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Non smettete mai di protestare; non smettete mai di dissentire, di porvi domande, di mettere in discussione l’autorità, i luoghi comuni, i dogmi. Non esiste la verità assoluta. Non smettete di pensare. Siate voci fuori dal coro. Un uomo che non dissente è un seme che non crescerà mai.

(Bertrand Russell)

25/02/17

L'ORLANDO FUMOSO


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(Marcello Veneziani – Il Tempo) – Avete presente Andrea Orlando, quel bambolotto gonfiabile, anzi gonfiato da Renzi, che lo pose al ministero della Giustizia e lì lo dimenticò, lasciandolo al governo Gentiloni? Lo avrete senz’altro presente come faccia perché sta uscendo sempre in tv col suo fare stranito da sarchiapone appena sbarcato sulla terra.
Ora che il partito si è ridotto a spezzatino, il politico spezzino annuncia di candidarsi alla guida del Pd e non tanto per correre ma per “vincere”.

Ha il curriculum adatto: il Nulla. Una carriera tutta interna al Pci e poi al Pd, nessun titolo di studio salvo una mezza maturità scientifica, nessun lavoro compiuto nei suoi 48 anni di vita, nessuna professione, mestiere o vocazione, nessuna impresa significativa.

Meritocrazia? Ma mi faccia il piacere, queste cose oscene lasciamole ai conservatori, ai reazionari, teniamole fuori dal Governo e dal Partito. Il caso della Fedeli Ministra della Pubblica Istruzione e della Privata Ignoranza, docet. Però, dicono, lui era il cocco di Napolitano.

Il Prode Orlando è il Candidato Perfetto nell’era del grillismo e del renzismo a guidare un Partito che marcia veloce verso il Nulla. E con un candidato leader come lui è sulla buona strada. Già, chi ben comincia è già a metà dell’opera.

Con la slealtà aggiuntiva, però, di candidarsi contro chi gli ha soffiato esistenza nella sua boccuccia, gli ha dato visibilità, addirittura gli ha attribuito il dicastero della Giustizia, pur senza essere non dico magistrato o avvocato, ma almeno cancelliere o uditore. Ma lui vorrebbe ricucire la sinistra…

Orlando dice addirittura che prenderà il 70% dei consensi: è il più grave atto d’accusa alla base del Pd, la più grande offesa, un partito ridotto a votare lui. Ancor peggio le motivazioni di chi lo sostiene: Zingaretti ad esempio è con lui perché dice che il partito ha bisogno di collegialità: come dire, Orlando è solo un paravento, una controfigura, anzi il nome di fantasia dato a un gruppo, come quelli di facebook: poi il Pd lo governiamo noi…
Dopo il film sulla scissione, verranno i cartoni animati.

Da quando è stata messa in discussione la leadership di Renzi, prima è venuto fuori il trio Miseria, Speranza e Carità, poi una scia di cadaveri riemersi e di candidati da diporto. Ora, per chiudere il cerchio e toccare il fondo, dall’interno del cesaro-renzismo s’intravede un Bruto che solleva il pugnale. Tu quoque…
Ecco l’Orlando che si è incapricciato a candidarsi; anzi, che dico, è una necessità della storia, glielo chiede l’Umanità. L’Orlando Fumoso.

25 febbraio 2017 - https://infosannio.wordpress.com

24/02/17

Può finire il Pd, non il romanzo criminale che sabota l’Italia



In “Romanzo criminale”, la saga della Banda della Magliana ripercorsa da Giancarlo De Cataldo, nessuno riesce mai neppure a sfiorare il supremo potere del Grande Vecchio, il burattinaio che agisce nell’ombra e, dal Palazzo, manovra i fili che tengono insieme una sceneggiatura anche atroce, in cui si muovono guardie e ladri, terroristi e affaristi, servizi segreti e malavita imprenditrice. Nel saggio “Il più grande crimine”, il giornalista Paolo Barnard ricostruisce in chiave criminologica quello che chiama “economicidio” dell’Italia, in tre mosse: divorzio tra governo e Bankitalia, adesione all’Unione Europea, ingresso nell’Eurozona. Matematico: crisi, disoccupazione, super-tasse, taglio del welfare e dei salari, crollo dei consumi, sofferenze bancarie ed esplosione del debito pubblico, che diviene improvvisamente “tossico” perché non più ripagabile, non più denominato in moneta sovrana liberamente disponibile. A monte: il Memorandum Powell, la guerra storica contro la sinistra dei diritti del lavoro (dalla legge Biagi al Jobs Act), la “crisi della democrazia” evocata dai cantori della Trilaterale, fino alla spazzatura terminale dell’Ue, il Fiscal Compact, la morte clinica del bilancio pubblico degli Stati, ridotti a esattori per la più colossale operazione di money-transfer della storia moderna, dal basso verso l’alto, attraverso la privatizzazione universale neoliberista.

Michele EmilianoNella sua visione da criminologo, Barnard fa i nomi: Beniamino Andreatta e Carlo Azeglio Ciampi vietarono alla Banca d’Italia di continuare a fare da “bancomat del governo” a costo zero, imponendo allo Stato, da quel momento, di finanziarsi diversamente: ricorrendo cioè al sistema finanziario privato attraverso l’emissione di bond, a beneficio della grande finanza, cui da allora lo Stato avrebbe riconosciuto lauti interessi, facendo esplodere il debito pubblico. Poi l’euro, cioè l’istituzionalizzazione definitiva della “trappola finanziaria”: lo Stato non può più fare retromarcia, deve “prendere in prestito” la moneta emessa da un soggetto esterno, la Bce, i cui azionisti sono le banche centrali non più pubbliche, ma controllate da cartelli bancari privati. A quel punto è l’euro a imporre la sua legge, attraverso la Commissione Europea, cioè il governo non-eletto dell’Europa. E la Commissione Europea vara la norma finale, esiziale, per qualsiasi governo democratico: il pareggio di bilancio, che equivale al decesso finanziario dello Stato. In regime di sovranità (Usa, Giappone, resto del mondo) il debito pubblico misura la salute del paese: più il deficit è alto, più l’economia è prospera. L’Unione Europea inverte i termini del paradigma: taglia la spesa pubblica, e ottiene crisi. L’Italia, addirittura, ha inserito il pareggio di bilancio in Costituzione. E, peggio ancora, da anni il bilancio italiano è in “avanzo primario”: per i cittadini, lo Stato spende meno di quanto i contribuenti versino in tasse.
Come si è arrivati a questo? Smantellando la sinistra, risponde Barnard, citando l’avvocato Lewis Powell, uno stratega di Wall Street incaricato dalla Camera di Commercio Usa, all’inizio degli anni ‘70, di redigere un vademecum per guidare l’élite, spodestata dalla democrazia sociale nel dopoguerra, verso la riconquista dell’atavico potere perduto. Detto fatto, come da manuale: leader radicali stroncati, leader riformisti “comprati” per annacquare i loro partiti e sindacati, rendendoli docili e spingendoli a convincere i loro elettori ad accettare “riforme” concepite per “smontare” le tutele sociali, privatizzando progressivamente l’economia. Campioni assoluti, in Italia: personaggi come Romano Prodi, Giuliano Amato e Massimo D’Alema. Berlusconi? Irrilevante: si è limitato a proteggere i suoi interessi. Gli artefici delle “riforme strutturali” provengono tutti dalla sinistra storica: la più adatta, come insegna Lewis Powell, a convincere la società ad affrontare dolorosi “sacrifici”, magari imposti sulla base di norme senza alcun fondamentio economico, come il famigerato limite alla spesa pubblica, non oltre il 3% del Pil. Una invenzione di François Mitterrand, come ricorda l’economista Alain Parguez, allora consulente del presidente francese. Mitterrand? «Un monarchico, travestito da socialista». L’ennesima maschera della sinistra messasi al servizio del supremo potere oligarchico, neo-feudale, ansioso di sbarazzarsi dell’ingombro della democrazia per tornare all’antico splendore.

Jacques AttaliLa “mente” di Mitterrand? Jacques Attali, che Barnard definisce “il maestro” di D’Alema, l’ex comunista italiano che, da Palazzo Chigi, vantò il record europeo delle privatizzazioni. Nel suo libro “Massoni, società a responsabilità illimitata”, Gioele Magaldi aggiunge un ulteriore filtro alla lettura di Barnard, quello super-massonico, derivante dal potere di 36 organizzazioni segrete, denominate Ur-Lodges, in cui gli uomini del massimo vertice mondiale – finanziario, industriale, militare, politico – disegnano le loro trame, per condizionare governi e paesi. Di Jacques Attali, Magaldi e Barnard offrono un ritratto preciso: l’ennesimo uomo di sinistra, “convertitosi” alla causa dell’oligarchia. E’ uno smottamento che investe l’intero Occidente: i Clinton e poi Obama negli Usa, Tony Blair in Gran Bretagna, Mitterrand in Francia, Gerhard Schröder in Germania con la riforma Hartz che introduce la flessibilità nel lavoro dipendente e i mini-salari dei minijob. Poi arrivano le Merkel e i Trump, ma il “lavoro sporco” l’hanno già fatto gli “amici del popolo”, quelli che ancora oggi in Italia cantano Bandiera Rossa e Bella Ciao, dopo aver votato la legge Fornero e le finanziarie-suicidio di Mario Monti, che per Magaldi milita, insieme a Giorgio Napolitano, nella Ur-Lodge “Three Eyes”, la stessa di Attali, storicamente guidata da personalità come quelle di David Rockefeller ed Henry Kissinger, fondatori della Trilaterale.

