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Non smettete mai di protestare; non smettete mai di dissentire, di porvi domande, di mettere in discussione l’autorità, i luoghi comuni, i dogmi. Non esiste la verità assoluta. Non smettete di pensare. Siate voci fuori dal coro. Un uomo che non dissente è un seme che non crescerà mai.

(Bertrand Russell)

11/06/16

Renzi consiglia gli “Hunger Games”




 
I potenti della Terra hanno inaugurato i “giochi della fame”, una sorta di reality show a cui partecipano i diseredati del pianeta, per compiacere i potenti e garantire lunga vita alle loro finanze. I preparativi a questa sorta d’olimpiade della guerra tra poveri erano iniziati con i flussi finanziari utili a garantire migrazioni verso la vecchia Europa. Oggi s’è passati alla seconda fase, ovvero poveri occidentali, africani ed orientali che si combatteranno tra loro per garantirsi la sopravvivenza, attenendosi scrupolosamente alle “normative europee”. L’Italia in questo gioco svolge lo stesso ruolo della Grecia, ovvero campo profughi (italiani e stranieri) destinati poi all’arena dei potenti. È ovvio che tra i potenti ed i diseredati sia stato potenziato quel confine mobile (per l’incolumità dei primi) noto come sicurezza: infatti tra i benestanti e gli indigenti c’è una classe intermedia, gli addetti alla sicurezza, a cui il sistema garantisce una vita dignitosa.
Il Premier Matteo Renzi, abbondantemente spernacchiato in ogni assise, ha il compito politico di convincere il cinquanta per cento degli italiani (quelli ormai in povertà) che l’unica via d’uscita dal disagio è partecipare agli “Hunger Games” ai “giochi della fame”: questa è la direzione che sta indicando il presidente del Consiglio parlando di competitività e crescita. Va detto che Renzi (non eletto ma scelto e gradito al potere) è stato indicato per quel ruolo perché studioso del “sistema d’esclusione dei reality show” da circa vent’anni: ancora diciannovenne, nel 1994, partecipava a cinque puntate del programma televisivo “la ruota della fortuna”.

Ovviamente lo avevano fatto vincere, e da allora seguito come leader in erba. Va detto che gli anni Novanta del secolo e millennio passato hanno rappresentato una sorta di campo sperimentale per quel sistema d’esclusione sociale e lavorativa decollato in Italia con il governo Monti: infatti con il reality “Grande Fratello” (un format mondiale) i potenti della terra sperimentavano sia il sistema d’esclusione detto “confessionale” che il controllo continuo di singoli e nuclei familiari nelle realtà urbane avanzate, ovvero sistemi sociali equipollenti a “Capitol city” del libro “Hunger Games”. E qui s’incontrano due componenti importanti, ovvero la sicurezza e l’accettazione del “percorso d’esclusione sociale”: chi non accetta un “percorso d’esclusione sociale” è accusato automaticamente di terrorismo o comunque di rappresentare l’antisistema, e per prevenire ogni forma di dissenso agisce la cosiddetta sicurezza globale (ovvero la rete delle polizie occidentali).
Piccolo inciso: “The Hunger Games” è un romanzo scritto di Suzanne Collins, che nel 2008 prospettava in maniera visionaria il futuro degli Usa e del pianeta. Una visione certamente apocalittica, per certi versi paradossale, ma che prefigurava il nuovo regime totalitario, spiegando che gli “hunger games” si sarebbero svolti periodicamente come combattimenti mortali trasmessi in televisione: e qui si comprende che “hunger games” sono le migrazioni di massa, le rivolte nei centri per immigrati, le proteste violente dei disoccupati, il dissenso verso il governo, i ghetti italiani ed europei. Il merito della Collins sta tutto nell’aver intuito che i potenti della terra avrebbero fuso l’esperienza del “Grande Fratello” (cioè i reality show) con le guerre, e per creare annichilimento ed assuefazione nei tanti diseredati che quotidianamente fanno zapping davanti ad un televisore: ovvero masse d’indigenti lobotomizzati, inseriti in un percorso d’esclusione sociale, e controllati dalle polizie per scongiurare rivolte. Ecco che oggi appare sempre più labile il confine fra un reality show e le notizie di guerra.

