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Non smettete mai di protestare; non smettete mai di dissentire, di porvi domande, di mettere in discussione l’autorità, i luoghi comuni, i dogmi. Non esiste la verità assoluta. Non smettete di pensare. Siate voci fuori dal coro. Un uomo che non dissente è un seme che non crescerà mai.
Benché il Segretario di Stato americano, John Kerry, si
affanni ad affermare che gli aerei russi schierati in Siria avrebbero
solo una funzione di protezione della base aeronavale di Latakia, che si
trova a pochi chilometri dalla linea di fuoco, il coinvolgimento
diretto di forze militari russe a fianco del regime di Bachar Assad è
ormai un dato di fatto. Lo stesso ministro degli Esteri russo, Serghiei
Lavrov, con una telefonata di pochi giorni fa, avrebbe informato il
segretario Kerry circa le mosse di Mosca in Siria, incluso il
rafforzamento del dispositivo di sicurezza, e proposto di avviare una
discussione a livello militare con gli Stati Uniti sulla drammatica
situazione di quel paese .
Mosca intenderebbe riproporre una nuova alleanza con l'Iran, l'Iraq,
la Siria e i loro alleati libanesi Hezbollah per combattere il Califfato
e l’esercito islamico in tutte le sue componenti e più in generale per
contrastare il terrorismo di matrice jihadista. Tutti i tentativi del
Cremlino di coprire il coinvolgimento diretto di soldati russi in Siria
sono stati smentiti dalle prove raccolte sul terreno nelle ultime
settimane dalle intelligence occidentali, arabe e israeliane. Non si
tratta più, infatti, semplicemente di forniture di armi nuove e
sofisticate alle truppe di Assad, ma soldati delle forze speciali russe,
appoggiati dai Mig dell’aviazione di Mosca, sarebbero entrati in azione
a fianco dei soldati dell’alleato siriano in drammatica difficoltà.
Fonti israeliane parlano di oltre mille incursori russi operativi tra
Tartous e Jable, alle spalle di Latakia. E insieme ai pasdaran iraniani
del generale Suleiman, alti gradi dell’esercito russo avrebbero deciso
di sostenere militarmente i peshmerga curdi schierati sul confine tra
Siria, Iraq e Turchia, per contrastare una possibile offensiva dei
jihadisti islamici, sostenuta dai turchi, nel nord della Siria. Nelle
settimane scorse, oltre 90 mila soldati e marines russi sono stati
impegnati in manovre militari al largo delle coste siriane che hanno
coinvolto quasi tutte le unità della flotta russa del Mediterraneo. Alle
esercitazioni ha partecipato anche un battaglione di paracadutisti.
La stabilità della Siria e del suo regime alawita è diventata una
questione di interesse strategico per Mosca, anche perché sono oltre
2500 i russi, di religione musulmana, che hanno aderito al Califfato e
che combattono in Siria tra le file jihadiste. Il Cremlino e i servizi
di sicurezza russi temono che molti tra quei jihadisti d’esportazione
possano rientrare a casa e costituire una grave minaccia interna, con
attentati e azioni tragiche e spettacolari di cui la memoria russa è
ancora viva. Sostenere la battaglia del regime di Assad contro il
Califfato equivale per Mosca a proteggersi e tenere il più lontano
possibile la minaccia terroristica di matrice islamista.
Da molti mesi la diplomazia russa, in Siria e nei paesi vicini, ha
avviato un’iniziativa per favorire il dialogo tra il regime siriano e le
forze dell’opposizione moderata; azione però che si è arenata per il
fermo rifiuto di alcuni gruppi ribelli a trattare con Assad, del quale
pretendono senza condizioni la rimozione. Intensissima è stata anche
l’azione degli emissari di Mosca in Arabia Saudita, in Turchia, in Iraq e
in Iran, paesi in qualche modo fortemente coinvolti nella guerra in
Siria; a quelle capitali, i diplomatici russi hanno proposto un’intesa
militare – diversa dalla coalizione internazionale a guida statunitense –
per debellare le forze del Califfato e i movimenti terroristi islamici
affiliati. Nelle settimane scorse, il vice erede al trono e ministro
della difesa saudita, il principe Mohammed bin Selman, è stato invitato a
Mosca da Putin e il capo della Sicurezza siriana, il generale Ali
Mamlouk, insieme a diplomatici russi, ha visitato Jeddah, Il Cairo, Abu
Dhabi e Mascate, dove ha incontrato i massimi vertici politici e
militari.
Ma l’Arabia Saudita ha gelato le aspettative russe quando il ministro
degli Esteri, Adel al-Jubayr, ha affermato, da Mosca, che la priorità
per il regno wahabita rimane la partenza di Bachar Assad. Stessa
posizione è stata assunta dal primo ministro turco, Erdogan, uno dei più
acerrimi oppositori del regime di Damasco. Mosca ha così deciso di
rafforzare i legami con l'Iran e con il governo iracheno, che invece
condividono la necessità di impedire il rovesciamento del regime di
Assad e consolidare le posizioni dell'esercito siriano. Da Teheran i
Russi hanno ricevuto assicurazioni, a cominciare dall'ayatollah Ali
Khamenei, che la conclusione dell'accordo sulla questione nucleare non
ha modificato il quadro delle alleanze internazionali del regime.
I rapporti e l’amicizia con Mosca restano per gli iraniani strategici
e prioritari; i due paesi condividono interessi in Medio Oriente e
continueranno a lavorare insieme per la pace e la stabilità della
regione. Vladimir Putin ha voluto anche assicurarsi la non interferenza
di Israele sull’azione russa, ricevendo due giorni fa al Cremlino il
primo ministro Benjamin Netanyahu per un incontro a porte chiuse sulla
Siria e sulla lotta al terrorismo islamico. Netanyahu era accompagnato
da tutti i responsabili militari e dell’intelligence del suo Governo:
Putin gli avrebbe chiesto di non ostacolare le manovre delle forze russe
in Siria e di non attaccare le postazioni di Damasco sulle alture del
Golan, per non indebolire ulteriormente l’esercito di Assad impegnato
contro i jihadisti. Sul fronte occidentale, la Casa Bianca e il
Pentagono hanno dovuto riconoscere il fallimento dei programmi di
addestramento delle forze moderate di opposizione a Bachar Assad e
contro l’Esercito Islamico in Siria; dei migliaia di uomini addestrati
dagli americani, solo pochi si sono impegnati contro i jihadisti e molti
hanno addirittura aderito al Califfato.
Anche l’operazione "Tempesta del Sud", l’offensiva lanciata lo scorso
luglio dall’Esercito siriano di liberazione – il fronte delle forze
moderate anti Assad - da Daraa, la città nel sud est della Siria, alle
frontiere con la Giordania, il Libano e Israele, con l’appoggio saudita e
del Qatar, si è esaurita per le resistenze delle forze regolari di
Damasco. Il quadro che risulta dal nuovo scenario siriano porta ad
affermare che la Siria e attraverso di essa la regione è sull'orlo di
una nuova fase; le potenze occidentali e arabe potrebbero ora
accantonare il progetto di far cadere il regime siriano e il suo
presidente, che era stato all’origine di una guerra civile che ha ucciso
fino ad ora oltre duecento cinquanta mila persone, moltissimi
innocenti, donne e bambini, distrutto un paese e portato all’esodo
forzato milioni di disperati. Ma questo non significa che la guerra in
Siria è finita.
Diciamo la verità: la figuraccia mondiale dei tedeschi con
l’ecotruffa su scala mondiale della Volkswagen ha riempito di
soddisfazione tanti di noi. Non è bello né sportivo gioiere dei mali
altrui, ma la Germania ci sta sullo stomaco da troppo tempo. Un
sentimento che ha radici profonde. Oggi un po’ tutti si sentono un po’
più liberi di esternarlo. Ma questo giornale – per esempio – quasi tre
anni fa apriva la prima pagina con un’inchiesta sulla criminalità nel
Paese che negli anni 80 ci descriveva come “spaghetti e P38”. Pochi ne
parlavano – e ne parlano – ma in fatto di cosche criminali in Germania
non sono affatto inferiori alle “premiate ditte” delle nostre mafia e
camorra. E non finisce qui. Tra i primi abbiamo raccontato come il
sedicente buonismo della Merkel sui profughi “puzzava” di opportunismo.
Capito che una qualche quota di immigrati l’avrebbero dovuta prendere
pure loro, i tedeschi hanno avuto la pensata di spezzare il fronte delle
frontiere bloccate e acchiapparsi così i migranti migliori, magari quei
siriani scolarizzati che possono inserirsi meglio nella loro potente
macchina produttiva.
RIGORE ECONOMICO
Oggi invece l’ondata antitedesca scuote il mondo e la Germania che torna
a scherzare con i gas, questa volta per fortuna solo dei motori
Volkswagen, è un bersaglio facile per tutti. L’inganno d’altra parte è
imperdonabile, perché l’inquinamento è cosa seria e se saltasse fuori
che il Governo di Berlino sapeva, i responsabili dovrebbero solo sparire
da ogni scena pubblica. L’antipatia per i teutonici però ha radici più
profonde, persino in un’Europa dove gli scambi culturali hanno
avvicinato intere generazioni e la miss Italia di turno ha ormai solo
un’idea confusa di quella che fu la seconda guerra mondiale. Radici che
affondano nel rigore economico imposto a milioni di persone. Un vizio
che la Merkel non può nascondere neppure con il buonismo dell’ultima ora
sui migranti. E cosa c’è dietro questa “antipatia”? C’è essenzialemente
quel ruolo di locomotiva dell’Europa che i tedeschi hanno saputo
svolgere solo in parte, facendocela per altro costare cara. la vicenda
del rigore sui conti pubblici e l’austerità hanno mandato sul lastrico
milioni di persone. Berlino si è arricchita con i giochini dello spread,
e tutti gli altri sono andati a gambe all’aria. Baste vedere la vicenda
greca. I tedeschi hanno interpretato quel senso egoistico e interessato
che l’Unione europea doveva arginare per far prevalere la solidarietà.
