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Non smettete mai di protestare; non smettete mai di dissentire, di porvi domande, di mettere in discussione l’autorità, i luoghi comuni, i dogmi. Non esiste la verità assoluta. Non smettete di pensare. Siate voci fuori dal coro. Un uomo che non dissente è un seme che non crescerà mai.

(Bertrand Russell)

06/01/17

IMMIGRAZIONE " Discontinuità costosa sull’immigrazione "




 


Il Governo fotocopia del precedente è obbligato a prendere le distanze dal modello originario perché la campagna elettorale per le elezioni politiche è di fatto cominciata ed impone delle variazioni di linea sulle questioni più scottanti.
In questa luce si colloca la discontinuità che il Governo Gentiloni mostra rispetto all’Esecutivo Renzi nei confronti del tema incandescente dell’immigrazione. Per tre anni di seguito Angelino Alfano ha predicato, dall’alto del Viminale, la politica dell’accoglienza “senza se e senza ma” sottolineando la piena identità di vedute del Governo con il pensiero della Chiesa di Papa Francesco. Oggi, invece, il suo successore al ministero dell’Interno, Marco Minniti, non parla più di accoglienza ma di espulsioni ed avvia, sfidando le resistenze e le critiche delle organizzazioni cattoliche, la costituzione dei Centri di identificazione che dovrebbero selezionare i migranti da rinviare obbligatoriamente nei Paesi d’origine.
La folgorazione sulla via dei Centri di identificazione ed espulsione (Cie) ha una motivazione sicuramente di tipo elettorale, ma è anche la spia del fallimento totale dell’accoglienza indiscriminata seguita dal Governo Renzi per non perdere la scia lasciata da Papa Bergoglio. Ma proprio nel momento in cui per ragioni elettorali si registra che quella politica era sbagliata, si deve necessariamente prendere atto che espellere anche con tutte le accortezze possibili è quasi del tutto impossibile. Non perché non si possa creare un apparato in grado di identificare e selezionare i migranti separando quelli con diritto d’asilo a quelle destinati al rinvio in patria. Ma perché l’espulsione è impossibile se non ci sono i Paesi disposti a riprendersi i loro cittadini che non hanno diritto a restare in Italia.
Questa disponibilità a riaccogliere gli espulsi da parte dei Paesi di provenienza dei migranti non dipende dalla cattiva o dalla buona volontà, ma solo dagli interessi in ballo. Chi ha favorito con ogni mezzo l’emigrazione di masse giovanili potenzialmente turbolente può accettare di riaprire loro le porte solo a condizione di ricevere da parte di chi espelle una serie di vantaggi e di aiuti. L’esperienza fatta a suo tempo con Gheddafi insegna. Il colonnello bloccava i flussi dei migranti verso l’Italia ma in cambio chiedeva strade, ospedali, ferrovie, armamenti e sostegno internazionale. Le espulsioni, in sostanza, costano salate. Ma tant’è. A questa eredità devastante dell’accoglienza indiscriminata non si può sfuggire!

di Arturo Diaconale - 06 gennaio 2017

IMMIGRAZIONE " La patata bollente dell’accoglienza "



 


Nei dossier della politica c’è una questione che scotta: si chiama “immigrazione”. Lo sa bene Matteo Renzi che, come già accaduto al referendum del 4 dicembre scorso, nelle prossime urne delle politiche peseranno, e molto, i voti della protesta anti-immigrati. Lo sa bene il Premier Paolo Gentiloni che ha voluto al suo fianco, da ministro dell’Interno, l’esperto Marco Minniti in sostituzione di un disastroso Angelino Alfano. Oggi Minniti, pur con l’ostilità dichiarata di buona parte del suo partito, prova a cucire una pezza sul problema proponendo di riaprire i Centri di identificazione ed espulsione (Cie) e puntando ad un piano di rimpatri degli irregolari più efficace di quelli fasulli degli ultimi anni. E lo sa bene lo “zelig” Beppe Grillo che sta riposizionando il suo movimento su strategie di contrasto dell’immigrazione clandestina più in sintonia con l’umore del Paese. Lo ha compreso anche Silvio Berlusconi, il quale ha fatto dire ai suoi che Forza Italia è pronta a sostenere le iniziative del Governo per una più rigida regolazione dei flussi migratori. Lo sa pure Matteo Salvini che se la ride sotto i baffi. Basta guardarlo in faccia per leggergli un soddisfatto: “Ve l’avevamo detto”.

La storia della rivolta di Conetta, poi, è capitata come il cacio sui maccheroni. Ora sarà più facile distinguere chi sia pro o contro il sistema d’accoglienza fin qui tenuto in piedi. La verità è stata squadernata in ogni sua piega: il traffico di migranti attraverso il Canale di Sicilia è un rubinetto spanato. L’Europa non ci sta a farsi sommergere dall’invasione e per questo ha sigillato le frontiere con l’Italia. La filiera affaristica messa su con il sistema dell’accoglienza, che ha di fatto creato un matching tra scafisti e Stato italiano, non regge più. I piccoli e i grandi centri del nostro Paese, pesantemente penalizzati dalle politiche dei tagli alla spesa pubblica corrente destinata al welfare, non sono in grado di sostenere l’impatto socio-economico di una massa crescente di individui che entra in contatto, e spesso in conflitto, con le comunità dei residenti. Le popolazioni locali non ci stanno a subire una discriminazione alla rovescia: tutto agli immigrati, niente per gli autoctoni. Il sistema produttivo nazionale, a dispetto delle false narrazioni propalate dal renzismo, non è in grado di assorbire quote aggiuntive di forza-lavoro. A essere precisi non riesce a offrire opportunità ai disoccupati italiani, figurarsi agli altri.