Vendola e BertinottiAnche in Italia, il cortocircuito finanziario introdotto con l’euro (lo Stato improvvisamente in bolletta) si è trasformato in crisi economica, quindi sociale. Ma, ovviamente, il “più grande crimine”, il sabotaggio della sovranità e quindi della democrazia, non è mai stato neppure lontanamente sfiorato dalla cosiddetta sinistra radicale dei Bertinotti e dei Vendola, né tantomeno dalla Cgil. Era tanto comodo il “demonio” Berlusconi, per catalizzare i mali del Balpaese, fino a insediare a Palazzo Chigi direttamente la Trojka, il commissario Monti (Trilaterale, Bilderberg, Goldman Sachs) tra gli applausi di tutti i Bersani di Montecitorio. Poi è arrivato Grillo, poi Renzi: come se il Grande Vecchio, lassù, si divertisse un mondo con il suo giocattolo preferito, l’Italia, cioè il paese in cui nessuno denuncia mai il vero problema, e dunque non può trovare soluzioni. Oggi si sbriciola il Pd, ma nulla lascia supporre che finisca il “romanzo criminale”, con i suoi personaggi-marionetta e le loro piccole partite, fatte di primarie e poltrone, correnti e sigle, bullismi, rancori, rivincite e vendette. Vacilla persino l’Unione Europea, sono in atto rivolgimenti di portata mondiale che mettono in discussione i caposaldi della globalizzazione neoliberista. E in Italia sono in campo Renzi ed Emiliano, Di Maio e la Raggi, Salvini e D’Alema, Prodi e Berlusconi, Pisapia e la Boldrini. Ancora una volta, gli amici del Grande Vecchio potranno dormire sonni tranquilli: l’Europa sta per franare, a cominciare dalla Francia, ma non sarà certo l’Italia a impensierire i grandi architetti della crisi.

22 febbraio 2017  http://www.libreidee.org

“Orge gay finanziate con soldi pubblici dalla Presidenza del Consiglio (Unar)”



Una “dark room”, dove vengono organizzate orge e dove alcune persone si prostituiscono, finanziata con 55mila euro dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, quindi con soldi pubblici. E’ la sintesi della tesi sostenuta in un servizio delle Iene, il programma di Mediaset, confezionato da Filippo Roma, in onda domenica sera su Italia Uno.
Sul tavolo delle Iene è finito l’Unar, l’Ufficio anti discriminazioni razziali all’interno del Dipartimento Pari opportunità della presidenza del consiglio (che gestisce centinaia di migliaia di euro di soldi pubblici), che si occupa di promuovere la parità di trattamento e la rimozione delle discriminazioni razziali, etniche e sessuali con campagne di comunicazione e progetti in collaborazione con associazioni no profit.

Il direttore dell’Unar con la presidenta Boldrini


Nel mirino della iena Filippo Roma c’è un finanziamento di 55 mila euro rilasciato a un’associazione dietro la quale – secondo la trasmissione – sarebbe occultato il business del sesso a pagamento. Le iene, telecamere nascoste al seguito, si sono infiltrate all’interno delle serate organizzate dall’associazione documentando – secondo quanto annunciato – incontri hard e offerte di prestazioni sessuali a pagamento in alcuni di questi circoli. Sarebbe anche stata registrata l’intervista a uno dei responsabili dell’Unar della presidenza del consiglio, che davanti alle richieste di Filippo Roma, si sarebbe trovato in seria difficoltà, soprattutto quando il “moralizzatore” gli ha sventolato davanti la tessera con il suo nome e cognome. Guardare per credere.  TISCALI

fonte: 

Nube radioattiva attraversa l’Europa




Da gennaio a pochi giorni fa una nube radioattiva ha attraversato tutta l’Europa da est a ovest, dalla Russia fino alla Spagna. E senza che nessuno dicesse niente.
A dare la notizia che una nuvola di radiazioni nucleari prodotte da iodio 131 hanno interessato quasi tutta l’Europa è stato il giornale britannico Daily Mirror, che ha sottolineato che non ci sarebbero pericoli per la popolazione. A ribadirlo è stata Astrid Liland, della Norwegian Radiation Protection Authority, che ha affermato che “Le misure di radioattività rilevate durante il mese di gennaio, pur essendo al di sopra della media, erano a valori estremamente bassi e non creavano alcuna preoccupazione per l’uomo o per l’ambiente”. Anche l’autorità francese per la sicurezza nucleare ha reso noto che il livello di radioattività in atmosfera e, in particolare, in prossimità del suolo “non sollevava alcuna preoccupazione per la salute, e che dagli inizi di febbraio la situazione è tornata alla normalità”.
Un basso livello di pericolosità legato anche al fatto che questo isotopo ha una vita limitata (statisticamente, ogni 8 giorni la quantità in atmosfera si dimezza) che non giustifica il fatto che da una base britannica si è subito alzato in volo un quadrigetto “WC-135 Costant Phoenix” (noto come il “cane da fiuto” delle esplosioni nucleari), di proprietà statunitense, in cerca di tracce anche minime di sostanze radioattive. Anche il Pentagono ufficialmente non ha fornito particolari sulla natura della missione dell’aereo, che fino ad oggi era stato impiegato in Europa molto raramente.
Resta ignota provenienza e le cause delle radiazioni. Tra le ipotesi più accreditate quella che si sia trattato di una fuga da una delle industrie che producono strumenti per la sanità: lo iodio 131 é infatti largamente usato per curare i tumori. Proprio pochi giorni prima che venissero rilevati questi livelli anomali di sostanze radioattive nell’atmosfera, sulla rivista Plos era stato pubblicato uno studio sui modelli di diffusione atmosferica dello iodio 131. E l’articolo riportava proprio di un caso analogo verificatosi nel 2011: a causare l’emissione di sostanze radioattive allora era stato un guasto ai sistemi di filtraggio dell’Institute of Isotopes di Budapest, in Ungheria, dove si producono isotopi radioattivi per la ricerca e per la medicina nucleare.
Ciò che più di ogni altra cosa ha sorpreso, però, è stato il silenzio di tutte le autorità dell’Unione Europea: nessuno ha detto niente né è stato pubblicato alcun comunicato ufficiale sull’accaduto. Una cosa di una certa gravità dato che il problema non ha riguardato solo uno stato ma praticamente tutti i paesi dell’Unione (tranne poche eccezioni), dalla Norvegia alla Finlandia fino alla Polonia, alla Repubblica Ceca, alla Germania, alla Francia e alla Spagna.

i C. alessandro Mauceri – 23 febbraio 2017

USA, come funzionano i servizi di intelligence

NSA



La comunità dell’intelligence statunitense è tra le più complesse e frazionate del mondo. Secondo gli elenchi ufficiali, vi fanno parte a pieno titolo ben sedici agenzie. Nel 2017, il budget destinato dal governo americano all’intero sistema di intelligence degli Stati Uniti sarà, secondo le richieste già ufficializzate, di 53 miliardi di dollari. Questa spesa sarà coperta in buona parte dall’intelligence militare che riceverà 17,7 miliardi di dollari. Tra i settori che beneficeranno maggiormente dei nuovi investimenti vi saranno il controterrorismo, la sicurezza delle reti informative (umane e tecnologiche), la contro-proliferazione nucleare, batteriologica e chimica.

Ecco una rassegna delle principali caratteristiche che contraddistinguono le sedici agenzie d’intelligence del Paese.

1) Air Force Intelligence
La US Air Force Intelligence si occupa di sorveglianza, riconoscimento e analisi-elaborazione dei dati informatici provenienti dai sistemi e dai sensori aerei e spaziali e dal cyberspazio. Ha ai suoi ordini 50.000 unità, sia civili che militari, non tutte integrate direttamente nella rete di intelligence dell’Aviazione, ma operative all’occorrenza in uno dei 63 Paesi in cui gli USA dispongono di una delle loro 763 basi militari all’estero. Queste basi, in cui prestano servizio nel complesso circa 255mila unità, servono principalmente per controllare le reti di comunicazione strategiche, le aree di produzione di energie convenzionali e rinnovabili e le principali riserve idriche del pianeta.

2) Office of Naval Intelligence
L’Office of Naval Intelligence, il servizio interno della Marina, si occupa di fornire informazioni geopolitiche, strategiche e militari al governo. Ha un servizio tecnico e informatico di notevole rilievo. Anche i Marines dispongono di una struttura di intelligence autonoma denominata Marine Corps Intelligence Activity. Si tratta di un servizio altamente operativo che fornisce supporto diretto alle missioni militari.