IL COSTO DEI FALCHI
Le cose però non sono andate così. La Banca centrale ci ha messo anni
per immettere un po’ di liquidità monetaria e Berlino si è opposta fino
all’ultimo con i suoi falchi del rigore. Il risultato è stato il
progressivo impoverimento di Stati che prima di entrare nell’Euro erano
sicuramente più ricchi e meno indebitati. L’Euro si dirà che ci ha
salvato dalle tempeste monetarie. Non c’è dubbio. Ma saremmo stati più
grati se il prezzo da pagere non fosse stata una sostanziale perdita
della nostra sovranità. Operazioni come l’insediamento del premier mario
Monti (ma anche dei due successivi) mostrano da lontano di essere state
gradite (se non pilotate) dalla cancelleria di Berlino e dai mercati
che le sono collegati. Di qui un’antipatia che ha radici oggi profonde. E
che però la Germania non sembra voler fare molto per tagliare.
di Monica Tagliapietra - 25 settembre 2015
fonte: lanotiziagiornale.it/
Martedì
22 settembre il presidente Xi Jinping ha inaugurato la sua prima visita
ufficiale negli Stati Uniti. Dato il momento cruciale per i rapporti
fra le prime due economie del mondo, oggi caratterizzati da contrasti
sulla cyber security e sulle dispute territoriali nel Mar cinese
meridionale, il viaggio è un’occasione per rassicurare il mondo
imprenditoriale americano sulla tenuta dell’economia cinese dopo la
crisi finanziaria estiva e sulla volontà del governo di Pechino di
aprirsi sempre più ai mercati internazionali. Tuttavia, il senso
politico dell’incontro con Barack Obama va ricercato nel tentativo di
costruire una solida relazione fra Cina e Usa. Il consenso sulla lotta
al cambiamento climatico potrebbe definire un nuovo modello per la
gestione delle politiche internazionali. Dal dialogo tra Obama e Xi
dipendono molte delle principali questioni internazionali: il ruolo
della Russia, la partecipazione cinese alla governance politica ed
economica globale, le politiche energetiche e finanziarie. Nonostante
entrambi gli attori non parlino apertamente di G2, la costruzione di un
“nuovo rapporto fra grandi potenze” passa inevitabilmente per un ruolo
da protagonisti di Cina e Stati Uniti.
Siamo a Nuoro. Fabio Fancello era consigliere provinciale prima che l’ente venisse messo in liquidazione, come previsto dalla riforma di Graziano Delrio.
Aveva ricevuto più soldi di quanto gli spettasse per un calcolo
sbagliato degli uffici tecnici in merito al conteggio dei gettoni di
presenza. Per l’esattezza 3.700 euro in più. Fancello, però, voleva
restituire la somma indebitamente ricevuta. Ma non gli è stato
possibile. Un caso paradossale, ma che racconta adeguatamente la realtà
dell’Italia post-riforma Delrio.
IL TRUCCHETTO
La legge, però, parla chiaro: non sono previste indennità per le cariche
provinciali. Peccato però che i vari consigli provinciali hanno pensato
bene di dissanguare le già esigue casse, godendosi e collezionando
gettoni di presenza. A Bergamo, per esempio, nel periodo gennaio-aprile
2014, c’è stata una corsa incredibile alle commissioni. Sedute su tutto
per collezionare quante più presenze possibili, tanto che, alla fine, i
consiglieri si sono divisi 85 mila euro, più i ben 10 mila per i viaggi
istituzionali. Ma c’è anche chi ha fatto meglio di così. Siamo a
Sassari, in Sardegna. Qui per ogni presenza in commissione o in aula,
l’ente sgancia gettoni da 116 euro. Detta così, non sembra una gran
somma. Ma, fatti i dovuti calcoli, ecco che in un mese non sono pochi
coloro che riuscivano a portarsi a casa anche più di 4 mila euro. Non
male per chi ha rinunciato allo stipendio in nome di un taglio ai costi
della politica. Un andazzo, questo, che alla fine – deo gratias – si è
deciso di tagliare, ponendo un tetto alla collezione di gettoni. Incasso
massimo mensile: 1.518 euro. Che comunque, però, comporta una spesa
potenziale di oltre 50 mila euro. Meglio ancora è stato fatto a Reggio
Calabria: prima che l’ente a fine anno lasci il passo alla città
metropolitana, si lavora a più non posso. Addirittura in agosto, mese
nel quale le commissioni si sono riunite ben 18 volte, per una spesa
totale di 22.610 euro, ripartiti tra 23 consiglieri. Ma il nostro
viaggio tra i continui costi degli enti provinciali non finisce qui.
Andiamo ora a Campobasso. Secondo i dati disponibili sulla sezione
“amministrazione trasparente”, ecco che scopriamo che nel 2014 il
presidente della provincia Rosario De Matteis ancora ha
ricevuto indennità piena, più rimborsi vari, collezionando oltre 70
mila euro. Né sono stati da meno i quattro assessori e il vicepresidente
che, insieme, sono costati altri 200 mila euro. Curioso il rimborso,
poi, concesso all’assessore Alberto Tramontano a cui
l’ente ha restituito la cifra supergalattica di 3,80 euro. Troppo per
chiedere a Tramontano di pagare con i soldi suoi. Anzi nostri.
Nonostante abbia collezionato 41 mila euro nel 2014.
UN ESERCITO
Per non parlare, ancora, della marea di consulenti e dipendenti che
popolano gli uffici. Prendiamo la provincia di Isernia: 82 dipendenti e
81 collaboratori che costano oltre 4 milioni di euro. A Gorizia sono 186
dipendenti e 23 collaboratori (8 milioni) che costano, per ogni
friuliano, oltre 500 euro. Una vera e propria tassa.
Migranti: sull’immigrazione “abbiamo fatto la figura del paese che non conta nulla” – ha detto Romano Prodi, in un’intervista al talk di La7 Piazza Pulita – “oggettivamente siamo stati lasciati soli, finché il problema era italiano non se n’è curato nessuno”. Le parole di Prodi confermano un dubbio: ma l’Italia, sul piano internazionale, conta ancora qualcosa?
Migranti: snobbati?
Non è un buon momento per parlare del ruolo internazionale dell’Italia. Solo ieri abbiamo incassato una cocente delusione: non siamo stati “invitati” al vertice di Parigi su Libia, Siria,
immigrazione e nucleare iraniano che, invece, ha visto protagonisti i
ministri degli Esteri francese Fabius, quello tedesco Steinmaier e il
britannico Hammond, oltre a Federica Mogherini, capo della diplomazia Ue.
Nonostante il nostro paese sia uno dei
maggiormente colpiti dall’ondata migratoria (l’argomento più caldo sul
tavolo), pare che a Roma non siano stati neanche avvertiti
“ufficialmente” dell’incontro. La Farnesina non ha commentato
l’accaduto; da Bruxelles, d’altra parte, si è precisato
che il colloquio era stato articolato esclusivamente in base alla
partecipazione dei componenti europei del gruppo dei 5+1.
Migranti: chi è causa del suo mal…
Il risentimento che si può provare di
fronte alla dura realtà è comprensibile. Tuttavia, si è chiesto
giustamente qualcuno: anche se l’Italia fosse stata invitata, cosa avrebbe potuto dire? Come ha notato Alberto Negri, sul Corriere della Sera, per esempio, sulla Siria ci siamo sempre adeguati alla versione degli Usa e dei loro alleati mediorientali.
Vedendo, però, che Assad di andarsene non ne vuole sapere, proprio come l’Isis, abbiamo provato a correggere il tiro (Gentiloni,
di recente, ha sposato la linea del negoziato, della “transizione” che
eviti il “vuoto” politico). Troppo tardi; la scacchiera siriana è
completa e non c’è più alcun posto da occupare: la guerra finirà quando Usa (monarchie del Golfo) e Russia (Iran) riusciranno ad accordarsi sul nuovo “balance of power” da istituire in Medioriente.
Ma se c’è stato un momento in cui l’Italia
ha (quasi) totalmente perso l’occasione di contare ancora qualcosa
sullo scenario internazionale, quel momento risale al 2011, quando
cominciarono i raid contro la Libia di Gheddafi.
Nel 2010 avevamo firmato un “trattato per la cooperazione e la
sicurezza” con Tripoli: appena un anno dopo non solo non siamo riusciti a
impedire i bombardamenti, successivamente vi abbiamo anche partecipato.
L’Eni, però, in Libia,
c’è rimasta e gli stessi libici avrebbero voluto una missione a guida
italiana per ricostruire il paese: prima che si prendesse una decisione è
arrivato l’Is, qualcuno su entrambe le sponde del Mediterraneo è convinto che, al momento, sia meglio così. Allora diciamo che almeno Mare Nostrum e Triton sono stati un “successo”? Diciamolo, ma continuiamo a nasconderci dietro un dito.
In realtà, tornando allo “smacco”
parigino di ieri, “l’Italia è felice di non partecipare a questi
vertici”: addirittura, nel 2004, nonostante l’Iran ci
avesse chiaramente invitato al tavolo dei negoziati sul nucleare,
insieme al gruppo dei 5+1, abbiamo rifiutato di partecipare senza farci
troppo problemi, ricorda sempre Negri. In conclusione,
forse perché ogni volta che usciamo fuori dal coro, forse perché
talvolta ci “conviene”, siamo troppo “mainstream” e troppo poco
indipendenti.
