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Non smettete mai di protestare; non smettete mai di dissentire, di porvi domande, di mettere in discussione l’autorità, i luoghi comuni, i dogmi. Non esiste la verità assoluta. Non smettete di pensare. Siate voci fuori dal coro. Un uomo che non dissente è un seme che non crescerà mai.

(Bertrand Russell)

12/09/14

Caso Marò _ Quante umiliazioni ancora ?





Dunque..... i signori indiani che hanno sequestrato e imprigionato, ed ora trattengono due nostri militari, che hanno manipolato la ricostruzione dei fatti con l'intento di creare prove (chiaramente fasulle) a sostegno delle loro accuse ma hanno distrutto quelle che dimostravano l'innocenza dei due Marò, che hanno continuamente rimandato ogni udienza con assurdi pretesti e ridicole giustificazioni, che a fronte di richieste da parte della magistratura italiana non hanno trasmesso nessun documento processuale a sostegno della ipotesi di colpevolezza, un gesto offensivo che ha pochissimi precedenti così come risulta estremammente offensivo non aver risposto a ben cinque note verbali, l'ultima della Mogherini ......... che continuano a prenderci per il culo con ulteriori rinvii e tortuosi ragionamenti, che ad oggi, 12 settembre 2014, mentre ci avviamo verso il terzo anno di sequestro, non sono stati ancora capaci di presentare un capo d'accusa, nemmeno "uno" straccio di prova........ ebbene, a questi professionisti del gioco delle tre carte che offendono ed umiliano le nostre forze armate e la stessa Nazione, il nostro primo ministro zerbinamente si rivolge offrendo collaborazione con la giustizia indiana, esprimendo stima e fiducia al governo indiano e al loro premier , il nazionalista Modi.*

Impossibile commentare rimanendo nei limiti  della più minima educazione e senza otrepassare i confini della volgarità giungendo il centro del suo regno....quindi, un pò a malincuore, mi astengo.

Edoardo Medini


  
*(ANSA) - ROMA, 12 SET - "Collaborazione con la Giustizia indiana e stima per il premier Modi e il suo Governo. Lavoreremo insieme su tanti fronti". Lo scrive su twitter il premier Matteo Renzi poco dopo, tra l'altro, dal via libera della Corte suprema indiana all'istanza del team di difesa di Massimiliano Latorre per un rientro in Italia di quattro mesi per un periodo di convalescenza dopo l'ischemia che ha colpito il fuciliere di marina il 31 agosto scorso.






 art. del 8 agosto 2014

Marò: i giudici italiani sbloccano la situazione


La recentissima decisione della  Procura di Roma di archiviare il fascicolo a suo  Tempo aperto a carico dei due Fucilieri di Marina trattenuti in India con l’accusa di aver ucciso due pescatori, cambia completamente il quadro della situazione dal punto di vista giudiziario: in Italia non sono più accusati di nulla.
Il Procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo arriva a questa decisione prendendo atto che rispetto alle dichiarazioni di innocenza dei due accusati da parte degli inquirenti indiani non è stato trasmesso, a fronte di due richieste della magistratura italiana, nessun documento processuale a sostegno della ipotesi di colpevolezza. In sostanza le autorità indiane “non rispondono” alla magistratura italiana, un gesto sicuramente offensivo e che ha pochissimi precedenti.
Ma di fatto in questo modo le autorità indiane certificano la loro impotenza a produrre elementi di prova, o anche semplicemente indiziari di valenza processuali, a sostegno delle accuse contro i due militari italiani. E come ho scritto anche recentemente non le producono perché non le hanno, e se non le hanno sanno anche che i due sono innocenti, come gli elementi di conoscenza che ormai abbiamo sulla vicenda indicano con sicurezza da almeno un anno.
 La  decisione della magistratura è quindi una presa d’atto importante, che dal punto di vista della conoscenza dei fatti dovrebbe produrre un effetto immediato e determinante: non esiste più il segreto istruttorio su alcuni elementi importanti, in particolare le registrazioni radar della petroliera Enrica Lexie. Ho chiesto di esaminare le registrazioni radar il 3/7/2013 senza avere risposta, ma ora non c’è più motivo di tenere quei dati riservati, e quindi rinnoverò la richiesta alla luce del provvedimento di archiviazione.
Non c’è più ragione alcuna per tenere riservati elementi che potrebbero mettere la parola fine all’intera vicenda: se la magistratura si è chiamata fuori faremo noi. L’altro punto è che ora, di fronte alla impotenza indiana a fornire elementi di riscontro alle accuse, potremo essere maggiormente incisivi, sia sui media internazionali sia in sede istituzionale italiana e europea, a far conoscere “Le ragioni dell’innocenza” e sostenere una richiesta di Commissione di inchiesta in sede europea sul comportamento delle autorità indiane.
Infine, e questo lo valuterò nei prossimi giorni con l’avvocato, presentare una querela contro Mr. Freddy Bosco + ignoti per aver falsamente accusato i due militari italiani dei tragici fatti con false testimonianze, omissioni, distruzione di reperti giudiziari, formazione di falsi scenari, etc. Gli elementi che abbiamo per sostenere una accusa del genere sono ormai imponenti. E li useremo tutti.

Luigi Di Stefano
fonte: http://www.ilprimatonazionale.it/ 


 




11/09/14

Quel paese che fa paura…





Quel paese che fa paura…





giulio r valdis2
 


Fa paura un Paese in cui l’ordine giudiziario gode dell’impunità assoluta, in cui giudici, invece di tormentarsi per l’arretrato che hanno sul tavolo, si fanno eleggere in parlamento, fondano partiti, assumono incarichi extragiudiziari mentre la gente attende quel servizio primario dello Stato che si chiama giustizia. Fa paura quel Paese in cui i giudici non si preoccupino affatto d’aver perso credibilità ma intendano dimostrare, con le proprie organizzazioni che sono veri partiti politici, la loro forza.
Fa paura quel Paese in cui i giudici, sottoposti solo alla legge, sempre più spesso la travalichino giudicando anche dove la legge non c’è, sentendosi così legislatori e innovatori, una supplenza che nessuno vuole perchè il compito tocca solo al Parlamento. Fa paura quel Paese in cui sempre più spesso una sentenza di primo grado viene modificata o annullata da quella di secondo grado e sovente ancora modificata dal terzo grado, come se ognuno giudicasse per conto suo e come se la legge avesse tante distinte interpretazioni soggettive.
Fa paura quel Paese in cui giudici tengono comizi politici e convegni in cui chiaramente espongono propositi di trasformare la società secondo una loro visione, direi sempre di sinistra.
Secondo voi esiste questo Paese ? Se c’è fa davvero paura. Il Montesquieu ne sarebbe scanzalizzato.


Giulio Rossi Valdisole - 10/9/2014
fonte: http://www.lanuovaitalia.eu

DA ROMA SOLO UN TANKER E ISTRUTTORI IN IRAQ, DOVE ANCHE I NOSTRI ALLEATI MOZZANO TESTE




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L’italia ha aderito alla “Core Coaliton” varata dagli anglo-americani al summit della NATO di Newport, in Galles, ma non invierà, almeno per ora, aerei da combattimento a bombardare le forze dello Stato Islamico in Iraq e Siria come fanno già da tempo gli statunitensi (153 incursioni tra l’8 agosto e il 9 settembre) e come faranno probabilmente entro breve i britannici che già da alcune settimane schierano 4 Tornado e un aereo spia Sentinel nella base cipriota di Akrotiry .
Ad annunciare il disimpegno di Roma dalle operazioni belliche contro il Califfato ha provveduto oggi  il ministro della Difesa, Roberta Pinotti, al termine di un summit a Milano con gli omologhi europei.




“Dobbiamo sostenere e rafforzare quegli attori locali che possono fermare l’Isis all’interno del proprio territorio. L’America ha scelto di attuare dei raid aerei, noi abbiamo scelto un’altra strada che vede, ad esempio, l’invio di aerei da rifornimento, che non sono un bene molto diffuso, e l’utilizzo delle nostre capacità addestrative. Queste sono le forze che noi possiamo mettere in campo e ad oggi gli strumenti che sono stati decisi si fermano a quelli noti. Non ci sono altre previsioni rispetto a quelle già assunte”.
Il ministro ha poi aggiunto che  “a noi non è stato richiesto alcun intervento aereo, ma se vi fosse tale richiesta bisognerà valutare per cosa dovremmo utilizzare l’Aeronautica Militare: se dobbiamo evitare che si spari su civili, io non avrei problemi a farlo, ma al momento non è questo il caso”, ha spiegato il ministro, ribadendo che ” per ora abbiamo dato la disponibilità ad armare i curdi e messo a disposizione un aereo da rifornimento e degli addestratori”.
Da quanto è emerso quindi l’impegno italiano sarà limitato a un cargo/tanker Boeing KC-767A (che rifornirà in volo di carburante i velivoli alleati) e ad istruttori militari il cui compito meriterebbe qualche approfondimento. I nostri consiglieri militari addestreranno le forze curde o le forze regolari irachene come già facevano fino al 2011 nell’ambito della Nato Training Missioni – Iraq ?




In tal caso cureranno la formazione anche delle milizie sciite che affiancano (e spesso sostituiscono) le truppe di Baghdad in battaglia?  La questione non è certo di scarso rilievo tenuto conto che le milizie scite che combattono le forze del “califfo” Abu Bakr al-Baghdadi sono  le stesse contro cui combatté il contingente italiano a Nassiryah nel 2004 (e tutti quelli alleati schierati in Iraq), forze che hanno ucciso una parte non indifferente dei 33 caduti italiani in Iraq e degli oltre 4.800 caduti alleati.
L’idea di schierare istruttori sul territorio iracheno è delicata quanto l’accertamento dell’effettiva destinazione delle armi che l’Occidente fornisce (o, come nel caso dell’Italia, intende fornire) ai curdi, specie alla luce di quanto dichiarato proprio da Moqtada al Sadr che dal 2004 e il 2011 guidò la guerriglia scita contro le forze alleate.