Alla luce di questo bel quadretto non è difficile immaginare che l’attuale Governo voglia provare, se non ad invertire la rotta, quanto meno a porre rimedio all’insostenibilità del sistema. Tuttavia, non avrà alcuna speranza di successo nel dare adeguata ospitalità a quelli che già ci sono se prima non proverà ad arrestare il flusso dei nuovi arrivi bloccando le partenze dalle coste libiche. A dispetto delle enormi fesserie che raccontano i multiculturalisti sull’ineluttabilità storica delle migrazioni, arginare il fenomeno si può. Come? Semplicemente ordinando alle navi che effettuano i salvataggi in mare, una volta soccorsi i naufraghi, di riportarli ai porti di partenza. Quando sarà chiaro a tutti che la rotta dalla Libia per l’Italia è chiusa, finirà anche il business. È la legge del mercato, che vale per le merci e, in egual misura, per le persone trattate alla stregua di merci da commerciare.
Questo giro di vite non piacerà a qualche predone del deserto che in questi anni ha fatto denari a palate con il traffico di esseri umani. Non piacerà ai capi delle cooperative e di tutte quelle imprese che hanno fatto dell’accoglienza il nuovo Eldorado affaristico. Non piacerà ai teorici della “società aperta” che hanno speso tutte le loro energie nella missione di dimostrare l’assurdo, cioè che un mondo senza frontiere, e senza identità, fosse un mondo migliore. Pazienza per tutti loro, ma prima ci sono gli italiani. E gli italiani ne hanno le scatole piene di questo solidarismo da un tanto al chilo. È ora di dire basta. Ci piace tanto atteggiarci a paladini del “modello europeo”? E allora facciamo gli “europei”, ma fino in fondo. Non soltanto quando ci fa comodo.

di Cristofaro Sola - 06 gennaio 2017

05/01/17

Rimandiamoli a casa loro!


Mercoledì 4 gennaio 2017 – Santa Angela da Foligno – a casa, in Calabria


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“Sei la voce di Colui che grida nel deserto”, mi dice la mia anziana insegnante, incontrata per caso davanti alla porta del “giornalaio”. “Però, stai attento, figghjiu, ché quelli non scherzano: non vedi come ci stanno ammazzando? E qui siamo pieni di questi Caini…”
Allunga la mano un po’ incerta verso il mio viso e mi accarezza come una mamma. Come se non fossero passati quei quasi cinquant’anni, da quando mi interrogava alla lavagna… Commosso, la bacio di slancio sulle guance. E Le auguro lunga vita. Perché mi ha regalato un paragone, che non merito, con Il Battista. Il Santo che amo sopra tutti. Il Messaggero. “L’Altro” del giorno del Magnificat. Di quell’incontro di due Donne chiamate a segnare la Storia dell’Umanità. Prima e dopo del Loro divino abbraccio parentale.
No, non credo di essere LA voce di chi grida nel deserto, ma UNA delle tante voci che cercano di rompere questo silenzio soffocante come un gel che si insinui nella gola. Sono uno dei TANTI NOI, che non vogliamo arrenderci a questa vigliaccata del tentato imbastardimento, se non sostituzione, della nostra Civiltà. Occidentale e Cristiana.
Sono uno, misero umano e carico di errori, dell’esercito di Gesù, pronto a combattere fino a sporcarmi, pur di mantenere immacolato l’Altare. Il Messaggio. Il Comandamento messo in pericolo dalla stupidità, dalla menzogna, dall’avidità, dal tradimento, dalla miscredenza. Dagli infedeli.
Migliaia di giuda fra noi, travestiti da buoni discepoli, sì!, stanno svendendo la nostra VITA agli invasori senza nome e senza carte. E centinaia di migliaia di pirati, finti profughi e consapevoli di cosa fare fin dall’arrivo, arroganti e con schiave finte sante e finte mamme al seguito,  grassi come quaglie e forti come querce centenarie, invitati da malfattori col nostro sangue loro complici e nostri nemici, sbarcano sulle nostre spiagge, nei nostri porti, senza farsi riconoscere, con un solo intento: ammazzare la nostra Storia, crocifiggere ancora il nostro Dio, sventrare le nostre madri, sorelle e figlie. Odiandoci senza che ci siamo mai macchiati di alcuna colpa nei confronti loro o delle sette generazioni antecedenti alla loro. Odiandoci e basta.
Odiano il nostro pane. Che pretendono. La nostra carne. Che sputano. La nostra Libertà. Che incatenano.
Pisciano e cacano lungo le nostre strade. Ci strappano le case. Distruggono le nostre Opere d’Arte. Annichiliscono le nostre lotte sociali. Seminano droga, prostituzione, violenza, terrore e morte ovunque.

Sono i CLANDESTINI scansafatiche e  senzadio e i TERRORISTI ISLAMICI a piede libero, imposti alla povera gente dall’Unione Europea. Dai burocrati corrotti e dai massomafiogovernanti venduti, ciechi e sordi alle nostre tragedie per lurido interesse personale e di porca casta. Plotoni, falangi di nullafacenti, che mentono sui veri motivi delle loro fughe, sbarcano con, in tasca, gli smartphone  e i numeri di telefono dei complici già attivi in Italia, dopo essere stati caricati dalle navi della nostra Marina a due onde dalla battigia africana.
Cacciamoli via dalle nostre vite, ‘sti bugiardi!  Dimentichiamo le inutili ed inefficaci buone maniere e sbarriamo le porte delle nostre case. Disobbediamo alle assurde pretese di integrazione (nostra a loro)!  Evitiamo i loro banchi al mercato. Non entriamo nei loro bazar fuorilegge. Non li imitiamo a tavola. Non sostituiamo coi loro colori e i loro vestiti il nostro vestire. Nettiamoci la mente dalle contaminazioni, come le chiamano loro. Non vergogniamoci di Ciò che siamo. Anzi! Difendiamo la nostra Identità e rigettiamo il tentativo di meticciarla. Oggi, o mai più!
E’ cronaca continua, e in questi giorni sempre più violenta, di quotidiani atti di violenza commessi da clandestini senza identità a danno di “volontari e cooperanti” dei centri d’accoglienza. Dall’estremo Nord della piangente Serracchiani fino alla deludente Sicilia del dichiarato Crocetta, è tutta una rivolta, una presa in ostaggio, un pestaggio. Per non parlare dei mille e mille orrendi reati commessi, senza pietà, da migliaia di “risorse boldriniane” in giro per le strade, dal Comune più piccolo in cima alle Alpi fino alla Metropoli più popolosa nella valle più ampia, su tutto il territorio nazionale.
Inattesi e flebili segnali di risveglio, sembra, arrivano finalmente dal “Palazzo”: in queste ultime ore si comincia a parlare di rimpatri di massa. Beh, Dio lo voglia! Anche se, ormai deluso da tutto e tutti, temo si possa trattare dell’ennesima bufala istituzionale in vista delle prossime elezioni politiche, nell’attesa che a rompere gli indugi sia proprio il Popolo Italiano esasperato…