Ma allora perché siamo andati nei Balcani, in Kosovo, in Libano, in Afghanistan e in Iraq? Perché sostenere alti costi, anche in termini di vite umane, per cercare di avere un ruolo che nessuno ci riconosce?
L’informazione è in malafede, diffonde boiate pazzesche e ci
ricama pure sopra. La riprova viene fornita da due notizie (false e
tendenziose) dei giorni passati, la storiella del responso positivo
delle Borse alla volontà europea di accogliere tutti i migranti o,
peggio, la storia che l’opinione pubblica sarebbe indignata per la
presenza dei Casamonica negli studi di “Porta a Porta”.
La prima dimostra che le Borse sono totalmente scollegate
dall’economia e dal lavoro. Influenzate da oscuri interessi di
speculatori che, tramite certa stampa, perseguono il fine di plasmare
l’opinione pubblica. La seconda porta con sé due domande: dov’era chi
s’indigna per i Casamonica a Porta a Porta quando gli zingari
usucapivano i terreni e poi vi costruivano i villoni condonati dai
provvedimenti di almeno cinque o sei giunte capitoline? È evidente che
il 95 per cento degli italiani non la pensi come i vari burattinai della
casta dei giornalisti. La gente oggi non ha più una fetta di prosciutto
sugli occhi: per fortuna, o causa crisi, il pregiato salume è già stato
trangugiato e digerito. Così l’uomo della strada ha occhi aperti e
piedi ben piantati per terra. Sa di avere tra familiari ed amici gente
che è stata costretta a scappare dall’Italia e dall’Europa per motivi
strettamente economici, che ha dovuto accettare un lavoro in Australia
per l’equivalente dei nostri 700 euro mensili e per svolgere lavori
bracciantili e da manovale: piccolo particolare, l’80 per cento dei
giovani italiani che fugge in Australia è in possesso di una laurea, e
tra loro molti sono più specializzati di quelli oggi accolti dalla
Merkel. Come si può convincere l’uomo della strada che i migranti fanno
volare le Borse e impennano il nostro Pil? Alcuni giornali e tivù ci
stanno provando, a darne notizia sono giovani pennivendoli che mai hanno
fatto gavetta poiché figli di gente influente: il defunto Indro avrebbe
detto: “Assunti nei giornali perché figli scemi di gente importante”.
L’afasia è più che evidente. Come mai fino a qualche mese fa i
proventi criminali delle popolazioni nomadi servivano a migliorare il
rapporto deficit/Pil dell’Italia e di altri Paesi Ue? È utile ricordare
ai signori Renzi e Marino che i vari Casamonica d’Italia sono serviti a
far apparire più rosei i nostri conti economici. Anzi, la stessa Unione
europea ha permesso che i Paesi membri inserissero nei Pil nazionali il
reddito generato da truffe, spaccio di droga, sfruttamento della
prostituzione, lavoro nero e mafiosate varie. Ad inserire queste
“migliorie” nel Pil sono stati i governi di sinistra e centrosinistra.
Ma oggi il vento è cambiato e la Merkel ha detto che necessita
rimpatriare nei Balcani tra i 90 ed i 150mila slavi (per il 70 per cento
zingari), e perché sarebbero non in linea con gli standard formativi
dell’Ue. Il loro posto verrebbe colmato dalla nuova immigrazione che, a
detta dei soliti pennivendoli, sarebbe “più specializzata degli stessi
bamboccioni italiani con laurea”. Ecco che si torna ad augurare che i
giovani laureati italiani disoccupati (troppi secondo certi osservatori)
vadano a lavare i cessi, mentre ai nuovi arrivati si offrano posti di
responsabilità. Perché secondo i soliti Soloni sarebbero “moralmente ed
eticamente integri rispetto alla corrotta dirigenza italiana”. Speriamo
che oltre a farci pulire i bagni non ci processino secondo le regole dei
tribunali islamici.
Sembra che solo Vladimir Putin possa salvarci e svegliarci
dall’ubriacatura buonista e lasciva di questa becera Europa. Sbronza che
coinvolge gli Usa di Obama, attraversa la Germania della Merkel e
travolge piccoli Paesi come Italia, Grecia e Spagna. Con l’Isis alle
porte stiamo accogliendo indiscriminatamente e senza nemmeno chiedersi
chi siano e che cosa portino negli zaini. Ci siamo calati le mutande con
l’intero pianeta, incapaci di difendere nemmeno il più piccolo
presidio: la vicenda dei marò in India è l’emblema del metodo lascivo.
Per salvarci da questa narcolessia urge che Putin sconfigga il
Califfato: dopo la Russia puntellerà il regime di Bashar al-Assad,
dimostrando l’inutilità dell’Onu, assemblea ormai composta da furbissimi
musulmani ed occidentali privi d’identità ma con tantissimi interessi
sovranazionali. A servizio di questi ultimi c’è la stampa venduta al
sistema: pelosamente buonista, che si scandalizza dei Casamonica in
televisione o delle dichiarazioni di Salvini ma ignora i problemi
esistenziali del proprio vicino di casa.
Ali Mohammed al-Nimr,
condannato alla crocifissione, è stato accusato di aver partecipato a
manifestazioni di protesta vietate e di detenzione di armi da fuoco –
nonostante ci sia una totale mancanza di prove riguardo a quest'ultima
accusa, e gli è stata negata la possibilità di essere assistito da un
avvocato. Inoltre, a quanto asserito dai gruppi per i diritti umani,
Al-Nimr è stato torturato e poi costretto a firmare una confessione
mentre si trovava in carcere.
Non solo le autorità saudite si preparano a crocefiggere– nel
2015 – qualcuno che hanno torturato per costringerlo a confessare, ma si
preparano a crocefiggere qualcuno che era minorenne al momento
dell'arresto.
Purtroppo, non passa settimana senza che l'Arabia Saudita
dimostri al mondo perché gode della reputazione di essere una delle
maggiori fogne dei diritti umani al mondo.
La crocefissione è una pena di morte che, a quanto pare, non è solo conforme alla sharia, ma anche a Ginevra.
Il Consiglio per i diritti umani della Nazioni Unite (UNHRC) a
Ginevra è un'organizzazione contro cui si possono facilmente muovere
critiche, ma che difficilmente può essere oggetto di satira. Se si
dicesse a qualcuno che in Svizzera c'è un posto dove la concezione dei
diritti umani da parte del Sudan, dell'Iran e delle altre peggiori
dittature mondiali e di coloro che violano tali diritti viene accolta
con rispetto e deferenza, si potrebbe pensare che il copione sia stato
scritto dai Monty Python [un gruppo comico britannico, N.d.T.], dove a
un certo punto farebbe la sua comparsa Idi Amin per condividere le sue
idee su come migliorare la parità di trattamento fra uomini e donne sul
luogo di lavoro. E potrebbe anche spuntare Pol Pot per castigare quei
paesi in cui il tenore di vita non è stato debitamente alzato in
conformità alle medie globali.
Su quanto accade a Ginevra non si può ironizzare. Ma la settimana
scorsa anche gli standard delle Nazioni Unite si sono dimostrati
vergognosi. È saltato fuori, grazie all'eccellente organizzazione UN
Watch che l'Arabia Saudita è stata scelta per presiedere
un importante gruppo dell'UNHRC. Questo panel seleziona gli alti
funzionari che condividono gli standard internazionali in materia di
diritti umani e hanno il compito di segnalare le violazioni dei diritti
umani nel mondo. Il gruppo di 5 ambasciatori, guidato dall'Arabia
Saudita, è conosciuto come Gruppo consultivo e ha il potere di scegliere
i candidati che devono ricoprire più di 77 posizioni chiave in seno al
Consiglio per i diritti umani. Sembra che la nomina dell'inviato saudita
all'UNHRC, Faisal Trad, sia avvenuta prima dell'estate, ma che i
diplomatici di Ginevra abbiano mantenuto il silenzio a riguardo.
Il fatto che si sia saputo della nomina a distanza di mesi, non
esclude la possibilità che il Consiglio per i diritti umani delle
Nazioni Unite, contrariamente a quanto si pensi, di fatto, provi un
senso di colpa. Se non fosse così, perché non gridare ai quattro venti
che l'Arabia Saudita ha ottenuto questo incarico prestigioso? Perché non
diffondere un comunicato stampa? Dopo tutto, l'Arabia Saudita – e per
estensione l'UNHRC – non ha nulla di cui vergognarsi, vero?
Purtroppo, non passa settimana senza che l'Arabia Saudita dimostri al
mondo perché gode della reputazione di essere una delle maggiori fogne
dei diritti umani al mondo. Nel corso dell'ultimo anno, l'Arabia Saudita
potrebbe aver decapitato più persone dell'Isis, ma solo raramente
qualcuno di questi casi ha ottenuto più di un barlume di attenzione
internazionale. Di tanto in tanto, un caso viene cavalcato dall'opinione
pubblica, come quello del blogger Raif Badawi,
condannato a 10 anni di carcere e a 1000 frustrate per aver "offeso
l'Islam". La situazione difficile di Raif Badawi, che ha già ricevuto le
prime 50 frustrate ed è ancora in prigione in attesa del resto, ha
raccolto l'attenzione e ha ricevuto il biasimo di Riad. La reazione del
Regno è stata quella di denunciare fermamente "la campagna mediatica
sollevata intorno al caso".
Ma il clamore dell'opinione pubblica internazionale evidentemente
disturba le autorità saudite – e di questo bisogna tenerne conto. E non
si può dire che non abbiano nulla da nascondere. È di questa settimana
la notizia di un altro caso che dovrebbe ottenere la stessa attenzione
riservata alla vicenda di Raif Badawi.
