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Non smettete mai di protestare; non smettete mai di dissentire, di porvi domande, di mettere in discussione l’autorità, i luoghi comuni, i dogmi. Non esiste la verità assoluta. Non smettete di pensare. Siate voci fuori dal coro. Un uomo che non dissente è un seme che non crescerà mai.

(Bertrand Russell)

06/05/16

Caso Marò - L’Italia umiliata/ Le imbarazzanti analogie tra il caso marò e il caso Regeni

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La decisione del Tribunale Internazionale costituito presso la Corte Permanente dell’Arbitrato dell’Aja di consentire il rientro in Italia del Fuciliere di Marina Salvatore Girone, se confermata e resa effettiva, sarebbe la prima vera buona notizia di questa vergognosa vicenda che si trascina da oramai da più quattro anni.
Trattandosi di una buona notizia è subito arrivato, immancabile, il tweet di Renzi (che in predenza si era tenuto ben lontano dal problema) anche se è solo di recente che il suo governo, dopo avere pasticciato e cincischiato come i precedenti, ha imbroccato la strada giusta, vale a dire quella dell’arbitrato internazionale.
il Tribunale Internazionale ha preso una decisione 10 mesi dopo la richiesta italiana di arbitrato a fronte dei 4 anni e due mesi forzatamente trascorsi in India da Salvatore Girone.
Viene da chiedersi, quindi, come mai l’arbitrato sia stato richiesto così tardi, visto che secondo il diritto internazionale era l’unica via possibile, oltre che, come si è visto, la più efficace.
Per rispondere alla domanda, non si può fare a meno di ripercorrere l’incredibile e vergognosa sequenza di errori, superficialità, incapacità ed incompetenza che hanno caratterizzato la vicenda.
Una vicenda dalla quale la credibilità internazionale dell’Italia è uscita a pezzi, come possiamo constatare anche nel caso, condotto in modo altrettanto improvvisato e dilettantesco, della controversia con l’Egitto per la tragica morte di Giulio Regeni.
Dei tre governi che hanno gestito, in modo sempre inadeguato, la questione marò (salvo la recente ma pur sempre tardiva svolta di Renzi), la poco invidiabile palma del peggiore va senz’altro al governo Monti, principale responsabile dell’accaduto e dal quale sono state prese le decisioni più vergognose nonostante, oltretutto, ministro della difesa fosse proprio un Ammiraglio.
Una sequenza di errori e incompetenza che ha coinvolto tutta la gestione, sia politica che tecnica, del problema, a cominciare dalla sciagurata decisione di far rientrare la Enrica Lexie nel porto indiano di Kochi sottovalutando, o non rendendosi conto, della situazione e delle conseguenze apparse, però, immediatamente evidenti al momento dell’attracco della petroliera.
Sul piano del diritto la questione sarebbe relativamente chiara: l’incidente (ammesso che ne siano effettivamente responsabili i militari italiani, il che non è del tutto certo) sarebbe accaduto in acque internazionali, su una nave battente bandiera italiana (quindi territorio italiano a tutti gli effetti) con (asserita) responsabilità di militari nell’espletamento di doveri istituzionali e quindi quali organi dello Stato, che in quanto tale ne deve rispondere, protetti da immunità funzionale.
L’India, però, paese teoricamente “amico”, assume subito un atteggiamento di grave prevaricazione: ignorando del tutto la Convenzione sul diritto del mare del 1982, ratificata tanto dall’Italia quanto dall’India, e non riconoscendo unilateralmente alcuna immunità funzionale sequestra senza le necessarie formalità le armi di ordinanza presenti sulla nave (proprietà del Governo Italiano) e arresta come due comuni malfattori Salvatore Girone e Massimiliano Latorre con la pretesa di processarli sul posto per “omicidio”.
L’inchiesta della Polizia del Kerala che segue, nella quale le autorità italiane sono ammesse solo come “osservatori”, resta al di sotto del livello minimo ammissibile di credibilità e serietà.
Basti dire che tutte le prove, dopo i sommari esami dei periti locali, vengono distrutte: bruciato il peschereccio, bruciati i corpi delle vittime, distrutti o scomparsi i proiettili, dei quali sarà impossibile ricostruire le traiettorie. (Alcune palesi incongruenze delle “perizie” indiane emergeranno proprio nelle udienza dell’arbitrato).