In un simile sistema, sempre più acritico ed antistorico, i Renzi del pianeta assumono un ruolo chiave: a loro viene devoluta dai potenti la funzione di controllo dei singoli settori (nel nostro caso il settore Italia). Ma chiariamo chi sono questi potenti veri, a cui rispondono i vari Renzi: sono i vertici del Fondo Monetario Internazionale, quelli di ben cinque banche d’affari e d’altrettante multinazionali (farmaceutiche, energetiche ed informatiche con rami nella sicurezza privata). I veri potenti si sono riuniti prima che Renzi venisse investito, quindi lo hanno informato che il suo compito era continuare ad abbassare la qualità della vita in Italia.
Perché solo abbassando la qualità della vita e le garanzie è possibile governare un popolo scongiurando le rivoluzioni. Queste ultime le ha sempre organizzate la classe borghese, quella oggi passata a miglior vita (defunta per intenderci). Un tempo, quando la borghesia intravvedeva nell’eliminazione del tiranno spazi di crescita, scoccava la scintilla del cambiamento. Oggi il mondo è piatto, organizzato dalle aristocrazie finanziarie: non c’è spazio per le rivoluzioni. Le regole ci vogliono tutti in riga o davanti ad un televisore, convinti che morte e miseria siano conseguenze necessarie, “the reality show must go on”.

di Ruggiero Capone - 11 giugno 2016

IMMIGRAZIONE - "Altri miliardi di euro a dittature e governi corrotti"


È da non credere che persino Amnesty International non sappia che per convenzione internazionale un profugo può e deve presentare richiesta di asilo nel primo Paese firmatario della Convenzione di Ginevra in cui mette piede dopo aver lasciato il proprio; dopo di che, vagliata e accolta la richiesta, i percorsi legali e sicuri esistono già.

Poi però,  mescolati ai profughi, ci sono gli emigranti irregolari che lasciano i loro Paesi clandestinamente ricorrendo ai trafficanti di uomini e pretendono di regolarizzare la loro situazione una volta sbarcati in Italia presentando richiesta di asilo, pur sapendo di non avere i requisiti per ottenere lo status di rifugiato. Sono tanti, molti di più dei profughi che scappano da guerre e persecuzioni, prova ne sia che l’Italia nel 2014 ha accolto il 10% delle richieste di asilo, nel 2015 il 5% e quest’anno, fino al 20 maggio, il 4%. 

Chi ottiene lo status giuridico di rifugiato è perché proviene da Paesi in guerra, come la Siria, o sotto dittatura, come l’Eritrea. Ma a concedere asilo, ad esempio, a un senegalese c’è rischio di un incidente diplomatico perché equivale ad accusare il Senegal di perseguitare i propri cittadini o non di proteggerli da chi li minaccia. Chi si vede respinta la richiesta di asilo, comunque, può fare ricorso e restare in Italia fino alla sentenza definitiva. Inoltre, esistono due istituzioni provvidenziali, create per non rimandare a casa chi non può avere lo status di rifugiato: il permesso di soggiorno per motivi umanitari, che dura da sei mesi a due anni, e il permesso per protezione sussidiaria, che vale cinque anni. Sono stati concessi al  50% dei richiedenti asilo respinti nel 2014, al 37% nel 2015 e al 31% dall’inizio del 2016 al 20 maggio.  

Inoltre, forse è nato un terzo tipo di permesso di soggiorno se hanno ragione i mass media secondo i quali un giudice del tribunale di Milano ha da poco accordato a un immigrato irregolare, un ragazzo di 24 anni, un permesso per “protezione umanitaria” con la motivazione che il suo paese, il Gambia, è povero e non offre a chi ci abita il tenore di vita – con particolare riguardo all’alimentazione, al vestiario, all’abitazione, alle cure mediche e ai servizi sociali essenziali – a cui ogni uomo ha diritto secondo la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. 

La notizia di questa sentenza è arrivata insieme a quella di un nuovo piano dell’Unione Europea per ridurre il flusso di emigranti dalla Libia all’Italia, i cui principali paesi di origine sono Nigeria, Gambia, Somalia, Costa d’Avorio, Eritrea, Guinea e Senegal. Il piano prevede l’intensificazione del partenariato con nove Paesi del Medio Oriente e dell’Africa e costerà 62 miliardi di euro in aiuti per creare lavoro e combattere la povertà: miliardi che si aggiungeranno a quelli del Fondo di emergenza per l’Africa creato a novembre dalla Commissione europea con un capitale iniziale di 1,8 miliardi di euro e inoltre ai miliardi forniti ogni anno dai Paesi europei e dall’Unione Europea per finanziare le agenzie dell’Onu, la cooperazione internazionale bilaterale e multilaterale, l’Alto commissariato Onu per i rifugiati, le missioni di peacekeeping dell’Onu e dell’Unione Africana e, non dimentichiamolo, gli “Obiettivi di sviluppo sostenibile”, il nuovo progetto dell’Onu contro la povertà e le ingiustizie planetarie che da solo costa 15 trilioni di dollari all’anno.