Ali Mohammed al-Nimr
aveva 17 anni quando venne arrestato dalle autorità saudite nel 2012,
durante la repressione di una serie di proteste antigovernative, nella
provincia sciita di Qatif. Il ragazzo fu accusato di aver partecipato a
manifestazioni di protesta vietate e di detenzione di armi da fuoco –
nonostante ci sia una totale mancanza di prove riguardo a quest'ultima
accusa. Negatagli la possibilità di essere assistito da un avvocato, a
quanto asserito dai gruppi per i diritti umani, Al-Nimr è stato
torturato e poi costretto a firmare una confessione mentre si trovava in
carcere. Secondo gli attivisti, pare che il giovane sia stato preso di
mira dalle autorità perché nipote di Sheikh Nimr al-Nimr, il 53enne
[religioso sciita, N.d.T.] oppositore del regime saudita. Anche lo
sceicco è stato dichiarato colpevole e condannato a morte. Dopo la
confessione e il "processo", il nipote è stato giudicato colpevole da un
tribunale penale speciale e condannato a morte. Il processo non è
riuscito a osservare in alcun modo gli standard internazionali. Al-Nimr
si è appellato contro la sentenza, ma questa settimana la richiesta di
appello è stata respinta. Ora, è quindi probabile che zio e nipote
saranno giustiziati. Poiché le accuse mosse includono reati riguardanti
il sovrano saudita e lo Stato stesso, sembra che entrambi saranno
crocefissi.
I due dissidenti sauditi detenuti in carcere Raif Badawi (a sinistra) e Ali Mohammed al-Nimr (a destra).
Se questo causasse un briciolo di preoccupazione tra gli altri
partecipanti alla farsa dell'UNHRC in corso a Ginevra, beh, essi
avrebbero almeno una qualche consolazione. In Arabia Saudita, la
crocefissione non è più come un tempo. Prima la vittima viene decapitata
e successivamente crocefissa, per essere esposta al pubblico. Questa è
una pena che, a quanto pare, non è solo conforme alla sharia, ma anche a
Ginevra.
Naturalmente, Ali Mohammed al-Nimr era un ragazzo al momento
dell'arresto, pertanto, non solo le autorità saudite si preparano a
crocefiggere – nel 2015 – qualcuno che hanno torturato per costringerlo a
confessare, ma si preparano a crocefiggere qualcuno che era minorenne
quando è stato arrestato. Forse le autorità dell'UNHRC a Ginevra si
vergognano di aver incaricato i funzionari sauditi di presiedere i
gruppi del Consiglio Onu per i diritti umani. Ma questo non sembra
influenzare la loro condotta. Proprio come le autorità saudite pensano
che il problema sia "l'attenzione internazionale" e non la fustigazione a
morte o la crocefissione inflitta dopo la decapitazione, così l'UNHRC
sembra ritenere che il problema sia costituito dalla consapevolezza
pubblica dei suoi incarichi grotteschi e non dalle stesse nomine.
L'attenzione internazionale per il caso di Raif Badawi non ha ancora
permesso il suo rilascio, ma è riuscita a rinviare la prossima sessione
di frustrate. Il che sta a indicare che le autorità saudite hanno la
capacità di provare un po' di vergogna. Questo dovrebbe essere a sua
volta motivo di speranza tra coloro che hanno a cuore i diritti umani.
Dovrebbe anche ricordare a tutti di aumentare l'attenzione globale sul
caso di Ali Mohammed al-Nimr e di altri come lui che soffrono a causa di
un governo e di un sistema giudiziario che dovrebbero assolutamente
fare vergognare il mondo al di fuori di Ginevra, se non possono farlo le
Nazioni Unite.
Oggi 24 settembre 2015 scadeva la richiesta fatta dal tribunale di Amburgo per inoltrare il nuovo rapporto. Così infatti è riportato dallo stesso Tribunale: punto 2) - "Il
tribunale decide che Italia e India sottopongano ognuna al tribunale il
rapporto iniziale previsto nel paragrafo 138 non oltre il 24 settembre
2015 ed autorizzino il presidente, dopo quella data, a richiedere tale
informazione alle parti, nel modo in cui lui possa ritenerlo appropriato". Oggi pertanto
siamo arrivati all'ultimo giorno utile perchè questo sia fatto. Ma al
cittadino italiano non è dato tutt'ora sapere se ciò sia avvenuto o meno
in quanto i "nostri dipendenti" piuttosto che informare stanno più muti
dei pesci. Nessuna notizia trapela neppure dai media (ma questa non è
una novità).
Mi chiedo e chiedo al Governo se abbia ottemperato a questa richiesta.
Non ho più
alcuna fiducia in una risposta ne dalla Ministro Pinotti ne dal Ministro
Gentiloni anche perchè pur avendo entrambi un profilo pubblico sia su
Facebook che su Twitter seppur sollecitati non rispondono mai. Forse
queste pagine servono solo per uso personale? A tal proposito a titolo di esempio voglio inserire un mio commento postato recentemente proprio sulla pagina della Ministro e la sua risposta. In verità è una risposta che con il copia-incolla è stata data a tutti (o quasi) quelli che hanno commentato questo suo post.
Sono cosciente
di essere con questo commento offtopic ma per poter cercare di avere un
contatto con le Istituzioni non abbiamo altro modo.
Questo è stato il mio commento: "Dopo anni in cui pochi o nessuno dei media nostrani sembrava
essersi accorto della vicenda dei due Fucilieri di Marina, Massimiliano Latorre
e Salvatore Girone, tutto ad un tratto, dopo l'avvio dell'arbitrato
internazionale, si è visto un'improvviso aumento di articoli e notizie (dove
stavano prima questi signori?). In verità qualcuno di una certa parte politica
aveva anche scritto ma gli articoli era incentrati principalmente sulla
colpevolezza dei due marò a prescindere (le "divise", a certi, fanno
venire l'orticaria)". http://tentor-maurizio.blogspot.it/2015/09/i-maro-e-quella-certa-stampa-che-non-si.html
Risposta:
"Il 26 Giugno scorso l’Italia ha citato in giudizio l’India
davanti a un tribunale arbitrale internazionale per la vicenda che vede
coinvolti Massimiliano Latorre e Salvatore Girone. Lo abbiamo fatto per i
nostri soldati e per il nostro paese, perché rivendichiamo il diritto alla
giurisdizione esclusiva italiana sul caso, nonché il riconoscimento
dell’immunità funzionale dei nostri militari. Il Governo ha deciso di fare
questo passo dopo la chiusura dimostrata dall’India su possibili soluzioni concordate
della controversia, e ha deciso di agire con la massima determinazione per
portare a casa definitivamente Massimiliano e Salvatore. Il 24 Agosto abbiamo
avuto un primo risultato importate: il Tribunale per il Diritto del Mare ha
ordinato in via cautelare all’India di bloccare immediatamente il processo
penale a carico di Massimiliano e Salvatore, riconoscendo che la sua
prosecuzione avrebbe danneggiato i diritti dell’Italia. È un primo passo, ma è
lo sviluppo più importante e positivo che questa vicenda abbia registrato,
anche per le prospettive future che apre all’Italia. Nei prossimi giorni,
infatti, il Tribunale arbitrale che dovrà decidere definitivamente a chi spetti
la giurisdizione, sarà costituito e i suoi giudici inizieranno a lavorare a pieno
regime sul caso dei nostri fucilieri. I processi internazionali sono lunghi, ma
noi non vogliamo attendere anni: non appena il Tribunale sarà in condizioni di
funzionare, ci attiveremo per tutelare per via giudiziaria la posizione dei
nostri soldati e quella dell’Italia, anche prima della decisione definitiva del
caso."
La replica:
"Buona giornata ministro, la ringrazio per la
sua risposta. Vede io, ma non sono il solo, stiamo seguendo questa vicenda
dall'inizio (1310 giorni). Nessun "politico" in questo tempo ha mai
preso seriamente le difese o dichiarato l'innocenza di quei due servitori dello
Stato e mi chiedo il perchè, le prove non mancano. Nei cassetti romani ci sono
"carte" mai prese in considerazione (quali a esempio gli esposti e le
consulenze tecniche di Di Stefano, l’esposto del generale Termentini e firmato
da 377 cittadini, ...), perchè? Ora entro il 24 settembre, se non erro, il
tribunale aspetta gli incartamenti italiani e tra questi spero ci siano anche
le perizie fatte dal Consulente Tecnico su riportato. Ma non mi voglio
dilungare ulteriormente e spero solo di vedere finalmente un Governo che
riesca, come prima cosa a portare in Italia e alla sua famiglia Salvatore, fare
in modo che Massimiliano ci resti perchè nulla hanno a che fare con quella
vicenda". https://www.youtube.com/watch?v=F76MJcV4_U4 (A questo scritto ho messo anche altri due link che si trovano qui sotto come allegati).
Mentre il generale Haftar annuncia una nuova
operazione militare su Bengasi, a Tripoli si spacca Alba Libica, a sua
volta in lotta con lo Stato Islamico. Solo l’ONU crede che la fine di
questo dramma sia vicina
Mentre a Skhirat, in Marocco, tra giovedì 17 e domenica 20 settembre è
andato in scena l’ultimo dei teatrini diplomatici tanto cari alla
comunità internazionale – impegnata attraverso la missione ONU in Libia
(UNSMIL) a formare un governo di unità nazionale – di tutt’altro tenore
si è dimostrato il dramma vissuto in Tripolitania e Cirenaica, nelle
stesse ore.