Il governo Monti? incapaci e codardi

Di fronte alla condotta, apertamente ostile e non conforme al diritto internazionale, dell’India il governo dei tecnici, male assistito dalla diplomazia, sbanda incapace di trovare il bandolo della matassa e subisce senza nessuna capacità di reazione.
La linea adottata è ondivaga e inconcludente: si contesta a parole la giurisdizione indiana ma ci si costituisce nei relativi giudizi (il che comporterebbe un implicito riconoscimento della sua legittimità), viene offerto un risarcimento alle famiglie delle vittime (con implicita ammissione di responsabilità) nel maldestro tentativo di ridurre la tensione, si evitano accuratamente provvedimenti sul piano diplomatico e ci si limita a cercare di mitigare le pretese della controparte che pretenderebbe di imprigionare i due marò come delinquenti comuni in un carcere locale, ottenendo solo di trattenerli in stato di fermo in una guest house adiacente, mantenendo l’uniforme.
Purtroppo la questione si intreccia, nello stesso periodo, con una brutta storia di elicotteri e bustarelle che coinvolge Finmeccanica e alti funzionari indiani, forse corrotti per portare a casa un super contratto, e il governo Monti, che evidentemente privilegia il senso degli affari al senso dello Stato, non vuole indispettire la controparte nella speranza di salvare il mega affare.
Naturalmente sarà un fallimento anche su questo fronte: l’India rispedirà al mittente gli elicotteri e si terrà i marò.
I rapporti economici con l’india sono comunque molto rilevanti e sono fortissime le pressioni degli ambienti imprenditoriali per non fare arrabbiare i potenziali clienti; non a caso la linea viene dettata più dal Ministro dello Sviluppo Economico Corrado Passera che, come niente fosse a crisi iniziata, guida delegazioni di imprenditori in cerca di affari, che da quello degli Esteri Giulio Terzi di Santagata.
La questione subisce quindi una grottesca escalation nei meandri della inaffidabile giustizia indiana che porta, a fronte della sempre più colpevole impotenza del governo italiano, ad applicare retroattivamente ai militari italiani una legge speciale antiterrorismo che prevede addirittura la pena di morte.
Protagonista negativo di questa fase della vicenda è Staffan de Mistura, diplomatico ONU nominato vice ministro degli esteri, che viene incaricato di seguire il dossier con poteri speciali.
Ovviamente l’azzimato aristocratico italo svedese non sarà capace di combinare niente se non ingarbugliare ulteriormente la faccenda in un confuso ed inutile viavai tra Roma e Nuova Delhi mendicando inservibili e fumose rassicurazioni sulla non applicazione della pena di morte ai marò, come se la soluzione del problema fosse addolcire in qualche modo l’atteggiamento di tribunali privi di giurisdizione.
Solo ad aprile del 2014 l’inconcludente personaggio sarà finalmente rimosso dal governo Renzi.
Nullo è anche il peso dell’Italia sul piano internazionale: nessun alleato spende una parola, il segretario dell’ONU (sotto la cui egida operava la missione anti pirateria dei nostri militari) Ban Ki Moon, se ne lava elegantemente le mani e Lady Ashton, responsabile della politica estera dell’UE, rilascia addirittura un comunicato in cui definisce “contractors” (cioè guardie private) i nostri militari.
A quanto pare nessuno a Bruxelles era stato in grado di spiegarle che si trattava di militari delle forze armate italiane che espletavano compiti di istituto.
Si arriva così al punto più basso e vergognoso della vicenda: il 21 marzo 2013 il governo tecnico, oramai a fine corsa, annuncia che i marò, rientrati temporaneamente in Italia, non sarebbero tornati in India.
La reazione indiana è violentissima: calpestando la Convenzione di Vienna sulle relazioni diplomatiche del 1961, ai sensi della quale la persona diplomatica è “inviolabile”, il governo indiano impone all’ambasciatore italiano di non lasciare il Paese e dichiara di non riconoscergli l’immunità diplomatica.
Un atto inaudito e senza precedenti che costituisce una gravissima violazione del diritto internazionale.
