che non ha memoria del passato e non ha un progetto
per il futuro, senza alcuna etica pubblica e senza la capacità di essere
all’altezza delle sue ambizioni. In effetti c’è una perfetta
corrispondenza fra il popolo e la sua manovra, entrambi non si meritano
la possibilità di mettere in discussione la traballante casa europea, il
liberismo senza confini e la troppo ineguale distribuzione del reddito,
non se la meritano perché sono da sempre e in diversa misura a seconda
delle voci, una delle cause di tutto ciò.