Cirenaica: la nuova operazione di Haftar
Il 19 settembre, il Generale Khalifa Haftar ha annunciato l’avvio di una nuova offensiva militare su Bengasi. L’operazione Hatf (dal nome di una delle potenti spade di Maometto) o Doom
(come scrivono i media internazionali, dal significato non meno
apocalittico) è volta a colpire tutte le milizie jihadiste presenti in
città e prevede una più intensa collaborazione tra le forze di terra e
di aria dell’esercito nazionale libico. Un annuncio foriero di nuove
battaglie e distruzioni (stime UNHCR contano almeno centomila sfollati
provenienti da Bengasi, sui quasi quattrocentomila totali) che stride
con le dichiarazioni secondo cui un accordo tra Tripoli e Tobruk è
“sempre più vicino”.
L’inviato ONU Bernardino Leon ha infatti congedato domenica, in
chiusura dell’ultima sessione del Dialogo Nazionale, i delegati dei due
parlamenti libici (rientrati a Tobruk e Tripoli per vagliare la proposta
con i rispettivi deputati), con la promessa di annunciare l’accordo
finale tra le parti entro le prossime 48 ore. In questo clima,
l’operazione di Haftar è stata ovviamente denunciata dalla comunità
internazionale come un dichiarato atto di ostilità all’iniziativa di
riconciliazione.
Il mediatore ONU al tavolo di pace
Tripolitania: Stato islamico contro Alba Libica
A osteggiare il Dialogo Nazionale, tuttavia, sono giunti nei giorni
scorsi chiari segnali anche da Tripoli: il 17 settembre, durante una
seduta del Congresso Nazionale Generale volta a individuare consensi
sulla lista di candidati da presentare a Leon, la sede del parlamento
tripolino è stata presa d’assalto da uomini armati che hanno interrotto i
lavori. Tra i possibili responsabili del sabotaggio, Libya Herald
ha citato il fervente oppositore dell’iniziativa di riconciliazione,
Salah Badi, già alla guida delle milizie denominate “Alba Libica 2” o
“Fronte della Determinazione” (Sumud), nate da una spaccatura interna alle milizie islamiste riunite sotto il cappello di Alba Libica.
Altre fonti ipotizzano la presenza sempre più tangibile nella
capitale di milizie legate allo Stato Islamico, che da Derna negli
ultimi mesi hanno raggiunto Sirte, che dista 450 km da Tripoli. Il punto
di forza della strategia dell’ISIS (che mina fortemente gli esiti del
processo di riconciliazione nazionale) sta proprio nell’attrarre il
malcontento popolare circa un intervento politico “straniero”, giudicato
come un’ingerenza inaccettabile da molti libici. Al tempo stesso,
l’organizzazione jihadista di Al-Baghdadi punta a raccogliere adesioni
locali nella sua personalissima lotta agli “apostati” di Alba Libica –
come vengono definite le milizie islamiste nell’ultimo numero del Dabiq,
la rivista ufficiale dello Stato Islamico in lingua inglese – mentre la
presenza di ISIS sul territorio libico viene ufficializzata da Abul
Mughirah al Qahtani, presentato come responsabile dello Stato Islamico
in Libia.
Il 19 settembre, a due giorni dall’attacco al Congresso, un commando
armato ha attaccato una prigione che si trova presso l’aeroporto di
Mitiga a Tripoli con l’intento di liberare alcuni detenuti. La prigione è
gestita dal ministero dell’Interno del governo tripolino di Khalifa Al
Ghweil, e controllata dalle milizie di Alba Libica. In questo caso, le
fonti hanno parlato di miliziani legati allo Stato Islamico, sebbene non
sia da escludere l’ipotesi della spaccatura interna tra le varie anime
di Alba Libica, dopo che la formazione ha giurato fedeltà a Salah Badi.
L’esercito regolare a Bengasi
Il nuovo Fronte degli esiliati gheddafiani
Giunge intanto dal Cairo la notizia della formazione di un nuovo fronte politico denominato Nidal
(“La Battaglia”), costituito principalmente da emigrati libici ed ex
membri del regime di Muhammar Gheddafi. Ufficialmente, il gruppo è
guidato dall’ex ambasciatore libico in Arabia Saudita, Mohamed Saeed
Algashatt, sebbene sia da considerarsi più un prodotto del cugino di
Gheddafi e suo fidato responsabile della Sicurezza, Ahmed Qaddaf Al-Dam,
il quale oggi risiede nella capitale egiziana.
Nel comunicato programmatico della nuova formazione politica, il
Comitato Centrale asserisce di voler costruire una nuova Libia
inclusiva, sostenendo l’iniziativa di riconciliazione e suggerendo
un’amnistia generale per tutte le conseguenze della guerra civile. Ma
non esita a criticare i “traditori”, con chiare allusioni a Francia e
Gran Bretagna, che hanno sostenuto la Rivoluzione e contribuito al
crollo del Paese.
di Marta Pranzetti @BlogArabaFenice - 22 settembre 2015
fonte: http://www.lookoutnews.it
*La macchina della propaganda jihadista si è messa in moto anche
sulla drammatica vicenda dei migranti. Prima la pubblicazione su Dabiq
della famosa foto del piccolo Aylan Kurdi esanime su una spiaggia turca,
accompagnata dalla scritta “The danger of abandoning Darul Al Islam”
(Il pericolo di abbandonare la Casa dell’Islam); ora ecco un
video-patchwork, fatto circolare nei canali legati all’ISIS e prodotto
dalla nota Asawirtimedia.
Si rivolge “a tutti i profughi delle terre della coalizione
cristiana” e descrive l’odissea di chi bussa alle porte d’Europa,
mischiando le immagini dei migranti respinti e arrestati sul fronte
balcanico della crisi a quelle dei salvataggi nel Mediterraneo.
Spunta
anche un grande logo della Marina Militare italiana, nella parte del
video in cui si propone, strumentalizzandolo, un servizio televisivo con
le riprese di interventi di soccorso in acqua.
Il collage iniziale è accompagnato da una canzone con un testo carico
di dolore e tristezza ed è seguito da alcune testimonianze. Una donna
dice: “hanno picchiato mio marito. Per me lui per me é tutto, non voglio
che lo picchino”.
Un ragazzo denuncia: “siamo qui da tre giorni sotto il sole senza cibo e acqua e non ci dicono niente.
Ci trattano da impuri”. Un altro racconta: “ci hanno maltrattato in
Turchia, ci hanno maltrattato in Grecia e ci hanno maltrattato in
Serbia, ma il maltrattamento peggiore é stato in Ungheria. Ci hanno
mentito dicendo che se ci facevamo prendere le impronte digitali ci
facevano andare a Budapest, invece siamo reclusi qui e non possiamo
andare da nessuna parte, neanche in Germania”.
Dopo
il terzo minuto interviene Abu Bakr Al Baghdadi in persona. E’ la sua
voce , a rivolgersi ai migranti con toni accorati. “I nostri cuori –
afferma – sono spezzati. Avete lasciato le vostre abitazioni e i vostri
Paesi, ora siete profughi.
Tornate a casa e potrete contare su Dio e sullo Stato Islamico. Qui
troverete il calore umano e la sicurezza. Voi siete le nostre famiglie, e
noi difenderemo voi e i vostri beni. Vogliamo la vostra dignità, la
vostra sicurezza e la vostra salvezza dall’inferno”.
Più avanti Al Baghdadi insiste: “i musulmani da noi vivono con
dignità, stanno bene economicamente e vivono la loro vita familiare e
lavorativa sotto l’ombrello della Sharia, grazie a Dio. Dovete contare
su Dio e sullo Stato Islamico”.
Analisti interpellati da WikiLao
sottolineano un sottotesto del messaggio, che va pesato considerando
che “chi anche lo volesse, avrebbe serie difficoltà a rimettersi in
viaggio in tempi brevi, stavolta verso le zone controllate dall’ISIS”.
Il video è ritenuto “parte di una sofisticata operazione-simpatia”
avviata dall’autoproclamato Califfato e che “rischia effettivamente di
fare presa fra chi, sentendo tradite le aspettative del suo viaggio
verso l’Europa, potrebbe raccogliere l’invito alla radicalizzazione”,
anche rimanendo in quelle terre cristiane nelle quali, è comunque
l’intendimento esplicitato nel filmato, si vuole comunque entrare. Col
solo interrogativo, ripetuto due volte: “da quale porta?”.
Immagini tratte dal video dell’Isis
di Redazione -18 settembre 2015
fonte: analisidifesa.it
Oggi le navi della Marina Militare Bergamini, Bettica e Vega,
impegnate nel dispositivo Mare Sicuro, l’unità croata Mohorovicic della
missione europea Triton (gestita dall’Agenzia Frontex), l’unità tedesca
Schleswig-Holstein e la britannica Enterpreise appartenenti alla
missione Eunavfor Med (che dovrebbe contrastare i trafficanti) e le navi
civili Phoenix e Bourbon Argos appartenenti ad organizzazioni non
governative hanno raccolto in mare 4.314 immigrati clandestini a bordo
di 28 barconi e gommoni messi in mare dalle organizzazioni criminali
basate in Libia. Verranno tutti sbarcati in Italia nelle prossime ore.
Anche
oggi, con i soldi dei contribuenti italiani ed europei, è stato
concesso l’ingresso in Italia e in Europa a persone che finanziano il
crimine organizzato connesso col terrorismo islamico, che non hanno
nessun visto né in molti casi documenti e che per la stragrande
maggioranza non hanno titoli per chiedere asilo.
Meno di un quinto degli immigrati giunti illegalmente in Europa sono siriani.
In Italia il direttore centrale per l’immigrazione e Polizia di
frontiera Giovanni Pinto ha detto a Sky TG 24 che “in realtà sono
venuti meno sensibilmente i siriani, ridotti a poco più di 6 mila allo
stato attuale, e anche gli eritrei stazionano più o meno allo stesso
numero dell’anno scorso.
Questo significa che è cambiata completamente la natura del flusso:
non ci sono più tanti candidati all’asilo, ma soprattutto, come si suole
dire oggi migranti economici”.
