 È tutta questione di… ritorno al presente.
È tutta questione di… ritorno al presente.
E’ tempo di chiarezza. Anche se richiede coraggio.
I fatti serissimi e tragici di questa 
estate (il crollo del Morandi, la questione della Diciotti, oltre al 
resto…) mi hanno fatto comprendere che noi italiani siamo campioni 
planetari di due discipline sportive praticate con la lingua. L’organo, 
il cui movimento, notoriamente, non implica un eccessivo dispendio 
energetico e avviene inconsciamente, dà vita in noi italiani al 
“santosubitismo” ed al “responsabilesubitismo”.
Appena accade qualcosa di apparentemente 
buono siamo immediatamente pronti a beatificare l’autore di quel fatto 
senza porci domande. Con la stessa enfasi, appena accade qualcosa di 
grave, ognuno di noi si trasforma all’istante in un tuttologo giurista, 
ingegnere, medico, politologo, economista e così via, pronti a trovare 
istantaneamente un responsabile e, quindi, un capro espiatorio da asfaltare. E diventa così naturale non porsi nemmeno un interrogativo,
 tanto è più importante urlare forte il nome di turno, specialmente se è
 quello pronunciato dalla parte politica per la quale facciamo il tifo.
Avere, invece, una visione critica? Un 
po’ di prudenza nell’attendere, prima di inveire? Magari, verificare la 
fondatezza dei messaggi su Facebook, Instagram e Twitter? È davvero 
chiedere troppo all’intelletto italiano? Facciamocene una ragione. Noi 
italiani siamo cosi, antropologicamente così. E forse non solo noi, ma 
questa è un’altra storia. Ma la cosa peggiore è che all’estero lo sanno.
 Perché ci osservano. Curano le nostra malattia dell’approssimazione, 
unita alla memoria corta, proprio con il suo veleno, cioè rintuzzando le
 nostre divisioni interne, anziché con il suo antibiotico, ossia il 
dialogo tra le nostre  parti politiche nazionali. E noi, 
immancabilmente, ogni volta cadiamo nel tranello. Anche stavolta, mentre
 assistiamo alla lotta in terra libica.
Conosciamo gli eventi. Gheddafi era un 
sanguinario, lo sappiamo. Ma avendo una visione politica ed una solida 
cultura storica, aveva trovato la ricetta per pacificare le lotte 
intestine libiche. Fiumi di denaro liquido riversati nelle diverse tribù
 rivali; aumento del reddito medio pro capite e creazione di 
infrastrutture. Aveva saputo ristabilire una pace interna che molto ha 
giovato al Mediterraneo. Certo, seppur ad un costo 
altissimo, ha giovato anche all’Italia. La pax libica ci ha fatto fare 
grossi affari in quelle terre. Poi, la cordata europea ed americana 
capeggiata dalla Francia ha deciso di eliminare Gheddafi. Sappiamo tutti
 come venne deciso il raid e conosciamo il profondo rammarico di 
Berlusconi che osteggiava l’interventismo bellico europeo.
Sarkozy attaccò senza neppure avvertirci e
 la storia ci ha rivelato la ragione di questa mossa: il 2 aprile 2011, 
il funzionario di Stato Sidney Blumenthal inviò ad Hillary Clinton una 
mail con cui la informava che Gheddafi intendeva sostituire il Franco 
Cfa che si utilizzava in 14 delle ex colonie, con una moneta 
panafricana. Il suo scopo era quello di liberare l’Africa dal giogo 
economico-finanziario francese, poiché, in quel preciso momento, ben il 
65% delle riserve economiche presenti in Francia, provenivano dalle ex 
colonie. Eliminato il Mu’ammar Gheddafi, la Libia è esplosa, e le 
numerose tribù di cui si compone hanno ripreso le antiche 
contrapposizioni, creando diversi e distinti governi, capeggiati ora da 
un capotribù ora da un altro.