In sostanza, è in arrivo un nuovo salasso in favore di governi alcuni dei quali inaffidabili, incapaci e corrotti, e peggio ancora. Uno è il governo della Somalia, formato da capi clan che da 25 anni si fanno mantenere dal resto del mondo e intanto costringono milioni di connazionali a vivere sfollati e profughi. Nel 2012, l’Onu ha ammesso che ogni 10 dollari consegnati al governo somalo dalla comunità internazionale sette non arrivano mai nelle casse dello Stato. In Nigeria, invece, nel 2014 sono spariti oltre 14 miliardi di euro che avrebbero dovuto finire nelle casse dell’Ente petrolifero nazionale e altri 13 miliardi stanziati per combattere il gruppo jihadista Boko Haram. Ma c’è di peggio perché, tra i partner a cui andranno i fondi, ci sono l’Eritrea, una delle peggiori dittature del pianeta insieme alla Corea del Nord, e il Sudan il cui presidente, Omar Hassan al Bashir,  è stato accusato di genocidio, crimini di guerra e crimini contro l’umanità nel 2009 dalla Corte penale internazionale e contro cui è stato spiccato un mandato di cattura internazionale. 
Il piano che l’Unione Europea si appresta a varare dovrebbe servire anche ad aumentare il numero dei rimpatri. Attualmente solo il 40% dei richiedenti asilo che non ottengono lo status di rifugiato vengono accolti dai loro Paesi d’origine. Si ipotizza di tagliare gli aiuti ai governi che non collaborano al rimpatrio dei connazionali respinti. 

di Anna Bono - 10-06-2016

06/06/16

IL CASO MARO' / ENRICA LEXIE: "I due Marò, i motivi di una commissione di inchiesta"




Dopo quanto è emerso dall'’esame della documentazione indiana depositata preso il Tribunale di Amburgo il cui contenuto è stato e ben spiegato dall’'ing. Luigi Di Stefano da sempre convinto assertore dell’'innocenza di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, la mancata nomina di una Commissione di inchiesta parlamentare non è più un'’omissione. Piuttosto, evidenzia la negazione dello Stato di Diritto e l’'affermazione di un regime inconciliabile con i moderni concetti di democrazia.
Da tempo l’'onorevole Edmondo Cirielli ha chiesto “l’istituzione di una commissione parlamentare di inchiesta sul sequestro e detenzione illegale di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone”, ma il Parlamento non ha ancora deciso! Evidente la volontà di soprassedere e prendere tempo come avvenuto per l’'Arbitrato internazionale,  avviato con più di due anni di ritardo.
Una situazione di stallo non giustificabile che favorisce le ipotesi più svariate. Non ultime quelle da molti proposte sull'’esistenza di interessi politici, personali e di lobby da tutelare. Non impegnarsi, infatti, ad approfondire per ricercare la verità non può che avere uno scopo, evitare che emergano verità scomode o atti che inequivocabilmente dimostrino che nella gestione della vicenda ci siano state palesi violazioni della Costituzione.
Molti i punti oscuri che dovrebbero essere affrontati. Aspetti non chiari che riguardano l’'operato degli organi istituzionali coinvolti. Tre governi (Monti, Letta, Renzi), quattro ministri degli Affari Esteri (Monti, Bonino, Mogherini, Gentiloni), tre ministri della Difesa (Di Paola, Mauro, Pinotti), tutti un po’' disattenti considerando quanto emerge dai documenti indiani depositati  presso il Tribunale di Amburgo. Una gestione istituzionale della vicenda che lascia sempre più perplessi con almeno dieci punti su cui incombe il silenzio assoluto e che, invece, meriterebbero la massima attenzione del Parlamento e forse anche della Procura della Repubblica perché sia fatta chiarezza sui misteri della più squallida vicenda della storia italiana.
Proviamo a proporre questi dubbi:

1. A partire dalle dichiarazioni rese in Parlamento il 17 ottobre 2012 dall’'allora ministro della Difesa Di Paola sul coinvolgimento diretto della catena di comando militare nel concedere l’'OK perché la Lexie rientrasse sul porto di Kochi, è d'’obbligo accertare a che livello fu coinvolto il Comando della Squadra Navale (CINCINAV) e chi partecipò al processo decisionale e se l’'Armatore avvertì e con quale esito anche il Centro Operativo Interforze (COI).