Il governo tecnico, però, invece di reagire si cala le braghe e senza tanti complimenti rispedisce in fretta e furia i due sfortunati militari in bocca al “nemico”.
Un episodio indegno che, come troppo spesso avviene nella storia italiana, mette a nudo l’inadeguatezza di un’intera classe dirigente di fronte a problemi seri che riguardano l’interesse nazionale.
Stando alla ricostruzione poi resa pubblica dall’allora ministro degli esteri Terzi di Santagata (l’unico a dimettersi) sarebbero state, ancora una volta, le pressioni esercitate da Corrado Passera in nome degli affari a determinare il voltafaccia del governo nonostante le solidissime argomentazioni giuridiche a favore della decisione di trattenere in patria i marò.
Sta di fatto che la vicenda, oramai divenuta farsa, ebbe comunque effetti disastrosi sulla credibilità italiana (il che non aiuta di certo nemmeno gli affari) e che nessuno dei personaggi coinvolti ne uscì bene.
Non Mario Monti, confermatosi così capo di un governo disastroso in tutto; men che meno, soprattutto, l’Ammiraglio Giampaolo Di Paola, ministro tecnico della difesa, che senza fare una piega consegnò i suoi uomini anziché difenderli, adoperandosi affinchè tutto avvenisse nel più breve tempo possibile e senza intoppi.
Nemmeno il comandante supremo delle Forze Armate, ovvero l’allora Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, ebbe niente da dire salvo chiedere ai marò di ubbidire agli ordini.
Anche buona parte della stampa nostrana fece le sua parte, sostenendo incredibilmente la posizione dell’India: dai commentatori di sinistra arrivarono editoriali di fuoco, intrisi di terzomondismo di maniera, contro la decisione di “non rispettare i patti” trattenendo in Patria i marò.
Francesco Merlo su Repubblica in un retorico editoriale intitolato “L’onore perduto della democrazia” evocò addirittura l’8 settembre, tuonando contro il disonore causato dalla “destra badogliana del tutti a casa”, rivelando peraltro una conoscenza piuttosto confusa della storia: la destra avrà tanti difetti ma non è mai stata “badogliana” (casomai vittima del tradimento badogliano) e l’8 settembre può si essere evocato nella circostanza, ma solo per descrivere l’ignavia dei capi che, restandosene ben protetti, abbandonano i loro uomini mandandoli allo sbaraglio.
Trascurando totalmente gli aspetti giuridici della questione (i pareri degli organi competenti favorevoli alla decisione di trattenere i militari salteranno fuori solo molto tempo dopo) nessuno si chiese che valore potessero avere “patti”, in realtà un banale ricatto, stipulati con un paese ostile ed inaffidabile che calpestava sistematicamente il diritto internazionale, applicava norme penali retroattive comportanti la pena di morte, revocava l’immunità diplomatica di un ambasciatore e che finirà per trattenere illecitamente per oltre quattro anni un militare straniero di un paese teoricamente amico senza essere mai stato in grado di formulare un’accusa formale.
Archiviato il Governo Monti, la musica non cambia con Enrico Letta: il ministro degli esteri Emma Bonino, sempre disposta a spendersi per le cause più disparate, non muove un dito per Salvatore Girone e Massimiliano Latorre, lasciati nelle mani degli Indiani e del confuso e maldestro De Mistura.
Della Bonino sul tema si ricordano solo dichiarazioni di critica alla decisione di imbarcare militari su navi civili, manco fosse la trovata creativa di un ministro e non una legge dello Stato (DL n. 107 del 12 luglio 2011, convertito con L. n. 130 del 2 agosto 2011) approvata dal Parlamento con voto bipartisan.
Arriviamo così al governo Renzi ed ai giorni nostri: dopo avere pasticciato ancora un po’, il 17 dicembre 2014 viene richiamato l’ambasciatore e, poco meno di un anno fa, si procede finalmente ad attivare l’arbitrato internazionale, che avrebbe dovuto essere in realtà la prima cosa da fare.
Vedremo nelle prossime settimane se la decisione del Tribunale Arbitrale sarà rispettata o se, ancora una volta, le autorità indiane decideranno di calpestare il diritto internazionale.