Ricordiamo quanto è costato, specialmente
 a noi italiani, tutto ciò in termine di sbarchi? Scrivo questo per 
agevolare in noi un’operazione di “trazione della memoria”. Solo così 
possiamo comprendere come siamo arrivati agli accordi Libia-Italia
 per il contenimento degli arrivi africani sulle nostre coste. 
Rammentate come siamo giunti allo slogan di Minniti “gli sbarchi sono 
diminuiti dell’80%”? (Spero di sì dato che, recentemente, ho pubblicato 
un articolo su questo argomento ed in questo blog).
In effetti, in cambio di denaro, 
motovedette, messa a disposizione di nostri militari per insegnare alle 
milizie locali come si respingono i disperati dall’area subsahariana e 
come si chiudono i confini, consentendo ai libici la costruzione di veri
 e propri campi di detenzione (dove si perpetrano orripilanti violenze),
 abbiamo ottenuto la diminuzione degli sbarchi. In effetti, non è merito
 dell’attuale Governo se l’emergenza sbarchi non esiste più, perché il 
colpo finale ai neri glielo hanno assestato i precedenti governi. Avete 
capito bene. Anche se l’Aquarius e la Diciotti hanno sollevato tanto starnazzamento
 mediatico, in Italia non esiste più un’emergenza sbarchi. Adesso, le 
nostre emergenze sono ben altre e sono due: sul versante 
dell’immigrazione, abbiamo il problema di una politica di integrazione, 
mentre sul versante esistenziale generale, abbiamo il problema della 
realizzazione del programma economico di governo.
Mentre dovremmo stare tutti qui, a 
natiche strette, in fervente attesa che le promesse elettorali vengano 
adempiute, i nostri politici continuano a darci in pasto le storie sugli
 sbarchi. La ragione di ciò è semplicissima: l’Italia non è un paese 
autonomo. Non possiamo sforare il famoso 3%, e ad oggi non ci sono gli 
strumenti economici e nemmeno quelli giuridici (né si 
intravvede all’orizzonte la possibilità di crearli) per il reddito di 
cittadinanza, la flat tax, la riforma delle pensioni. Quindi si deve 
parlare di “altro”. Abbiamo grossi problemi, che, paradossalmente, ci 
costringono a continuare l’allattamento dalla “mamma cattiva”, cioè 
l’Europa. Inoltre, la crisi libica di queste ore sta aggravando la 
situazione, perché, non scordiamolo, l’ENI ha la sua roccaforte proprio 
in Libia.
Gli italiani sostengono il governo di 
Fayez Sarraj di Tripoli, mentre la Francia supporta quello delle milizie
 del Premier Khalifa Haftar di Tobruk che spingono verso Tripoli. Ed in 
questo scontro, si gioca la partita Italia-Francia. È vero, Sarkozy ha 
voluto far fuori Gheddafi, e l’anno scorso la Francia ha convocato 
l’incontro tra Fayez Sarraj e Khalifa Haftar, a nostra insaputa. E poi 
ha voluto organizzare le elezioni in Libia anche contro il volere 
italiano.
Ma c’è un fatto.
L’Europa non si sta occupando di questa guerra intestina. Gli Stati Uniti di Trump neppure. Stesso comportamento
 lo stanno adottando i Paesi del nord Europa. Gli stati di Visegrad non 
ne vogliono nemmeno sentir parlare. Anzi, a proposito di questi ultimi, i
 nostri politici sono tanto ciechi da non accorgersi che Orban non sarà 
mai nostro alleato. Dimenticano che il Trattato di Dublino è nato 
proprio per superare il problema legato alla chiusura, da parte 
dell’Ungheria, delle frontiere all’immigrazione via terra, provocando, 
così, l’immigrazione via mare che ha afflitto le nostre coste. 
Mettiamocelo bene in testa: Orban non è un nostro alleato ma un nostro 
avversario, dal momento che non vuole partecipare alla redistribuzione 
del flusso migratorio. Con il benestare della Sig.ra Merkel. 