3) Coast Guard Intelligence
La Coast Guard Intelligence è responsabile della sicurezza delle popolazioni che risiedono nelle zone costiere e della protezione delle infrastrutture pubbliche che hanno sede lungo le coste.

4) Defense Intelligence Agency
La Defense Intelligence Agency (DIA) risponde al ministero della Difesa e ha il compito di supportare sul piano informativo i decisori militari. Dispone di 16.500 elementi, tra civili e militari, operativi in tutto il mondo. La struttura è la maggior produttrice di dati riservati raccolti all’estero. Il suo direttore presiede il Military Intelligence Board, che coordina tutta la raccolta d’informazioni nel solo settore militare.

5) Army Intelligence
INSCOM (United States Army Intelligence e Security Command) opera con propri dipartimenti all’interno dell’esercito e dell’NSA (National Security Agency). Raccoglie e fornisce informazioni di intelligence destinate ai comandi militari che coordinano operazioni sul campo (anche nel caso di operazioni congiunte con altri eserciti nell’ambito ONU e NATO), effettua operazioni di SIGINT (SIGnals INTelligence, spionaggio di segnali elettromagnetici) e di guerra cibernetica.

6) Department of Energy
La struttura d’intelligence del Dipartimento dell’Energia opera con 30 uffici autonomi su tutto il territorio degli Stati Uniti e si occupa di raccogliere informazioni su: infrastrutture energetiche, tecnologie, dati finanziari sul sistema energetico nazionale e su quello dei suoi alleati o avversari.

7) Department of Homeland Security
Il Department of Homeland Security ha il compito di contrastare le minacce alla popolazione e alle infrastrutture del Paese. Il suo direttore risponde direttamente al presidente e al capo della CIA.

8) Bureau of Intelligence and Research
La rete di intelligence del Dipartimento di Stato è il Bureau of Intelligence and Research. Raccoglie dati soprattutto da fonti aperte, da reti confidenziali, dai report dei diplomatici, dal mondo accademico e da quello giornalistico. Si occupa di previsione strategica e di programmazione della sicurezza nazionale.
9) Office for Intelligence and Analysis
Dal 2004 il Dipartimento del Tesoro opera con una struttura di intelligence interna, l’Office for Intelligence and Analysis. Questa struttura si occupa di: intelligence finanziaria, analisi delle operazioni di riciclaggio nell’economia terroristica, prevenzione di possibili minacce alla stabilità della moneta e agli investimenti interni ed esteri del Paese.

10) National Security Intelligence Office
La Drug Enforcement Administration (DEA) dispone di una rete informativa specifica, il National Security Intelligence Office. Obiettivo della struttura è fornire informazioni per il contrastato dei traffici di droga all’interno del territorio nazionale così come di quelli che arrivano da Paesi esteri.

11) FBI
L’FBI (Federal Bureau of Investigation) è l’agenzia primaria di controspionaggio degli USA. Al pari della CIA, è una struttura sia di intelligence che di law enforcement, dunque di tutela dell’ordine giuridico. Si tratta di un limite – analitico e politico – che contraddistingue nel complesso la comunità d’intelligence americana. Come accade peraltro in gran parte dei Paesi d’Europa, i servizi di intelligence non devono essere infatti uffici di polizia giudiziaria, ma principali strutture di analisi. In altri termini, un servizio davvero efficiente non si occupa dei reati che, anzi, possono rappresentare una straordinaria risorsa informativa, ma del loro rilievo analitico e strategico.

12) NSA
L’NSA (National Security Agency/Central Security Service) si occupa dei sistemi informativi e delle reti informatiche, proteggendo quelli nazionali e cercando di penetrare quelli dei Paesi esteri.

13) NRO
L’NRO (National Reconnaissance Office) raccoglie e analizza i dati provenienti dalle rilevazioni satellitari. Segnala movimenti di truppe, infrastrutture militari attive o in costruzione, emergenze ambientali. Utilizza in gran parte personale della CIA e del Dipartimento di Stato.

14) NGA
La National Geospatial-Intelligence Agency (NGA) è una struttura che offre supporto di intelligence sia per le missioni militari, rispondendo al Dipartimento della Difesa, sia all’Intelligence Community per cui si occupa di GEOINT (Geospatial Intelligence), vale a dire monitoraggio, raccolta e analisi di immagini e informazioni geospaziali. L’NGA fornisce inoltre assistenza per far fronte a calamità naturali o catastrofi provocate dall’uomo, ma anche per la pianificazione e la messa in sicurezza di grandi eventi come le Olimpiadi del 1996 ad Atlanta.

15) CIA
La CIA (Central Intelligence Agency) produce dati e analisi per il governo degli Stati Uniti, raccogliendo informazioni ed elaborandone altre provenienti da altre agenzie al fine di perfezionare il decision making dell’Amministrazione. Il suo direttore (dal 23 gennaio 2017 è Mike Pompeo, nominato dal presidente Donald Trump) è il responsabile di tutta la rete di human intelligence. La CIA è formata dai seguenti direttorati: Analisi, Operazioni, Scienza e Tecnologia, Supporto, Innovazione Informatica, Centro Missioni all’estero (comprese quelle sotto copertura coordinate dal National Clandestine Service). Dei 53 miliardi di budget destinati nel 2017 all’intera rete delle agenzie di intelligence statunitensi, 15 sono destinati alla CIA.

16) Intelligence Community
Negli Stati Uniti, la struttura di collegamentotra le varie agenzie di intelligence nazionali – un organismo di fondamentale rilevanza nei Paesi europei – risponde direttamente al presidente e all’ufficio di coordinamento tra tutti i Direttori delle agenzie. È conosciuta con il nome di Intelligence Community e il suo attuale capo è il generale James R. Clapper.

I fallimenti
Negli ultimi anni si è detto che la comunità di intelligence degli Stati Uniti non abbia previsto le primavere arabe, anche se in un recente volume scritto da un ex vicedirettore della CIA, Michael Morell, le sollevazioni in Nord Africa e Medio Oriente sarebbero state “pensate” dai servizi segreti americani come un tentativo di emarginare e isolare i jihadisti in tutto il mondo islamico. Non ha funzionato, evidentemente. Negli ultimi anni i servizi segreti americani non hanno previsto in tempo la morte di Kim Jong Il (dicembre 2011) e, probabilmente, non hanno delineato il miglior profilo del suo erede Kim Jong Un.

Volendo tornare ancora più indietro nel tempo, l’elenco dei fallimenti dell’intelligence americana sarebbe lunghissimo. Tra gli eventi più significativi vi sono stati: la mancata previsione dell’attacco giapponese a Pearl Harbour del dicembre 1941; il fallimento dell’attacco alla “Baia dei Porci” del 1961, un’operazione che portò l’allora presidente americano John Fitzgerald Kennedy a ridisegnare la CIA e a nominare un nuovo direttore, il businessman John McCone; l’offensiva del Tet del 31 gennaio del 1968, condotta dal Viet Minh comunista contro le forze americane e del Vietnam del Sud; la Guerra dello Yom Kippur del 1973; la rivolta del 1979 contro lo Scià di Persia Mohammad Reza Pahlavi; la mancata previsione della invasione sovietica dell’Afghanistan; la caduta rapida e verticale dell’URSS; i test nucleari indiani del 1998; gli attentati alle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001; la guerra in Iraq del 2003.

Conclusioni
Negli ultimi anni i fallimenti sono stati inframezzati anche da operazioni portate a compimento con successo. Tra queste, le due più importanti negli ultimi anni hanno portato all’uccisione di Osama Bin Laden nel maggio del 2001 e di Abu Musab al-Zarqawi, capo di Al Qaeda in Iraq, nel giugno del 2006.

I servizi segreti americani sono in definitiva una rete accurata di raccolta delle informazioni, molto specializzata per settore ma spesso dimostratasi incapace di rilevare il dato più importante nella sequenza di intelligence. Anche di recente l’Intelligence Community è sembrata inoltre poco adatta a condurre, se non ai massimi livelli politici e strategici, il principale compito che un servizio segreto efficiente deve svolgere: porre in sequenza, e nell’ordine corretto, tutti i dati, in modo da verificarli e, successivamente, conferire loro il giusto rilievo interpretando le intenzioni del competitor a cui sono state sottratte le informazioni. Si tratta, dunque, di servizi tecnicamente evolutissimi ma non del tutto sostenuti da una sapienza politico-strategica all’altezza della quantità e qualità dei dati raccolti.