Il caso Regeni, un altro pasticcio

La stessa pessima ricetta, fatta di improvvisazione e superficialità, sembra ripetersi, mutatis mutandis, nel caso Regeni.
Una questione dai contorni ancora oscuri, che nessuno si preoccupa di illuminare, piena di domande senza risposta.
Qui il ministro Gentiloni, pressato da giornali ed opinione pubblica, anziché trattare per canali riservati con un paese alleato in evidente difficoltà, ha preferito la spettacolarizzazione ad uso interno, lanciando minacce ed anatemi dai giornali e finendo per richiamare prontamente l’ambasciatore.
Un atteggiamento che non avvicina, né avvicinerà, alla verità che, con molta dignità, la famiglia del ragazzo sta giustamente chiedendo.
Il governo di Al Sisi ha reagito facendosi beffe dell’Italia, rifiutandosi di collaborare e imbastendo improbabili ricostruzioni dei fatti.
Questa volta il Governo Italiano, evidentemente preoccupato più di una certa opinione pubblica interna che della situazione internazionale, non ha voluto tenere conto delle implicazioni di scelte emotive e superficiali: l’Egitto oltre ad essere un importantissimo partner economico (basti pensare ai giacimenti di gas appena scoperti dall’Eni, forse non estranei all’accaduto) è (o oramai era) il principale alleato dell’Italia in un’area che il problema della Libia ha reso incandescente.
La velleitaria ed inutile linea dura di Gentiloni & C. non solo non ha ottenuto né otterrà niente per Regeni, ma ha compromesso seriamente i rapporti con Al Sisi che non ha dovuto faticare per trovare altri alleati.
La Francia, infatti, ha subito approfittato della situazione; Hollande con una solenne visita di stato, celebrata in Egitto come un avvenimento epocale, ha riempito il vuoto lasciato improvvidamente dall’Italia riempiendo anche il portafoglio con ordini di armi e forniture industriali per svariati miliardi.
Le conseguenze della maldestra politica estera del governo renziano le vedremo presto in Libia dove gli interessi francesi saldati con quelli egiziani stanno portando di fatto alla separazione di Tripolitania e Cirenaica.
Qui l’uomo forte di Francia ed Egitto, rimpinzato di armi da entrambi (1150 veicoli da combattimento sono appena arrivati dall’Egitto mentre da tempo consistenti reparti francesi affiancano le milizie di Haftar) ha quasi ultimato la conquista del territorio, smantellando i capisaldi degli integralisti islamici, che ripiegano in Tripolitania, e dirigendo verosimilmente l’attenzione verso il controllo delle installazioni petrolifere, con le compagnie francesi pronte a sfruttare la situazione ed a scalzare l’Eni, da sempre padrona del campo.
Secondo la ministra Pinotti (intervistata a Porta a Porta) non esisterebbero problemi del genere: il governo francese e il generale Haftar avrebbero assicurato di non avere mire sulla Cirenaica e di appoggiare il governo fantasma di Serraj.
La realtà è ben diversa: non esiste nessuna possibilità che Haftar, oramai padrone della Cirenaica, armato sino ai denti da Egitto e Francia e prossimo a mettere le mani sui proventi del petrolio si sottometta al debole governo di Serraj, privo di qualsiasi autorità effettiva, al momento incapace controllare anche solo alcuni quartieri di Tripoli e di uscire dalla base militare in cui è rintanato.
La spartizione della Libia e la perdita della Cirenaica a favore del duo Francia/Egitto sembrano oramai, se non già un fatto compiuto, inevitabili.
Vedremo cosa ci racconterà la Pinotti quando succederà, o magari aspetteremo il tweet di Renzi.

