La Sicurezza è la condizione indispensabile per qualsiasi attività
umana. La realtà odierna è pervasa da pericoli e minacce di ogni tipo e
genere, che si manifestano in forme sempre più violente, subdole ed
imprevedibili. Criminalità, disordini, terrorismo, guerre, conflitti
etnici e religiosi, crisi economiche ed energetiche, mutamenti
climatici, carestie, terremoti, inquinamenti ambientali, flussi
migratori incontrollati rendono insicuro il nostro presente e incerto il
nostro futuro.
L’affannosa ricerca di nuovi equilibri internazionali, in grado di
impedire l’esplosione di conflittualità o comunque di governare o
arginare l’espandersi delle crisi, non ha prodotto sinora risultati
risolutivi e duraturi. Stiamo infatti assistendo al risveglio di focolai
di guerra, guerriglia e di terrorismo con azioni sempre più efferate ed
eclatanti. Gli scontri in varie parti del mondo si moltiplicano, non
solo nelle aree tradizionalmente critiche sotto il profilo della
sicurezza, ma anche in altre considerate stabilizzate e sicure. In Medio
Oriente, in Siria e in Nord Africa, ma anche in Europa, con il
rinnovarsi di tensioni da “guerra fredda”, che si ritenevano ormai
superate.
La situazione si è ulteriormente aggravata con la recente
recrudescenza di attacchi terroristici portati in Francia, in Belgio e
in Germania da cittadini europei di origine nordafricana e mediorientale
di seconda e terza generazione. Elementi che non si sono mai
completamente integrati nelle nostre società e che, in molti casi, sono
rientrati dai teatri di guerra della Libia, della Siria, dell’Iraq e
dell’Afghanistan, dove hanno combattuto come “foreign fighters”, dopo
essersi arruolati e fidelizzati alla causa jihadista attraverso
internet.
L’Europa, in particolare, non sembra ancora in grado di esprimere una
comune, autonoma ed efficace politica di difesa interna ed esterna.
Tutte le attività lavorative, in Italia e all’estero, sono così
fortemente condizionate dalle esigenze di sicurezza. Le imprese, le
aziende, le società, grandi e piccole, che operano all’estero in paesi e
regioni a rischio, hanno il dovere e la responsabilità, anche per
legge, di proteggere il proprio personale.
Non solo nei Paesi appena citati, ma anche in Egitto, in Algeria, in
Nigeria, in Somalia, insomma in quasi tutto il Medio Oriente e
nell’intero continente africano con poche eccezioni, il livello di
sicurezza fornito dagli apparati governativi e dalle forze di polizia
locali risulta in genere molto basso e insufficiente, con casi frequenti
di corruzione, complicità e connivenza con i criminali e i terroristi.
La crisi economica mondiale ha anche indotto qualche Stato a ridurre
le proprie spese militari, ma non tutti. Vi è infatti qualche
significativa eccezione: la Gran Bretagna, la Germania e la Francia, che
stanno comunque rafforzando il proprio potenziale bellico. In ogni caso
la prima conseguenza evidente è stata il ritiro, anche se parziale e
graduale, delle forze internazionali impiegate nelle missioni di pace
dai teatri di operazione più critici e pericolosi.
In questa situazione, l’esternalizzazione e la privatizzazione della sicurezza
all’estero è diventata una scelta quasi obbligata. Grandi compagnie
private americane e britanniche del settore, costituite in massima parte
da ex militari professionisti, già da molto tempo e su larga scala
hanno infatti affiancato, e in qualche caso persino sostituito, le forze
armate e di sicurezza governative internazionali e locali. Ciò non è
avvenuto senza problemi. In talune circostanze, infatti, queste
compagnie private hanno operato in modo improprio, poco professionale e
maldestramente violento, tanto da provocare il risentimento e le
reazioni delle popolazioni e dei governi locali che, almeno in un caso,
come in Iraq, ne hanno bandito la presenza dal proprio territorio.
L’Italia, d’altro canto, ha un forte interesse strategico nell’area
del Mediterraneo, ma non solo. Per noi è vitale che i Paesi, con cui
intratteniamo intensi scambi economici, quelli nei quali e con i quali
lavorano le nostre maggiori imprese, quelli da cui acquistiamo materie
prime ed energia, siano stabili e sicuri. Trattare con governi
inefficienti o impotenti è inutile, spesso controproducente. Le
conseguenze sono sempre negative, come dimostrano le crescenti ondate di
disperati che continuano a raggiungere le nostre coste.