Che
però noi accogliamo ugualmente e che forse un giorno dovrebbero venire
espulsi a spese della Ue (?) ma solo in accordo con i Paesi di
provenienza.
Quindi resteranno qui. Lo ha detto, tra le righe, lo stesso
sottosegretario all’Interno con delega all’immigrazione, Domenico
Manzione intervenendo giovedì mattina ad Agorà su Rai 3. I migranti che
non hanno diritto d’asilo non possono essere automaticamente
rimpatriati. “Il percorso è complesso e va fatto insieme ai paesi
d’origine”.
Valutando in 2.300 euro il costo del “biglietto” pagato da ogni
immigrati illegale (compreso secondo le testimonianze tra i 1.500 e i
4.000 euro) ai trafficanti le organizzazioni criminali hanno incassato
solo oggi grazie alle operazioni militari di Italia e Ue circa 10
milioni di euro.
Considerando che dall’inizio dell’anno ne sono sbarcati 130 mila da
gennaio i criminali hanno incassato circa 300 milioni di euro, 400
l’anno scorso quando sbarcarono in Italia in 170 mila.
Un
socio dell'agenzia di trasferimento di denaro durante
un'intercettazione: "In quel money transfer stanno riciclando i soldi
della mafia"
Un flusso di denaro che basterebbe per abolire Imu e Tasi. Oltre 4,5 miliardi di euro sottratti allo Stato e che sono spariti in Cina.
L'inchiesta, come riporta La Stampa, è partita nel 2008 da parte della Guardia di Finanza di Firenze. Le fiamme gialle, all'epoca notano che un operatore di money transfer di Bologna movimenta tanti soldi nell'area fiorentina.
Dopo
un incrocio di dati, i conti non tornano: troppo denaro - milioni di
euro - per troppo pochi clienti. Si scopre così che nella piccola
agenzia bolognese, gestita anche da cittadini cinesi, si utlizza un
semplice accorgimento per evitare il limite che farebbe scattare le
segnalazioni automatiche per l'antiriciclaggio, fissato a 2mila euro: spezzettare il flusso di denaro in trasferimenti di 1999,99 euro.
A trasferire il denaro, cinesi morti, inesistenti o ignari. In pochi anni il fatturato della Money2Money passa da 85 milioni di euro a oltre 400.
Il giro di denaro porta a galla un nero proventiente
da contraffazione, sfruttamento della prostituzione e gioco d'azzardo.
Le indagini portano anche alla scoperta di un'evasione fiscale imponente
da parte di molti commercianti cinesi: chi dichiara 17mila euro di
reddito allo stato italiano e spedisce 1,89 milioni di euro in Cina o
chi ne manda oltre 800mila euro e per il nostro fisco non esiste
neanche.
La scorsa primavera c'è stata la richiesta di rinvio a
giudizio per le oltre 297 persone fisiche e società coinvolte, mentre a
marzo 2016 ci sarà l'udienza dal Gup. Nel frattempo, bisognerà tradurre
in cinese un'infinità di carte processuali.
L'Erario al momento ha
contestato appena 50 milioni di quella marea di denaro che basterebbe
allo Stato per rendere migliore la vita degli italiani, con qualche
tassa in meno da pagare.
La mossa dei burocrati di
Bruxelles volta a costringere i paesi europei a spalancare le loro
frontiere – chiedendogli di offrire ai migranti indumenti, cibo,
alloggio e assistenza sanitaria per un periodo indefinito di tempo – non
solo rappresenta un'audace usurpazione della sovranità nazionale, ma
incoraggia altresì milioni di altri migranti provenienti dal mondo arabo
a iniziare a dirigersi verso l'Europa.
"Stiamo affrontando una crisi di profughi, una crisi migratoria.
(...) Non dimentichiamo che coloro che arrivano qui sono cresciuti con
una religione diversa e hanno una cultura radicalmente differente. Quasi
tutti non sono cristiani, ma musulmani. La questione è importante
perché l'Europa e l'identità europea hanno radici cristiane. Non è già
preoccupante in sé che il cristianesimo europeo non sia quasi più capace
di mantenere l'Europa nel sistema dei valori cristiani? Se si perde di
vista questo, l'idea dell'Europa potrebbe diventare di importanza
secondaria nel suo stesso continente." – Il premier ungherese Viktor
Orbán.
"Il continente sta vivendo massicci spostamenti di popolazione
senza precedenti dal periodo successivo alla Seconda guerra mondiale. Ma
in questo caso non sono gli europei a compiere questi spostamenti di
massa. (...) Il controllo dei propri confini è una delle caratteristiche
– e delle responsabilità – più importanti di uno Stato moderno. I paesi
perdono il controllo del proprio destino e cessano di esistere quando
non riescono a controllare chi arriva." – Arthur Chrenkoff, New York Obesrver
Le statistiche mostrano che delle 625.920 persone che hanno
presentato domanda di asilo nell'Unione Europea, solo il 29,5 per cento
arriva dalla Siria, dall'Afghanistan e dall'Iraq.
"Se qui non vi piace, andatevene." – Il presidente della
Repubblica ceca Milos Zeman che commenta il fatto che nessuno ha
invitato i migranti nel suo paese, ma una volta arrivati, essi devono
rispettare le norme ceche altrimenti se ne possono andare.
"La lezione per gli Stati Uniti è che ridurre la nostra influenza
globale non accresce la pace e la sicurezza internazionale. Proprio il
contrario. Il ritiro di Obama dal Medio Oriente, il suo disinteresse per
la continua avanzata dello Stato islamico o la sua resa al programma
nucleare iraniano, fanno parte di un disegno più ampio." – Ambasciatore
John R. Bolton, Fox News Opinion.
"Poiché la Slovacchia è un paese cristiano, non possiamo
tollerare un afflusso di 300.000-400-000 immigrati musulmani che
potrebbero cominciare a costruire moschee in tutto il nostro territorio e
a cercare di cambiare la natura, la cultura e i valori dello Stato.
(...) Se non si comincia a dire la verità sulla migrazione, non faremo
passi avanti." – Il premier slovacco Robert Fico.
La Commissione europea, il potente braccio amministrativo dell'Unione
Europea, ha presentato un piano controverso che obbligherebbe i paesi
membri dell'UE ad accettare 160.000 migranti e profughi provenienti dal
Medio Oriente e dal Nord Africa.
La mossa dei burocrati di Bruxelles volta a costringere i paesi
europei a spalancare le loro frontiere – chiedendogli di offrire ai
migranti indumenti, cibo, alloggio e assistenza sanitaria per un periodo
indefinito di tempo – non solo rappresenta un'audace usurpazione della
sovranità nazionale, ma incoraggia altresì milioni di altri migranti
provenienti dal mondo arabo a iniziare a dirigersi verso l'Europa.
La proposta sulla migrazione, annunciata
il 9 settembre, "ricollocherebbe" 120.000 migranti attualmente presenti
in Grecia, Ungheria e Italia in altri paesi dell'Unione Europea. Questa
proposta si somma alla precedente proposta della Commissione del maggio scorso di ricollocare 40.000 migranti siriani ed eritrei dall'Italia e dalla Grecia.
La cancelliera tedesca Angela Merkel, la cui politica
dell'immigrazione della "porta aperta" è ritenuta parzialmente
responsabile di favorire l'afflusso dei migranti in Europa, ha già avvisato
che il piano della Commissione europea è "solo un primo passo" e che
l'Europa potrebbe dover accettare numeri sempre maggiori. Il
vicecancelliere tedesco Sigmar Gabriel ha detto che la Germania potrebbe accogliere 500.000 profughi all'anno per "diversi anni".
Benvenuti
in Germania! A sinistra, il cancelliere tedesco Angela Merkel. A
destra, alcune delle centinaia di migranti che sono arrivati a Monaco,
il 12 settembre 2015.
Non è ancora chiaro quanti migranti che arrivano in
Europa siano rifugiati in fuga dalle zone di guerra e quanti siano
migranti economici in cerca di una vita migliore in Occidente. Le
statistiche mostrano
che delle 625.920 persone che hanno presentato domanda di asilo
nell'Unione Europea, solo il 29,5 per cento arriva dalla Siria,
dall'Afghanistan e dall'Iraq.
I funzionari tedeschi ammettono
che il 40 per cento dei migranti giunti nel paese nel 2015 provengono
da paesi balcanici come l'Albania, il Kosovo e la Serbia, il che
significa che almeno la metà di coloro che sono entrati in Germania
quest'anno sono migranti economici in fuga dalla povertà e non dalla
guerra.
Gli osservatori critici descrivono in termini apocalittici il caos
della migrazione che sta travolgendo l'Europa e parlano di
"un'inarrestabile rivoluzione demografica", "uno scenario da Armageddon"
e di "un esodo di proporzioni bibliche".
Quella che segue è una selezioni di citazioni e commenti espressi da
una serie di capi politici e di opinion leader europei, e non solo,
sulle conseguenze di un'immigrazione sfrenata dal mondo musulmano.
In Gran Bretagna, l'euroscettico Nigel Farage, leader del
Partito per l'indipendenza del Regno Unito (Ukip), parlando dai
microfoni del programma radiofonico Today della BBC Radio 4 ha detto:
"Il nostro problema è che abbiamo aperto la porta a un
esodo di dimensioni bibliche di milioni e milioni di rifugiati. Abbiamo
perso di vista che cosa significa essere un rifugiato. Quanti milioni ne
vuole accettare l'Europa? Questo è l'interrogativo.
"I veri profughi tendono a essere gruppi di persone, gruppi etnici o
religiosi vittime di persecuzioni, che fuggono per timore di perdere la
vita. Il problema che abbiamo adesso è che se si guarda alla definizione
della politica comune in materia di asilo dell'Unione Europea, essa
include chiunque sia in fuga da un paese dilaniato dalla guerra, e
annovera anche chi fugge da una situazione di povertà estrema".