L’Iraq non dovrebbe più collaborare “con gli occupanti” (cioè statunitensi e occidentali) ha detto oggi l’influente leader religioso sciita proprio durante la visita a Baghdad del segretario di Stato Usa, John Kerry. “Speriamo che l’Iraq possa cooperare con i paesi vicini e con i suoi alleati, ma non con gli occupanti”, ha affermato l’imam.
Il rischio di trovarci con nuovi casi di “green on blue”, cioè di miliziani o militari sciti che sparano agli istruttori e consiglieri militari occidentali che li addestrano (come accade da tmpo in Afghanistan) potrebbe quindi non essere così remoto. Del resto i miliziani sciti filo iraniani non sono certo da meno dei jihadisti del Califfato quanto a efferatezze, incluse le decapitazioni. I nostri “alleati” contro lo Stato Islamico ieri hanno reso noto un video  (guardatelo qui) in cui mostrano con orgoglio di aver decapitato loro rivali nelle battaglie di Amerli a nord di Bagdad.




Il filmato, pubblicato su siti di notizie arabi, mostra miliziani sciiti iracheni riuniti in un luogo non precisato nei pressi di Amerli, località abitata da turcomanni sciiti e liberata dall’assedio delle milizie sunnite nei giorni scorsi.
“Siamo le brigate della pace, battaglioni dell’Imam Ali” afferma il comandante del gruppo,. tutti con addosso un’uniforme nera da paramilitari. Accanto a lui due miliziani mostrano due teste di uomini con una barba rasa. “E’ il messaggio al nemico dello Stato islamico”, afferma il leader. “Taglieremo le vostre teste e frantumeremo i vostri teschi!”.
Il video si conclude con i miliziani che intonano la tradizionale espressione sciita “Labbayka ya Hussein! (Veniamo a te oh Hussein)” in riferimento all’omonimo “martire” per eccellenza dello sciismo, morto secondo la tradizione nella battaglia di Karbala nel VII secolo. Con buona pace di quanti sostengono che quella in atto non è una guerra di religione, il filmato si conclude con i miliziani che cantano un ritornello anti-sunnita, alcuni sputano sulle teste tagliate e altri le calpestano. “Siamo la brigata della pace”, continua a gridare il leader della milizia sciita.  Una probabile anticipazione delle vendette che si abbatteranno sulla popolazione sunnita delle aree occupate oggi dal Califfato quando e se verranno “liberate” dai jet anglo-americani (e forse di altri Paesi europei) e dai miliziani sciti che affiancano le truppe irachene, curde e siriane. Con alleati del genere difficile dire se la guerra contro lo Stato Islamico sarà molto lunga ma di certo sarà molto sporca.

Foto: Isaf e UFP news, US DoD

di Gianandrea Gaiani - 10 settembre 2014
fonte: http://www.analisidifesa.it

CASO MARO' - «L’esempio di Latorre e Girone Dignità e onore da veri soldati»


India, i maro' escono dal carcere di Trivandrum per incontrare le loro famiglie





  «Lo stress riguarda entrambi i marò che vivono lontano dalla famiglia. Nonostante questo mantengono grande dignità, sono dei veri soldati». Parola del ministro...
«Lo stress riguarda entrambi i marò che vivono lontano dalla famiglia. Nonostante questo mantengono grande dignità, sono dei veri soldati». Parola del ministro della Difesa Roberta Pinotti che ieri ha parlato a lungo di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, i due marò ingiustamente detenuti in India da due anni e mezzo, a Porta a Porta, la trasmissione Raiuno di Bruno Vespa.
«L’istanza è stata presentata solo sulla base del malore avuto da Massimiliano Latorre, ma è evidente che la situazione di stress riguarda entrambi», ha dichiarato a Porta a porta il ministro della Difesa, parlando del possibile ritorno in Italia di uno dei due marò detenuti in india.

Sul caso «venerdì si attende la sentenza della Corte Suprema indiana», ha ricordato la Pinotti, sottolineando che «il governo indiano non si opporrà ad un parere favorevole della Corte», come già annunciato nei giorni scorsi.
Ma, secondo il ministro, anche l’altro marò, Salvatore Girone, vive una condizione di sofferenza: «Ho parlato anche con lui, il quale mi ha assicurato che ora il primo problema riguarda Massimiliano, perché c’è un problema sanitario, ma noi non vogliamo distinguere le due posizioni». Per la Pinotti i due militari «vivono una situazione di sofferenza perché sono lontani dalle famiglie - ha aggiunto - ma stanno dimostrando la loro grande dignità di soldati con senso dell’onore e della patria».
«Noi siamo tecnicamente pronti a internazionalizzare la vicenda» dei due marò, «ma i tempi di un arbitrato non sarebbero brevi e quindi, visto che in India c’è un nuovo governo, guardiamo con favore ad un’interlocuzione con esso», ha detto inoltre a Porta a porta, il ministro della Difesa, Pinotti. Se il dialogo non dovesse produrre gli effetti sperati, ha assicurato il ministro, «andremo avanti per la nostra strada».

Sono due anni e mezzo che si trascina la vicenda dei marò: tra incertezze, polemiche e continui rinvii.
Intanto, in India, il pescatore e piccolo armatore Freddy Bosco, proprietario dell’imbarcazione coinvolta nell’incidente con la petroliera Enrica Lexie, ha presentato un ricorso in cui chiede alla Corte Suprema di Nuova Delhi una perizia medica «indipendente» per verificare le reali condizioni di salute di Massimiliano Latorre, colpito da un’ischemia il 31 agosto, prima di concedergli una eventuale autorizzazione a curarsi in Italia. E questo forse dimenticando che Latorre è stato soccorso e curato in una struttura neurologica indiana di Nuova Delhi.
In una petizione alla Corte Suprema, fortunatamente non ancora accolta, gli avvocati di Bosco mettono in dubbio la malattia di Latorre e citano l’incidente diplomatico dello scorso anno in occasione della licenza di quattro settimane concessa ai due militari per votare in Italia. In particolare, il ricorrente ricorda alla Corte che «è pratica comune verificare la veridicità e la serietà di una malattia», e che «un rapporto di specialisti qualificati dopo un esame medico del paziente è altamente necessario». Si suggerisce poi che questo compito venga affidato a una commissione medica dell’All India Institute of Medical Science, il più grande ospedale pubblico di Nuova Delhi.

Secondo quanto disposto dai giudici nell'ultima udienza, domani il governo indiano dovrà presentare la sua opinione alla Corte Suprema in merito alla richiesta di autorizzare Latorre a rientrare per alcuni mesi in Italia per motivi di salute. Ci sono forti possibilità che la domanda venga accolta in quanto, come anticipato dal ministro degli Esteri indiano, Sushma Swaraj, Nuova Delhi non si opporrà all'eventuale concessione del permesso per convalescenza.
Lo scorso aprile il proprietario del peschereccio St. Antony, a bordo del quale si trovavano i due pescatori Valentine Jelastine e Ajeesh Binki uccisi il 15 febbraio 2012, aveva già presentato un ricorso al massimo ente giudiziario indiano per chiedere il trasferimento del processo da Nuova Delhi al Kerala, dove sono stati attratti con l’inganno e arrestati i nostri marò.
Lo stesso Bosco, ha presentato la denuncia per omicidio alla polizia portuale di Neendakara, afferma di essere stato ferito e di aver subito lui stesso gravi lesioni.

Antonio Angeli - 11 settembre 2014
fonte: http://www.iltempo.it/esteri



Ebola, la nuova peste: tante paure e bugie e qualche verità





L'allarmismo non salva le vite e fa spendere miliardi. L'Organizzazione Mondiale della Sanità è credibile?

Cosa sta realmente accadendo in Africa occidentale. Tutto ciò che c’è da sapere sul virus che ha provocato oltre 2mila vittime negli ultimi mesi: la diffusione limitata della febbre emorragica. E la memoria delle pestilenze vere del 1300 e 1600 oltre al macello dell’influenza ‘Spagnola’ nel 1919
Era appena finita la prima guerra mondiale, la nostra ‘Grande Guerra’ con centinaia di migliaia di morti, quando piombò ‘sul mondo l’influenza ‘spagnola’ del 1919 che si diffuse sul pianeta causando in pochi mesi oltre 50 milioni di morti. Dal 1976, anno della sua prima comparsa, il virus dell’Ebola ha causato non più di 5.000 vittime dentro i confini dell’Africa Centrale e Occidentale. Le pestilenze nel 1300 e nel 1600 in Europa , che si diffusero rapidamente uccidendo decine di milioni di persone.

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I primi casi di febbre emorragica dal virus Ebola alla fine del 2013 in Africa Centrale e Occidentale: Guinea, Liberia, Sierra Leone, Nigeria e da ultima Repubblica Democratica del Congo. E da allora è allarme diffuso. ‘Allarmismo spesso ingiustificato’ cerca di minimizzare oggi l’ Organizzazione Mondiale della Sanità che nel 2009-2010 aveva costretto l’Italia a spendere oltre 220 milioni per acquistare i vaccini contro un’influenza, la AH1N1, dimostratasi meno pericolosa di quanto stimato. Lo stesso è accaduto con Ebola, virus descritto come più pericoloso di quanto sia nella realtà.

Ebola è una febbre emorragica molto grave causata da un virus scoperto nel 1967 nell’allora Zaire, l’attuale Repubblica Democratica del Congo. Si ritiene che il virus viva indisturbato nel sangue di alcune razze africane di pipistrelli, che potrebbero a loro volta aver infettato scimmie congolesi di cui si cibano alcune popolazioni locali. Ebola è una malattia dal decorso molto rapido e uccide circa il 50% dei pazienti. Sintomi come l’influenza ma il contagio si diffonde solo per contatto diretto con fluidi degli ammalati, quindi a diffusione limitata col vittime soprattutto tra il personale sanitario.

Ma siamo davvero di fronte alla Peste del terzo millennio che minaccia l’esistenza del mondo? Ebola da un punto di vista epidemiologico è molto meno pericolosa quanto a capacità di diffusione delle influenze stagionali, i cui virus diffondendosi per le vie aeree si “muovono” con più rapidità e facilità di quello dell’Ebola. Fino ad oggi in Guinea, Sierra Leone, Liberia e Nigeria si sono registrati circa 3.950 casi di malattia con quasi 2.100 morti. Ricordiamo che in pochi mesi l’influenza ‘spagnola’ del 1919 si diffuse in tutto il mondo causando oltre 50 milioni di morti.