Resta il fatto che le aziende italiane all’estero, per la sicurezza
dei loro impianti, delle strutture, dei mezzi, del proprio personale
espatriato, ricorrono in via quasi esclusiva ai servizi forniti da
compagnie di sicurezza straniere, le cosiddette PMSCs (Private Military
Security Companies).
Americane e britanniche, ma anche francesi, israeliane, russe e
sudafricane, alcune della consistenza di veri e propri eserciti. Di
contro non vi sono società italiane che operano in questo delicato ed
importante settore. L’assenza di una specifica normativa sulla materia e
un paio di articoli del nostro codice penale (il 288 CP in
particolare), che prefigurano fattispecie ormai superate, ma sempre
suscettibili di forzature interpretative, sembrano scoraggiare ogni
iniziativa nel settore.
Resta il fatto che l’argomento in Italia suscita preoccupazioni più o
meno fondate, molti pregiudizi e alcuni pareri contrastanti. Da una
parte c’è chi paventa la creazione di moderne versioni delle antiche
compagnie di ventura e di mercenari al soldo del miglior offerente
straniero.
Dall’altra c’è chi pensa che sarebbe meglio privatizzare tutti i
servizi di sicurezza all’estero, per evitare di trovarsi in situazioni
potenzialmente imbarazzanti per gli organi istituzionali dello Stato,
come quella dei nostri fanti di marina trattenuti per anni in stato
d’arresto in India.
Entrambe le opinioni paiono discutibili.
Di recente è stata varata una nuova normativa sugli istituti privati
di vigilanza, che ne ha regolato tutte le diverse attività e rinnovato
le relative certificazioni sul territorio nazionale, ma che non fa alcun
cenno ai servizi di sicurezza privata all’estero. Il Testo Unico delle
Leggi di Pubblica Sicurezza riserva ancora la Sicurezza delle persone
all’esclusiva competenza delle Forze di Polizia dello Stato. Pertanto
gli istituti di vigilanza privata possono proteggere solo i beni mobili e
le strutture, ma non le persone. Questa situazione, ovviamente, si
riflette anche all’estero.
L’unica parziale eccezione, prevista dalla legislazione italiana, è
l’antipirateria marittima: attività in cui gli istituti di vigilanza
privati possono operare solo dopo aver superato un’incredibile viluppo
di regole e prescrizioni burocratiche ed aver ottenuto una sequela
infinita di autorizzazioni da parte di autorità ed enti territoriali
diversi, con differenti interpretazioni delle norme e regolamenti da
applicare e, comunque, solo dopo un’espressa comunicazione della Marina
Militare che confermi di volta in volta ufficialmente la propria
indisponibilità a fornire la protezione.
E questo malgrado il fatto che ormai da tempo la stessa Marina non
svolga più questo servizio. A tutto ciò si deve aggiungere anche un
regime fiscale che, non facendo di fatto alcuna distinzione tra le
attività svolte in Patria e quelle all’estero, ci penalizza pesantemente
nel confronto con l’agguerrita concorrenza straniera.
Il settore estero meriterebbe quindi un migliore e più attento
approfondimento, sia per ragioni economiche, che per le motivazioni
sociali collegate alle grandi opportunità di lavoro che offre.
A tutt’oggi non c’è infatti una posizione chiara e definita del
governo italiano riguardo alle problematiche di sicurezza delle nostre
aziende all’estero.
Ci si affida di norma alla sola ed esclusiva competenza degli
organismi di polizia e sicurezza locali, occasionalmente assistiti e
coadiuvati dai nostri rappresentanti diplomatici e dei servizi in
particolari emergenze.
Il mercato globale della sicurezza all’estero risulta peraltro in
continua e crescente espansione. Negli ultimi sette anni ha registrato
un incremento annuo costante tra il 7 e l’8% e per il 2017 si prevede un
volume di affari in tutto il mondo intorno ai 250 miliardi di dollari.
Il settore, in prospettiva, potrebbe avere un’ulteriore e ancora
maggiore crescita, indotta proprio dalla crisi economica globale, dalla
quale, almeno noi Italiani, non siamo ancora usciti.