8 febbraio 2017

22/02/17

Italia. La prevalenza del lustrascarpe





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Paul Roesch, nonostante il nome, è un cittadino italiano. E’ sindaco della città di Merano, appartiene al movimento dei Verdi– Die Gruene – (il bilinguismo…), è il primo ad avere battuto, dopo settant’anni, la SVP, il partito di raccolta etnica della popolazione di lingua tedesca che governava la città dal dopoguerra, insieme con i democristiani locali. Recentemente, ha avuto il suo quarto d’ora di notorietà nazionale facendosi fotografare mentre lustrava le scarpe ad un “migrante” dell’Africa equatoriale. Fu davvero profetico Andy Warhol, l’icona della pop art, quando affermò che ognuno, nel mondo moderno, avrebbe avuto quindici minuti di celebrità: in fondo, i quarti d’ora sono novantasei al giorno.
Un italiano vero, a prova di Toto Cutugno, il sudtirolese sinistrorso e germanofono, subito sommerso dalle critiche dei suoi concittadini, la cui principale colpa è di averlo eletto.  Nel 1985, i popolari scrittori torinesi Fruttero e Lucentini raccolsero in un libro tredici anni di interventi sul quotidiano La Stampa, con il titolo La prevalenza del cretino. Italianissimi anche loro, gli autori della Donna della domenica coglievano nel segno. Noi tuttavia crediamo nella prevalenza, dalle Alpi al Mediterraneo, di un’altra figura assai diffusa, il lustrascarpe, appunto. Sarà per la forma stessa della nostra terra, lo Stivale, ma il lustrascarpe è una costante della storia patria. Il buon Paul Roesch non è che l’ultima incarnazione della categoria.
Il grande scrittore Jack London, quello che teorizzò il “fardello dell’uomo bianco” civilizzatore benché colonialista, fu lustrascarpe in gioventù, e, giusto per rimanere in ambito letterario, Sam Weller, arguto protagonista del Circolo Pickwick, venne assunto come maggiordomo da Mister Pickwick dopo una lunga carriera di lustrascarpe. Fino all’inizio degli anni 80, all’esterno della stazione di Porta Nuova a Torino un piccolo gruppo di anziani dall’aspetto di valligiani con una divisa nera dai risvolti rossi svolgeva coscienziosamente il medesimo servizio, assai apprezzato dai danarosi subalpini.
Nessun pregiudizio contro chi si guadagna onestamente il pane lucidando le calzature altrui, meglio ancora se sono stivali, dalla superficie più estesa. Il fatto è che troppo spesso l’Italia è stata ed è il paese ed il paradiso degli sciuscià. Certo, non del piccolo sfortunato Pasquale Maggi nel film di Vittorio De Sica, manifesto del neo realismo e premio Oscar nel 1946. Tuttavia, fa male sapere che il termine sciuscià è l’italianizzazione artigianale di “shoe shine”, lustrascarpe appunto, nella lingua dei liberatori. Che gradirono molto l’ampia disponibilità degli italianuzzi alla pulizia degli scarponi ed anche a troppo altro, come rivelò Curzio Malaparte nella “Pelle”. Il fatto è che l’atto di lustrare le scarpe è un simbolo disgustoso di servilismo nonché di riconoscimento di inferiorità.
Per questo il gesto del sindaco altoatesino è così triste ed insieme carico di significati. Nello specifico, tra i quarantamila e più suoi amministrati, Herr Roesch avrebbe potuto compiere lo stesso gesto, unito all’aiuto concreto, verso un meranese povero, magari malato o disabile. No, le scarpe appartenevano ad uno dei tantissimi pasciuti giovani uomini neri muniti di telefonino e cuffie che ciondolano per le nostre città, e che non possiamo neppure chiamare clandestini, giacché sono stati condotti nel territorio italiano dalle navi militari che incrociano il Mediterraneo a supporto di scafisti, allertati dalle ricche ONG che possiedono navi da alto mare. Abbiamo capito, borgomastro Roesch, ma avevamo tutto chiaro già quando il vescovo di Roma Bergoglio lavò i piedi in San Pietro a vari migranti, tutti rigorosamente non cristiani. La cerimonia ricorda il giovedì santo, e la lavanda dei piedi di Gesù ai suoi discepoli, non a passanti qualunque, in quello che era il gesto doveroso dello schiavo nei confronti del padrone rientrato a casa da campi e strade fangose.
Sì, anche papa Francesco si comporta come un lustrascarpe del potere dominante, amato com’è dal mondo ateo, laico ed anticristiano, convinto che Dio non è cattolico, e che nessuno può giudicare, come cantava Caterina Caselli mezzo secolo or sono. A lui non è toccato il rifiuto vergognoso dell’Università romana, chiamata La Sapienza, che impedì a Benedetto XVI di parlare nella sede della cultura. L’argentino è stato ricevuto con tutti gli onori riservati a uno di casa, ed ha ricambiato con un discorso in cui mai ha pronunciato la parola Dio o nominato Gesù. Questo è il problema dei lustrascarpe: sono ampiamente muniti di spazzole e lucido di vari colori e tipi, a seconda delle calzature da trattare, ma non possono sgarrare. Guai a loro, è in agguato un concorrente, magari inviato attraverso l’apposita applicazione, la magica app della multinazionale di turno, come Uber che strozza i tassisti.
In Italia non è sfuggito nessuno alla sindrome del lustrascarpe: negli anni Venti del Novecento, gli squadristi prendevano di mira Nicolino Bombacci, che finì poi per morire ucciso nel 1945 da fedelissimo del Duce, cantando “Della barba di Bombacci ne faremo spazzolini, per pulire gli stivali di Benito Mussolini”. Chissà che tra loro non ci fosse qualcuno di quelli che, nella disfatta, parteciparono alla macelleria messicana di Piazzale Loreto (parola di Ferruccio Parri). Sì, perché i lustrascarpe più accorti non hanno un unico cliente, e cambiano sovente bandiera.

A Milano, per esempio, la giunta comunale di sinistra ha lustrato le scarpe alla multinazionale Usa Strarbucks, unica partecipante al bando per la risistemazione di Piazza del Duomo. Come elefanti in cristalleria, gli statunitensi hanno piantumato attorno al gioiello gotico e sotto la Madonnina una sorta di bosco di palme africane. Ignoranza, arroganza padronale amerikana, o onesto anticipo di un futuro ormai prossimo? Ricordiamo tutti le immagini dei mussulmani chini a pregare nella piazza e sul sagrato del Duomo.
Alberto Arbasino, brillante scrittore, uomo di mondo ed acuto osservatore del costume nazionale riconobbe la prevalenza del lustrascarpe nella casta intellettuale con una battuta fulminante. La giovane promessa diventa “venerato maestro”, ma, all’occorrenza, e per opera delle stesse persone, “solito stronzo”. Il nostro carattere nazionale, inutile nasconderlo, è quello di un popolo di camerieri desiderosi di indossare la livrea del padrone di turno, stendere tappeti rossi sul suo cammino e rendere lucidi come specchi stivali e mocassini. Convinto di essere furbissimo, il genoma nazionale italiano è tendenzialmente infedele, e, mentre lustra con indubbia maestria le scarpe dei potenti, si applica a trarre beneficio dall’ostentata fedeltà e, con la mano libera, già traffica con gli avversari del padrone in carica, come la maschera di Arlecchino.
Alcuni dei più scalmanati sostenitori di Silvio Berlusconi si sono distinti in questa dubbia arte: pensiamo a Sandro Bondi e ai tanti che sbavavano attorno al Cavaliere, lesti a sferrargli il calcio dell’asino quando il vento ha cambiato direzione. Nessun grande uomo è davvero tale, peraltro, per il suo cameriere, che ne conosce fatti e misfatti. Come i topi fuggono dalla nave prima del naufragio, i lustrascarpe migliori sono valenti meteorologi, fiutano il vento con istinto sicuro e posizionano l’attrezzatura accanto ai piedi giusti con un attimo di anticipo.
Quando il PCI, a metà degli anni 70 vinse le elezioni amministrative e sembrava travolgere ogni ostacolo, restò famosa la foto di una manifestazione moltitudinaria in cui accanto ad Enrico Berlinguer c’era il noto musicista Severino Gazzelloni che suonava il flauto. Il pifferaio di Hamelin de noantri suonava Bandiera Rossa  a fianco del severo leader sardo.  In quegli anni, iniziava una brillante carriera di lustrascarpe un giovane attore magro e travolgente, Roberto Benigni. Un suo film giovanile si intitolò Berlinguer ti voglio bene, i suoi baci e abbracci sguaiati avvolsero più volte l’uomo di Botteghe Oscure, personaggio tutt’altro che espansivo, e, dopo un’onorata e ben retribuita carriera, Benigni, forse per solidarietà toscana, è finito a lustrare, al recente referendum, le scarpe fashion di Matteo Renzi.  Il finale del suo film più premiato, La vita è bella, resta il capolavoro di piaggeria dell’omino di Castiglion Fiorentino. Il campo di concentramento di Auschwitz viene liberato dall’esercito americano, mentre tutti sanno che il 27 gennaio 1945 furono i sovietici ad entrare nel lager. I produttori del film però, non erano russi, qualcuno israelita, ed apprezzarono il falso storico mascherato da licenza poetica.