Il virus di Ebola al microscopio
Il virus di Ebola al microscopio

Dal 1976, anno della sua prima comparsa, il virus dell’Ebola ha causato non più di 5.000 vittime senza varcare i confini dell’Africa Centrale e Occidentale. A differenza delle pestilenze in Europa nel 1300 e nel 1600, che si diffusero rapidamente uccidendo decine di milioni di persone, il virus Ebola non ha dunque un alto tasso di morbilità. La quasi totalità degli oltre 3.000 ammalati dell’attuale epidemia è circoscritta a nuclei famigliari o tribali e a personale sanitario. Evitare il contatto diretto con gli ammalati è già una misura di autotutela sufficiente ad evitare il contagio.

fonte: http://www.remocontro.it - 10 settembre 2014

10/09/14

CASO MARO' - Tutte le contraddizioni dell’inchiesta indiana

 

Dalla traiettoria al calibro dei proiettili usati Fino a Renzi che incontra il re dell’acciaio indiano




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 ( art. del 01/08/2014 )
La beffa che umilia l’Italia. Ormai è stato superato qualsiasi record, la giustizia indiana ha rinviato di nuovo il processo ai nostri due fucilieri di Marina Salvatore Girone e Massimiliano Latorre. L’India è uno dei Paesi delle economie emergenti che vanno sotto l’acronimo di Brics ma il suo sistema giudiziario è quantomeno ridicolo. E a farne le spese sono due militari italiani che, sono trascorsi due anni, erano comandati in servizio di protezione a una nave mercantile italiana in navigazione in acque a rischio di atti di pirateria. Così Massimiliano e Salvatore sono ancora in regime «ristretto» a New Delhi senza possibilità di contestare le accuse. Accuse che sono state formulate dalla polizia indiana dopo la morte di due pescatori indiani del Kerala durante una battuta in mare. Le prove addotte sono palesemente bufale ma i governi italiani che si sono succeduti in questi due anni non sono risuciti a contestarle e l’Italia tutta deve continuare a subire l’umiliazione e i toni sprezzanti delle autorità indiane. Un atteggiamento, quello degli inquilini di Palazzo Chigi, dimesso o meglio sottomesso alla logica degli affari. Logica alla quale sembra non essere immune anche Matteo Renzi. Infatti a giugno, appena un mese fa, ha incontrato Sajjan Jindal, presidente della Jindal South West, colosso dell’acciaio interessato all’acquisto del 69 per cento dei laminatori delle acciaierie Lucchini di Piombino. Emissari della azienda di Mumbai hanno anche contatto il presidente della Regione Toscana Rossi e i notai che stanno gestendo l’affare Lucchini.

Ma ripercorriamo le tappe dell’inchiesta che ancora oggi vede pendere su Massimiliano Latorre e Salvatore Girone l’accusa di omicidio e una non troppo velata minaccia di pena di morte. Su tutta la vicenda pesa quell’accordo fatto dalla Difesa italiana e le società d’armatori che presenta ancora oggi lacune sulle linee di comando che, nella vicenda dei due marò, sono emerse in tutta la loro gravità. Ancora oggi resta nell’ombra colui che diede l’ordine alla nave Enrica Lexie di rientrare al porto di Kochi e mettere a disposizione della polizia indiana le armi e gli stessi fucilieri del San Marco. Ma questa richiesta della polizia indiana era già frutto di un inganno. Infatti non c’era nessuna e evidenza che il peschereccio Saint Antony fosse stato colpito da proiettili esplosi dalla Lexie. Infatti la nave italiana, quel 15 febbraio 2012 aveva denunciato un tentativo di abbordaggio di pirati, alle 16, 30. Il proprietario della barca indiana racconta davanti alle telecamere di aver subito l’attacco alle 21,30 e infatti il peschereccio rientra in porto a tarda sera. Freddy Bosco, questo il nome del titolare del pescherecio fornirà ben quattro versioni diverse arrivando anche a dichiarare che il nome della Enrica Lexie gli è stato dato dalla polizia di Kochi. Ma le vere bufale sono quelle della perizia balistica e delle traiettorie. Agli esperti italiani del Ros dei carabinieri non è stato permesso di presenziare alle prove tecniche. I corpi delle vittime sono stati cremati e il peschereccio bruciato perché, secondo la loro tradizione marinara, essendoci stati due morti a bordo la barca portava sfortuna. Il commissario capo di Kochi, Shajadan Firoz, il timoniere Valentine Jalestine è stato colpito alla testa da un proiettile di 0,54 pollici circa 13,9 millimetri. Altro dato fornito invece dall’anatomopatologo Sisikala che parla di misure compatibili con un calibro 7,62.


 I marò italiani hanno in dotazioni Beretta Sc70/90 e Fn Minimi che montano munizioni calibro 5,46. Il calibro rilevato dalle perizie indiane è usato nelle mitragliatri russe Pk che sono montate sui guardiacoste dello Sri Lanka che spesso respingono a colpi di mitra l‘invasione dei pescatori indiani nelle acque di Colombo. Altra incongruenza è la traiettoria dei colpi rispetto alle ferite: l’Enrica Lexie è alta 35 metri e i marò sparando da lassù non avrebbero mai potuto centrare in via orizzontale né il peschereccio né i pescatori. Anche il verbale dell’autopsia risulta manipolato con aggiunte scritte con altri caratteri. Nel passaggio che cita la vittima di nome Pinki si vedono addirittura due residui dello scritto precedente. L'indicazione del mese e il nome sono sulla destra, mentre il resto del documento è ordinatamente allineato a sinistra. La stessa anomalia si ripete quando viene citato il reperto estratto dal cervello di Jalastine. L'ingrandimento documenta le sbavature di una macchina da scrivere diversa e imprecisa. Perfino il modo di indicare il mese si trasforma. Nell'originale è Cr No.02/12 nella manipolazione è Cr. No: 02/12.

Maurizio Piccirilli- 1 agosto 2014
fonte: http://www.iltempo.it/politica




«Ora la commissione d’inchiesta sui marò»

Il senatore Di Maggio denuncia: «La mia richiesta presentata e dimenticata». Accuse a Monti e La Russa. E l’arbitrato rischia di durare dieci anni


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«È insopportabile che un Paese come il nostro abbia ancora aperta la questione dei marò»: parola del senatore Tito Di Maggio, dei Popolari per l’Italia, che da mesi chiede una commissione d’inchiesta che faccia chiarezza sulle responsabilità delle istituzioni. Ai più alti livelli. Sì, perché, spiega il senatore, le responsabilità ci sono e una commissione d’inchiesta (monocamerale, perché ha tempi di istituzione più brevi) serve per impedire che quello che sta accadendo a Massimiliano e Salvatore possa accadere ad altri. Lui la domanda di istituzione l’ha fatta e ha anche indicato il possibile presidente: il senatore Mario Mauro, ex ministro della Difesa, da sempre in prima linea per il ritorno dei marò in patria. Ma, per il momento, la richiesta dorme in qualche cassetto del Senato da molto, troppo tempo.

Senatore Tito Di Maggio, come nasce il suo impegno per i marò?
«Per la mia vicinanza politica con Mario Mauro. Ho condiviso con lui, mentre era ministro della Difesa, l’accorata partecipazione a questa vicenda, della quale si è ampiamente interessato. E poi per tutta una serie di verifiche che ho voluto fare a livello parlamentare e dalle quali mi sono reso conto che i conti non tornano».
Quali conti?
«Ci sono una serie di negligenze istituzionali sulle quali è doveroso alzare il velo. Non credo che tutti quelli che oggi si agitano, volendo occuparsi e ragionare sulla questione dei marò, ne abbiano i titoli, da questa storia emergono responsabilità politiche importanti. Per questo ho chiesto che venga istituita una commissione d’inchiesta».

Responsabilità politiche?
«Ce ne sono di tutti i tipi, andiamo da quelle politiche a quelle diplomatiche se non, addirittura, a quelle penali. Responsabilità notevoli, ai più alti livelli istituzionali, ci sono leggi dello Stato che non sono state rispettate e non posso immaginare che chi esercita funzioni così importanti non conosca i codici e, a voler guardare, alcune leggi sono state dimenticate. Sono stati commessi degli errori che oggi ci fanno vivere questa situazione di trepidante attesa per questioni che avremmo potuto risolvere tranquillamente a casa, senza dover negoziare la posizione dei due fucilieri con un Paese che ha leggi, usi e costumi completamente diversi dai nostri».

E per chiarificare queste responsabilità lei chiede la commissione.
«Sì, e rilevo che, evidentemente, certe mie preoccupazioni hanno fondamento, perché mi appare strano che la mia richiesta di istituzione di commissione d’inchiesta sia più antica di altre commissioni, che invece hanno già visto la luce».
Si tratta di una commissione monocamerale, in che data è stata fatta la richiesta?
«Sì, sapendo perfettamente che i tempi di una bicamerale sarebbero stati molto lunghi, ho chiesto semplicemente alla Presidenza del Senato una commissione monocamerale, domanda presentata il 28 gennaio scorso. E recentemente ho anche fatto un intervento in aula chiedendo perché non ve ne sia ancora traccia».
Che fine ha fatto la sua richiesta?
«Non lo so, io ne ho chiesto conto, ho chiesto spiegazioni alla Presidenza del Senato, ma non ho avuto risposta. È una questione politica: credo che le responsabilità in questa vicenda siano molto gravi, ai più alti livelli istituzionali: presidente del Consiglio e ministro della Difesa».

Dell’epoca o successivi?
«Uno dell’epoca e l’altro successivo, anche perché questa vicenda dura da due anni mezzo. È iniziata con un governo è proseguita con un altro. E siamo arrivati a quello di oggi, che segnala tutta la sua incapacità a gestire la situazione».
Una commissione ora potrebbe aiutare?
«Riguarda fatti e attività nostre. L’ex presidente del consiglio Monti non può non sapere che un articolo del nostro codice ci impedisce di consegnare persone ad un Paese che prevede e applica sanzioni di morte. È stata inapplicata una norma di legge e per questo io inorridisco. Se qualcuno avesse avuto contezza di quali erano i provvedimenti da prendere noi, oggi, avremmo i nostri militari qui».
Perché questa commissione non si fa?
«Perché si fa sempre confusione, si pensa che dimostrare di essere un Paese serio potrebbe indebolire la trattativa. Se l’allora ministro della Difesa La Russa avesse proceduto a dare le direttive giuste, quelle che si danno quando dei militari sono su una nave commerciale, noi avremmo evitato che la nave entrasse in porto in India. Sono cose che, se ben studiate, fanno capire con quanto pressapochismo vengono affrontati problemi importanti».