Di conseguenza, considerando che il 60% delle attività lavorative
delle imprese italiane si svolge tutto o in parte fuori dal territorio
nazionale, la maggior parte delle nostre aziende all’estero, estrattive,
tecnologiche e di costruzioni, come già detto, sono di fatto costrette
ad avvalersi di consulenti ed operatori di sicurezza stranieri.
“Contractors” americani, britannici o francesi che, tra l’altro,
rappresentano, ancor più degli italiani, i bersagli ideali delle
organizzazioni terroristiche islamiche. Per cui farsi proteggere da
questi non sempre può essere la scelta migliore per prevenire attacchi e
sequestri di persona. Accade poi abbastanza spesso che cittadini
occidentali vengano catturati e presi in ostaggio da gruppi criminali e
che questi, in cambio di ingenti riscatti, li rivendano ad
organizzazioni terroristiche.
Ciò è avvenuto qualche volta anche con cittadini italiani. Le grandi
compagnie di sicurezza straniere comunque, nella gran parte dei casi, si
avvalgono di società locali, che possono fornire “mano d’opera” a basso
costo e operatori più facilmente “spendibili”. Pare inoltre che di
frequente sorgano incomprensioni e problemi di varia natura nei rapporti
tra le compagnie di sicurezza straniere e le imprese italiane. Non solo
di carattere economico, ma anche di riservatezza, reciproca fiducia e,
talvolta, anche di affidabilità, con casi di spionaggio industriale a
favore di concorrenti delle nostre aziende.
Oltre alle motivazioni sopra accennate di carattere giuridico,
economico e fiscale, vi è infine la comprensibile tendenza delle nostre
aziende ad evitare, per quanto possibile, sovraesposizioni e
drammatizzazioni mediatiche, conseguenti ad episodi delittuosi in cui
siano coinvolti connazionali, sia in qualità di vittime che di operatori
di sicurezza.
Pertanto se da una parte vi sono le aziende italiane che non vogliono
pubblicità negative, né grane giudiziarie e che non sempre considerano
la sicurezza del proprio personale come una priorità assoluta,
dall’altra ci sono molti Italiani che, lavorando all’estero, sono poco
propensi a rispettare le regole e le limitazioni di movimento imposte
dalle precarie situazioni di sicurezza locali, come dimostrano anche
episodi recenti.
La trasformazione delle Forze Armate italiane da un esercito di leva
ad uno professionale, iniziata alla fine degli anni 90, offre oggi sul
mercato della sicurezza privata ex militari qualificati ai massimi
livelli mondiali. Negli ultimi vent’anni, infatti, i nostri uomini e
donne con le stellette hanno acquisito esperienze preziose e uniche in
tutti i teatri operativi più impegnativi del mondo, riscuotendo ovunque
stima e altissima considerazione e inventando nuove e più efficaci
dottrine operative, basate sul consenso e sul rispetto dei diritti
umani.
La creazione quindi di PMSC italiane risponderebbe contemporaneamente ad almeno tre sentite ed importanti esigenze.
- Una limitazione dell’uscita dall’Italia di ingenti risorse
economiche per pagare la sicurezza privata all’estero delle nostre
aziende di punta.
- Una maggior garanzia per la protezione delle nostre politiche
aziendali, dei nostri progetti, delle nostre idee, delle nostre
tecnologie che verrebbero tutelate da operatori della sicurezza italiani
di provata affidabilità e di grande professionalità.
- Un reimpiego professionale e specialistico di tanti nostri ex
militari che, altrimenti, continuerebbero ad ingrossare la già numerosa
schiera dei disoccupati.
Da qui potrebbe nascere una grande opportunità per promuovere lo
sviluppo di un settore importante, delicato e vitale, sinora trascurato,
offrendo nel contempo lavoro e un dignitoso reimpiego a molte persone
che lo meritano per il servizio già prestato nelle Forze Armate.
PMSC italiane sarebbero così in grado di fornire prodotti di
sicurezza di altissimo profilo in ogni parte del mondo con
l’affidabilità, la legittimità e la professionalità garantite da un
sistema integrato totalmente italiano in linea con gli interessi
strategici nazionali. Potrebbe quindi costituire non solo un traguardo,
ma anche la base di partenza di una nostra più vasta, articolata ed
organizzata proiezione all’estero, con ricadute positive su tutta
l’economia nazionale.
Foto: CNN, AP, Reuters e web
di Leonardo Leso - 15 febbraio 2017