Una specialità nazionale è quella del lustrascarpe per servizi di lunga durata, una specie di Duracell della spazzola e del lucido, e si basa sulla inversione sfacciata dei fatti ripetuta sino alla creazione di false verità indiscutibili. Nel 1981, Carlo Azeglio Ciampi, governatore della Banca d’Italia, e Beniamino Andreatta, ministro del Tesoro, con una semplice lettera di quest’ultimo, dettero il via alla stagione del debito pubblico e della prevalenza della finanza, attraverso l’autorizzazione data alla banca centrale – all’epoca pubblica- a non acquistare obbligatoriamente le quote invendute di emissioni di buoni e certificati del Tesoro. Un atto storico devastante che ha lasciato lo Stato inerme davanti al mercato finanziario, lo possiamo definire un crimine contro il popolo italiano, seguito, dieci anni dopo, dalla distruzione delle riserve di Bankitalia per “difendere” la lira dalle speculazioni di Soros e soci. Risultato, lira comunque svalutata, una devastante manovra economica lacrime e sangue (governo Amato), via libera alle privatizzazioni low cost a favore di ben individuati centri di potere internazionale. Esito per Ciampi, la presidenza del Consiglio prima, addirittura la carica di Capo dello Stato poi. Resta un padre della Patria, i lustrascarpe hanno lavorato benissimo ed il banchiere livornese rimane un Venerato Maestro.
Più recente, ma non meno interessante, l’operazione di lucidatura delle morbide calzature in pelle umana di Mario Monti, adatte alle moquette ed agli eleganti marmi delle stanze dei consigli d’amministrazione di entità finanziarie. Ha salvato l’Italia, dissero per un paio d’anni lustrascarpe di lungo corso, sussiegosi come certi maggiordomi inglesi, ma non certo intelligenti e simpatici come il Jeeves di P.G. Wodehouse. Da che cosa e da chi Monti salvò l’amata Patria non è dato saperlo, specie se ci guardiamo intorno uscendo di casa. Di certo, ricordiamo l’orchestra per soli violini che magnificava il suo non eccelso curriculum, la sua capacità di risolvere problemi economici e finanziari, sino all’entusiasmo per il cagnolino con cui si presentò una volta in televisione.
Matteo Renzi, che ad occhio e croce ama essere circondato di laudatores, ha goduto per circa tre anni dei servigi di un battaglione di lustrascarpe. Forse ha persino dovuto comprare calzature all’ingrosso, magari dal suo amico Della Valle, patron di Tod’s, per consentire a tutti di cimentarsi in esercizi acrobatici di piaggeria. Qualche giorno prima del 4 dicembre, fatidico giorno del referendum costituzionale, abbiamo tuttavia assistito al rapido ritiro di spazzole, lustro e sgabelli dai piedi renziani, giacché la batosta appariva sempre più probabile.
Alessandro Manzoni scrisse il suo 5 maggio in morte di Napoleone, “vergin di servo encomio e di codardo oltraggio “. Un pessimo esempio di italiano controcorrente, meglio il francese Pierre Corneille e le dediche delle sue tragedie al Re Sole, che sanno di zerbino sull’uscio di casa. Ma era Luigi XIV, quello che disse Lo Stato sono io! ed era Pierre Corneille, un genio della letteratura, cui si può ben perdonare qualcosa, nel quadro della Francia del XVII secolo, con buona pace di Simone Weil che non gli perdonò la sua attitudine servile.
Ci sono, ovviamente, anche lustrascarpe di modesti orizzonti. Nella terra di Liguria cara a chi scrive il quotidiano locale è sdraiato da decenni davanti alla sinistra, anche la più estrema, e sbava come un buon cane fedele ogni giorno dell’anno. In queste settimane, sono di turno le scarpe dei vecchi esponenti politici di sinistra, protagonisti di lirici pezzulli in cui si invoca l’unità del grande e glorioso Partito (quello democratico, è chiaro). Di un esponente locale viene descritto il merito principale: è iscritto dal 1954! Poiché il PD di anni ne ha circa dieci, ecco un vero antemarcia, un vecchio scarpone da lustrare con cura affinché brilli il colore di sempre, il rosso antico del PCI stalinista. Il vescovo di Chiavari, città clericale come poche, monsignor Tanasini, un mite prelato silenzioso, ha gridato al suo gregge recalcitrante che chi non accoglie i migranti non è cristiano. Che cosa scatena il timore del pensionamento anticipato, si è munito lui pure del banchetto da lustrascarpe del politicamente corretto e chissà che il denaro del business dell’accoglienza non faccia tappa anche nel Tigullio borghese e benestante.
I poveri sciuscià, a Napoli e altrove, chiedevano solo ai loro facoltosi clienti qualche soldino per tirare avanti, sfruttando il bieco orgoglio altrui di veder chini davanti a sé dei poveracci, ma nella Palermo del 2017 la Confartigianato sta mettendo in piedi una cooperativa di lustrascarpe da posizionare nei luoghi strategici della città. Si sono presentati 75 aspiranti, non pochi sono laureati, guadagneranno, si spera, almeno mille euro al mese, per ora stanno studiando. Eh sì, perché la formazione è importante anche per loro, e, temiamo, i piedi presso cui piegheranno la schiena saranno quelli di mafiosi, evasori fiscali mai raggiunti da Riscossione Sicilia, l’allegra Equitalia della Trinacria, privilegiati della ricca casta dei dipendenti e consulenti regionali.
Poco è cambiato dal 1882, quando il pittore naturalista francese Jules Bastien Lepage dipingeva il London Lustrascarpe, un bambino dallo sguardo triste con la livrea rossa appoggiato ad un lampione in attesa dei clienti.  Riavvolgendo il nastro, cambiano solo i proprietari dei piedi. Forse Paul Roesch, l’italianissimo sindaco meranese di lingua tedesca si è solo portato avanti. Le scarpe dei finti rifugiati destinati a sostituire noi ed i nostri pochi figli sono ancora sporche e dozzinali. Domani saranno quelle dei nuovi padroni, e non pochi di loro lo hanno capito, con l’atteggiamento che ostentano nelle nostre città, sicuri della copertura politica mediatica ed ecclesiastica.
Sbrighiamoci anche noi. Basta uno sgabello, una borsa con spazzole, scopette e lucidi multicolori. Sicuramente il kit completo si troverà online. Consultiamo Amazon o Ebay, paghiamo con Paypal, ma non lasciamo cadere l’antica tradizione italica del lustrascarpe.

di Roberto Pecchioli - 22 febbraio 2017
fonte: www.riscossacristiana.it

Fanno (quasi) pena


Rossi il comunista

Roma, manifestazione della sinistra Pd al teatro Vittoria

Ha seguito la scia di Renzi per farsi ricandidare a governatore, concedendo un aeroporto e qualche assessore. Scontato che una volta rieletto avrebbe avuto mani libere: alla ricerca di un futuro politico a 58 anni, Enrico Rossi si traveste da socialista per fare la rivoluzione. Ma lui di socialista ha sempre avuto ben poco. Nato a Bientina, padre camionista, a 27 anni è già un comunistello provetto. Prova a fare il giornalista al Tirreno, ma preferisce la politica. Vicesindaco e poi sindaco di Pontedera dove si appassiona alla battaglia contro il trasferimento della Piaggio. Nel 2000 è assessore regionale alla Sanità ma ancora deve spiegare come sotto il suo incarico la Asl 1 di Massa Carrara sia riuscita a fare un buco da 500 milioni di euro. Da governatore è stato indolore, nessuno se n’è accorto. Ora vuole stracciare la tessera del Pd ma il suo carisma è pari solo al suo tono di voce. Dopo aver fallito in questi anni nell’imitazione piaciona di Renzi, che non è nelle sue corde è tornato a fare quello che è, un comunista (amico dei rom).


ROSSI ZINAGARI



D’Alema il rosicone

Roma, manifestazione della sinistra Pd al teatro Vittoria

Anche se l’interessato nega, non si può non pensare andreottianamente che la causa di tutto questo fiele contro Renzi sia il mancato ottenimento del ruolo di «ministro degli Esteri europeo» che invece è andato a Federica Mogherini. E comunque, ridendo e scherzando, alla tenera età di 67 anni, Massimo D’Alema sposta ancora consensi. È da quando ha 26 anni che bazzica i comunisti e da trent’anni che è in Parlamento. Li ha passati e ripassati tutti: Pds, Ds, Ulivo, Pd, è stato il primo ed unico esponente del Pci (allora già disciolto) a ricoprire la carica di presidente del Consiglio. Dopo essersi masticato tutti, ora la sua vendetta cade sul giovane Renzi, colpevole solo di essere come lui, ma con 25 anni di meno. Mosso più da una sorta di rivendicazione personale nei confronti del fiorentino che da istanze politiche, fa ogni mattina a botte con la sua boria.