L'eurodeputata britannica Janice Atkinson ha asserito:
"Nessuno ha votato per l'immigrazione illegale.
Tantissime persone ci hanno messo qui per opporci a essa. Le centinaia
di migliaia di immigranti clandestini che sommergono le nostre frontiere
e le nostre capacità di far fronte alla situazione sono esattamente
questo: illegali.
"Cerchiamo di essere chiari su un'altra cosa: nonostante ciò che
ripetono l'industria dei diritti umani e il gran numero di lobby e di
enti di beneficenza finanziati dai contribuenti, questa non è una crisi
dei rifugiati, ma una massiccia crisi dell'immigrazione illegale che
deve essere contrastata per quella che è".
Lo scrittore e giornalista Peter Hitchens, in un saggio dal titolo "Non salveremo i profughi distruggendo il nostro paese", ha scritto:
"In realtà, non possiamo fare quello che ci pare di
questo paese. Lo abbiamo ereditato dai nostri genitori e nonni, e
abbiamo il dovere di consegnarlo ai nostri figli e nipoti,
preferibilmente migliorato e di certo non danneggiato. Questa è una
delle responsabilità più pesanti che abbiamo mai avuto. Non possiamo
darlo via d'impulso a dei perfetti sconosciuti, perché ci fa sentire
bene con noi stessi... .
"Grazie a un migliaio di anni di pace ininterrotta, abbiamo
sviluppato livelli sorprendenti di fiducia, sicurezza e libertà. (...)
Sono stupito di come lo stiamo regalando senza la minima preoccupazione.
"I nostri vantaggi dipendono molto dal nostro passato comune, dalle
tradizioni ereditate, dalle abitudini e dai ricordi. I nuovi arrivati
possono imparare tutto questo, ma solo se arrivano in numero esiguo.
L'immigrazione di massa implica che ci adattiamo a loro, quando
dovrebbero essere loro ad adattarsi a noi... .
"Così ora, in base a uno spasmo emotivo, travestito da civiltà e
generosità, diremo che abbandoniamo questa eredità e decliniamo il
nostro obbligo di trasmetterla, come gli eredi spossati e buoni a nulla
di una vecchia eredità, che lasciano che la grande casa e la tenuta
vadano in rovina?
"Non riesco a capire il senso né la giustizia nel permettere che
queste cose diventino un pretesto per un'inarrestabile rivoluzione
demografica, in cui l'Europa (tra cui, ahimè, le nostre isole) mescola
la propria cultura e l'economia al Nord Africa e al Medio Oriente. Se
lasciamo che questo accada, l'Europa perderebbe quasi tutte le cose che
inducono gli altri a voler vivere qui".
L'eurodeputato britannico Daniel Hannon ha avvertito che la politica
tedesca dell'immigrazione della "porta aperta" avvicina sempre più i
migranti al Vecchio Continente. Egli ha scritto:
"La convinzione che la Germania stia allentando la
propria politica è destinata a portare a un livello di migrazione che
supera qualsiasi cosa vista finora. I profughi e i migranti economici
saranno messi rapidamente insieme. Alcuni saranno calpestati e qualche
barcone verrà rovesciato. Ma molti altri raggiungeranno l'Italia e la
Grecia. Alla fine, i paesi membri dell'UE che sono in prima linea
smetteranno di cercare di far rispettare le regole e saluteranno con la
mano i nuovi arrivi sul loro territorio, mentre altri cercheranno sempre
più numerosi di tentare la traversata".
Il londinese Financial Timesha lamentato la mancanza di una risposta europea univoca alla crisi migratoria:
"Questa è stata una triste estate per gli ideali europei.
Da un blocco basato sulla ricerca della pace sono emerse immagini
terribili di profughi morti soffocati nelle piazzole di sosta delle
autostrade, di squallidi campi di fortuna, di bambini morti annegati e
trascinati a riva, di centri di accoglienza in fiamme, di numeri di
registrazione scritti sugli avambracci, di poliziotti con le divise nere
che spruzzano spray al peperoncino sulle famiglie in fuga dalla guerra.
Il Vecchio Continente è sommerso da richiedenti asilo, ma mancano le
funzioni centrali per far fronte a essi. L'Europa è divisa su cosa fare.
Costruire muri più alti? Stendere tappetini di benvenuto? È un problema
nazionale o dovrebbe essere un fardello da condividere?
Il politologo inglese Anthony Glees ha accusato il governo tedesco di
totale ipocrisia per aver chiesto alla Grecia di agire conformemente
alla legislazione dell'UE per ottenere un piano di salvataggio
finanziario, ma quello stesso governo tedesco ha ignorato
unilateralmente il diritto comunitario di aprire le frontiere europee
alle centinaia di migliaia di migranti provenienti dal mondo musulmano.
Egli ha detto:
"Le placche tettoniche dell'Europa si muoveranno se la
Germania si comporta come uno Stato hippy, guidato solo dai sentimenti.
Il premier David Cameron ha detto, a giusto titolo, che il Regno Unito
deve agire non solo con il cuore, ma anche con la testa. E allora ci si
chiede: 'Se Frau Merkel ora persegue questa politica, che è ben diversa
da quella perseguita nei confronti della Grecia, dove andremo a finire?'
Il Regno Unito già interviene militarmente nella lotta contro il
cosiddetto Stato islamico. La Germania, però, mantiene le distanze da
queste cose. Ma poi al contempo dice alla gente disperata proveniente
dalla Siria e dall'Iraq di recarsi nella Repubblica federale tedesca, e
questo per molti britannici è privo di senso. Questa situazione sembra
non avere fine!
"Credo che ancora la Germania nutra dei sentimenti storici che sono
completamente assenti in Gran Bretagna. Può darsi che nel 2015, si
ricordi ancora cosa sia accaduto con i profughi prima della Seconda
guerra mondiale (1938-1939). Ma nel Regno Unito, dove non solo stiamo
combattendo il terrorismo, affrontando la questione dei migranti
economici, ma stiamo anche fronteggiando il problema umanitario,
l'approccio tedesco sembra superficiale e non accuratamente ponderato,
soprattutto quando i tedeschi non rispetteranno le regole. A prescindere
da cosa si pensi del governo ungherese, le regole sono regole, e se la
Germania non le rispetterà, l'intera Unione Europea rischia di
sgretolarsi.
A Bruxelles, l'autoproclamata capitale dell'Europa, il
presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, ha insistito
sul fatto che l'immigrazione dai paesi musulmani costituirebbe una
soluzione al declino demografico del Vecchio Continente. Egli ha detto:
"Non dimentichiamo che siamo un continente che invecchia e
affronta un declino demografico. Avremo bisogno di talenti. Col tempo,
l'immigrazione deve essere trasformata da un problema a una risorsa ben
gestita. A tal fine, la Commissione europea presenterà un pacchetto ben
concepito sull'immigrazione legale entro l'inizio del 2016".
Nel suo discorso del 9 settembre sul cosiddetto Stato dell'Unione Europea, Juncker ha asserito che non esiste alcuna differenza tra migranti cristiani, ebrei e musulmani. Egli ha chiosato:
"L'Europa in passato ha commesso l'errore di distinguere
tra ebrei, cristiani e musulmani. Non ci sono distinzioni di religione,
credo o filosofia quando si è rifugiati".
Sebbene la disoccupazione sia dilagante in seno all'UE, soprattutto tra i giovani europei, Juncker ha detto:
"Sono fortemente favorevole a far lavorare i rifugiati
ospitati nei Paesi europei e permettere loro di guadagnarsi da vivere.
Il lavoro è dignità (...) pertanto, dobbiamo fare di tutto per cambiare
la nostra legislazione nazionale al fine di permettere ai profughi, ai
migranti, di lavorare sin dal primo giorno del loro arrivo in Europa".
Nella Repubblica ceca, il presidente Milos Zeman ha affermato
che nessuno ha invitato i migranti nel suo paese, ma una volta arrivati,
essi devono rispettare le norme ceche altrimenti se ne possono andare.
Egli ha asserito:
"Se qui non vi piace, andatevene. Qualcuno potrebbe
considerare queste parole come un appello agli istinti umani più biechi,
ma questa è la stessa posizione condivisa dagli ungheresi che hanno
costruito una recinzione lungo il confine con la Serbia, così come gli
americani che hanno costruito una barriera di separazione al confine con
il Messico".
In Danimarca, Andreas Kamm, il segretario generale del Danish Refugee Council (Dansk Flygtningehjælp), ha avvertito che l'attuale crisi dei rifugiati potrebbe portare al crollo totale della società europea. In un'intervista al quotidiano Jyllands-Posten, Kamm ha detto che l'Europa si trova di fronte a "uno scenario da Armageddon". E ha aggiunto:
"Stiamo assistendo a uno squilibrio storico tra le cifre
molto elevate di profughi e migranti e la capacità globale di fornire
loro protezione e assistenza. Stiamo correndo il rischio che i conflitti
tra i migranti e le popolazioni autoctone sfuggano di mano e si
intensifichino. La risposta non può essere che l'Europa importa
popolazioni in eccesso. Non possiamo essere obbligati a distruggere la
nostra società".
Il ministro delle Finanze danese Claus Hjort Frederiksen ha dichiarato:
"Sono indignato per il fatto che i paesi arabi che sono pieni di soldi
accolgono solo pochi rifugiati. Paesi come l'Arabia Saudita. È del tutto
scandaloso".
