L’origine della guerra totale dell’islam politico a libertà, mercato e secolarizzazione
Dettaglio della raffigurazione sopra una porta della madrasa di Shir Dor a Samarcanda, nell’odierno Uzbekistan
Quelli pubblicati qui sono stralci del libro “L’Occidente e i suoi
nemici”, uscito per Rubbettino, scritto da Luciano Pellicani, sociologo,
professore emerito alla Luiss Guido Carli ed editorialista del Foglio.
E’ da ora in tutte le librerie.
La fine della guerra ideologica scatenata dai movimenti rivoluzionari
di massa contro la civiltà liberale ha indotto il politologo Francis
Fukuyama a proclamare, in un saggio che suscitò un vivace dibattito
internazionale, che eravamo alla vigilia dell’“avvento della supremazia
dello Spirito ipotizzata da Hegel” e alla “fine della storia”. La
civiltà occidentale aveva vinto su tutti i fronti. Le sue idee, i suoi
valori, le sue istituzioni erano destinati a imporsi dappertutto. Il
comunismo aveva perso in modo definitivo la sfida che, a partire dalla
conquista del Palazzo d’Inverno, aveva lanciato alle società liberali.
(…) Sicché davanti ai popoli della Terra non c’era che una prospettiva:
affidarsi al liberalismo economico e politico. Pertanto – concludeva
Fukuyama –, con il collasso dell’Impero sovietico e la conseguente
uscita di scena del mito della rivoluzione proletaria, la previsione
fatta da Daniel Bell negli anni Cinquanta – la “fine delle ideologie” –
era stata massicciamente corroborata: il mondo aveva cessato di essere
un’arena militare nella quale si scontravano modelli di società
alternativi e reciprocamente incompatibili e i valori e le istituzioni
dell’Occidente si avviavano a diventare i valori e le istituzioni della
umanità tutta quanta.
Se Fukuyama si fosse
limitato a constatare la bancarotta planetaria del comunismo, molto
probabilmente non avrebbe suscitato alcuna reazione. (…) Ma non è
affatto evidente che l’umanità tutta quanta si stia avviando verso
l’american way of life. Al contrario, non pochi fenomeni di dimensioni
macroscopiche costringono a ritenere che la pacificazione del pianeta
Terra all’insegna dei valori e delle istituzioni della democrazia
liberale e del capitalismo sia una prospettiva più simile a un wishful
thinking che a una ragionata e ragionevole prognosi. Fra tali fenomeni,
quello più vistoso è senz’altro il fondamentalismo islamico, il quale
rappresentava, già prima dell’11 settembre 2001 – quando le Twin Towers
di New York furono abbattute dai terroristi suicidi di Al Qaida –, la
smentita più vistosa della tesi di Fukuyama. Esso, infatti, a partire
dalla Rivoluzione iraniana (1979), si è presentato sulla scena come una
dichiarazione di guerra contro la civiltà occidentale, di cui rifiuta
ogni istituzione e ogni valore, dalla democrazia rappresentativa al
mercato, dalla libertà individuale alla laicità dello Stato. Dopo aver
proclamato la Sharia legge di Stato, l’ayatollah Khomeyni non si limitò a
elevare una granitica barriera per impedire l’inquinamento spirituale
della Umma (la comunità dei veri credenti); fece qualcosa di più
radicale: elaborò l’ambizioso disegno di porre l’Islam alla testa di
tutti i popoli diseredati della Terra, sostituendo in tale ruolo
rivoluzionario il comunismo marxleninista. Questo grandioso programma fu
espresso con la massima chiarezza nella lettera che egli, poco prima di
morire, inviò a Gorbaciov. In essa, il carismatico leader della
ierocrazia iraniana chiese al segretario del Pcus di riconoscere
pubblicamente che il comunismo era ormai ridotto a un fossile storico,
poiché, essendo privo di un principio spirituale, aveva lo stesso
problema che stava trascinando nel nulla la materialistica società
basata sull’adorazione del dio-denaro; e di riconoscere altresì che
ormai sulla scena mondiale non restava che una sola forza in grado di
perseguire l’obiettivo di liberare i popoli che si trovavano nella
“prigione dell’Occidente e del Grande Satana”: l’Islam.