05/05/16

Marò, la Corte indiana va in vacanza


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C'è la sentenza del Tribunale dell'Aja ma resta grande incertezza sulla data del rientro del marò barese Salvatore Girone, dal marzo 2013 obbligato a rimanere a Nuova Delhi. Il governo e il premier Matteo Renzi elogiano la politica del dialogo con l'India, dimenticando di cogliere i segnali poco rassicuranti del governo indiano sulla procedura con cui la Suprema Corte autorizzerà il rimpatrio. È così iniziata una vera corsa contro il tempo e contro il già circostanziato lassismo indiano: la Corte di Nuova Delhi, infatti, chiuderà per «vacanze estive» dal 15 maggio al 28 giugno. In meno di due settimane bisognerà incanalare il dialogo con i magistrati asiatici per ottenere l'autorizzazione al rientro del fuciliere, evitando la beffa di vederlo congelato altri due mesi lontano dall'Italia.
Nella sentenza del Tribunale arbitrale è indicata con chiarezza la strada per sciogliere ogni nodo: «Italia e India devono cooperare, anche davanti alla Corte Suprema indiana, per ottenere un allentamento delle condizioni cautelari del sergente Girone - è scritto nel testo licenziato dai cinque giudici in Olanda - così che possa, in base a considerazioni di umanità, tornare in Italia, mentre rimane sotto l'autorità della Corte Suprema indiana durante il periodo dell'arbitrato». Resta per l'Italia «l'obbligo di restituire il sergente Girone all'India nel caso lo stesso Tribunale decida (con sentenza, ndr) che l'India ha la giurisdizione in merito all'incidente dell'Enrica Lexie».
Sulle misure cautelari provvisorie che riporteranno Girone a Bari, Italia e India dovranno riferire al Tribunale dell'Aja e perciò è indicato un termine che l'India potrebbe utilizzare al fine di procrastinare ogni rapida soluzione: la sentenza «autorizza il Presidente della Corte arbitrale permanente a chiedere informazioni alle Parti se tale rapporto non verrà fornito entro tre mesi dalla data di questa sentenza, e nel caso prendere misure appropriate». I cinque magistrati, dall'Olanda, hanno anche suggerito di ripetere l'iter delle garanzie assicurate dall'Italia per il rientro dell'altro marò, Massimiliano Latorre, in cura a Taranto dal settembre 2014. Così, nel periodo dell'arbitrato internazionale, l'Italia dovrà assicurare che Girone si presenti a un'autorità nazionale designata dalla Corte Suprema indiana a intervalli determinati dalla stessa Corte; il militare dovrà consegnare il passaporto alle autorità italiane e non potrà lasciare l'Italia senza il permesso della Corte indiana; l'Italia dovrà informare la Corte indiana sulla situazione di Girone ogni tre mesi.
Dalla Farnesina Paolo Gentiloni si è sbilanciato: «Le diplomazie italiana e indiana si stanno già mettendo al lavoro per concordare le modalità del rientro» di Girone. Il ministro della Difesa, Roberta Pinotti, coniando «l'Operazione ritorno», ha indicato in modo generico («entro qualche settimana») il tempo per la conclusione della trattativa per il rimpatrio con i magistrati indiani. Il governo ha scelto di manifestare ottimismo, nonostante le tante incognite. Il passaggio, infatti, è delicato sia da un punto di vista diplomatico che giuridico: se per l'Italia il rientro di Girone è una piccola vittoria, in India l'opinione pubblica, sobillata dai vari partiti perennemente in campagna elettorale, potrebbe leggere la disposizione dell'Aja come una limitazione della propria sovranità e spingere la Corte suprema a rallentare ogni pratica. In questa direzione vanno le dichiarazioni poco concilianti del ministro delle Comunicazioni indiano, Arun Jaitley: «Il tribunale internazionale ha ribadito che Latorre e Girone restano sotto la tutela della Corte Suprema». Insomma nessuna concessione ulteriore è all'orizzonte e dalla tempistica con cui si consoliderà ogni contatto si potrà misurare la disponibilità dell'India a riconoscere le ragioni umanitarie che hanno spinto il tribunale arbitrale a disporre il ritorno in patria di Girone. L'India, non a caso, aveva commentato l'anticipazione della sentenza con una frase sibillina: «Interpelleremo la Corte Suprema a tempo debito». Quando? Entro il 15 maggio o dopo le «vacanze»?
Non resta che inscenare adesso un «countdown» da parte l'Italia, lo stesso paese che ha procrastinato colpevolmente l'adozione della soluzione arbitrale: il governo deve trovare una efficace via diplomatica per addivenire al nulla osta magistrati di Nuova Delhi (prima del mese e mezzo di sosta). In caso contrario le vacanze dei giudici indiani fino alla fine di giugno non sarebbero un copione dei Vanzina ma la fotografia di una nuova e crudele privazione della libertà personale per il militare Girone.