In Germania, il ministro degli Interni Thomas de Maizière, in un'intervista a Die Zeit ha detto:
"La crisi della migrazione presenta una sfida
formidabile. È più ampia di quanto avessimo pensato – socialmente,
politicamente, economicamente, culturalmente. (...) Ora, avremo
centinaia di migliaia di musulmani con un background arabo. Secondo
quanto mi ha detto il mio collega francese, questa è una differenza
significativa per quanto riguarda l'integrazione. (...) Mi è stato detto
che tra il 15 e il 20 per cento dei migranti adulto è analfabeta.
"Dobbiamo abituarci all'idea che il nostro paese sta cambiando. Le
scuole, la polizia, gli alloggi, i tribunali, l'assistenza sanitaria,
ovunque! Abbiamo bisogno di un emendamento alla Costituzione. E tutto
questo deve accadere molto rapidamente, nel giro di qualche settimana!
Questo richiederà un enorme cambiamento nella nostra mentalità
radicata".
In un'intervista a Politico, Josef Joffe, un intellettuale ebreo-tedesco in genere molto arguto che è editore e direttore del quotidiano Die Zelt,
sembrava del tutto ignaro delle conseguenze a lungo termine
dell'importazione di centinaia di migliaia di musulmani in Germania
quando ha asserito:
"È un vero miracolo. La nostra figura emblematica di
rifugiato è ora il medico siriano che combina il livello d'istruzione
con l'obbligo morale, data l'indicibile crudeltà contro i civili nella
guerra siriana. La Germania, come i paesi di colonizzazione inglese, si
sta trasformando in un Einwanderungsland, un paese di
immigrazione, che accetta differenti razze, religioni, e origini. Così
la Germania si sta evolvendo in un una specie di America, dove non
occorre essere nati americani, ma lo si può diventare. È una rivoluzione
mentale ed emotiva.
In Ungheria, il premier Viktor Orbán ha messo in guardia dalle
"conseguenze esplosive" di uno scontro culturale tra l'Europa e i
migranti provenienti dal mondo musulmano. In un saggio pubblicato il 3
settembre dalla casa editrice Frankfurter Allgemeine Zeitung, Orbán ha scritto:
"Per capire ciò che dobbiamo fare, occorre cogliere la
vera natura della situazione in cui ci troviamo. L'Europa non è nella
morsa del 'problema dei profughi' o di 'una situazione di rifugiati', ma
il continente europeo è minacciato da un'ondata crescente di migrazione
dell'era moderna. La circolazione delle persone avviene su scala
immensa, e da una prospettiva europea il numero dei potenziali immigrati
futuri sembra illimitato.
"Ogni giorno che passa si vede che centinaia di migliaia di persone
si presentano ai nostri confini, e altre milioni intendono partire per
l'Europa, mosse da motivi economici...
"Dobbiamo riconoscere che la sconsiderata politica dell'UE in materia
di immigrazione è responsabile di questa situazione. L'irresponsabilità
è tipica di ogni politico europeo che promette una vita migliore agli
immigrati e li incoraggia a lasciarsi ogni cosa alle spalle e a mettere a
rischio la vita cercando di raggiungere l'Europa. Se il Vecchio
Continente non fa ritorno al buon senso, si ritroverà stremato nella
battaglia per il suo destino...
"Non dimentichiamo che coloro che arrivano qui sono cresciuti con una
religione diversa e hanno una cultura radicalmente differente. Quasi
tutti non sono cristiani, ma musulmani. La questione è importante perché
l'Europa e l'identità europea hanno radici cristiane. Non è già
preoccupante in sé che il cristianesimo europeo non sia quasi più capace
di mantenere l'Europa nel sistema dei valori cristiani? Se si perde di
vista questo, l'idea dell'Europa potrebbe diventare di importanza
secondaria nel suo stesso continente".
Facendo riferimento all'occupazione dell'Ungheria da parte dell'Impero ottomano dal 1541 al 1699, Orbán ha detto:
"Penso che abbiamo il diritto di decidere se vogliamo o
no un gran numero di musulmani nel nostro paese. Non ci piacciano le
conseguenze di avere numerose comunità islamiche come in altri paesi e
non vedo perché ci debbano costringere a creare modalità di convivenza
su cui noi non siamo d'accordo. Questa è un'esperienza storica per noi".
Secondo Zoltán Kovács, un portavoce del governo ungherese di
centro-destra, la risposta dell'Unione Europea alla crisi è un completo
fallimento. Egli ha dichiarato:
"L'UE non distingue tra coloro che hanno reale bisogno di
aiuto. I veri profughi vengono accostati ai migranti economici. Non
siamo di fronte a una crisi di rifugiati, ma a una crisi della
migrazione. La gente arriva qui da un centinaio di paesi di tutto il
mondo. È del tutto inaccettabile che i mezzi illegali di movimento siano
ora istituzionalizzati".
In Slovacchia, il premier Robert Fico ha detto che il 95 per cento dei cosiddetti profughi è costituito in realtà da migranti economici:
"Non assisteremo a questa follia con le braccia
spalancate ripetendo che accetteremo tutti, indipendentemente dal fatto
che siano immigrati economici o no. Se non si comincia a dire la verità
sulla migrazione, non faremo passi avanti".
Fico ha anche lanciato un monito sulle conseguenze di una sfrenata immigrazione musulmana. Egli ha dichiarato:
"Poiché la Slovacchia è un paese cristiano, non possiamo
tollerare un afflusso di 300.000-400-000 immigrati musulmani che
potrebbero cominciare a costruire moschee in tutto il nostro territorio e
a cercare di cambiare la natura, la cultura e i valori dello Stato".
Negli Stati Uniti, l'ambasciatore John Bolton ha fatto presente che la crisi migratoria europea è anche un problema dell'America. Egli ha scritto:
"Mentre gli americani possono credere che l'Europa, da
tempo sprezzante del nostro acceso dibattito sui problemi dei controlli
delle frontiere, sta avendo ciò che si merita, dobbiamo comunque
concentrarci sulle potenziali minacce e le lezioni applicabili a noi.
"Una causa cruciale dell'aumento dell'immigrazione illegale in Europa
è il crescente caos in tutto il Medio Oriente. Questa anarchia diffusa
deriva, sostanzialmente, dalla deliberata politica di Barack Obama del
'leading from behind' volta a ridurre l'attenzione e il coinvolgimento
degli Stati Uniti nella regione. Quando la presenza americana diminuisce
ovunque nel mondo, qualunque ordine minimo e stabilità esistente
possono rapidamente svanire...
"Da anni, la causa centrale degli spostamenti di massa in Europa è di
natura economica: i nordafricani hanno attraversato lo Stretto di
Gibilterra o si sono diretti verso Francia o Italia. I turchi e gli
arabi sono entrati dalla Grecia e dall'Europa Orientale. Una volta
giunti nell'Unione Europea, grazie all'accordo di Schengen, le barriere
sono ora quasi inesistenti e, come negli Stati Uniti, i clandestini
possono viaggiare liberamente...
"La diffusione del terrorismo, i conflitti armati e il crollo
dell'autorità politica in Medio Oriente sono ormai potenti fattori
causali che sono sullo stesso piano o superano le permanenti disparità
economiche. L'Europa teme di essere sopraffatta dalle masse di gente in
movimento, perdendo così il controllo sulle decisioni su chi accogliere e
chi allontanare. Queste preoccupazioni sono legittime, ma ci sono anche
rischi più profondi. Rispecchiando le preoccupazioni di Washington, c'è
una grave e crescente minaccia posta dal terrorismo islamista che si
nasconde nella marea di gente in cerca di rifugio.
"La lezione per gli Stati Uniti è che ridurre la nostra influenza
globale non accresce la pace e la sicurezza internazionale. Proprio il
contrario. Il ritiro di Obama dal Medio Oriente, il suo disinteresse per
la continua avanzata dello Stato islamico o la sua resa al programma
nucleare iraniano, fanno parte di un disegno più ampio. Il problema
dell'immigrazione illegale in Europa è anche un nostro problema".
In un articolo apparso su New York Observer, Arthur Chrenkoff ha scritto:
"Mentre la torrida estate europea cede il passo
all'autunno, il continente sta vivendo massicci spostamenti di
popolazione senza precedenti dal periodo successivo alla Seconda guerra
mondiale. Ma in questo caso non sono gli europei a compiere questi
spostamenti di massa. Man mano che centinaia di migliaia di persone
continuano ad arrivare alle porte dell'Europa e affollano le sue strade e
le linee ferroviarie, molti commentatori conservatori ravvisano un
parallelo storico più adatto e inquietante nel Völkerwanderung
ovvero 'le peregrinazioni dei popoli' che preannunciarono la caduta
dell'Impero romano circa sedici secoli fa. Gli europei hanno memorie
storiche di lunga data...
"Mentre riflettiamo sulle vivide immagini diffuse dai media di
imbarcazioni e treni traboccanti di esseri umani disperati, è importante
tenere a mente due cose. Innanzitutto, la maggioranza dei
350.000-400.000 migranti che sono arrivati quest'anno in Europa (queste
sono le cifre conosciute, ma non si sa quanti ne siano entrati
furtivamente) non è siriana. Infatti, lo sono meno di un terzo, e il
resto proviene dai paesi africani, mediorientali e sud-asiatici. In
secondo luogo, la maggior parte sembra essere single, giovani uomini in
apparente buona salute, che si sono spostati per motivi di ordine
economico, e non per paura di essere uccisi o perseguitati.
"Quello che sta accadendo in Europa non è tanto, o almeno non è
principalmente, una crisi dei rifugiati, ma una crisi delle politiche
europee in materia di immigrazione".
Chrenkoff lo ha sintetizzato in questo modo:
"Il controllo dei propri confini è una delle
caratteristiche – e delle responsabilità – più importanti di uno Stato
moderno. I paesi perdono il controllo del proprio destino e cessano di
esistere quando non riescono a controllare chi arriva."