Fra me e me.

di Nino Spirlì - 4 gennaio 2017

Gli ufficiali turchi affermano che i TOW statunitensi li decimano


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È stata una grande sorpresa il presidente turco Recep Tayyip Erdogan bollare i membri della coalizione degli Stati Uniti come traditori e sostenitori dei terroristi. Secondo il capo turco, la coalizione supporta vari gruppi terroristici, come SIIL, YPG, PYD e Ankara ne ha le prove. Ma cosa ha esattamente colpito Ankara così tanto? Negli ultimi giorni, la Turchia ha sofferto sconfitte estremamente dolorose da parte dello Stato islamico nella città siriana di al-Bab. In precedenza le truppe impiegate nell’operazione Scudo dell’Eufrate occuparono la periferia occidentale di al-Bab e pensavano di occupare le alture che dominano la città. Tuttavia, dieci giorni fa lo “scudo” s’è incrinato, quando le unità dello SIIL attaccarono le truppe turche, infliggendo gravi perdite all’esercito turco. I terroristi riferivano che in un colpo solo la Turchia aveva perso 70 soldati e 3 carri armati moderni. Subito dopo l’annuncio, lo SIIL diffondeva video sui blindati turchi distrutti. Lo Stato Maggiore turco annunciava la perdita di 14 militari, 10 carri armati di fabbricazione tedesca Leopard, 1 carro armato M-60, veicoli da trasporto truppe e 1 blindato Cobra. Le immagini che si trovano su internet mostrano veicoli blindati turchi danneggiati gravemente da missili TOW, che negli ultimi anni sono “improvvisamente” apparsi nelle mani dei terroristi dello SIIL. Nessuno dovrebbe sorprendersene, oggi, mentre i media turchi indicavano a fine dicembre che Washington intensificava i rifornimenti di armi ai terroristi in Siria dal Governatorato di Hasaqah. Si vide l’ambasciatore statunitense ad Ankara, John Bass, cercare di convincere i giornalisti turchi che Washington non sostiene direttamente i terroristi dalla base aerea presso la città siriana di Rumaylan, che ha visto atterrarvi sempre più aerei da trasporto statunitensi. Il carico che trasportavano veniva subito trasportato da elicotteri statunitensi in diverse parti del Paese. Secondo i giornalisti turchi, l’ultimo grande invio di armi avvenne la sera del 27 dicembre. Inoltre fu osservato che le armi furono portate in Siria, con centinaia di autocarri trasportare il carico mortale dalla città irachena di Irbil alle zone controllate dai curdi siriani. Vi furono diversi commentatori notare che, con il pretesto dell’aiuto militare ai peshmerga curdi, l’amministrazione Obama aiuta attivamente i vari gruppi estremisti in Siria rifornendoli segretamente di ogni tipo di arma, insieme ai cosiddetti “consulenti”, per tentare di rovesciare il legittimo governo siriano. Non è un caso che dopo la liberazione di Aleppo, le truppe siriane abbiano trovato scorte di armi ed esplosivi fabbricati negli Stati Uniti, Germania e Bulgaria, tra cui una grande quantità di missili anticarro.
Mentre l’operazione di Aleppo è la svolta nel conflitto in Siria, la Casa Bianca ancora da il massimo supporto alla cosiddetta “opposizione moderata” in Siria; oramai è chiaro a tutti che Washington aiuta lo SIIL. Lo scorso dicembre solo i blogger turchi notarono il passaggio di tre grandi navi da carico sul Bosforo, trasportando presumibilmente armi ai terroristi in Siria. In particolare, a metà dicembre il cargo Karina Danica lasciava la Bulgaria in direzione di Jadah, in Arabia Saudita, con armi a bordo, secondo Bosphorus Observer su Twitter. Questo dato fu confermato dal sito di monitoraggio specializzato MarineTraffic. E’ ben noto che il cargo Karina Danica sia una nave danese noleggiata dalla società statunitense Charming, il fornitore ufficiale di armi non standard della NATO agli “alleati” degli Stati Uniti in Iraq, Siria e Afghanistan. E’ curioso che l’industria metalmeccanica bulgara Vazovski vendesse armi alla Charming, aumentando le vendite di 12 volte nel 2016, con un profitto di 170 milioni di dollari. Ciò che rende tal storia imbarazzante è lo scandalo scoppiato nel 2015, quando il presidente della commissione parlamentare irachena per la difesa e la sicurezza, Haqim Zamili, chiese al premier Haydar al-Abadi d’intervenire immediatamente per fermare l’accordo da 300 milioni di dollari in munizioni e armi rumene da consegnare direttamente allo SIIL, su finanziamento di un Paese confinante. Nel 2016, il direttore di Conflict Armament Research James Bevan dichiarò che le armi provenienti dall’Europa dell’Est, ufficialmente destinate alla cosiddetta “opposizione moderata”, finivano nelle mani degli estremisti. La decisione di fornire alle truppe antigovernative in Siria ogni tipo di arma, tra cui MANPADS, fu presa dal presidente Barack Obama il 23 dicembre, comportando un ulteriore escalation del conflitto siriano e nuove vittime.
Quindi ci sono ragioni più che sufficienti per il risentimento di Ankara verso l’amministrazione Obama, direttamente responsabile di ogni singolo soldato turco ucciso dai terroristi.