Ci sono parti politiche che sostengono che la commissione d’inchiesta sarà meglio farla quando i marò saranno tornati.
«Ma nel frattempo chi ha commesso delle superficialità le può reiterare, così ci esponiamo a ulteriori rischi di situazioni di questo tipo. E mi sembra palese il tentativo di non disturbare manovre che noi non vediamo. Se la Mogherini oggi dice che si può ragionare sull’internazionalizzazione, alla luce delle risposte che i nostri provvedimenti hanno all’estero, ho poca fiducia delle capacità non diplomatiche, ma contrattuali del nostro governo.
Cosa spera per il futuro?
«Questa vicenda deve finire con il ritorno, insieme, dei marò. Io sono poco propenso ad accettare il rientro a casa di Latorre da solo. La differenziazione delle due posizioni indebolirebbe la posizione dell’altro fuciliere. E la drammaticità dell’internazionalizzazione è che non avremmo più certezze sui tempi. Può durare dieci anni ed è offensivo, per l’istituzione-Paese, accettare una condizione di questo tipo».

Antonio Angeli- 10 settembre 2014
fonte: http://www.iltempo.it



Oltre la fiaba del matrimonio indiano in Puglia

Un reportage fra elefanti foggiani, politici italiani e miliardari globali

Invitati arrivano al matrimonio di Ritika Agarwal e Rohan Metha (Stringer/Getty Images)




La storia del matrimonio indiano è finita sotto i miei occhi in un bar del Salento a fine agosto. Stavo mangiando un pasticciotto, una delle pochissime attività che compio in estate assieme alle torsioni sul mio asse per evitare le piaghe da decubito, e ricordo ancora perfettamente l’occhiello pieno di understatement di Repubblica Bari:
“IL MATRIMONIO DEL SECOLO”
Il pezzo si riferiva ai due ricchi giovani indiani che avevano scelto per motivi misteriosi di sposarsi a pochi chilometri da Fasano. Come tutte le altre testate locali in edicola Repubblica Bari si prodigava in una ridda pressoché infinita di particolari su quanto lo sposalizio sarebbe stato (traduco liberalmente): enorme, meraviglioso, smodatamente ricco, insultantemente (ma anche ammirabilmente) fastoso, lunghissimo, florale, tamarro, dorato, decisamente indiano ma pure orecchiette-munito almeno nella giornata di giovedì, quella dedicata agli chef locali. Il lieto evento veniva descritto esplicitamente come “fiaba” “episodio da mille una notte” e tacitamente come “quello che non voi non vivrete mai sciocchini privi di aziende di famiglia che fatturano 3 milardi di dollari l’anno”.
Il matrimonio non solo era in quanto tale un atto contro natura, pensavo io, ma in questo caso specifico, dicevano i giornali , era organizzato in un regime di ristrettezze con l’esile budget di 10 milioni di euro per tre giorni.
Sfacciatamente oligarchico cioè ma anche episodico e ad appannaggio di gente che abitava lontano abbastanza da poter generare con la sua ricchezza più ammirazione che risentimento.


Foto dal matrimonio fra Ritika Agarwal e Rohan Metha
(e soprattutto sobrio)

«Però dieci milioni di euro…» sospirai in direzione della ragazza che era con me, per tutelare la privacy della quale, visto che lavora per un grosso giornale dotato di scarso senso dell’umorismo, rinominerò “Conchita”.
«Quando hai finito con quel pasticciotto andiamo al mare» rispose però Conchita poco impressionata. E sarebbe finita così, dato che io e l’India non ci siamo mai considerati troppo, non ho infatti mai sentito il bisogno, nemmeno nell’età più a rischio, di cercare il mio me stesso più vero veramente, in un paese dove le mucche sono sacre e la gestione dei cadaveri contempla “gettarli in un fiume” come soluzione.
Nei giorni seguenti però i dettagli sui media sempre più pantagruelici e assieme bollywoodiani dell’evento hanno incominciato a risuonare con l’incerta eco stonata e ridondante di chi ha da riempiere, in fretta e per pochi soldi, mezza pagina o più e non sa bene come farlo, un dramma che ho conosciuto molto bene nei miei passati giorni da cronista. La cifra a disposizione degli organizzatori ad esempio aumentavano e cambiano valuta, il tutto nello stesso giorno, per citare letteralmente:
«Il budget sale da 10 milioni di dollari a 20 milioni di euro, fino a sfiorare quota 25»
Questo svolazzo delicato da 5 milioni di euro che farebbe venire un attacco di panico a un fact checker del New Yorker, affiancato a un parco invitati che ora si diceva totalizzasse il 20% del Pil Indiano e ai due elefanti aviotrasportati dall’India, da Parigi, o dal luogo dove nascono i sogni, incominciava, non posso negarlo, ad arraparmi parecchio.
Aggiungi che i due rampolli Ritika Agarwal e Rohan Metha, pur essendo a detta di tutti indianissimi si erano già sposati la settimana precedente con rito civile a Londra, nota città della penisola indiana. Qualcosa non tornava. Nella lottizzazione del discorso mediatico l’immancabile “quota polemica” era però occupata dalla mobilitazione pro-marò capeggiata da un generale di brigata dell’esercito e da un ammiraglio dell’aviazione, oltre che, in maniera autonoma, dalla ormai semplice quanto necessaria pagina Facebook di protesta. In questo caso si trattava di “nessun amministratore fasanese al matrimonio indiano” gestita dal giornalista fasanese Romano Bianco.
Rimanevano quindi tutta una serie di questioni fondamentali in sospeso ovvero:
Gli indiani esattamente chi erano? Perché tutta questa tamarraggine? Perché si erano già sposati a Londra?
Quanto deve essere grande un aereo adibito all’Ele-trasporto? Non sarebbe stato più sensato calare i pachidermi dall’alto con dei jet pack?
Il sindaco di Fasano, Lello di Bari, sospeso dal suo ruolo dopo la condanna in primo grado per abuso di ufficio, avrebbe partecipato al matrimonio come auspicato dal padre della sposa?
Perché “no” solo agli “amministratori fasanesi”? Cosa sarebbe successo se per caso il presidente della regione Valle d’Aosta fosse stato un vecchio amico di famiglia degli Agarwal o un addestratore di elefanti?
L’atteggiamento con il cappello in mano nei confronti dello straniero con i soldi esibito da molte fra le autorità e i giornalisti era condiviso dagli abitanti della zona?
Si sarebbe riusciti a vedere qualcosa delle maxi celebrazioni o mi sarei dovuto travestire da odalisca e avrei dovuto cedere il mio corpo a un nerboruto bodyguard di Monopoli?
E soprattutto la domanda che nessuno nella campanilistica Puglia sembrava farsi: perché cazzo due miliardari indiani vengono a sposarsi a Fasano?
Se due rampolli giapponesi venissero a sposarsi, che ne so, a Crevalcore mi chiederei il perché, invece qui nessuno sembrava avere nulla da eccepire. Per quanto sia noto come per il sud poche cose siano più naturali del fatto di essere amato, sentivo che bisognava indagare.


i portici del centro storico di Fasano
(i portici del centro storico di Fasano. via Gofasano.it)


Gradualmente Conchita sembra interessarsi alla storia. Dall’headquarter de Linkiesta, a chilometri di profondità dentro una fredda montagna lombarda, mi fanno sapere che la storia si può fare. Così con l’idea di vedere prima se il muro di gomma che secondo i media avvolgerebbe impenetrabile l’evento sia davvero così spesso, decido di approcciarmi gradualmente al territorio fasanese, e scelgo di farlo con una ricognizione che per forza di cose deve partire da una circospetta mangiata di bombette nella vicina Cisternino.
Finiamo in uno dei tanti locali che da quelle parti uniscono una macelleria al ristorante, ti scegli la carne al bancone, poi ti siedi e te la servono cotta.
Alla 25° bombetta, Conchita ha quasi perso i sensi e con il telefono spara Somewhere over the rainbow di Israel "IZ" Kamakawiwoʻole a volume sedicenne algerino sul bus 36 e io ne approfitto per approcciare uno dei camerieri sulla storia del matrimonio degli indiani.
Guarda un po’ lui ci deve lavorare proprio venerdì, solo non è ancora sicuro perché danno 70 euro, dice con lo sguardo di chi non si allontana dalle bombette per compensi a meno di tre cifre. «Ci possiamo sentire però, così ti racconto tutto», mi spiega fissando Conchita.
Da lì io e la mia amica rotoliamo satolli verso il centro di Fasano dove trovo un barista che risponde volentieri alle mie domande, sempre senza levare lo sguardo di dosso da Conchita, e assicura di avere un sacco di foto di Borgo Egnazia luogo dove si svolgerà la prima delle serate del matrimonio (foto per altro tranquillamente reperibili sul sito della struttura, ma questo ancora non lo sapevo).


Un particolare di Borgo Egnazia
(Un particolare di Borgo Egnazia)


Capisco comunque alcune cose:
1. C’è margine per scoprire qualcosa di più delle cifre del budget che era 10 milioni poi 20 poi 25 e poi ha sfiorato il Pil della scandinavia.
2. Per evitare di finire nella sezione “omicidi per gelosia” del Quotidiano di Brindisi bisogna che lavori a questa storia da solo.
3. Fondamentale però è l’intuizione che mi dona Conchita prima di svenire su un divanetto al 2° amaro del capo (Cochita non regge l’alcool),
Ricorda Quit: gli elefanti sono l’epicentro simbolico della storia!
Sento che ha ragione: se troverò gli animali, coglierò il senso profondo di tutta questa vicenda.
Così il giorno successivo siamo di nuovo a Fasano e mi lancio sulle tracce dei pachidermi con un comodo identikit tracciato sul taccuino.


Identikit dell'elefante indiano
(l’identikit)


Sui giornali si legge l’agiografico resoconto dell’incontro fra il sindaco sospeso Lello Di Bari e il padre della sposa Pramad Agarwal, che ci tiene molto ad invitare il fasanese almeno come amico se non proprio come autorità. Di Bari di fronte a questa via d’uscita sapientemente offerta dal miliardario, è felice di accettare.