Bersani il perdente

Roma, manifestazione della sinistra Pd al teatro Vittoria

Da Bettola con furore, Bersani non ne ha mai imbroccata una. Tra quelli che hanno ottenuto un giusto diritto all’oblio, il primato va a lui. L’uomo che «ha non vinto», che doveva smacchiare il giaguaro e che, invece, ha smacchiato se stesso. Riuscì a perdere elezioni praticamente già vinte ma malgrado questo nel Pd gli permettono ancora di parlare. Bersani che oggi si batte strenuamente per ridare dignità al Pd, non si è accorto che a perdere il rispetto è lui, insieme alla sua faccia: non solo ha gettato ai porci la leadership, ma oggi, nel gran gioco della scissione, si fa manipolare dal gran maestro D’Alema. Un burattino nelle mani di chiunque passi (lo ricordiamo in versione zerbino quando venivano approvate, con i voti del suo Pd, le misure del peggior governo della storia repubblicana, quello di Mario Monti), recita benissimo la parte dell’eterno sconfitto dagli occhi lucidi.

Speranza l’inutile

Roma, manifestazione della sinistra Pd al teatro Vittoria

Nel film «L’assemblea di condominio del Pd», dove la comicità si mischia col genere splatter, il ruolo di miglior attore non protagonista va a Roberto Speranza. Salito dalla Basilicata a Roma con la piena, il 38enne «Robertino» si è montato la testa. Dopo il fortunato colpo di diventare consigliere comunale Ds a Potenza a 25 anni, la iella si affacciata subito sul suo cammino: conosce Veltroni che lo nomina nel comitato nazionale dei Giovani Democratici e si innamora di Bersani che sostiene alle primarie, guadagnandosi il seggio in Parlamento. Cattivi presagi. Lo fanno capogruppo Pd alla Camera, ma se ne va stizzito additando Renzi. Oggi crede (solo nella sua testa) di guidare la cordata dei tre tenori verso la scissione. Come il migliore dei parvenu si autoconvince di poter vincere la leadership. E si fa crescere la barba per sembrare più autorevole. Ma non ci casca nessuno.

da il blog di Fabrizio Boschi - 21 febbraio 2017
fonte: http://blog.ilgiornale.it

Quella toga “appesa” di Michele Emiliano



 


Perché Michele Emiliano non ha ancora deciso di dimettersi da magistrato? Non crede in se stesso come politico? Si sente la toga addosso come caratteristica indelebile alla stregua della tonaca per i sacerdoti? È semplicemente pigrizia mentale?
Con la scissione alle porte c’è un misterioso fantasma che si aggira per il Nazareno: quello delle mancate dimissioni di Emiliano dall’ordine giudiziario. Un’aspettativa lunga circa 13 anni. Da quando diventò sindaco a Bari e in seguito presidente della Regione Puglia. Peraltro sempre con brillanti risultati politici.
Ma quella toga rimasta a mezz’aria ha iniziato a creare problemi seri. Tanto che al Consiglio superiore della magistratura sin dal 2014 si sono chiesti: “Ma cosa aspetta ancora?”. E nel frattempo hanno mandato avanti in automatico un fascicolo della disciplinare che lo riguarda. Con la prossima udienza fissata ad aprile e la scorsa tenutasi il 6 febbraio.
Il procuratore generale della Cassazione, nel rinvio a giudizio disciplinare, usa anche toni un po’ troppo duri, data la apparente bonarietà un po’ pacioccona del politico Emiliano. “È iscritto al Partito Democratico, partecipa alla vita di quel partito in forma sistematica e continuativa”. Ma, visto che è ancora un magistrato, “ha compiuto un illecito disciplinare, perché ha violato la norma che vieta alle toghe di fare vita attiva nelle formazioni partitiche”. Vieta addirittura di iscriversi. Cosa che tempo addietro fu contestata anche ad Antonio Ingroia. Che in realtà il partito cui aveva aderito era quello personale fondato da lui. Emiliano è abbastanza criticato nel Pd per questa storia. Che, dai contorni un po’ leziosi che la accompagna (al Csm certo non sembrano avere fretta di chiuderla), la fa assomigliare a una dimenticanza trasformatasi in pigrizia negli anni e poi in punto di principio un po’ malinteso. Perché Emiliano in varie dichiarazioni a giornali e tivù locali ha sempre tenuto questa linea di difesa: “Sono l’unico magistrato nella storia della Repubblica italiana eletto democraticamente dal popolo come presidente della Regione al quale la Procura generale della Cassazione contesta l’iscrizione a un partito politico, nonostante non svolga le funzioni di magistrato da 13 anni causa l’espletamento di mandato elettorale”.
Poi la possibile ratio delle mancate dimissioni: “In questi 13 anni ho sempre fatto politica all’interno di formazioni politiche assimilabili a partiti politici, prima liste civiche e poi nel Pd a partire dal 2007. L’ho fatto fin dall’inizio richiedendo l’aspettativa, anche se la legge non mi obbligava a farlo. L’aspettativa serviva a far cessare l’esercizio delle funzioni ed a rispettare il divieto di iscrizione ai partiti per i magistrati. Ho avuto per questo un blocco di carriera che avrei evitato se avessi scelto di rimanere in servizio come la legge mi consentiva”. Una presa di posizione che potrebbe essere formalmente ineccepibile, dal lato burocratico, ma che forse potrebbe creare un reazione ostile in seno alla disciplinare. Ad aprile si vedrà.

di Rocco Schiavone - 21 febbraio 2017

19/02/17

NASSIRYA: "Filosofia etica e disgregazione sociale tra le pieghe del caso Stano"




Il caso generale Stano fa riflettere, apre i meandri delle coscienze, rende la società un po' più debole, se ciò è ancora possibile. La si farà breve con la storia per poi passare al punto: nel 2003 presso An-Nassirya il contingente italiano era dislocato in differenti punti della città irakena con lo scopo di svolgere attività di controllo del territorio, supporto alla ricostruzione ed alle forze di sicurezza locali, nel tempo, a seguito di svariati allarmi molte basi furono spostate in periferie, tra quelle rimaste in città c'era la base Maestrale dei Carabinieri, tale base fu oggetto, il 12 novembre 2003 alle 10:40, di un clamoroso attentato dove persero la vita militari e civili italiani ed  locali.

L'allora comandante del Contingente italiano (generale Stano, nda) sottoposto a processo è stato nei vari gradi di giudizio alternativamente assolto e condannato, secondo un sistema tutto italiano, tuttavia nei giorni scorsi la corte di Cassazione lo ha condanna definitivamente a pagare un risarcimento a favore dei famigliari dei caduti. Ecco dunque il punto del ragionamento: il primo obiettivo di un comandante è, volente o nolente, l'assolvimento del compito assegnato, il raggiungimento degli obiettivi fissati nella missione; la sicurezza del personale non è da inserire nelle priorità, semplicemente per il fatto che il combattente è lo "strumento" con cui raggiungere l'obiettivo, pertanto va salvaguardato nell'ambito di ragioni eminentemente pratiche ed intrinseche alle necessità operative, se così non fosse sarebbe come andare a correre in bici senza la bici medesima. Nei principi dell'arte della guerra infatti si parla di economia delle forze e di sicurezza, per le ragioni poc'anzi esposte, non di protezione della forza, peraltro nell'analisi della missione si esamina la combinazione di tempo, spazio e forza quali elementi chiave, mai di protezione. Ripetiamo, semplifichiamo e cerchiamo di chiarire: si indossa il giubbotto antiproiettile non perché la priorità sia salvare la pellaccia, ma semplicemente perché la morte o l'inabilità causerebbero il mancato raggiungimento degli obiettivi militari prefissati. Tutto ciò chiaramente non va confuso con il cinismo perchè in queste righe si sta trattando di un tema connesso all'applicazione del diritto civile su un evento bellico (ossimoro nda), altra cosa sarebbe se si parlasse di etica militare ed etica del conflitto, poi se per cinismo si intende il bastare a se stessi di Diogene allora bene sarebbe essere cinici.

Entrando ulteriormente nella speculazione filosofica che forse può ritenersi l'ambito appropriato in cui cercare risposte in merito alla questione diremo che Socrate era un maestro di virtù, democratico e difensore della vita, tuttavia per un bene superiore, l'adesione alle leggi della poleis, decise di bere la cicuta. Il militare ha anch'esso un dovere superiore ed è quello della difesa dello Stato unito alla salvezza dei cittadini, in fondo è la sua cicuta, c'è un contratto sociale di dimensioni etiche a cui deve rispondere e nei confronti del quale ha giurato. Nell'ambito della comunità militare poi i più esposti ai predetto doveri, i più accaniti bevitori di cicuta, restano i comandanti i quali detengono il compito di presiedere ai doveri militari e se necessario imporli alla società in armi. Qui non si tratta di salvaguardare il sistema produttivo di una azienda, L'Esercito, contrariamente a quanto si vorrebbe far credere, non è una azienda, infatti se in precedenza si è usato il termine strumento, per indicare i militari, lo si è fatto tra virgolette, consapevoli per contro che anche allo Spirito Santo le Scritture danno l'attributo di strumento.
È comprensibilmente difficile da digerire questo argomento, però si ritiene che questi temi si dovrebbero trattare con compiutezza e enfasi, financo nelle scuole, proprio allo scopo di formare cittadini consapevoli ed evitare di creare così disgregazione sociale, ma l'Italia, si sa, è il paese dei guelfi e dei ghibellini ed a questo punto si sta divagando.
Restano in tutto questo i caduti che mai torneranno, il tormento di un comandante ed un risarcimento danni che non farà la gioia di nessuno. Amen!