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 Martin Berger è giornalista freelance ed analista geopolitico, in esclusiva per la rivista online “New Eastern Outlook“.
Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora

Caos libico: Haftar bombarda Jufra e critica l’Italia


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A Tripoli lo pseudo governo di Fayez al-Sarraj resta evanescente, non riesce neppure a insediarsi nella capitale dominata da milizie rivali e perde i pezzi. Si è infatti dimesso uno dei vicepremier, il tuareg Mussa al-Kuni, che ha ammesso il fallimento dell’esecutivo. “Noi tutti membri del governo abbiamo la responsabilità di quanto è accaduto lo scorso anno: i drammi, le violenze, i morti, gli abusi, l’appropriazione indebita di fondi pubblici … qualunque sia la gravità dei crimini, siamo responsabili” ha detto a-Kuni.
Il mancato successo del governo di al-Sarraj, voluto e istituito dalla comunità internazionale che continua a riconoscerlo, sembra favorire lo scoppio di nuove ostilità tra le milizie di Misurata e le forze della Cirenaica fedeli al governo di Tobruk e all’Esercito Nazionale Libico del maresciallo Khalifa Haftar.
Ieri aerei militari delle forze di Haftar hanno bombardato la base aerea di al- Jufra, controllata dalle milizie di Misurata fedeli al governo di unità nazionale di Tripoli.
Secondo l’Esercito Nazionale Libico nel raid è stato colpito un cargo C-130 che trasportava armi e munizioni per la milizia di Misurata. Secondo quanto riferito dai media libici, il bombardamento ha provocato un morto e diversi feriti, tra cui il colonnello Ibrahim Beitelmal, portavoce del Consiglio militare di Misurata.
Stando ai responsabili media del Dipartimento della difesa aerea di Misurata il C-130 trasportava una delegazione in visita alla base, smentendo che a bordo ci fossero armi, come sostenuto dalle forze di Haftar. Un portavoce dell’aviazione di Misurata, Mohammed Genunu, ha annunciato che ci sarà una risposta all’attacco.
FILE - In this March 18, 2015 file photo, Gen. Khalifa Hifter, then Libyas top army chief, speaks during an interview with the Associated Press in al-Marj, Libya. From east and west, the forces of Libyas rival powers are each moving on the city of Sirte, vowing to free it from the hold of the Islamic State group. Hitter, backed by Egypt and the United Arab Emirates, he is considered a hero in the east. But he is widely despised in western Libya, where his opponents depict him as a would-be dictator along the lines of Gahdafi. (ANSA/AP Photo/Mohammed El-Sheikhy, File) [CopyrightNotice: Copyright 2016 The Associated Press. All rights reserved. This material may not be published, broadcast, rewritten or redistribu]

Il bombardamento è avvenuto all’indomani di scontri scoppiati nella regione che fanno temere un’escalation di violenze nel centro della Libia tra le due principali forze militari del Paese: l’esercito nazionale libico di Haftar, che risponde al governo dell’Est della Libia, e le forze provenienti da Misurata o alleate alla città portuale nell’Ovest, che sostengono il governo di unità nazionale di Fayez al Sarraj e reduci dalla lunga battaglia contro lo Stato Islamico a Sirte.
Sia l’Esercito Nazionale Libico che Misurata dispongono di piccole forze aeree composte da vecchi Mig 21, Mig 23 e L-39 ereditati dall’aeronautica di Gheddafi e armati di bombe e razzi non guidati.
Terminata la campagna contro il Califfato, le milizie di Misurata e quelle alleate sembrano intenzionate ad assumere il controllo dell’area petrolifera tra bin Jawad e el-Brega passate dal settembre scorso sotto il controllo di Haftar.
L’inviato speciale dell”Onu Martin Kobler, senza fare esplicito riferimento a questo attacco, ha affermato che tutte le parti in Libia dovrebbero esercitare l’autocontrollo e “affidarsi al dialogo” contro l’escalation della violenza.
Le tensioni tra le forze della Cirenaica (sostenute militarmente direttamente da Egitto ed Emirati Arabi Uniti e politicamente anche dalla Russia) e le milizie di Misurata e Tripoli mettono in imbarazzo Roma che da mesi ha schierato a Misurata una missione militare sanitaria (Operazione Ippocrate) con un ospedale da campo che ha già effettuato oltre 3mila prestazioni sanitarie per lo più a favore di miliziani rimasti feriti nella battaglia di Sirte.
“Gli italiani sono sempre i benvenuti in Libia, peccato che abbiano scelto di stare con i nostri nemici” ha detto Khalifa Haftar, consigliando ai Paesi stranieri di “non interferire con la Libia”, in una intervista al Corriere della Sera del 3 gennaio. Il maresciallo precisa che “comunque ci aspettiamo aiuti da tutti per combattere l’Isis. Saremmo ben lieti di cooperare con la Gran Bretagna, la Francia o la Germania.
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Italia compresa, purtroppo fino a ora il governo di Roma ha scelto di aiutare soltanto l’altra parte della Libia”. Haftar lamenta che l’Italia ha “mandato 250 uomini tra soldati e personale medico per gestire l’ospedale di Misurata. A noi nulla. Negli ultimi giorni ci era stato promesso l’invio di due aerei per trasportare negli ospedali italiani alcuni dei nostri feriti. Ma fino a ora non sono arrivati, forse per il brutto tempo”.
Haftar ha aggiunto che “ci saremmo aspettati maggiore cooperazione” e “non abbiamo apprezzato il discorso di fine anno del vostro capo di Stato maggiore in visita a Misurata. Ha detto che l’Italia sostiene le milizie di Misurata, cosa che va oltre una pura missione medica di pace”.
Da quanto è stato reso noto in Italia circa la visita a Misurata del 27 dicembre, il generale Claudio Graziano, Capo di Stato Maggiore della Difesa, ha dichiarato che  “le nostre Forze armate continueranno ad assicurare la missione fino a quando sarà ritenuto necessario dalle Autorità libiche”.
Una frase che forse ha indispettito Haftar anche perché, durante la visita, il generale Graziano ha incontrato all’interno dell’aeroporto militare autorità militari e civili locali.
Pur cercando di mantenersi in equilibrio sostenendo la riconciliazione nazionale in Libia, Roma ha troppi interessi in Tripolitania per schierarsi ora con Haftar. Il terminal del gas di Melitha e le attività dell’ENI sono infatti concentrate nell’ovest della nostra ex colonia così come è dalle coste della Tripolitania che salpano i gommoni carichi di immigrati clandestini diretti in Italia i cui flussi non vengono fermati né dalle flotte italiana ed europea né sulle coste dalle inesistenti autorità di Tripoli.
Foto: Ansa, AFP e Difesa.it

redazione 5 gennaio 2017
fonte: http://www.analisidifesa.it/

In Europa si parla solo di burka ma il ritratto dell'immigrato è un giovane maschio musulmano