Un siffatto programma costituisce una vera e propria reazione zelota
del Sacro contro il processo di secolarizzazione. Infatti, i valori e le
istituzioni della Modernità sono rifiutati in quanto basati su una
concezione della vita priva di ogni riferimento alla Trascendenza. Non
sorprende, pertanto, constatare che la costruzione ideologica degli
islamisti si basa sulla contrapposizione tra la storia post-coranica e
quella pre-islamica. Essa utilizza il concetto di jahiliyya – l’oscura
ed empia epoca precedente la Rivelazione del Rasul Allah – per connotare
come “pagani” i prodotti culturali dell’Occidente secolarizzato. A
giudizio degli ideologi del fondamentalismo islamico, la crisi morale in
cui versa l’umanità è la conseguenza logica e inevitabile del laicismo e
del materialismo. Rifiutando la Rivelazione, l’Occidente ha imboccato
la “via del Nulla” caratterizzata dal culto idolatrico della ragione e
della materia. Ma, mentre i tradizionalisti si limitano a chiedere che i
popoli del Dar al-Islam siano rispettosi dei principi della sacra
tradizione (la salafiyya) e non si facciano contaminare dagli “impuri”
costumi dei popoli che vivono sotto la tirannia del Grande Satana, i
fondamentalisti vanno oltre: dichiarano senza mezzi termini che l’Islam
deve uscire dalla sua posizione difensiva e deve militarizzarsi per
conquistare e distruggere dalle fondamenta la “società senza Dio”,
premessa indispensabile per “ripristinare il senso di Gemeinschaft”. (…)
E’ evidente che ci troviamo di fronte a un grido di guerra lanciato
contro la civiltà moderna, rea di aver voltato le spalle a Dio e alla
Rivelazione profetica; ed è altrettanto evidente che tale grido di
guerra altro non è che la riproposizione di quello che fu il programma
dei Fratelli Musulmani – l’associazione fondata nel 1928 dall’egiziano
Hasan al-Banna, madre di tutti i fondamentalismi del mondo islamico –,
fissato dal loro massimo teorico, Sayyid Qutb, in questi termini:
“L’Islam è costretto alla lotta dall’obiettivo che è suo proprio, vale a
dire la guida del genere umano. La guerra è un obbligo individuale,
contro gli ostacoli alla predicazione, ma sotto la forma collettiva di
un gruppo ristretto, organizzato e profondamente cementato. Gli
avversari sono anch’essi degli individui, raggruppati in classi, in
Stati, in coalizioni. Il Jihad, in reazione, è dunque assolutamente
necessario in tutta la sua ampiezza. E un Jihad mondiale, permanente.
Così essere musulmano, significa essere un guerriero, una comunità di
guerrieri sinceri in permanenza, pronti ad essere utilizzati o no da
Dio, se lo vuole e quando lo vuole, poiché lui solo è il capo della
battaglia”.
Pertanto, non è sufficiente dire che l’obiettivo dei fondamentalisti è
la re-islamizzazione delle società e degli Stati del Dar al-Islam;
occorre anche sottolineare che il loro programma è assai più ambizioso e
inquietante. Essi vogliono scatenare una vera e propria guerra di
religione per conquistare il mondo intero e instaurare il dominio della
Sharia – la Legge Sacra, eterna e immutabile – su tutta quanta
l’umanità. In altre parole, essi, oltre a esigere la restaurazione del
Dar al-Adl – la Casa della Giustizia, così come essa fu proclamata dal
Profeta –, vogliono annientare la fonte dell’inquinamento della Umma:
l’Occidente pagano in quanto secolarizzato. Di qui il doppio fronte nel
quale oggi sono impegnati i fondamentalisti: contro i governi “apostati”
che, pur proclamandosi musulmani, di fatto sono “corrotti e corruttori”
in quanto “non osservano la Legge divina”; e contro quello che Osama
bin Laden ha bollato come il Grande Miscredente: l’America, massima
potenza del sistema di dominio imperialistico che essi vogliono radere
al suolo. Quindi, la loro guerra santa – il Jihad – è al tempo stesso
una guerra intestina – vale a dire una guerra fra musulmani “che ha per
posta la definizione dell’Islam”; più precisamente, una guerra scatenata
dai religiosi per strappare il potere ai militari – e una guerra
internazionale condotta con l’unica arma di cui i mujahiddin – i
combattenti della guerra santa, dominati dall’ardente desiderio di
diventare “martiri della fede” (shuhada) – dispongono – il terrorismo
globale – e con il dichiarato obbiettivo di distruggere il perverso
“mondo degli infedeli”, da cui promanano i miasmi materialistici che
stanno avvelenando la Umma.