Specialmente ora, che i libici inizieranno a scappare dalla loro terra 
e, come accadde ai tempi dell’Albania, v’è da attendersi che anche in 
Libia siano aperte le carceri dove attualmente sono detenuti molti 
terroristi.
E, allora, quale via dobbiamo percorrere, quali soluzioni abbiamo? Una sola.
Comprendere che il democratico Macron sta
 utilizzando il sovranismo italiano per giocare, in vista delle elezioni
 Europee, la stessa partita che ha giocato, in casa, con Marine Le Pen, 
convertendo le europee in un referendum: “Cittadini europei, volete il 
progresso democratico o la tirannia sovranista”? Smettiamola di 
strizzare l’occhio agli argomenti veterofascisti, tagliamo il cordone ombelicale sottotraccia con la frangia casapoundista, e cerchiamo di non prestarci al gioco barbino dei francesi.
Dovremmo comprendere che Macron, con la 
politica protezionistica nei confronti degli stretti interessi della 
Francia e dei Francesi, è il vero, unico ed indiscusso sovranista 
d’Europa, perché, mentre i nostri politici parlano tanto e mostrano i 
muscoli quando arriva una nave carica di disperati (salvo, poi, dover 
necessariamente aprire i porti perché i trattati internazionali che 
l’Italia ha firmato dalla notte dei tempi sino ad oggi obbligano ad 
aprire i porti), Macron agisce. Lui è forte di un’economia francese 
imperialista in Africa e autonoma in Europa, Il Presidente
 francese impone la sua politica. Ricordiamolo bene: Macron chiude la 
frontiera a Ventimiglia così come Orban ha chiuso le frontiere in 
Ungheria, con il risultato che tra Macron ed Orban non c’è alcuna 
differenza.
Dovremmo comprendere che lo slogan “prima
 gli italiani” non va usato nell’accezione populista di chi vuole 
anteporre i bianchi italiani ai neri africani. “Prima gli italiani” 
significa salvaguardare l’economia italiana, pensare alle perdite
 che gli italiani subirebbero se i nostri politici non fossero presenti a
 curare gli interessi italiani sul territorio libico. Dovremmo 
riflettere che spaccarsi politicamente all’interno dell’Italia sulla 
questione libica è la primissima breccia per essere relegati nel 
qualunquista “niente” dello scacchiere in Africa.
Sul campo ci siamo solo noi italiani ed i
 francesi. È conveniente spaccarci al nostro interno e, divisi, 
contrapporsi alla Francia in modo cieco e scomposto ? No, sarebbe la 
nostra fine. Sarebbe la riaffermazione dell’intangibilità del Franco Cfa
 e, quindi, il rafforzamento sia dell’imperialismo francese in Africa 
sia dell’imperativismo di Macron in Europa. Ed allora, sebbene abbiamo 
ottimi motivi di prurito nei confronti di Macron, Conte ed i Vice 
Premier Di Maio e Salvini debbono cercare di comporre un asse 
italo-franco con cui risolvere la questione libica. Facciamo appello 
alla ragion di Stato.
Dobbiamo avere l’appoggio dell’Europa nella realizzazione delle nostre misure economiche,
 e dobbiamo proteggere tanto la nostra posizione e la nostra 
autorevolezza in vista delle elezioni europee, quanto i nostri interessi
 in Libia. Queste sono le nostre priorità e le nostre finalità. “Prima 
gli italiani” è tutto ed anche questo. E lo sto scrivendo, perché 
l’antropologia insegna, se vogliamo ricordare la storia, la nostra 
storia. La tattica della contrapposizione alla Francia non deve 
diventare la strategia di una guerra a Macron. Abbiamo la necessità di 
uscire vincenti da questo confronto, e l’unica strada è compattarci al 
nostro interno cercando una soluzione politica con i francesi.
Non dobbiamo allearci per l’eternità, solo superare l’impasse senza lasciare sul campo troppi “cadaveri” italiani.
Che ci piaccia o meno, non abbiamo alternative.
di Alessandro Bertirotti 10 settembre 2018