L'invito al matrimonio fra Ritika Agarwal e Rohan Metha


(L’ulivo nell’invito è stato interpretato da più parti come segno di grande conoscenza del territorio da parte degli sposi. Non è infatti scontato notare uno dei 60milioni di esemplari che si trovano in Puglia, 14 per ogni abitante)
Quanto al bene pubblico che da più parti gli si chiede di restaurare in zona come mancia sui 10, 20, 25 o millemila milioni di euro che ha già speso, Agarwal risponde che beni pubblici no, ma sta valutando di comprare casa da queste parti. Allora rilanciano chiedendo se, già che c’è, per caso non gli piacerebbe comprarsi almeno l’Ilva di Taranto, e lui gentilmente declina ancora, assicurando però che della Puglia gli piace proprio tutto-tutto.
Per motivi che forse afferiscono con il suo non essere il ministro degli esteri indiano ma un imprenditore londinese, Agarwal non risponde (almeno pubblicamente) alla lettera aperta sulla Gazzetta del Mezzogiorno del deputato Pd Dario Ginefra che, prendendo con forza le distanze dalle polemiche sui marò, chiedeva esattamente un interessamento per la questione dei marò. Lo faceva con le seguenti parole
«provate a svolgere una volta tornati in India» forse intendendo per le ferie «una funzione attiva per aprire una breccia proprio dove, sino ad oggi, hanno fallito le nostre democrazie».


Pramod Agarwal

(Pramod Agarwal / crediti: Stringer/Getty Images)


Ma chi è esattamente Pramod Agarwal, padre della sposa e misterioso magnate del ferro? Agarwal è nato a Bombay da un clan originario dello stato di Haryana e vive da anni a Londra con la sua famiglia, esattamente come i Metha (la famiglia dello sposo) ecco il perché del matrimonio civile nella capitale inglese.
Nasce professionalmente come trader con interessi in Russia e Hong Kong ma nel 2004 in Brasile intuisce in anticipo il boom del ferro che verrà causato dall’espansione dell’economia cinese e compra la sua prima miniera. Fa così il salto di qualità e si espande soprattutto in Sudamerica, ricevendo di recente, nonostante le proteste degli abitanti della zona interessata, anche l’appoggio del presidente uruguaiano di sinistra Jose Mujica per il progetto di scavo Valentine, un affare da 3 miliardi di dollari.
Pramod mantiene il centro direzionale della sua azienda, la Zamin, a Londra e non sembra intenzionato a fare business in India per timore, dice, delle lungaggini burocratiche necessarie a fare qualsiasi cosa da quelle parti. Gli analisti sostengono che non ha nemmeno voglia di differenziare la sua attività ma punta ad una espansione all’interno del suo settore che definire ambiziosa è pochino: passare da 5 miliardi di tonnellate l’anno al 45 nel giro di un lustro.
Agarwal ha già sistemato una figlia con un matrimonio a Venezia, che se non è stato il più costoso fra i matrimoni dei miliardari indiani (c’è anche chi ha speso 50milioni per una singola cerimonia) è stato comunque molto apprezzato dagli esperti di settore per originalità e cura dei dettagli. Quelli di noi che non guardano al mondo con un sistema di valori mutuato dalle pagine di Chi potrebbero a questo punto chiedersi che senso abbia spendere tutti questi soldi per un matrimonio, ma sarebbe una domanda che sconta un certo pregiudizio romantico occidentale e paga dazio a tutta la retorica delle “Mille e una notte” e “fiaba all’ombra degli ulivi” che, come detto, ha contraddistinto la campagna mediatica italiana sull’evento .
Il business dei matrimoni indiani è precisamente un business, non solo per quanto riguarda la realizzazione ma anche per la loro natura di rito socio-economico in cui l’amore come lo concepiscono i libri Harmony o le rubriche di Natalia Aspesi trova ben poco posto. In India esistono persino dei mediatori il cui lavoro è quello di intrecciare gli interessi delle grandi famiglie combinando matrimoni convenienti per gli affari in cui le stesse sono coinvolte. Pankaj Shastri, un broker matrimoniale che tratta solo famiglie con dei billion ha dichiarato a Forbes india:
«normalmente le contrattazioni avvengono in forma di budget per il matrimonio. Le famiglie devono trovarsi d’accordo su un budget che li rappresenti come status»
Il matrimonio è dunque un momento per confermare il proprio status ma anche per instaurare nuovi rapporti e creare opportunità di business, e non sono rari gli sposalizi da cui nascono accordi che generano ricavi in grado di coprire ampiamente le spese milionarie di organizzazione dell’evento. Il carattere a metà fra conferenza aziendale e la riunione di clan è talmente conclamato che di recente è nata la tendenza a celebrare, prima dell’evento vero e proprio, anche dei matrimoni paralleli con invitati solo i veri giovani amici degli sposi, relativamente meno sfarzosi ma più divertenti per i partecipanti.
All’interno di questo quadro non è facile scoprire l’attuale attività di Arun Metha, il padre dello sposo, il quale, forse proprio per questo motivo, è praticamente assente dalle cronache italiane dell’evento. Ex co-fondatore in Olanda della Mexx, brand di abbigliamento mondiale non presente in Italia, Metha ha venduto la società all’azienda americana Liz Claiborne nel 2001. Vive anch’egli a Londra, passa molto tempo nella sua villa nel sud della Francia, e ci sono pochi dubbi sul fatto che il figlio Rohan rappresenti un partito consono a Ritika Agarwal.
Nel pomeriggio di mercoledì faccio un sopraluogo a Borgo Egnazia. Fra i campi di ulivi spuntano da lontano due gru bianche, sospese sopra quella che apparentemente è una masseria ristrutturata a fini turistici ma vista da vicino assomiglia più a un paese privato vero e proprio. Dall’alto Borgo Egnazia è grande quasi quanto il vicino paese di Savelletri,


Borgo Egnazia sulla sinistra e Savelletri sulla destra
(Borgo Egnazia sulla sinistra e Savelletri sulla destra)


All’esterno del lato verso l’entroterra sono piantati i tendoni bianchi del personale, gruppi di giovani parcheggiano le loro auto fra gli ulivi, si infilano in jeans e maglietta dentro le tensostrutture e ne escono in livrea da camerieri. Poi ci sono gli attori, i figuranti e i ballerini, con i vestiti più larghi, i piercing, i tatuaggi e le acconciature un po’ scapigliate. Una Cinquecento con madre e figlia armate di smartphone scivola lenta sulla strada che costeggia il muro di cinta, dei turisti stranieri in bicicletta intravvedono le strutture e le americane del palco e si fermano a chiedere «there is music?» ai buttafuori che fanno sì sì con la testa senza sapere bene come spiegargli che però non sono invitati. Questo è il periodo dell’anno in cui sulla costa di Fasano i turisti italiani sono ripartiti, sostituti da russi francesi e inglesi. Fuori da Borgo Egnazia passano furgoni con la guida a destra, macchine, pullman turistici. Dentro il borgo fervono ancora i preparativi, una delle gru muove un albero ricoperto di luci. Passando davanti all’ingresso principale, s’intravvedono golf cart trasportare donne indiane con indosso vestiti tradizionali. Degli elefanti però nessuna traccia.


Preparativi dal matrimonio fra Ritika Agarwal e Rohan Metha
(Preparativi. Durante lo show dalle braccia partiranno fuochi d’artificio. Spero usi un deodorante senz’alcool)


Il borgo sembra effettivamente off limits così faccio un salto in città alla redazione di Fasano Live, uno dei tre giornali online di una città con 40mila abitanti, gli altri sono GoFasano e la versione web dello storico cartaceo “L’osservatorio”.
La sede di FasanoLive è in uno scantinato ristrutturato di fresco poco lontano dal centro e i giornalisti sono tutti molto giovani. Vincenzo è il cronista che sta seguendo la storia per il sito e per un quotidiano cartaceo locale, mi accoglie nel suo ufficio e racconta con un certo orgoglio come questo non sia il primo matrimonio di milionari che si svolge sul territorio.


Preparativi dal matrimonio fra Ritika Agarwal e Rohan Metha
(preparativi a Borgo Egnazia)