Michele De Feudis- 4 maggio 2016

04/05/16

Marò: Luigi Di Stefano, “la battaglia è ancora lunga, dall’Aja sentenza di compromesso”


Roma, 3 mag – Il dispostivo della sentenza del Tribunale Arbitrale dell’Aia di ierisul caso Marò,  più che un “imperio”, come ci si aspetterebbe da un tribunale internazionale, sembra ispirarsi ad un romanesco “volemose bene”. Infatti benchè disponga il rientro in Italia di Salvatore Girone fino alla sentenza definitiva sulla giurisdizione (prevista per metà 2018) rimanda a Italia e India il concordare le modalità di rientro, e la votazione alla “unanimità” (quindi anche del giudice indiano) certifica una sentenza di compromesso. Per cui ci si aspetta da parte indiana una serie di cavilli, distinguo e rinvii per mostrarsi “sovrani” alla propria opinione pubblica: l’esempio stavolta è il napoletano “facite ‘ammuina”. Però, meglio di niente. Ma a questo punto è necessario spiegare, almeno a parer mio, la vera natura di questa vicenda perché l’opinione pubblica italiana, dopo i primi due governi Monti e Letta in stato di “appecoronamento” sulle posizioni indiane (supportati dalla “grande stampa”), i vani tentativi del governo Renzi di portare l’India a una soluzione di compromesso e infine il ricorso italiano al Tribunale Internazionale (va dato atto a Renzi di averci sollevato il 26 giugno 2015 dalla umiliante “strategia dell’appecoronamento” seguita in precedenza), ci capisce poco o nulla. Quindi direi che almeno noi lettori de Il Primato Nazionale possiamo affrontare i fatti (non la loro edulcorazione babbea sugli “assassini di pescatori”) secondo logica e elementari conoscenze di politica internazionale. Nella vicenda Marò l’India si è imbarcata in una operazione di politica di potenza che fanno tutti gli Stati. Anche noi (a ragione) consideriamo il Golfo di Taranto acque interne e diamo la caccia ai sottomarini stranieri che entrano (entrano per “saggiare” la nostra capacità di risposta e “valutare” le caratteristiche operative dei nostri sottomarini killer). 

Sono almeno tre gli elementi che hanno convinto le autorità indiane a montare la vicenda Marò.
Ma è necessario preventivamente ammettere l’evidenza di alcuni fatti:
– Fin dalla sera dei fatti le autorità indiane sapevano che la sparatoria contro il peschereccio era avvenuta alle 21.30, e quindi avevano preso la nave sbagliata, o coscientemente addebitato alla nave italiana una sparatoria avvenuta altrove (forse la nave greca, problemi loro). Abbiamo le prove dell’uno e dell’altro.
– Fin dalla mattina dopo i fatti gli indiani montano il “caso Enrica Lexie” portando sottobordo un falso peschereccio St. Antony, facendo le fotografie da un aereo e le diffondono sul web (vedi l’immagine, il vero peschereccio St. Antony è a Neendakara, 200 Km a sud, hanno organizzato la passarella la notte).

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– Fin dal pomeriggio del giorno successivo ai fatti, gli indiani hanno la conferma che i nostri militari sono estranei alla morte dei pescatori, stante i risultati dell’autopsia