 
Teatrino della politica


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Il 2016 è stato senza dubbio un altro anno contraddistinto dal terrorismo islamico e dai fenomeni della immigrazione fuori controllo. E mentre il primo trovava comodi canali in cui muoversi, in Europa e verso il Vecchio Continente, anche grazie alle maglie lasche della seconda, la leadership politica del cosiddetto mondo libero ha continuato imperterrita con le solite polemiche di rito. Come in Francia, dove per mesi, incessantemente, si sono spese moltissime energie nei dibattiti a proposito dell'ormai celebre burkini – il burqa attillato che funge da costume da bagno, con tanto di divieto imposto dai sindaci e difeso dal premier Valls.
Lo stesso è accaduto nei Paesi Bassi quando nel mese di novembre si è discusso sul divieto o meno del burqa nei luoghi pubblici, fino al voto che ha vietato di indossarlo. Anche per il primo ministro Mark Rutte è stato un comodo escamotage per ridurre la pressione sul suo esecutivo e cercare di fronteggiare un Geert Wilders sempre più in vantaggio nei sondaggi. La stessa strategia, che a dire il vero, sembra un po' cinica, l’ha adottata Angela Merkel. Disperata per la fuga dei consensi e alle prese con una islamizzazione feroce nella sua Germania, a dicembre la cancelliera ha annunciato l’intenzione di vietare il burqa a casa sua. Illusa pure la Merkel dalla possibilità di arginare il partito di opposizione AFD.
Insomma, in Europa si parla moltissimo di burka e burkini. Ma come mostrano i dati sugli ingressi, gli immigrati che stanno arrivando nei Paesi della Ue sono in grandissima parte giovani, maschi e islamici (un altro due per cento in più in Germania nel 2016). Insomma, la pur sacrosanta battaglia contro il burka nei luoghi pubblici, contro un simbolo di subordinazione della donna a una società patriarcale, rischia di trasformarsi in un'arma di distrazione di massa, grazie alla quale i governanti europei cercano di sfuggire ad altre domande. Per esempio come mai immigrazione non fa più rima con integrazione, o quanti "foreign fighters" ci sono precisamente tra chi attraversa il Mediterraneo, arrivando dalla Libia o dalla Turchia.
Rispondere a certe domande, del resto, sarebbe come darsi la proverbiale zappa sui piedi, vorrebbe dire nient’altro che ammettere i propri fallimenti. Per cui, se serve, buttiamola pure sull'esotico, svuotando di senso una delle grandi battaglie contro la islamizzazione della società europea, quella sul burka. In realtà i problemi sono più gravi di come vengono rappresentati. E questa mossa forse non darà i risultati sperati nelle urne.

