Analisi comparata dell’andamento e delle
prospettive per le economie mondiali. Dall’Italia al resto del mondo,
l’anno che verrà stabilirà il ruolo e il peso di ciascuno per il
prossimo decennio
“…Non
cambia niente, non c’è niente di nuovo. È la stessa vecchia, tetra
atmosfera di crisi, la sensazione che non possa peggiorare ancora molto
senza che qualcosa ceda. Ma non cede niente. Si moltiplicano soltanto i
luoghi comuni: la rovina, il crollo, la nave dello stato che affonda, il
punto di non ritorno, l’equilibrio precario, l’edificio pericolante, il
tempo che scorre inesorabile…”. Questo non è un editoriale
dell’anno in corso pronunciato da un economista o un intellettuale, ma
un testo scritto nel 1788 estratto da La storia segreta della rivoluzione (Hilary Mantel, Fazi 2014), che racconta il periodo della Rivoluzione Francese.
La fine del 2014 è stata caratterizzata da due eventi di segno opposto. “Todos somos americanos” ha affermato il presidente americano Barack Obama annunciando la storica richiesta al Congresso di mettere fine all’embargo (el bloqueo) verso Cuba, in vigore da oltre cinquantacinque anni. “Il
muro di Berlino è crollato, ma si costruiscono nuovi muri nonostante i
nostri tentativi di collaborare. L’espansione della NATO non è forse un
muro, un muro virtuale?” ha affermato il presidente russo Vladimir
Putin nella conferenza di fine anno a proposito delle sanzioni imposte
dagli USA e dall’UE alla Russia dopo la crisi Ucraina. La profonda
incertezza che caratterizza gli scenari internazionali, nell’era della
globalizzazione, rischia di condizionare in modo importante le
possibilità di ripresa economica dell’Italia nel 2015.
I dati macroeconomici dell’eurozona sono desolanti e descrivono un
continente in stagnazione, in cui l’eventualità della deflazione è
sempre più vicina. Nel terzo trimestre il PIL medio è cresciuto del
+0,2%, era stato del +0,1% nel secondo trimestre, mentre la formazione
di capitale si è ridotta del -0,1%. La produzione industriale a ottobre è
cresciuta rispetto a settembre mediamente del +0,1%, l’occupazione nel
terzo trimestre è cresciuta in media del +0,2%, era cresciuta del +0,3%
nel secondo trimestre, e il tasso medio di disoccupazione è all’11,5%.
Il reddito medio in agricoltura si è ridotto con picchi del -15% in
Belgio, il costo del lavoro medio, misurato su base annuale, è sceso del
-1,3% e l’inflazione media si è attestata al +0,3% annuo. Infine, la
bilancia degli scambi dei beni con il resto del mondo ha registrato in
ottobre un saldo positivo di +24 miliardi, rispetto allo stesso mese
dell’anno precedente.
I mali dell’economia italiana
In
Italia il quadro macroeconomico è più grave. Il PIL si è ridotto nel
terzo trimestre del -0,5% ed è previsto un sostanziale prolungamento al
quarto trimestre della stagnazione (variazione del PIL compresa tra
-0,2% e +0,2%), il che porta la stima della variazione del PIL nell’anno
a -0,3%. Quindi, siamo nel terzo anno consecutivo di recessione: -2,4%
(2012), -1,9% (2013) e -0,3% (stimato 2014). La produzione industriale
si è ridotta del -3% su base annua, segnalando la sostanziale debolezza
del settore manifatturiero, mentre nell’industria delle costruzioni,
considerata il volano della ripresa economica, si è registrato un calo
della produzione del -4,3%.
Il tasso di disoccupazione ha raggiunto il record del 13,2% (43,3%
tasso di disoccupazione giovanile), con un calo di oltre 50.000 occupati
tra settembre e ottobre. Il tasso d’inflazione mensile a novembre è
stato del -0,2%, il che porta la stima annuale del tasso d’inflazione al
+0,2%. Il saldo attivo commerciale nei primi dieci mesi dell’anno è
stato di +33,6 miliardi (+70,4 miliardi al netto della bolletta
energetica), con un aumento del +2,9% delle esportazioni, in particolare
per la crescita delle vendite verso i mercati dell’UE (+4,7%). Ma nel
mese di ottobre si è evidenziata una dinamica divergente nelle vendite
estere: +1,8% quelle diretto verso i Paesi dell’UE, -1,2% quelle dirette
verso i Paesi extra-UE.