18 febbraio 2017
 
Lettera a firma L'Homme qui va
(foto: web)

CONTRACTOR: E’ TEMPO CHE ANCHE L’ITALIA ABBIA LE SUE PMSC


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La Sicurezza è la condizione indispensabile per qualsiasi attività umana. La realtà odierna è pervasa da pericoli e minacce di ogni tipo e genere, che si manifestano in forme sempre più violente, subdole ed imprevedibili. Criminalità, disordini, terrorismo, guerre, conflitti etnici e religiosi, crisi economiche ed energetiche, mutamenti climatici, carestie, terremoti, inquinamenti ambientali, flussi migratori incontrollati rendono insicuro il nostro presente e incerto il nostro futuro.
L’affannosa ricerca di nuovi equilibri internazionali, in grado di impedire l’esplosione di conflittualità o comunque di governare o arginare l’espandersi delle crisi, non ha prodotto sinora risultati risolutivi e duraturi. Stiamo infatti assistendo al risveglio di focolai di guerra, guerriglia e di terrorismo con azioni sempre più efferate ed eclatanti. Gli scontri in varie parti del mondo si moltiplicano, non solo nelle aree tradizionalmente critiche sotto il profilo della sicurezza, ma anche in altre considerate stabilizzate e sicure. In Medio Oriente, in Siria e in Nord Africa, ma anche in Europa, con il rinnovarsi di tensioni da “guerra fredda”, che si ritenevano ormai superate.
La situazione si è ulteriormente aggravata con la recente recrudescenza di attacchi terroristici portati in Francia, in Belgio e in Germania da cittadini europei di origine nordafricana e mediorientale di seconda e terza generazione. Elementi che non si sono mai completamente integrati nelle nostre società e che, in molti casi, sono rientrati dai teatri di guerra della Libia, della Siria, dell’Iraq e dell’Afghanistan, dove hanno combattuto come “foreign fighters”, dopo essersi arruolati e fidelizzati alla causa jihadista attraverso internet.

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L’Europa, in particolare, non sembra ancora in grado di esprimere una comune, autonoma ed efficace politica di difesa interna ed esterna.
Tutte le attività lavorative, in Italia e all’estero, sono così fortemente condizionate dalle esigenze di sicurezza. Le imprese, le aziende, le società, grandi e piccole, che operano all’estero in paesi e regioni a rischio, hanno il dovere e la responsabilità, anche per legge, di proteggere il proprio personale.
Non solo nei Paesi appena citati, ma anche in Egitto, in Algeria, in Nigeria, in Somalia, insomma in quasi tutto il Medio Oriente e nell’intero continente africano con poche eccezioni, il livello di sicurezza fornito dagli apparati governativi e dalle forze di polizia locali risulta in genere molto basso e insufficiente, con casi frequenti di corruzione, complicità e connivenza con i criminali e i terroristi.
La crisi economica mondiale ha anche indotto qualche Stato a ridurre le proprie spese militari, ma non tutti. Vi è infatti qualche significativa eccezione: la Gran Bretagna, la Germania e la Francia, che stanno comunque rafforzando il proprio potenziale bellico. In ogni caso la prima conseguenza evidente è stata il ritiro, anche se parziale e graduale, delle forze internazionali impiegate nelle missioni di pace dai teatri di operazione più critici e pericolosi.

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In questa situazione, l’esternalizzazione e la privatizzazione della sicurezza all’estero è diventata una scelta quasi obbligata. Grandi compagnie private americane e britanniche del settore, costituite in massima parte da ex militari professionisti, già da molto tempo e su larga scala hanno infatti affiancato, e in qualche caso persino sostituito, le forze armate e di sicurezza governative internazionali e locali. Ciò non è avvenuto senza problemi. In talune circostanze, infatti, queste compagnie private hanno operato in modo improprio, poco professionale e maldestramente violento, tanto da provocare il risentimento e le reazioni delle popolazioni e dei governi locali che, almeno in un caso, come in Iraq, ne hanno bandito la presenza dal proprio territorio.
L’Italia, d’altro canto, ha un forte interesse strategico nell’area del Mediterraneo, ma non solo. Per noi è vitale che i Paesi, con cui intratteniamo intensi scambi economici, quelli nei quali e con i quali lavorano le nostre maggiori imprese, quelli da cui acquistiamo materie prime ed energia, siano stabili e sicuri. Trattare con governi inefficienti o impotenti è inutile, spesso controproducente. Le conseguenze sono sempre negative, come dimostrano le crescenti ondate di disperati che continuano a raggiungere le nostre coste.
Resta il fatto che le aziende italiane all’estero, per la sicurezza dei loro impianti, delle strutture, dei mezzi, del proprio personale espatriato, ricorrono in via quasi esclusiva ai servizi forniti da compagnie di sicurezza straniere, le cosiddette PMSCs (Private Military Security Companies).
Americane e britanniche, ma anche francesi, israeliane, russe e sudafricane, alcune della consistenza di veri e propri eserciti. Di contro non vi sono società italiane che operano in questo delicato ed importante settore. L’assenza di una specifica normativa sulla materia e un paio di articoli del nostro codice penale (il 288 CP in particolare), che prefigurano fattispecie ormai superate, ma sempre suscettibili di forzature interpretative, sembrano scoraggiare ogni iniziativa nel settore.

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Resta il fatto che l’argomento in Italia suscita preoccupazioni più o meno fondate, molti pregiudizi e alcuni pareri contrastanti. Da una parte c’è chi paventa la creazione di moderne versioni delle antiche compagnie di ventura e di mercenari al soldo del miglior offerente straniero.
Dall’altra c’è chi pensa che sarebbe meglio privatizzare tutti i servizi di sicurezza all’estero, per evitare di trovarsi in situazioni potenzialmente imbarazzanti per gli organi istituzionali dello Stato, come quella dei nostri fanti di marina trattenuti per anni in stato d’arresto in India.
Entrambe le opinioni paiono discutibili.
Di recente è stata varata una nuova normativa sugli istituti privati di vigilanza, che ne ha regolato tutte le diverse attività e rinnovato le relative certificazioni sul territorio nazionale, ma che non fa alcun cenno ai servizi di sicurezza privata all’estero. Il Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza riserva ancora la Sicurezza delle persone all’esclusiva competenza delle Forze di Polizia dello Stato. Pertanto gli istituti di vigilanza privata possono proteggere solo i beni mobili e le strutture, ma non le persone. Questa situazione, ovviamente, si riflette anche all’estero.
L’unica parziale eccezione, prevista dalla legislazione italiana, è l’antipirateria marittima: attività in cui gli istituti di vigilanza privati possono operare solo dopo aver superato un’incredibile viluppo di regole e prescrizioni burocratiche ed aver ottenuto una sequela infinita di autorizzazioni da parte di autorità ed enti territoriali diversi, con differenti interpretazioni delle norme e regolamenti da applicare e, comunque, solo dopo un’espressa comunicazione della Marina Militare che confermi di volta in volta ufficialmente la propria indisponibilità a fornire la protezione.
E questo  malgrado il fatto che ormai da tempo la stessa Marina non svolga più questo servizio. A tutto ciò si deve aggiungere anche un regime fiscale che, non facendo di fatto alcuna distinzione tra le attività svolte in Patria e quelle all’estero, ci penalizza pesantemente nel confronto con l’agguerrita concorrenza straniera.

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Il settore estero meriterebbe quindi un migliore e più attento approfondimento, sia per ragioni economiche, che per le motivazioni sociali collegate alle grandi opportunità di lavoro che offre.
A tutt’oggi non c’è infatti una posizione chiara e definita del governo italiano riguardo alle problematiche di sicurezza delle nostre aziende all’estero.
Ci si affida di norma alla sola ed esclusiva competenza degli organismi di polizia e sicurezza locali, occasionalmente assistiti e coadiuvati dai nostri rappresentanti diplomatici e dei servizi in particolari emergenze.
Il mercato globale della sicurezza all’estero risulta peraltro in continua e crescente espansione. Negli ultimi sette anni ha registrato un incremento annuo costante tra il 7 e l’8% e per il 2017 si prevede un volume di affari in tutto il mondo intorno ai 250 miliardi di dollari.
Il settore, in prospettiva, potrebbe avere un’ulteriore e ancora maggiore crescita, indotta proprio dalla crisi economica globale, dalla quale, almeno noi Italiani, non siamo ancora usciti.
Di conseguenza, considerando che il 60% delle attività lavorative delle imprese italiane si svolge tutto o in parte fuori dal territorio nazionale, la maggior parte delle nostre aziende all’estero, estrattive, tecnologiche e di costruzioni, come già detto, sono di fatto costrette ad avvalersi di consulenti ed operatori di sicurezza stranieri.
“Contractors” americani, britannici o francesi che, tra l’altro, rappresentano, ancor più degli italiani, i bersagli ideali delle organizzazioni terroristiche islamiche. Per cui farsi proteggere da questi non sempre può essere la scelta migliore per prevenire attacchi e sequestri di persona. Accade poi abbastanza spesso che cittadini occidentali vengano catturati e presi in ostaggio da gruppi criminali e che questi, in cambio di ingenti riscatti, li rivendano ad organizzazioni terroristiche.