 
di Marco de Palma - 05 Gennaio 2017
fonte: https://www.loccidentale.it

04/01/17

Il suicidio della Germania

  • Del milione e duecentomila migranti che sono arrivati in Germania nel 2014 e nel 2015, solo 34.000 hanno trovato lavoro.
  • Angela Merkel è andata a deporre delle rose bianche sul luogo dell'attentato al mercatino di Natale a Berlino. Migliaia di tedeschi hanno fatto lo stesso. Molti hanno portato candele e hanno pianto. Ma la rabbia e la volontà di combattere la minaccia sono rimaste in gran parte assenti.
  • Niente descrive meglio la situazione attuale della Germania del triste destino di Maria Ladenburger, una ragazza di 19 anni uccisa all'inizio di dicembre. La giovane, che faceva parte di un'organizzazione che offre assistenza umanitaria ai rifugiati, era fra coloro che hanno accolto i migranti nel 2015. È stata violentata e uccisa da una delle persone che stava aiutando. I genitori hanno chiesto a chi volesse rendere omaggio alla loro figlia di donare soldi alle associazioni che si occupano di rifugiati, in modo che altri profughi possano arrivare in Germania.
  • La legge che condanna l'incitamento all'odio, probabilmente al fine di impedire un ritorno delle idee naziste, pende come una spada di Damocle su chi parla troppo duramente della crescente islamizzazione del paese.
  • La grande maggioranza dei tedeschi non vuole rendersi conto che la Germania è in guerra, perché un nemico spietato gli ha dichiarato guerra. Essi non vogliono vedere che la guerra è stata dichiarata alla civiltà occidentale. Accettano la sconfitta e fanno docilmente ciò che i jihadisti vogliono che facciano: si sottomettono.
  • Se Angela Merkel non riesce a cogliere la differenza esistente tra gli ebrei sterminati dai nazisti e i musulmani che minacciano di sterminare i cristiani, gli ebrei e altri musulmani, allora è ancora più incapace di capire di quel che sembra.
L'attacco sferrato a Berlino, il 19 dicembre scorso, era prevedibile. La cancelliera tedesca Angela Merkel ha creato le condizioni che lo hanno reso possibile. Ella porta su di sé una responsabilità schiacciante. Geert Wilders, parlamentare olandese e uno dei soli leader politici europei perspicaci, l'ha accusata di avere le mani sporche di sangue. E ha ragione.
Quando la Merkel ha deciso di aprire le porte della Germania a centinaia di migliaia di musulmani provenienti dal Medio Oriente e da paesi più lontani, avrebbe dovuto sapere che i jihadisti erano nascosti tra la gente che arrivava a frotte. E avrebbe anche dovuto sapere che la polizia tedesca non avrebbe potuto controllare quegli arrivi in massa e sarebbe stata rapidamente sopraffatta dal numero di persone che avrebbe dovuto controllare. Ma la cancelliera l'ha fatto comunque.
Quando la notte di Capodanno dello scorso anno, a Colonia e in altre città della Germania, sono stati perpetrati centinaia di stupri e aggressioni a sfondo sessuale, la cancelliera aveva detto che i responsabili dovevano essere puniti " a prescindere dalla loro origine", ma non ha cambiato la sua politica. Subito dopo gli attacchi terroristici di Hannover, Essen, Wurzburg e Monaco, la Merkel si è astenuta dai commenti per poi pronunciare frasi asettiche sulla "necessità" di combattere il crimine e il terrore. Ma non ha fatto alcuna retromarcia.
Di recente, ha solo rivisto la sua posizione, a quanto pare perché vuole ricandidarsi nel 2017 e ha visto la sua popolarità in declino.
I commenti formulati subito dopo l'attentato del 19 dicembre sono stati noiosi. La cancelliera ha detto che "se l'autore di questo è un richiedente asilo" sarà "molto difficile da tollerare" e "particolarmente ripugnante per tutti i tedeschi che aiutano i rifugiati ogni giorno".
Commenti del genere potrebbero sembrare ingenui se pronunciati da qualcuno disinformato, ma Angela Merkel non ha questa scusa. Non poteva ignorare i moniti emessi dai servizi di intelligence tedeschi e americani sulla presenza di terroristi dello Stato islamico nascosti tra i profughi che progettavano di usare camion per sferrare attacchi nel periodo natalizio. Da più di un anno i tedeschi vivono una situazione assai difficile da sopportare. La criminalità è " salita alle stelle"; le malattie estinte da decenni sono ricomparse, senza poter disporre di vaccini per contrastarle; le seconde case sono state requisite dal governo per ospitare i migranti e così via dicendo. Non c'è voluto molto per scoprire che il principale sospettato dell'attentato di Berlino era un richiedente asilo che viveva in un centro di accoglienza per rifugiati.
In un altro paese, la Merkel forse sarebbe stata costretta a dimettersi. In Germania, invece, è in corsa per un nuovo mandato.


La popolazione tedesca sta invecchiando e il tasso di natalità è pericolosamente basso: 1,38 figli per donna. Gli immigrati rimpiazzano la popolazione tedesca, che sta scomparendo poco a poco. I tedeschi che muoiono sono cristiani o, molto spesso, atei. Come dappertutto in Europa, il Cristianesimo sta rantolando e i migranti che sostituiscono i tedeschi sono musulmani.
L'economia tedesca è ancora forte, ma perde slancio. I rendimenti sul capitale investito sono notevolmente diminuiti. In un'epoca in cui il capitale umano è la principale fonte di profitti, il capitale umano tedesco è al collasso: le persone provenienti dai paesi sottosviluppati non possono facilmente rimpiazzare i tedeschi altamente qualificati. La maggior parte non ha le qualifiche adatte al mercato: i nuovi arrivati rimarranno a lungo senza lavoro e continueranno a non essere autonomi. Del milione e duecentomila migranti che sono arrivati in Germania nel 2014 e nel 2015, solo 34.000 hanno trovato lavoro. Se il tasso di disoccupazione è basso, il motivo è dovuto a una crescente carenza di manodopera: oggi il 61 per cento dei tedeschi ha tra i 20 e i 64 anni. Si prevede che entro la metà del secolo, la cifra scenderà al 41 per cento.
I discorsi di propaganda politicamente corretti che vengono inesauribilmente diffusi in Germania – come nel resto d'Europa – non parlano mai di demografia. Piuttosto, confutano ogni prova che l'economia tedesca va male. Dicono anche che il Cristianesimo e l'Islam sono equivalenti; sono ostinatamente ciechi al fatto che l'Islam è più che una religione: è un sistema politico, economico e morale che ingloba ogni aspetto della vita e non è mai coesistito a lungo e pacificamente in una cultura differente dalla sua. Questi discorsi ignorano quasi totalmente l'ascesa dell'Islam radicale e l'emergenza terrorismo; invece, essi affermano che l'Islam radicale è un culto marginale e che il terrorismo jihadista si limita a reclutare lupi solitari o malati di mente. Ma soprattutto ripetono costantemente che ogni critica mossa alla migrazione o all'Islam è ignominiosa e razzista.
La popolazione tedesca è intimidita dalla paura del comportamento antisociale di molti migranti e dal controllo delle idee da parte del proprio governo. Molti tedeschi non hanno nemmeno il coraggio di parlare. Quelli che usano i mezzi pubblici si rassegnano agli insulti. Abbassano la testa e corrono a rifugiarsi nelle loro case. La frequentazione di ristoranti e teatri è in forte calo. Le donne si sono rassegnate a indossare abiti "modesti" e stanno attente a non uscire da sole. Le proteste organizzate da Pegida (acronimo che sta per "Patrioti europei contro l'islamizzazione dell'Occidente") non hanno mai attirato più di qualche migliaio di persone dopo che è stata diffusa una foto del suo fondatore con tanto di baffi e taglio di capelli alla Hitler.
Il partito Alternativa per la Germania (AfD), che chiede di fermare l'immigrazione musulmana in Germania e continua a guadagnare voti, resta comunque un partito di minoranza. La legge che condanna l'incitamento all'odio (Volksverhetzung), probabilmente al fine di impedire un ritorno delle idee naziste, è maneggiata come una spada che pende su chi parla troppo duramente della crescente islamizzazione del paese.
Il 20 dicembre, Angela Merkel è andata a deporre delle rose bianche sul luogo dell'attentato al mercatino di Natale a Berlino. Migliaia di tedeschi hanno fatto lo stesso. Molti hanno portato candele e hanno pianto. Ma la rabbia e la volontà di combattere la minaccia sono rimaste in gran parte assenti. Entro poche settimane si volterà pagina la pagina, fino alla prossima volta.
Niente descrive meglio la situazione attuale della Germania del triste destino di Maria Landenburger, una ragazza di 19 anni uccisa all'inizio di dicembre. La giovane, che faceva parte di un'organizzazione che offre assistenza umanitaria ai rifugiati, era fra coloro che hanno accolto i migranti nel 2015. È stata violentata e uccisa da una delle persone che stava aiutando. I genitori hanno chiesto a chi volesse rendere omaggio alla loro figlia di donare soldi alle associazioni che si occupano di rifugiati, in modo che altri profughi possano arrivare in Germania.
La grande maggioranza dei tedeschi non vuole rendersi conto che la Germania è in guerra, perché un nemico spietato gli ha dichiarato guerra. Essi non vogliono vedere che la guerra è stata dichiarata alla civiltà occidentale.
Accettano la sconfitta e fanno docilmente ciò che i jihadisti vogliono che facciano: si sottomettono.
Analizzando l'attentato del 19 dicembre al mercatino di Natale, il giornalista tedesco Josef Joffe, direttore di Die Zeit, ha spiegato la decisione di Angela Merkel di accogliere i rifugiati come "un atto espiatorio" e un modo di accogliere una popolazione minacciata, sette decenni dopo l'Olocausto. Joffe ha inoltre spiegato la passività di numerosi tedeschi con un senso di colpa collettivo.
Se Joffe ha ragione, se Angela Merkel non riesce a cogliere la differenza esistente tra gli ebrei sterminati dai nazisti e i musulmani che minacciano di sterminare i cristiani, gli ebrei e altri musulmani, allora è ancor più incapace di capire di quel che sembra.
Se molti tedeschi sono pieni di senso di colpa collettiva al punto che vogliono rimediare a quello che la Germania ha fatto agli ebrei accogliendo centinaia di migliaia di musulmani, molti dei quali dicono apertamente che vogliono rimpiazzare la cultura giudaico-cristiana della Germania con l'Islam, e che stanno sostituendo la sua popolazione cristiana con una popolazione musulmana – che includerà nei suoi ranghi degli assassini spietati – questo mostra che i tedeschi oggi si detestano così tanto da desiderare la loro stessa distruzione o che hanno semplicemente perso la voglia di difendere quello a cui tengono, un atteggiamento altrimenti conosciuto come resa.