2. Accertare se coloro che hanno gestito la vicenda sulla catena di comando dei due Fucilieri di Marina in missione di antipirateria,  abbiano poi  ottenuto benefici e/o vantaggi - seppure meritati e coerenti con la progressione di carriera - in particolare per quanto attiene le loro successive posizioni in ambito Difesa, Amministrazione dello Stato o strutture private.

3. Alla luce di quanto riportato dall'’esame autoptico indiano sul calibro dei proiettili che hanno ucciso i due poveri pescatori, aspetto già evidenziato il 3 novembre 2012 in varie analisi ma mai approfondito, discusso o valutato a livello Istituzionale (http://fernandotermentini.blogspot.it/2012/11/linciucio-indiano.html), quali approfondimenti sono stati sviluppati dalla Difesa, in particolare dalla Marina Militare. Si parla di una relazione tecnico - balistica prodotta dall’'ammiraglio Piroli, peraltro segretata ma pubblicata da uno dei maggiori quotidiani nazionali. Nel documento si conclude che i due fucili che spararono il 15 febbraio 2012 non erano quelli assegnati a Latorre e Girone ma ad altri due sottufficiali del Nucleo Militare di Protezione (NPM) della Lexie. Nessun cenno invece alla differenza di calibro fra i proiettili in dotazione alla MM e quelli estratti dai corpi dei morti durante l’'esame autoptico. Conclusioni che lasciano perplessi anche perché non è chiaro come si sia proceduto a svolgere le prove di sparo trattandosi di prove che dovrebbero essere state svolte (maggio 2012?) quando ancora tutte le armi e munizionamento italiano del NPM erano stati sequestrati dall'’India.

4. Chi e perché abbia deciso di “donare” per il danno subito 150.000 euro alle famiglie dei defunti ed altri 75.000 Euro al proprietario del peschereccio Saint Antony, senza richiedere prima all’'India riscontri documentali certi sulle responsabilità degli eventi. Un atto che configura allo stato di quanto emerso dai documenti indiani depositati presso il Tribunale di Amburgo un danno erariale consistente ed un danno indiretto sulla posizione giuridica dei due militari raffigurando “un’'ammissione indiretta  di responsabilità”.

5. Per quale motivo la Procura di Roma ha permesso che due indagati per omicidio volontario come risulta fossero Massimiliano Latorre e Salvatore Girone nel marzo 2013 espatriassero anche se solo per obbedire ad una disposizione loro data lungo la linea gerarchica funzionale. Questo nonostante che cittadini italiani avessero formalizzato l’'eventualità con uno specifico esposto depositato il 13 marzo di quell’'anno.

6. Colui o coloro che hanno deciso il 22 marzo 2013 di riconsegnare in mano indiana i due militari, lo hanno fatto nel pieno rispetto della Costituzione ed il Codice Penale italiano o piuttosto hanno privilegiato scelte ancora da chiarire disattendendo quanto il nostro ordinamento giuridico e relative sentenze della Suprema Corte stabiliscono nello specifico?

7. Quali furono le “regole di ingaggio” concordate fra Italia ed India per una soluzione condivisa del caso, come ebbe a dichiarare l’'allora vice ministro degli Esteri Lapo Pistelli (oggi all’'ENI in incarico di prestigio) quando ci diceva - "Ora abbiamo rimesso la questione su un binario di certezza: scelta di una giurisdizione speciale, condivisa; regole da utilizzare in processo, condivise (con India, ndr)……. All'indomani del giudizio, vi sarà un trattato tra le parti che permette comunque agli eventuali condannati di scontare la loro pena in Italia, nel paese di appartenenza”. Siamo costanti e attenti con le autorità indiane e io dico che i due ragazzi torneranno a casa". Una palese cessione di sovranità nazionale che andrebbe approfondita per capire fino a che punto sia coerente con gli obblighi costituzionali che regolano peculiari mansioni istituzionali.

8. Chi ha tratto vantaggi da una gestione semplicistica della vicenda come ci portano ad affermare i documenti arrivati da Amburgo, preferendo strumentalizzare ai fini politici e pur'anche personali la colpevolezza dei due Marò? Perché il governo Monti li ha riconsegnati all’'India rinunciando ad un arbitrato già deciso (http://www.esteri.it/mae/it/sala_stampa/archivionotizie/comunicati/2013/...)?

9. Per quale motivo la Procura di Roma non informa sulle decisioni prese 377 cittadini italiani che hanno depositato il 20 giugno 2014 un esposto sui fatti, come chiesto in conclusione dello stesso e come prevede il Codice di Procedura Penale?