Lo scorso anno ad esempio era stato il turno di Justin Timberlake che con l’occasione aveva voluto anche vedere il famoso presepe vivente di Pezze di Greco. A Ottobre.
Glielo si era dovuto fare apposta convocando i figuranti fuori stagione. Quest’anno poi a luglio nel più assoluto riserbo era stato il turno di un ex vice presidente di Google ( che nella versione che circola nei bar della zona diventa inevitabilmente “il presidente”) Nikesh Arora. Ora a Fasano è il momento della terzogenita di Agarwal e del giovane Metha, un evento che sta attirando molta più attenzione degli altri perché nonostante tutte le notizie attorno ai contratti di riservatezza (per 5 anni) che sarebbero stati firmati dai dipendenti è stato il più pubblicizzato sin dall’inizio. Il risultato è che così tanti giornalisti da queste parti non si sono mai visti. E il balletto dei dati? Il 20% del Pil indiano non è un po’ troppo? Forse è un dato un po’ alto concede Vincenzo, ma al tempo stesso non crede che i lettori qui prestino davvero molta attenzione al reale significato di queste cifre. Cosa manca ancora? Servirebbero le foto da dentro, spiega, tutto il resto ormai l’abbiamo fatto.
Gli chiedo se hanno pensato a un drone ma lui con il sorriso di chi queste cose non deve certo farselo dire dal topo di città, risponde «hanno i tiratori scelti, si rischia di perderlo, troppi soldi».
E delle critiche che mi dici? C’è chi sostiene che l’impatto dell’evento per l’economia della città sia minimo. Vincenzo non è d’accordo racconta delle grandi quantità di pollo acquistate da un’azienda fasanese, dei 100 iphone, 400 schede e 50 computer acquistate in città e delle tante persone assoldate per l’evento (si parla di 700 in tutto, di cui circa 200 dal territorio), oltre ai dipendenti fissi delle strutture impegnate nel matrimonio. Fatti un giro nel capannone-magazzino nella zona industriale sud, aggiunge, li hanno preso quasi tutti ragazzi di Fasano. E comunque sì, qualcuno che ha proprio in odio il turismo c’è, ma si tratta di pochissime persone per fortuna, gente che vive lontana, che non sa quanto il territorio abbia bisogno di soldi e di lavoro, ci danno dei venduti quando a me nessuno mi ha mai detto niente su quello che scrivo, fortunatamente, conclude, Facebook non è il mondo reale.
Senti ma perché venire a sposarsi proprio qui? Perché è la terra più bella del mondo, spiega con il claim ufficiale di ogni campanile italiano. Il vero orgoglio di Fasano comunque, anche più del turismo di alto livello è la pallamano, sport in cui la città è campione d’Italia, Vincenzo ad esempio è appena tornato dall’Alto Adige dove era andato a seguire la squadra per il giornale.
Mentre mi accompagna fuori, discutiamo di dati e di traffico, gli incubi di tutti i giornalisti della nuova generazione. «il matrimonio va forte, di solito invece le cose che tirano di più sono gli incidenti, specie se ci sono coinvolti dei giovani» spiega un po’ rassegnato o realista, che dir si voglia. Una volta per una frase così si sarebbe incolpato il giornalista, oggi grazie alle statistiche in tempo reale non si può che prendersela con i lettori.
Più tardi seguo il consiglio di Vincenzo e raggiungo la zona industriale sud di Fasano, che è ben distanziata dalla città e vicina alla superstrada Brindisi-Lecce. Di notte è un luogo un po’ spettrale, piena di strade laterali chiuse da sbarre elettroniche e totalmente priva di segni di vita. Solo in fondo in mezzo a un nugolo di TIR, si erge il capannone della Track zero, uno dei partner della società organizzatrice del matrimonio, la Balich world wide shows del veneziano Marco Balich, producer di grandi eventi fra i quali le cerimonie delle olimpiadi di Sochi e di Londra, e personaggio noto anche alle cronache rosa per il suo legame con la presentatrice tv Victoria Cabello.
La festa a Borgo Egnazia però ormai è iniziata e così quando arrivo al magazzino non c’è quasi più nessuno, solo una bella ragazza sui trent’anni che a un banchetto all’ingresso vende panzerotti a un euro e birre Forst a due per i lavoratori. Fin troppa calma oggi, sospira come chi ha visto passare una festività che non tornerà prima di un anno. Il grande capannone alle sue spalle fino a poche ore prima era diviso in due parti, quella in cui venivano cuciti i vestiti per gli spettacoli, e quella dove c’erano le prove delle coreografie. Ora sono entrambi vuoti, rimangono solo delle pile di casse di legno alte fino al soffitto. Fuori dal capannone, osservando i Tir e il cielo, bevo una Forst con un autotrasportatore di Bologna sui cinquanta, pancia prominente, codino, e una certa vena narrativa sul tema “tour musical in sud America durante la sua giovinezza”. Ok, ma questa volta invece?
«Questa volta qua al posto degli strumenti che porto da una vita mi hanno fatto portare di tutto e da ovunque. Siamo stati fino in Bulgaria a prendere i vestiti».
Che vestiti?
«Ma di ogni. Cose da antichi romani, minotauri… cose così».
Minotauri… Ma l’elefante?
No, del pachiderma ancora nessuna traccia.
Torno a Borgo Egnazia, davanti all’ingresso principale presidiato dalla sicurezza adesso stazionano una serie di troupe televisive, ma da lì tutto quello che possono filmare sono i Vito Mercedes con i vetri scuri che si infilano nei check point ed entrano nel borgo sfilando fra le due fila di bracieri ornamentali.
Supero in auto gli avamposti dei media e raggiungo i tendoni all’estremo opposto del borgo. Lì ci sono giovani lavoratori in pausa che mangiano, bevono o chiamano a casa a raccontare quanti soldi tengono questi indiani. Da dentro le mura giunge a volume altissimo un’infinita musica epica che sembra presa dal menù iniziale di un videogioco sull’antica Grecia. Mi siedo con alcuni di loro e chiacchieriamo un po’. L’argomento unico è lo splendore misurato in cifre non verificate. Camion pieni di 200mila euro di fiori dall’Olanda


Arredi floreali del matrimonio fra Ritika Agarwal e Rohan Metha
(arredi floreali a Borgo Egnazia)


proiettori da 60mila euro, alberghi per gli ospiti a 150mila euro al giorno, campagne affittate per parcheggiare le auto a 10mila per tre giorni, le cifre transitano di bocca in bocca come una palla di neve fatta di euro che diventa più grande ad ogni passaggio,
Tutto qui è splendido soprattutto in quanto grandemente costoso, un processo che ricorda vagamente Mary Louise Parker in Weeds quando scopre che per fare felici i ricchi newyorkesi deve vendergli l’erba a dieci volte il suo prezzo.
Gli immaginari si fondono acrobaticamente e Shakira (che ha cantato al matrimonio della primogenita di Agarwal a Venezia e si dice canterà anche a questo) sarebbe stata avvistata nei dintorni con Vucinic ex attaccante, molto compianto, del Lecce. Dopo un altro po’ di chiacchere e bevute con i ragazzi salta fuori il modo per entrare dentro Borgo Egnazia.


Foto dal matrimonio fra Ritika Agarwal e Rohan Metha
(dentro il matrimonio)


Ne approfitto e finisco proprio sotto l’albero che avevo visto preparare nel pomeriggio. Alla mia sinistra gli invitati, sistemati su degli spalti, guardano lo spettacolo delle proiezioni epiche a tema greco-romano sulla facciata del palazzo di fronte, alla mia destra invece ho il backstage degli attori che impreziosiscono la coreografia. L’attore più vicino a me, guarda un po’, è vestito proprio da Minotauro.
Video of Dal matrimonio di Ritika Agarwal e Rohan Metha
Lo show assomiglia molto a una cerimonia di inaugurazione dei giochi olimpici, senonché l’iconografia pur spettacolare ricorda quel tipo di semplificazione con cui di solito noi occidentali ci rapportiamo al resto del mondo, questa volta però l’onda della rappresentazione per sommi capi ci torna indietro spinta dai venti del denaro globale. Per una sera l’altro da dipingere sulle pareti in un infedele trompe-l'œil fatto di luci, non è il santone, il selvaggio, l’imperatore lontano, ma la nostra età classica. L’effetto è un po’ straniante ma decisamente al passo coi tempi.
Lo spettacolo s’interrompe quando le famiglie dei festeggiati salgono sul palco e ringraziano i presenti e gli abitanti della zona che li ha accolti. Nel discorso di Agarwal, nonostante sia davanti a più di mille persone, c’è una vibrazione d’intimità così forte che anche se sono dentro da poco e potrei avventurarmi più a fondo nel borgo decido di aver visto quanto basta. E poi le inaugurazioni delle olimpiadi le ho sempre trovate un po’ noiosette.
Tutto attorno a me comunque baluginano gli smartphone di invitati e dipendenti che fotografano e girano video, ed è chiaro che presto le immagini arriveranno anche ai giornalisti in posa qui fuori di fronte ai bracieri. (Nei giorni successivi infatti sono apparse diverse gallery: qui gallery Repubblica, qui gallery Osservatorio Oggi). Così varco in senso opposto i controlli di sicurezza e me ne vado a mangiare. Pollo fasanese anche per me, come per gli indiani, ma non ai tavoli con le forchette placcate in oro ma in un ottimo ristorante di Speziale, poco lontano.


famigerate forchette
(tavoli con le famigerate forchette)


Il mattino seguente salgo in quota, verso la Selva di Fasano, frazione del comune abbarbicata su quelle colline che più a nord diventano le Murge. In una zona molto silenziosa, immersa nel verde e piena di villette si trova anche l’abitazione di Romano Bianco, giornalista e scrittore fasanese da anni di stanza Roma. C’è lui dietro il gruppo facebook “nessun amministratore fasanese al matrimonio indiano” più volte citato anche dai telegiornali Rai.
Bianco è un uomo simpatico, a suo modo preparato e ricco di forti convinzioni. Mi fa accomodare in terrazzo di fronte al giardino pieno di alberi e incomincia a parlare del suo arcinemico Lello di Bari. Un esponente, dice, di quel partito unico degli affari che in Puglia come nel resto d’Italia non conosce bandiera politica. Romano si definisce, a malincuore, l’unica opposizione locale, dato che “il movimento in comune” una specie di omologo fasanese del movimento 5 stelle è a suo parere chiuso nell’immobilismo (lui li chiama “il partito narcisista fasanese”) e i giornali che ritiene compattamente compiacenti verso i progetti di Lello di Bari e degli imprenditori turistici. Secondo Bianco il turismo a Fasano non è questo grande affare (qui il suo slogan è «Lusso ai forestieri/tasse ai fasanesi»), le retribuzioni dei dipendenti comuni di molte strutture turistiche sono basse e gli straordinari pagati pochissimo, mentre le tasse dei rifiuti per i residenti aumentano e le strutture alberghiere godono di sgravi fiscali. Gli stessi complessi che chiudono le spiagge più belle per uso privato, quelle di un tratto di costa fra i pochi della provincia di Brindisi ad essersi salvato dalle speculazioni edilizie degli anni 70 e 80. A Savelletri, aggiunge, la pasta costa il doppio che a Fasano (7,2 km di distanza). Be' al mare è normale, obbietto «io sono per i prezzi differenziati per fasanesi, in Trentino lo fanno e cosa ci manca a noi per essere come il Trentino?» Qui in effetti non so bene come reagire, bloccato dall’immagine mentale di ulivi innevati. Per non parlare, continua Bianco inarrestabile, dal crescente numero di incidenti stradali dovuto anche alla presenza crescente di turisti. Pure sull’indotto per il territorio del matrimonio indiano ha dei grossi dubbi, anche perché per Bianco ciò che conta per calcolare i benefici è solo il fasanese in senso stretto, e se il pane, come sembra, gli sposi l’hanno preso a Monopoli (14,6 km di distanza) non è un vero vantaggio per il territorio. Anche se non lo dice esplicitamente l’impressione è che per lui sia un po’ come se lo avessero importato direttamente da Bombay. Fra le tante cose forse quella che fa infuriare di più Bianco è il famigerato dato del “20% del Pil indiano” che sarebbe presente alle nozze, dato che è stato ripreso senza controlli da quasi tutti i media. Sulla pagina della protesta, Nicola Lamacchia un suo amico (fasanese) analista trasferitosi in svizzera dove lavora per una società finanziaria, ha fatto un lungo intervento dove a suo dire smonta il dato arrivando a un più modesto 2-3%. Il vento però sta cambiando e comunque vada il processo di appello di Lello di Bari, il tempo del sindaco del turismo di lusso, secondo Bianco, si avvia alla fine. Ma da dove deriva tutto questo autonomismo fasanese? Fasano, dice, è sempre stata una città autonoma da quando era un feudo indipendente dei cavalieri di Malta, il retaggio viene da lì. Poi mi mostra la bandiera fasanese di sua ideazione che è, testualmente, così composta:
Striscia celeste come il cielo di Fasano
Striscia verde come la campagna di Fasano
Striscia azzurra come il mare di Fasano
Disco centrale giallo come il sole di Fasano.
Molto bella, ma i marò?
Ai marò bisogna che gli sia garantito un giusto processo che sia in Italia o in India, cosa che non si può dire stia avvenendo, poi possono pure essere condannati se sono colpevoli. Nel frattempo però un amministratore italiano non può andare a un matrimonio di indiani.
Non è mica il ministro degli esteri.
Lo stesso, è un segnale.
Poi ci salutiamo perché deve partire per l’Austria dove va a seguire la squadra del Fasano nella Champions League di pallamano, davvero l’unico minimo comune denominatore fra il giornalista Bianco e i suoi giovani colleghi del web.
Scendo dalla collina e punto verso il municipio, dove ho un appuntamento con il vero grande vincitore di tutto l’affaire matrimonio indiano, il sindaco sospeso Lello di Bari che da giorni sta passando da un’intervista all’altra fra giornali nazionali, internazionali e tv.
Di Bari è al secondo mandato, ha un condanna in primo grado per abuso di ufficio per il piano di recupero del centro storico di Fasano, l’appello è previsto per novembre di quest’anno quindi ai sensi della legge Severino nel frattempo è sospeso dall’incarico. Benché militi nel centrodestra nel passato è stato anche in giunta sotto Nicola Latorre, dalemiano di ferro. Carismatico medico chirurgo, Di Bari è una personalità divisiva, amata ma anche molto discussa nel paese, non solo da Romano Bianco. Quando lo incontro in municipio indossa camicia Ralph Lauren, al polso porta in bella vista un Rolex e la custodia del suo smartphone riporta il logo Ferrari, una delle sue passioni più note.