Stando così le cose, si capisce perché il fondamentalismo islamico è
stato definito il comunismo del XXI secolo, così come, a suo tempo, il
comunismo era stato definito l’Islam del XX secolo. Non diversamente dal
marxleninismo, il fondamentalismo islamico si presenta sulla scena come
un movimento rivoluzionario animato dalla certezza di possedere un
messaggio di salvezza a carattere ecumenico; e, non diversamente dal
marxleninismo, ritiene di avere il dirittodovere di condurre una
spietata guerra permanente contro l’Occidente. E si tratta,
naturalmente, di una guerra totale, che deve essere condotta con tutti i
mezzi e in tutte le sedi, fino al trionfo della Verità rivelata e alla
instaurazione del Governo di Dio.
Certo, l’insorgenza dei movimenti fondamentalisti non significa punto
che l’Islam in quanto tale abbia dichiarato guerra all’Occidente. Il
fondamentalismo è una particolare interpretazione del Corano, la cui
legittimità è contestata dagli stessi musulmani. Sta di fatto, però, che
la visione del mondo fondamentalista – cioè quell’ideologia politica
che divide il mondo in in-groups dell’Islam e in out-groups degli altri,
percepiti come nemici da combattere sino al loro annientamento – si è
largamente diffusa in tutto l’universo islamico. Accade così che i
jihadisti – gli attivisti del Partito di Allah, pronti a sacrificare la
loro vita pur di colpire gli agenti e i simboli del Grande Satana –
costituiscono – grazie soprattutto all’ascesa dello Stato islamico
(Isis) – una temibile forza, non solo perché sono determinati a usare i
mezzi più spietati e subdoli per conseguire i propri scopi, ma anche
perché esprimono l’intenso risentimento dei musulmani di fronte
all’arrogante e imperialistica civiltà occidentale. Un risentimento le
cui radici risalgono al tempo in cui i popoli del Dar al-Islam – che per
oltre mille anni erano vissuti nella narcisistica convinzione che la
loro civiltà costituiva la migliore forma di organizzazione sociale mai
apparsa sulla Terra – furono costretti a prendere atto che – a motivo
del fatto che l’Occidente aveva conseguito una superiorit. Materiale al
tempo stesso umiliante e pericolosa – il mondo era diventato “il
paradiso degli infedeli e l’inferno dei credenti”. La natura della sfida
di fronte alla quale vennero a trovarsi i popoli musulmani, a partire
dal momento in cui le potenze europee incominciarono a estendere i loro
tentacoli sul Dar al-Islam, risulterà chiara una volta che si tenga
presente che ciò che caratterizza in maniera forte la moderna civiltà
occidentale non è solo la sua formidabile attrezzatura tecnologica che
impone alle civiltà-altre di imboccare la via dell’“aggiornamento
imitativo” onde evitare di essere assoggettate; è anche e soprattutto la
formidabile potenza radioattiva della sua cultura spirituale, la quale
non conosce limiti di sorta. La Modernità è una civiltà costitutivamente
imperialistica, la cui istituzione centrale è il mercato. Il mercato,
ex definitione, non ha frontiere: è un’istituzione a vocazione
planetaria, che tende a sottoporre agli imperativi impersonali della
logica catallattica tutto ciò che trova sul suo cammino – interessi,
valori, credenze, istituzioni, tradizioni, pratiche consolidate, ecc. – e
che procede come una smisurata valanga culturale che cresce su se
stessa. E, in effetti, ovunque il capitalismo è penetrato, ha prodotto
cataclismatici mutamenti che non hanno risparmiato nulla e nessuno. A
motivo della sua “distruttiva creatività” e del suo irrefrenabile
dinamismo auto-propulsivo, tutti i popoli della Terra sono stati
forzosamente inglobati in un unico destino storico. Il risultato è stato
che la civiltà occidentale ha preso ad assediare le culture-altre e le
ha poste di fronte a una sfida di immani proporzioni, il cui contenuto
essenziale è così riassumibile: o trovare una “risposta” adeguata oppure
essere degradate al rango di colonie del Centro capitalistico.Un
fenomeno del genere è una novità storica assoluta. (…) E’ per questo che
l’aggressione culturale permanente è ciò che caratterizza i rapporti
fra l’Occidente e l’Oriente ormai da secoli. E’ vero che è uscito di
scena il colonialismo nella sua forma politico-militare; ma non è uscito