10. Per quale motivo l’'Avvocatura dello Stato che concorre alla difesa dei due militari,  nonostante sia stata informata dalla Difesa (aprile 2014)  dell’'esistenza di un'’analisi tecnica dell’'ing. Luigi Di Stefano dalla quale già emergevano inequivocabilmente certezze sulla incoerenza dei calibri dei proiettili estratti dai cadaveri e quelli in dotazione alle nostre FFAA, non ha contestato immediatamente all’'India tali incongruenze pretendendo chiarimenti?

Questi i punti salienti dell'’intera vicenda che se esaminati attentamente potrebbero rivelare mille altre sfumature da approfondire. Tutto ciò impone l'’istituzione di una Commissione Parlamentare che accerti se errori ci sono stati e se sussistono responsabilità casuali o attribuibili a colpa grave piuttosto che a dolo.
Non averlo fatto fino ad ora raffigura un ritardo non giustificabile, peraltro in contraddizione con l’'abitudine consolidata nel nostro Parlamento, pronto a nominare Commissioni anche per fatti irrilevanti o per valutare problematiche altrimenti consolidate, come, ad esempio,  i problemi relativi all'’Uranio Impoverito.
Attendere ancora a formalizzare la nomina di una Commissione dopo le notizie di questi giorni rappresenterebbe una dimostrazione di protervia politica inaccettabile.

(di Fernando Termentini) - 14/09/15 

05/06/16

LE “SPARATE” DI RAI 1 ALLA PARATA DEL 2 GIUGNO



 
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Vabbè che ormai la Parata del 2 giugno è una carnevalata in cui l’aspetto militare è stato progressivamente mortificato e silenziato con la rinuncia a far sfilare i mezzi nonché diluito per far posto a tutti, dai sindaci che marciano in file ondivaghe ai bambini coi palloncini tricolore.
Siamo ormai rassegnati al fatto che i reparti militari che sfilano non siano mai abbinati alle singole operazioni belliche che li hanno visti protagonisti nel presente o nel recente passato ma solo alle “missioni di pace” con la parte del leone affidata alla più buonista di tutte, quella che da anni soccorre i “migranti” nelle acque del Mediterraneo Centrale.

 

Insomma, non ci illudiamo che la Parata del 2 giugno assomigli anche solo vagamente a quella del 9 maggio a Mosca o del 14 luglio a Parigi, ma a guardarla su RAI 1 c’era da rischiare di ammalarsi di diabete per la quantità di melassa sparsa a pieno schermo.
Tutto previsto del resto, tutto come d’abitudine in un’Italia che si vergogna del suo strumento militare al punto da privarlo del denaro necessario a mantenerlo operativo e da impiegarlo per favorire l’illegalità e arricchire criminali.
Quello che risulta difficile da accettare non è neppure il fatto che i conduttori della rete ammiraglia RAI non conoscessero i reparti che sfilavano o non avessero nulla da dire circa le singole unità.
Non ha stupito neppure il fatto che tra le tre voci che si avvicendavano ai microfoni non ce ne fosse una capace di riconoscere i gradi militari.


Il tenente di vascello Catia Pellegrino, distintasi nell’Operazione Mare Nostrum per aver salvato centinaia di immigrati clandestini (e decorata dal Presidente della Repubblica) ha avuto il cognome storpiato in “Pellegrini” ed è stata definita “colonnello della Marina comandante di una nave”.
Non riusciamo neppure a meravigliarci che i conduttori non conoscessero i nomi dei vertici militari: se così non fosse non avrebbero indicato l’ammiraglio Valter Girardelli come capo di stato maggiore della Marina.
Incarico che assumerà presto ma al momento al vertice di quella forza armata siede ancora (fino al 21 giugno) l’ammiraglio Giuseppe De Giorgi, nome che non dovrebbe risultare ignoto a chi pratica il giornalismo.

 

Ma si tratta in ogni caso di sciocchezze irrilevanti. In realtà la cosa davvero stupefacente è che la rete più importante della Tv pubblica, pagata da tutti noi, non abbia pensato di avvalersi per la diretta del 2 giugno di un comunicatore militare in grado di distinguere gradi, riconoscere comandanti e reparti.
Figure professionali che certo non mancano negli uffici stampa degli stati maggiori a Roma e che per giunta non costano nulla: sono già stipendiati per far conoscere le Forze Armate al grande pubblico e ai media.

Foto: Difesa.it e Marina Militare

di Gianandrea Gaiani - 4 giugno 2016