.
Chiarito questo, che non è una mia ipotesi ma “prove” verificabili da chiunque, vediamo la “politica”
. Partendo da Sonia “Maino” Ghandi, di origine italiana e che per la morte di suo marito Rajiv in un attentato si è trovata erede della dinastia Ghandi. All’epoca dei fatti era leader del Partito del Congresso al governo, odiatissima sia dai nazionalisti che all’interno del suo stesso partito, è stata attaccata politicamente in merito alla vicenda Marò e infine costretta a farsi da parte affidando la direzione del partito al suo figlio maggiore. Ma non è servito perchè alle elezioni ha vinto il Partito Nazionalista di Modi, mandando all’opposizione il Partito del Congresso. E immediatamente dopo la sentenza di ieri un uomo politico indiano ha “cavalcato” in chiave mediatico-nazionalista questo aspetto della vicenda (vedi immagine tratta da FB)

. In secondo luogo va analizzato il fattore “Nazionalismo”, usato come collettore di consenso politico in una società orgogliosissima ma che ancora soffre di sudditanza psicologica verso la Gran Bretagna e l’Occidente in genere. E quindi “sfidare l’Occidente” crea consenso (tipo i generali argentini con la guerra delle Falkland del 1982). In ultima istanza va considerato il ruolo di “potenza regionale” che l’India vuole ritagliarsi dominando le rotte marittime che lambiscono il suo meridione.

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Basta guardare l’immagine (tratta da un bollettino della Guardia Costiera indiana) per vedere che circa il 25/30% del traffico mercantile del pianeta passa rasente al Kerala, quindi l’interscambio commerciale fra Europa e Oriente e il flusso di petrolio dal Medio Oriente verso l’Oriente (Giappone, Indonesia, Cina, Corea etc).
 Riuscendo a “processare” due militari in servizio l’India “di fatto” estende la sua sovranità fino a 200 miglia dalla costa (anzichè le 12 miglia delle acque territoriali). E ottiene la “sovranità” su un terzo del traffico mercantile del pianeta. 

Hanno preso la palla al balzo senza lasciarsi sfuggire l’occasione e la passarella mediatica organizzata nella rada di Kochi la mattina dopo i fatti, col falso peschereccio portato sotto la murata della Enrica Lexie sta a dimostrarlo. La dabbenaggine delle autorità italiane ha fatto il resto. Direi che le autorità politiche indiane hanno ben imparato dagli inglesi che la capacità di proiezione di potenza sugli oceani è fondamentale per essere una “Potenza”. A volte “SuperPotenza”.

 Però francamente, prendersela con noi con le bagnarole della Guardia Costiera per atteggiarsi a Potenza Regionale non mi sembra proprio serio. Poi, se qualcuno vuol credere che i nostri militari hanno fatto il tiro a segno sui pescatori, a dire che Gesù Cristo è morto di freddo, padronissimo.

Luigi Di Stefano

Aggiunto da Redazione il 3 maggio 2016.

 

03/05/16

MARO' - IL SOLDATO SALVATORE GIRONE TORNA IN ITALIA!


di Giulio Terzi

IL SOLDATO SALVATORE GIRONE TORNA IN ITALIA! Con *infinita* soddisfazione vi comunico che *finalmente*, nonostante l'assurda e inspiegabile inerzia dei vari Governi italiani succedutisi negli ultimi 3 anni - il marò Salvatore Girone rientrerà in Italia per l'intera durata dell'Arbitrato internazionale, Italia che *non avrebbe mai dovuto lasciare*. L'ordinanza del Tribunale internazionale che ha incarico il dossier verrà resa pubblica domani, ma ci tenevo ad anticiparvela. "E' passo avanti davvero significativo al quale abbiamo lavorato con grande dedizione e determinazione", ha detto qualcuno ai mass-media: Voi tutti su questa community sapete bene *quanto* vi abbiamo lavorato noi, con grande determinazione, fin da quello sciagurato mese di marzo in cui qualcuno ha tradito l'interesse nazionale rimandando i nostri due soldati a New Delhi. E ORA SUBITO UNA COMMISSIONE D'INCHIESTA SU QUESTA VICENDA! Ma in queste ore…godiamoci tutti questo straordinario risultato, eccezionale per i nostri due uomini in divisa... ma anche per l'intero Paese!
Giulio Terzi


Aprile ,Maggio e Giugno
Luglio Agosto e Settembre
Ottobre Novembre e Dicembre 



3 maggio 2016
fonte: http://veraitalia.blogspot.it/2016/05/il-soldato-salvatore-girone-torna-in.html