di scena il colonialismo culturale, talché i popoli orientali, pur
avendo conquistato la loro indipendenza, sono rimasti alle prese con una
tremenda “sfida”. Essi si trovano di fronte a una cultura allogena che
tende a sommergerli con il suo impressionante flusso di tecniche, di
merci, di messaggi, di simboli e di valori; e ciò non può non alterare
profondamente il loro tradizionale modo di vita e l’immagine che essi
hanno di se stessi. E’ accaduto così che l’invasione culturale
occidentale non si è limitata a fare scempio delle istituzioni, degli
usi, dei valori che ha trovato sulla sua strada; ha anche straziato gli
uomini, privandoli del loro habitat ancestrale e condannandoli a vivere
in un mondo che si è progressivamente trasformato in una realtà estranea
o addirittura ostile. Il capitalismo, aggredendo le società poste al di
fuori della sua area di sviluppo endogeno, ha sradicato milioni di
esseri umani, trasformandoli in una gigantesca massa alienata e, per ciò
stesso, risentita. Questi milioni di individui – sparsi in tutte le
aree culturali laddove il sistema di mercato si è presentato come una
aggressiva e distruttiva potenza esogena – costituiscono, ormai da
generazioni, il “proletariato esterno” della civiltà occidentale.
Accade così che, ancora oggi, due cose caratterizzano in maniera
forte la condizione esistenziale dei popoli musulmani alle prese con
quello che essi chiamano sadmat al-hadatha (il trauma della Modernità):
il loro immenso senso di collera e di frustrazione e il fatto che vivono
l’Occidente come una presenza al tempo stesso oppressiva e invadente.
Oppressiva, per la sua schiacciante superiorità materiale; invadente,
perché la Modernità costituisce una permanente minaccia per le
tradizionali forme di vita del Dar al-Islam. Queste, per i musulmani,
sono di origine divina e, come tali, non possono essere oggetto di
analisi critica, né, tanto meno, possono essere modificate. La Sharia è
la “via” che Dio, tramite il suo Profeta, ha aperto davanti agli uomini,
i quali non possono deviare da essa senza commettere un inescusabile
peccato. Nell’Islam, diritto e religione sono indistinguibili, talché la
scienza giudica, essendo lo studio e la conoscenza della Legge Divina, è
una scienza teologica. Il che fa del diritto musulmano un diritto
sacro, indissolubilmente legato alla tradizione religiosa. E questa non è
una componente o una dimensione della vita, che regola alcune questioni
e dalla quale altre faccende sono escluse: è un sistema di norme che
avvolge e plasma l’intera esistenza. La sua giurisdizione è totale; al
limite, persino totalitaria. Nella religione coranica “il binomio
Chiesa-Stato” non ha senso. Non esistono – e non possono esistere – due
realtà distinguibili. Autorità religiosa e autorità politica sono la
stessa cosa. Di qui l’ostinata resistenza opposta dalle società
musulmane alla Modernità. Modernità, infatti, vuol dire, prima di tutto e
soprattutto, “vita senza valori sacri” o, quantomeno, rigorosa
separazione fra il regno della politica e il regno della religione. In
modo tipico, lo Stato moderno è uno stato laico, cio. a dire uno Stato
che, da una parte, non s’identifica con un particolare credo religioso
e, dall’altra, riconosce la legittimità di tutte le religioni. Esso,
pertanto, è l’esatto contrario dello Stato così come esso è sempre stato
concepito nel Dar al-Islam: una istituzione avente l’ineludibile
funzione di garantire il dominio impersonale della Legge Divina, dunque
come l’espressione politica della stessa religione. Di qui la sentenza
di Khomeyni: “L’Islam è politico o non è”. Una sentenza perfettamente in
linea con la tradizione islamica, per la quale religione e Stato – din
wa dawlah – sono un’unica realtà, sicché ogni tentativo di separare il
potere temporale dal potere spirituale non pu. non essere considerato un
empio allontanamento dalla Legge Divina, eterna e immutabile. E
significa altresì che esiste una incompatibilità di principio fra la
Sharia e la Modernità. Questa è inscindibile dal processo di
secolarizzazione, il quale ha posto fine al legame organico fra lo Stato
e la religione e ha trasformato quest’ultima in una faccenda privata.