Lello Di Bari al matrimonio fra Ritika Agarwal e Rohan Metha
(Il sindaco Lello Di Bari al matrimonio. Via Osservatoriooggi)


Sa bene che questo è il suo momento e non fa nulla per nascondersi, anzi accetta ogni contatto con la stampa, tutte occasioni buone per raccontare la sua narrazione ovvero quella di un territorio che ha saputo arrivare all’onore delle cronache con una pianificazione lungimirante e lunga più di un decennio. A suo agio, assertivo e non privo di analiticità, Di Bari è ben rodato sugli argomenti più dibattuti di questi giorni, ma non da comunque l’impressione che in un altro momento sarebbe stato facile da cogliere in fallo, è uno scafato politico di piazza.
Ad esempio prima ancora che riesca a fargli presente la polemica sull’opportunità di partecipare dopo la sua condanna e la conseguente sospensione, lui mi ha già raccontato la genesi della sua amicizia con Agarwal, nata nell’incontro di due ore avvenuto due giorni prima al termine del quale si chiamavano per nome ed era diventato amico di famiglia della dinastia del ferro. Da qui l’invito alla cerimonia in questa nuova forma privata. Problema risolto insomma, almeno per lui.
In questi mesi però anche dopo la sospensione ha a presenziato a molte eventi pubblici.
Solo se mi invitavano, e sempre in forma privata, dovevo dirgli di no?
È per questo che ci troviamo in anticamera e non nell’ufficio del sindaco?
Esattamente, lì ora c’è il vicesindaco.
È pur vero che l’anticamera è sempre parte del municipio. Ieri è stato alla festa?
Sì e devo dire che è un evento di dimensioni immani che non mi sarei aspettato ora qui a Fasano, anche se siamo abituati ai matrimoni di grandi dimensioni. Un evento di questo tipo me lo figuravo fra qualche anno. Sono passati solo 12 anni (14 in realtà, forse Di Bari si confonde con l’anno in cui diventò assessore ndr) dall’operazione Primavera voluta dal ministro Bianco contro il contrabbando che al tempo era la più importante attività economica della zona. Stroncato il contrabbando si trattava di capire cosa fare in questo territorio, dal 2002 al 2007 come assessore all’urbanistica e dal 2007 in poi come sindaco intrapresi insieme ad alcuni imprenditori che avevano sia la volontà che i mezzi economici, questa direzione che oggi ci porta all’attenzione del mondo.
Si riferisce ai Melpignano e ai Muolo.
Esattamente, e poi ad altri come loro. C’è da dire che nelle nostre strutture vige il rispetto della privacy, in questo caso invece sono uscite indiscrezioni due settimane prima ma anche perché non c’è stato un veto da parte delle famiglie degli sposi. Un mese fa quando è venuto il vicepresidente di Google hanno mantenuto un riserbo assoluto della privacy, di quell’evento non sappiamo assolutamente niente. Nel caso di Justin Timberlake c’era la richiesta di privacy ma c’erano anche delle esclusive con delle riviste, in questo caso invece è stato diverso, e le proporzioni sono, ripeto, immani, chissà quando ricapiterà un evento come questo. In soli 12 anni credo sia un ottimo risultato, con 530mila presenze nel 2013 eravamo al 6° posto fra le località turistiche della Puglia, dopo posti come Gallipoli, Peschici o San Giovanni Rotondo, quest’anno probabilmente miglioreremo ancora.
Il turismo chiuso nei resort però ha un impatto economico limitato sul territorio.
Era chiuso nei resort all’inizio, ora le cose sono cambiate. Il problema è che all’inizio fuori dai resort non c’erano servizi all’altezza delle aspettative di quel tipo di turisti. Tutti i nostri bar ora hanno del personale che parla inglese, una cosa impensabile fino a 3-4 anni fa, parlavano solo dialetto e l’italiano. Ora i turisti escono, non rimangono chiusi nelle “cattedrali nel deserto”.
E per quanto riguarda i marò?
Noi siamo sempre stati solidali con i marò, abbiamo anche esposto uno striscione qui in piazza. Ma non si poteva pretendere che il sindaco di una piccola di città di provincia risolvesse una crisi internazionale dove sia il governo indiano che quello italiano hanno delle responsabilità. Tra l’altro anche volendo un sindaco non ha l’autorità per impedire un matrimonio in forma privata. A parte che fare una promozione del territorio come questa sarebbe costata milioni di euro, mai avrei pensato di rilasciare un intervista al “Times” di Londra, non c’è solo questo se è vero, come è vero, che questo matrimonio ha portato ricchezza a tutto il territorio italiano dato che le due agenzie principali dell’organizzazione sono di Milano e di Roma, gli autotrasportatori sono arrivati da tutta Italia così come tante altre figure che hanno collaborato. Non sono state impiegate solo persone del nostro territorio, ma da tutta la Puglia e da tutta l’Italia.
Saluto il sindaco-non sindaco e il suo discorso della vittoria e me ne vado mentre risponde al telefono con una giornalista di Mediaset felice che nella location scelta per il secondo giorno si riesca a vedere qualcosa anche da fuori.
Che fosse impossibile declinare l’invito al matrimonio come sembra sottintendere Di Bari non è del tutto vero. Il governatore della Puglia Nichi Vendola, ad esempio, era a sua volta fra gli invitati e ha anch’egli incontrato il padre della sposa prima della cerimonia. Con un equilibrismo d’alta quota di quelli che capita di dover fare ai leader di sinistra in un mondo dominato dai capitalisti si è detto felice della pubblicità per il territorio pugliese, stimata anche qui non si capisce esattamente come in un controvalore di 100 milioni di euro, così come si è rallegrato per l’indotto, però poi ha declinato l’invito perché «in un momento di così grande crisi non ritengo opportuno partecipare ad un evento così sfarzoso». Ha fatto però sapere che gli sarebbe piaciuto riceve un pumo di grottaglie placcato d’oro, la bomboniera, da lasciare in regione a fine legislatura.
A questo punto comunque rimane aperta solo la questione degli elefanti. Il mistero sui giornali, seppur a celebrazioni iniziate continua: non si sa da dove ne quando arriveranno né dove staranno. L’arcano lo risolviamo per primi io e Conchita quella stessa mattina. L’animale simbolo del “matrimonio del secolo” in realtà è presente in un solo esemplare e se ne sta in gran segreto, ma rispettando le severe prescrizioni di legge, in una vecchia fabbrica vicino al mare, a pochi chilometri da Savelletri. Non arriva dalla capitale francese, né dall’India, ma dalla più prosaica Foggia, dove era in forze al Circo Nazionale d’Italia, ha più di trent’anni e il suo proprietario è un uomo originario di Lugo di Ravenna.