Guy Millière, insegna all'Università di Parigi ed è autore di 27 libri sulla Francia e l'Europa.

03/01/17

DISCORSO DI FINE ANNO " Mattarella scorda la famiglia. Putin e il Re, no "




Sergio Mattarella
Nelle 8 cartelle lette dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella c’era davvero di tutto: dall’emergenza lavoro, agli italiani esemplari come Bebe Vio, dall’incubo terrorismo allo scontro politico che si trasforma in odio. Il discorso di fine anno di Mattarella è sembrato un compitino un po’ adusato, un cahiers des doleances dei mali italiani che Checco Zalone avrebbe potuto descrivere sicuramente con più realismo e strappando magari qualche sorriso.

Tra i detto e i non detto però c’è un fattore che è stato completamente tralasciato dal Capo dello Stato. Ed è il fattore Famiglia. Nessun accenno dall’inquilino del Quirinale al collante fondamentale che ha tenuto uniti gli italiani durante la seconda guerra mondiale favorendo la ricostruzione del Paese. Un collante che in questi anni l’Italia politica ha lentamente sfilacciato e reso senza forze. Non è un caso che il 2016 che si è appena chiuso sia stato l’anno in cui la famiglia fondata sul matrimonio sia stata picconata mortalmente con l’approvazione delle Unioni Civili attraverso la cosiddetta legge Cirinnà. Ingenuo aspettarsi dunque da Mattarella, che è stato eletto da una maggioranza che sostiene lo stesso governo che le ha portate in dote al popolo italiano, parole in controtendenza.

Si dirà che sono discorsi da accademia e paludati in attesa di stappare la bottiglia dello spumante. Eppure qualche altro capo d Stato non la pensa così. Sentite che cosa ha detto il presidente russo Vladimir Putin in occasione del discorso alla nazione in occasione del Natale: “La ricchezza fondamentale della Russia è il capitale umano. Per questo i nostri sforzi sono indirizzati al sostegno dei valori tradizionali e della famiglia, ai programmi demografici, al miglioramento della situazione ambientale e della salute pubblica e allo sviluppo dell'istruzione e della cultura. La crescita naturale della popolazione continua. Nel 2013 il coefficiente di natalità in Russia è stato l'1,7, cioè più alto che nella maggior parte dei Paesi europei. Nel 2015 il nostro coefficiente di natalità sarà ancora superiore: all'1,78”.

Nelle parole dello zar c’è la presa di coscienza drammatica dell’urgenza di politiche demografiche che possono essere messe in opera solo se la famiglia fondata sul matrimonio viene valorizzata. E non è un caso che appena prima Putin abbia accennato ai 100 anni dalla Rivoluzione d’Ottobre per “imparare dagli errori del passato”. Proprio quella Rivoluzione infatti, parafrasando le parole della Madonna di Fatima, ha sparso i suoi errori in tutto il mondo. Primo fra tutti, appunto, la distruzione sistematica della famiglia, attraverso politiche, scelte e stili di vita e altri mali del mondo moderno.

Putin ha riconosciuto che la famiglia è un cemento indispensabile per il capitale umano della Russia. Ma non è il solo. Anche il re di Spagna Felipe, durante il medesimo discorso rivolto al Paese, ha avuto per la famiglia accenni importanti, in una terra come la Spagna dove la scristianizzazione e la distruzione della famiglia hanno coinciso con una serie impressionante di leggi che l’hanno fortemente indebolita.