Ma una religione ridotta a una faccenda privata è precisamente ci. che i
musulmani rigoristi non possono accettare, poiché essa implica
l’abbandono della Sharia quale legge di Stato.
Non può destare sorpresa, pertanto, constatare che – con la sola
eccezione della Repubblica turca, fondata da Kemal Ataturk su un
completo laicismo – nei paesi del Dar al-Islam l’intellighenzia
secolarizzata . una esigua minoranza, incapace di incanalare le masse
verso la Modernità. Tanto più che la Modernità ha fatto intrusione nella
vita dei popoli musulmani non solo come civiltà secolarizzata, centrata
sulla ragione illuministica e sulla libertà individuale, ma anche come
una potenza imperialistica, animata da una smisurata volontà di dominio e
di sfruttamento. Di qui il fatto che il trauma dell’aggressione
culturale occidentale ha provocato nel mondo islamico uno stato di crisi
endemica.
Il carattere imperialistico della Modernità negli ultimi decenni è
stato potentemente intensificato dal fenomeno della globalizzazione,
cioè dal dilagare – a motivo dell’enorme riduzione dei costi dei
trasporti e delle comunicazioni e dell’abbattimento delle barriere
artificiali che impedivano la libera circolazione internazionale di
beni, servizi, capitali, conoscenze e lavoratori – della logica
catallattica; il che ha reso ancora pi. penetrante e minacciosa la
pressione culturale dell’Occidente sui popoli del Dar al-Islam. In
realtà, il fenomeno della globalizzazione non costituisce, propriamente
parlando, una novità storica. Il capitalismo ha sempre avuto una
vocazione planetaria, nel senso che la sua oggettiva logica di sviluppo
tende a trasformare il mondo intero in un unico, smisurato Weltmarkt
retto dalla impersonale legge della domanda e dell’offerta il cui
irresistibile dinamismo fa sì che “ogni cosa sacra viene sconsacrata”
(K. Marx, F. Engels). Accade così che lo spirito borghese – questo
“micidiale nemico del sacro” (Berdjaev) – prende a corrodere le
tradizionali basi spirituali dell’ordine sociale. Esso, ovunque penetra,
genera il “disincanto del mondo” e, conseguentemente, la religione
cessa di essere il regolatore unico della vita umana (individuale e
collettiva). Una prospettiva che non può non essere giudicata empia da
coloro che vivono nella fede e della fede. Di qui il fatto che la
Modernità appare loro come il Grande Satana: tentatore e subdolo nemico
dell’uomo e di Dio. E se oggi gli ideologi e gli attivisti del
fondamentalismo islamico vedono crescere di giorno in giorno l’uditorio
al quale essi si rivolgono, ci. accade perché alle spalle dei popoli del
Dar al-Islam non ci sono che fallimenti lungo la via che avrebbe dovuto
portare alla cancellazione – o, quanto meno, alla riduzione – del gap
scientifico, tecnologico ed economico che li separava dalle società
industriali. In particolare, il “socialismo arabo” è miseramente
naufragato, lasciando così il campo libero alla predicazione di coloro
che indicano nell’Occidente imperialistico e ateo la causa della
crescente frustrazione nella quale si dibattono i popoli musulmani e che
– quale rimedio alla loro umiliante condizione di “proletariato
esterno” – invocano la restaurazione della Sacra Immutabile Tradizione,
il rifiuto di tutto ciò che è in qualche modo connesso alla invadente
Modernità e la mobilitazione permanente contro l’Occidente. Breve: i
fondamentalisti intendono risolvere la penosa crisi d’identità nella
quale si trovano i popoli musulmani, scatenando una guerra santa globale
avente come obiettivo l’annientamento di quelle potenze che hanno
trasformato il “mondo dei veri credenti” in un inferno.
di Luciano Pellicani - 27 Marzo 2016 Foglio
fonte: http://www.simofin.com