L'elefante indiano-foggiano
(l’elefante indiano-foggiano)


Da vicino i sogni sono spesso un po’ più simili alla realtà del previsto. Il mare della vecchia fabbrica si sta alzando, ha preso una tonalità di azzurro virata verso il grigio e il cielo sembra promettere la pioggia tanto temuta dagli sposi.
L’estate è finita, la festa degli indiani-londinesi della nuova aristocrazia globale continuerà anche in caso di pioggia, neve, grandine o attacchi di scimmie volanti, io e Conchita decidiamo di ripartire per il nord.
Le immagini e i video dei festeggiamenti varcheranno da sole i muri dei resort di lusso sulle onde dei wi-fi e finiranno sui giornali grazie all’inevitabile narcisismo primario tipico dell’epoca dei “social” , un tempo storico in cui solo i dirigenti di società come Google sono davvero capaci di vivere nell’ombra, il che dovrebbe insegnarci qualcosa, ma no, tranquilli, non lo farà.
D’altro canto, è anche vero che come diceva Wittgenstein ben prima che dio inventasse il modem a 56k
Se hai una stanza dove non vuoi che entrino certe persone mettici una serratura di cui non hanno una chiave. Ma non ha senso parlare di questa stanza, a meno naturalmente che tu voglia fargliela ammirare da fuori
Chiudo la portiera, lascio fuori il fischio del vento che arriva dall’adriatico e percorro la manciata di chilometri verso la superstrada Brindisi-Bari, le 4 corsie che separano Fasano dai resort sulla costa dove arrivano per brevissimi periodi celebrità del mondo globale, un business a cui questo piccolo mondo si è votato anima e corpo. Una volta qui si viveva delle sigarette senza bollo che arrivavano dalle navi madre ormeggiate di fronte al Montenegro e ora si segue il profilo Twitter delle star per capire se verranno o meno a cantare agli eventi super segreti e si lavora nelle cucine e negli alberghi.
Un piccolo paese in cui il punto di riferimento del potere locale è uno di quei medici scesi in politica tipici del sud, un po’ sciamani, un po’ capo-popolo, un po’ macchiette, con una condanna in primo grado che fa sempre curriculum ma anche un progetto di lungo termine in mente, un piccolo paese dove l’economia è in mano a una manciata di imprenditori molto efficienti che hanno capito che nel futuro globale e sempre più iniquo che ci aspetta il lusso è un settore che difficilmente conoscerà crisi. Un piccolo paese dove popolazione accetta il modello di sviluppo con l’attitudine tipica del sud per cui i soldi anche se sono pochi e mal distribuiti non si discutono, perché potrebbe sempre andare peggio. Un paese dove proprio come a Roma centrodestra e centrosinistra vanno spesso d’accordo, dove i media nazionali scendono a cercare sensazione più che senso, un paese dove chi proprio non è d’accordo su nulla è perché vive altrove o in collina, e chissà se la penserebbe davvero così se stesse ancora da queste parti. E poi ce la fama, il proprio nome sulle mappe, la pubblicità, le troupe, i cronisti, e, certo, anche i reporter di long-form. Soprattutto c’è “l’importante è che se ne parli”, il mantra con cui la provincia, povera fino all’altro ieri, incontra la società dello spettacolo totalizzato. E infatti, eccoci qua.

9 settembre 2014

fonte:http://www.linkiesta.it/reportage-matrimonio-ritika-agarwal-rohan-metha-quit-the-doner

09/09/14

Marò: le ciance hanno le gambe corte



 
mogherini1


Nella vicenda dei due marò la discutibile decisione del Governo Monti di rimandare in India Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, è stata seguita dal silenzio assordante del Governo Letta rotto solo da flebili affermazioni della Bonino sulla “Non provata innocenza” dei due militari ed un improvviso risveglio  a gennaio dal letargo delle Commissioni Difesa ed Esteri che per bocca dei loro Presidenti invocavano improvvisamente l’internazionalizzazione del caso.

Di sorpresa  uno squarcio di luce. Renzi appena nominato Premier telefona ai due Marò e dichiara alla Nazione l’interesse prioritario del suo Governo di riportare a casa i due ragazzi. Contemporaneamente la Ministro della Difesa Pinotti e quella degli Esteri Mogherini dichiarano ripetutamente la decisione di avviare l’internazionalizzazione del caso e l’avvio di un arbitrato internazionale tanto osteggiato da Monti e da de Mistura.

Il tutto sembrava avviarsi nella giusta direzione, quando all’improvviso una precisazione delle Responsabili di Difesa ed Esteri. Sì l’internazionalizzazione ma continuiamo con i contatti diplomatici bilaterali per rendere più rapida la soluzione, intendimento confermato  dallo stesso premier dopo la famosa telefonata ferragostana con Modi.

Il tempo passa e Latorre viene colpito dal serio danno fisico e la Mogherini informa che la malattia ha cambiato i parametri del problema per cui si procederà ad un’accelerazione del processo di internazionalizzazione e dell’arbitrato pur mantenendo i contatti bilaterali. Parole che si aggiungono alle tante dette al vento fino ad ora,  nel massimo rispetto del vecchio detto che la  “politica è l’oppio dei popoli”. Ieri la Ministro degli Esteri indiano precisa che Delhi non ha mai pensato di decidere al posto dei Giudici indiani.

Oggi, l’Ambasciatore Terzi, ex Ministro degli Esteri uscito dal Governo Monti per non essere complice di chi nel Governo Monti aveva preso l’inconsueta decisione di riconsegnare i due Marò alla Giustizia indiana, in un’intervista rilasciata al “Il Sole 24Ore” (http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2014-09-09/maro-ex-ministro-terzi-critica-renzi-intermediazione-croce-rossa-latorre-sarebbe-gia-italia–130440.shtml) ripropone l’esatto contenuto della posizione indiana.

Terzi sottolinea che il ministro degli esteri indiano «ha detto testualmente che con l’Italia non è in corso alcun dialogo, e che il processo ai militari deve continuare». Parole chiare che secondo l’Ambasciatore  «che uccide in maniera clamorosa sei mesi di altalena di Renzi». Che «ha sempre parlato di un cambio di passo nei rapporti con l’India», convinto di «riportare in Italia i due marò senza passare da un processo» “indiano”, considerato «illegittimo e inaccettabile».

Peraltro, il malaugurato malanno di Latorre e la conseguente richiesta italiana di concedere al militare un congruo periodo di riabilitazione in Italia, renderà l’India più esigente e come ci dice l’ex Ministro degli Esteri, «tra le garanzie che ora verranno chieste all’Italia per il rientro di Latorre ci sarà una forma di riconoscimento della giurisdizione indiana, e questo sarebbe davvero la chiusura finale atroce quanto la folle decisione di rimandare in India i due marò nel marzo 2013”

Terzi ci informa, ancora, che a luglio il Presidente della Cri internazionale di Ginevra, Peter Maurer, con una circostanziata lettera al Governo Italiano si offriva come intermediario. Sembra che il Governo non abbia mai risposto coinvolgendo la CRI  e forse se lo avesse fatto dice Terzi « Latorre sarebbe già in Italia da parecchi giorni” .

Giunti a questo punto siamo di fronte ad uno scenario confuso in cui tutte le assicurazioni fino ad ora date con disinvoltura, cominciano ad evidenziare alcune lacune sostanziali. Fra le tante la principale, quella di aver avviato rapporti bilaterali per risolvere la vicenda tra Governi, aggirando il pronunciamento dei Tribunali indiani.

Strategia confermata anche dalla Ministro degli Esteri Mogherini, recentemente nominata Alto rappresentante Ue, che  il 2 settembre ci fa sapere da Bruxelles (Adnkronos), ”Stiamo usando queste ore per preparare l”internazionalizzazione della gestione della vicenda, che è pronta, ma anche per riaprire canali di dialogo con il nuovo governo indiano”.

Ma le “ciance hanno le gambe corte” come confermano le parole del ministro degli Esteri indiano Sushma Swaraj che a New Delhi ha rilasciato dichiarazioni che non lasciano spazio ad interpretazioni e smentiscono quanto detto anche dallo stesso Premier Renzi da ferragosto in poi.

Ma non basta, perché oggi un’altra dichiarazione della Mogherini rilancia il bilaterale, forse perché non tempestivamente informata da un ritardato  flusso informativo da parte dell’Ambasciata italiana a Delhi.

Lady Pesc infatti con un’odierna ANSA ribadisce “resta aperta l’opzione bilaterale” ed ancora “la via bilaterale continua a essere praticabile e “le due strade non si escludono”. Ed aggiunge la Ministro forse ormai già impegnata nei problemi europei, “E’ dovere di questo governo esplorare” l’ “interlocuzione” con il nuovo esecutivo del premier Narendra Modi”, l’esatto contrario di quanto ha detto in conferenza stampa la Ministro degli Esteri indiano Sushma Swaraj.

Continuando così la nuova Lady Pesc ci farà rimpiangere la baronessa Asthon abile nel non dire e soprattutto nel non fare ed i nostri Marò, almeno Girone, dovranno attendere pazienti le decisioni della Giustizia indiana.

Fernando Termentini - 9 settembre 2014

COMPARTO SICUREZZA, DIFESA E SOCCORSO PUBBLICO: QUANDO CI CONVOCA RENZI?


 

 

 
All’esito dell’assemblea plenaria di questo pomeriggio, unanimemente e responsabilmente le Organizzazioni sindacali delle Forze di Polizia (Polizia di Stato, Penitenziari e Forestali), dei Vigili del Fuoco e dei Cocer delle Forze Armate – Esercito, Aeronautica, Marina (ivi compreso il personale delle Capitanerie di Porto), dell’Arma dei Carabinieri e della Guardia di Finanza prendono atto della volontà espressa dal Presidente del Consiglio di pervenire ad una soluzione delle rivendicazioni avanzate circa lo sblocco del tetto salariale in modo strutturale dal 1° gennaio 2015, istanze legate strettamente alla specificità dei comparti e riconosciute fondate e legittime dallo stesso Governo.


Ciò premesso:
  • mantengono ferma la mobilitazione annunciata con i precedenti comunicati;
  • si astengono nell’interesse del Paese e dei propri rappresentati, dall’indire manifestazioni nazionali in attesa della convocazione preannunciata da parte del Presidente del Consiglio;
  • disconoscono, in tale ambito, qualsiasi altra iniziativa, comunicazione o forma di protesta indetta da soggetti diversi dalle sottoscritte sigle Sindacali e Rappresentanze militari dei Comparti Sicurezza, Difesa e Soccorso Pubblico.

Roma 9 settembre 2014

POLIZIA DI STATOSIULP
(Romano)SIAP-ANFP
(Tiani)SILP CGIL
(Tissone)UGL-Polizia di Stato
(Mazzetti)COISP
(Maccari)CONSAP
(Innocenzi)UIL Polizia
(Cosi)
POLIZIA PENITENZIARIAOSAPP
(Beneduci)UIL- Penitenziari
(Sarno)SINAPPE
(Santini)UGL Penitenziaria
(Moretti)FNS-CISL
(Mannone)CNPP
(Di Carlo)
CORPO FORESTALE DELLO STATOUGL-Forestale
(Scipio)SNF
(Laganà)CISL FNS
(Mannone)UIL PA
(Violante)
COCER ESERCITO, MARINA, AERONAUTICA, CARABINIERI, GUARDIA DI FINANZA
VIGILI DEL FUOCOFNS CISL
(Mannone)UIL VV.F
(Lupo)CONFSAL VV.F
(Giancarlo)DIRSTAT VV.F
(Barone)UGL VV.F
(Cordella)


martedì 9 settembre 2014

fonte: http://infodifesa.blogspot.it/2014/09/comparto-sicurezza-difesa-e-soccorso.html