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Ciò è avvenuto qualche volta anche con cittadini italiani. Le grandi compagnie di sicurezza straniere comunque, nella gran parte dei casi, si avvalgono di società locali, che possono fornire “mano d’opera” a basso costo e operatori più facilmente “spendibili”. Pare inoltre che di frequente sorgano incomprensioni e problemi di varia natura nei rapporti tra le compagnie di sicurezza straniere e le imprese italiane. Non solo di carattere economico, ma anche di riservatezza, reciproca fiducia e, talvolta, anche di affidabilità, con casi di spionaggio industriale a favore di concorrenti delle nostre aziende.
Oltre alle motivazioni sopra accennate di carattere giuridico, economico e fiscale, vi è infine la comprensibile tendenza delle nostre aziende ad evitare, per quanto possibile, sovraesposizioni e drammatizzazioni mediatiche, conseguenti ad episodi delittuosi in cui siano coinvolti connazionali, sia in qualità di vittime che di operatori di sicurezza.
Pertanto se da una parte vi sono le aziende italiane che non vogliono pubblicità negative, né grane giudiziarie e che non sempre considerano la sicurezza del proprio personale come una priorità assoluta, dall’altra ci sono molti Italiani che, lavorando all’estero, sono poco propensi a rispettare le regole e le limitazioni di movimento imposte dalle precarie situazioni di sicurezza locali, come dimostrano anche episodi recenti.

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La trasformazione delle Forze Armate italiane da un esercito di leva ad uno professionale, iniziata alla fine degli anni 90, offre oggi sul mercato della sicurezza privata ex militari qualificati ai massimi livelli mondiali. Negli ultimi vent’anni, infatti, i nostri uomini e donne con le stellette hanno acquisito esperienze preziose e uniche in tutti i teatri operativi più impegnativi del mondo, riscuotendo ovunque stima e altissima considerazione e inventando nuove e più efficaci dottrine operative, basate sul consenso e sul rispetto dei diritti umani.
La creazione quindi di PMSC italiane risponderebbe contemporaneamente ad almeno tre sentite ed importanti esigenze.
  • Una limitazione dell’uscita dall’Italia di ingenti risorse economiche per pagare la sicurezza privata all’estero delle nostre aziende di punta.
  • Una maggior garanzia per la protezione delle nostre politiche aziendali, dei nostri progetti, delle nostre idee, delle nostre tecnologie che verrebbero tutelate da operatori della sicurezza italiani di provata affidabilità e di grande professionalità.
  • Un reimpiego professionale e specialistico di tanti nostri ex militari che, altrimenti, continuerebbero ad ingrossare la già numerosa schiera dei disoccupati.
Da qui potrebbe nascere una grande opportunità per promuovere lo sviluppo di un settore importante, delicato e vitale, sinora trascurato, offrendo nel contempo lavoro e un dignitoso reimpiego a molte persone che lo meritano per il servizio già prestato nelle Forze Armate.
PMSC italiane sarebbero così in grado di fornire prodotti di sicurezza di altissimo profilo in ogni parte del mondo con l’affidabilità, la legittimità e la professionalità garantite da un sistema integrato totalmente italiano in linea con gli interessi strategici nazionali. Potrebbe quindi costituire non solo un traguardo, ma anche la base di partenza di una nostra più vasta, articolata ed organizzata proiezione all’estero, con ricadute positive su tutta l’economia nazionale.

Foto: CNN, AP, Reuters e web

di Leonardo Leso - 15 febbraio 2017 


Ecco chi sta cacciando Trump


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I media americani descrivono un clima da Stato di polizia; sembra quasi che l’America di Trump si sia improvvisamente trasformata nel Cile di Pinochet: operazioni al limite del rastrellamento, descrizione di arresti di massa, clima di terrore indotto.
La ICE (Immigration Customs Enforcement), l’Agenzia Federale che opera contro l’immigrazione clandestina, è ormai una sorta di nuova Gestapo. Il giro di vite promesso da Donald Trump contro l’immigrazione clandestina ha portato a centinaia di arresti la scorsa settimana e provvedimenti di espulsione immediata. I democratici e le organizzazioni civili continuano le loro mobilitazioni contro quelle che definiscono vere “deportazioni”.

 La Cnn non manca di sottolineare come ormai “la paura attraversa le comunità di immigrati”Nbc non è da meno e dice che in tutto il Paese “le famiglie di immigrati vivono ormai nella paura a causa dell’Immigration Order di Trump” e, per far capire che aria tira, intervista Cristina Jimenez direttore esecutivo di United We Dream (importante organizzazione pro-immigrati) che dichiara che gli agenti dell’ICE ormai “vanno nelle case delle persone ad arrestarle”.
United We Dream è un’associazione fondata da giovani attivisti immigrati “per collegare gli sforzi organizzativi degli immigrati in tutto il Paese e mettere insieme il loro potere collettivo al cambiamento”; così recita la nota descrittiva della Open Society di George Soros, del cui network non a caso,  United We Dream fa parte (sul ruolo di Soros nell’alimentare i processi globali di immigrazione clandestina abbiamo parlato in questo articolo).


L’identikit dell’immigrato arrestato
Ma chi sono gli immigrati sottoposti ad arresto e provvedimenti di espulsione? Secondo i numeri resi pubblici dall’ICEla scorsa settimana sono state arrestate 680 persone durante l’attività di “controllo mirato” verso gli immigrati illegali in tutto il paese; di questi il 75% sono soggetti già condannati per reati vari che comprendono anche: omicidio, violenza sessuale, pedofilia, droga, traffico armi, aggressione.

Nello specifico: in Georgia e in Sud e Nord Carolina sono stati arrestati 200 immigrati irregolari di cui 127 con condanne penali e nonostante questo a piede libero; 29 di loro con decreto di espulsione mai applicato e 17 latitanti; tra questi un cittadino messicano accusato nel suo paese di omicidio, un pedofilo condannato tre volte, espulso ma rientrato illegalmente e alcuni componenti di gang criminali.

Nel Midwest (Illinois, Indiana, Wisconsin, Kentucky, Kansas e del Missouri),  sono stati arrestati 235 cittadini stranieri di cui 163 con condanne penali. Tra questi un iracheno colpevole di stupro ai danni di un disabile e due pedofili messicani di cui uno condannato per reati all’interno della famiglia.
Nella zona di Los Angeles su 161 cittadini stranieri arrestati, il 94% aveva condanne penali. Tra questi un honduregno rilasciato inspiegabilmente nonostante la condanna per droga e violenza, un australiano condannato per pedofilia.

New York gli arrestati sono stati 41 e anche qui 38 con condanne penali. Tra questi un pericolosissimo esponente di MS-13 la gang criminale salvadoregna attiva in molte città americane ed europee; un giamaicano e un messicano colpevoli di violenza sessuale su due bambini.

San Antonio (Texas) 51 cittadini stranieri arrestati di cui 23 con condanne penali; tra questi un salvadoregno condannato per violenza sessuale su un bambino ed un messicano già espulso per violenze aggravate.
I restanti sono o immigrati clandestini con gravi irregolarità o soggetti già sottoposti a decreto di espulsione da Obama ma mai applicato.

La differenza tra Obama e Trump?
Sul Chicago Trbune Alen Takhsh, avvocato impegnato nella difesa degli immigrati, ammette che ad oggi “Obama ha deportato più persone di qualsiasi altro Presidente Usa”. Ma allora perché media, attivisti liberal e intellettuali si stanno scatenando contro Trump mentre sono stati in silenzio con Obama? La risposta sembra semplice: perché Trump “ha creato un clima di terrore con una retorica che spaventa a morte le persone”.
Quindi, come spesso avviene nei processi di manipolazione mediatica, il problema è la forma e non la sostanza.  Trump non sta perseguitando poveri immigrati entrati illegalmente per cercare un lavoro o migliorare le proprie condizioni di vita; sta colpendo quel sottobosco di criminalità fatto di assassini, stupratori, spacciatori, pedofili, membri di gang e delinquenti vari che usa la condizione di clandestinità per sfuggire alla legge. Insomma sta facendo quello che dovrebbe fare chi ha a cuore la sicurezza del proprio Paese; vero cari leader europei? 

17 febbraio 2017

@GiampaoloRossi puoi seguirlo anche su Il Blog dell’Anarca
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fonte: Gli occhi della guerra/Il Giornale