Felipe ha riconosciuto “il valore che ha nella nostra società la famiglia, che ha permesso a molti di superare i peggiori momenti”. Il re si riferiva alla lancinante crisi economica che il Paese ha attraversato negli ultimi dieci anni e che l’ha portata ad essere uno dei paesi a maggiore tasso di disoccupazione. Eppure ha detto di aver conosciuto lavoratori e professionisti, uomini e donne che con il loro sforzo durante questi lunghi e difficili anni, senza cedere né rassegnarsi hanno sostenuto con grande dignità e coraggio la loro famiglia”.

Si potrebbe rimproverare a Felipe che la Spagna a cui parla è la stessa che dal governo Zapatero in poi ha esportato un modello sociale antagonista a quello che vede nella famiglia la cellula della società. Però è anche vero che il messaggio di un capo d Stato non è un programma politico, ma dovrebbe essere uno sguardo con profondità e disincanto sulle urgenze e le prospettive del Paese. In Spagna le sue parole potrebbero dare forza a costruire un progetto politico che si basi davvero sulla famiglia come prisma in cui si riflettono tutti i bisogni di uno Stato.

In Italia invece siamo ancora all’anno zero. E di famiglia dunque diventa superfluo parlare. Il Capo dello Stato mostra così di non essere minimamente toccato dalla vera emergenza del Paese che è quella del suo capitale umano, un Paese nel quale oggi vengono propagandanti dalla tv di Stato forme di unione che non portano nessun frutto economico o sociale al Paese. Ma Mattarella è un prodotto, da un certo punto di vista, del suo tempo.

Un frutto di quel cristianesimo sociale che, abbandonato ogni riferimento al Magistero perenne della Chiesa, ha inventato una dottrina sociale a uso e consumo del "Principe", sposando idee e filosofie di altre forme politiche, prima quella marxista, per abbracciare un potere che ancora oggi detiene con la presenza di governi ed esponenti nei posti chiave orientati a quella visione di impegno cristiano nella società. Un impegno che oggi si mostra fragile e non pienamente rispondente ai bisogni del Paese. Quasi sterile, a patto che non serva la mera ambizione personale di potere di qualche fortunato cattolico adulto, che ormai costantemente fa capolino al governo del Paese, portando acqua ai valori del laicismo politico e rendendosi di fatto complice quando non autore, di leggi profondamente in contrasto con la Dottrina sociale della Chiesa. 

di Andrea Zambrano - 02-01-2017

02/01/17

Che squallore Obama! Ora capite che uomo è (E perché Trump fa tanta paura)


Eh sì, ora potete verificare di persona che tipo di persona sia Barack Obama. E soprattutto potete rendervi conto di quanto importante e destabilizzante sia stata la vittoria di Trump, che ha posto fine a un lunghissimo periodo di potere esercitato da un gruppo élitario – neoconservatore ma non solo – che, ha dominato Washington, rovinando sia gli Usa sia il mondo.
Circa tre settimane fa in un’intervista al blog di Beppe Grillo affermavo che l’establishment di Obama, che riva le sue radici strategiche e ideologiche nell’amministrazione Bush, avrebbe fatto di tutto per mettere in difficoltà o addirittura impedire l’elezione di Trump.


    YouTube Direktintervista Foa blog beppe grillo
                                         


Avete visto cos’è successo negli Stati Uniti: manifestazioni di piazza, riconteggio dei voti in alcuni Stati, pressioni senza precedenti sui Grandi Elettori affinché rinnegassero il voto popolare. Tutto inutile, per fortuna. Per fermare Trump restano solo due modi: un colpo di stato parlamentare o l’eliminazione fisica. Entrambi non ipotizzabili, al momento.
La reazione scomposta di Obama in questi giorni, però, non rivela solo la stizza di un presidente uscente e la scarsa caratura di un uomo ampiamente sopravvalutato, evidenzia soprattutto la frustrazione di un clan che vede svanire il perseguimento dei propri obiettivi strategici. Infatti:
gli Usa hanno perso la guerra in Siria, combattuta la fianco dei peggiori gruppi fondamentalisti.
Nessun rappresentante dell’establishment uscente è stato eletto nei posti chiave dell’Amministrazione Trump.
La globalizzazione e il continuo smantellamento delle sovranità nazionali non sono più garantite, anzi rischiano di essere fermate da Trump che crede nei valori e negli interessi nazionali.
L’obiettivo di conquistare il controllo dell’Eurasia, facendo cadere Putin, sostituendolo con un presidente filomaericano, è fallito; Putin oggi è più forte che mai.
Persino Israele, che si è subito allineata a Trump, è diventata ostile. Il via libera alla Risoluzione Onu rappresenta un’inversione a “U” clamorosa e dai chiari intenti punitivi.

90-2 

Le ultime decisioni dell’Amministrazione Obama segnalano il tentativo di far deragliare il nuovo corso di Trump o perlomeno di metterlo in fortissima difficoltà sia con Israele, sia, soprattutto, con la Russia. La speranza segreta della Casa Bianca era che Putin potesse cedere a una reazione impulsiva, tale da mettere davvero in imbarazzo Trump. E invece il presidente russo ha tenuto i nervi a posto. Anzi ha dato a Obama l’ennesima lezione di stile, rifiutandosi di espellere a propria volta 35 diplomatici americani. Le nuove sanzioni e l’espulsione di 35 diplomatici russi sono comunque un colpo basso, tale da provocare tensioni con il Congresso, ma non così gravi da far desistere Trump dall’avviare un nuovo corso con Putin.
Quanto alle accuse di ingerenze russe nel voto americano sono risibili, pretestuose, come spiego nella breve intervista al blog di Beppe Grillo (trovate qui anche la trascrizione).
Quel che conta, alla fine di un incredibile 2016, è la sostanza. Ovvero: il clan che ha governato l’America per almeno 16 anni lascia per la prima volta il potere. E chi si è opposto, dentro e fuori gli Usa, a politiche egemoniche autenticamente neoimperiali trova motivi di speranza.

Ed è un’ottima notizia per il mondo.

Auguri a tutti.

di Marcello Foa - 30 dicembre 2016