Il Documento di Economia e Finanza approvato dal parlamento prima
della pausa natalizia ha confermato la strategia del governo del premier
Matteo Renzi di voler riavviare la crescita attraverso un sostegno
diretto e indiretto alla domanda privata (consumi e investimenti). Ma la
profondità della crisi rende difficile il realizzarsi di una
significativa inversione della congiuntura recessione-deflazione. I
consumi in Italia sono crollati ai livelli del 1999 (813 miliardi), con
una riduzione di 66,5 miliardi rispetto al 2007, mentre gli investimenti
hanno fatto segnare un ulteriore calo del 2,3% nel 2014, principalmente
nella spesa in macchinari e attrezzature e quella nei beni della
proprietà intellettuale, cioè nei principali fattori di accumulazione
del capitale.
La ricchezza finanziaria netta delle famiglie ha raggiunto i 4.000
miliardi, a testimonianza di generali aspettative negative sul ciclo
economico. Ipotecano la ripresa, infatti, gli antichi e ben noti mali
dell’economia italiana: scarsa capitalizzazione delle imprese, scarsa
qualità del management, scarsa innovazione tecnologica di qualità,
scarsa penetrazione dell’IT nelle imprese, scarsa produttività dei
fattori, scarsa attenzione al capitale immateriale, scarsa lotta contro
la rendita che si appropria di gran parte della ricchezza prodotta dal
Paese e, infine, scarsa capacità di immaginare una qualsiasi forma di
politica industriale.
Questa l’eredità di decenni di svalutazioni competitive che si somma
alla più profonda crisi economica e finanziaria dal dopoguerra (la
crescita dell’economia mondiale è attesa del +3,3% nel 2014, ben lontana
dal +5,2% di prima della crisi dei mutui subprime). Anche il
repentino dimezzamento del prezzo del petrolio che ha raggiunto i 59
dollari al barile – e che in tempi normali sarebbe salutato come un
evento favorevole soprattutto per le economie di trasformazione ed
energivore come quella italiana – rischia di rappresentare un ulteriore
freno alla ripresa per le conseguenze sulla bilancia dei pagamenti di
gran parte dei Paesi produttori che, come la Russia, sono anche partner
commerciali dell’Italia (-16% le esportazioni verso Mosca su base annua a
ottobre).
Il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan:“
Ma il 2015 potrebbe essere l’anno della svolta”…..
Le economie avanzate mostrano gradi diversi di ripresa e le stime
danno una crescita media del +1,8%, dovuta in massima parte all’ottima
performance dell’economia statunitense e del Regno Unito, che contano
per il 12% dei flussi di scambio mondiali dell’Italia come la sola
Francia.
Le economie asiatiche e pacifiche sono attese a una crescita del
+5,5%, come lo scorso anno, ma il loro peso nelle esportazioni globali
italiane è molto basso (1,5% per il Giappone, 0,8% per l’India e 2,5%
per la Cina). Inoltre, pesano sulle loro prospettive economiche la crisi
dell’Abenomics e il ri-orientamento verso una crescita della domanda
interna dell’economia cinese.
In America Latina è attesa una crescita decimale (0,7%), quando non
una vera recessione come in Argentina e Venezuela. Il Nord Africa e il
Medio Oriente, condizionati dalla caduta dei prezzi del petrolio e del
gas e dalle guerre, sono attesi a una crescita attorno al 2%. Troppo
poco per sperare in un’esplosione delle esportazioni, capace di
rivitalizzare l’economia italiana.
Le dense nubi che avvolgono il Bel Paese prefigurano allora
l’eventualità di una tempesta perfetta dagli esiti economici e sociali
imprevedibili. Il problema della crescita economica mondiale è
l’eurozona, ma senza un deciso cambio di prospettiva e di politiche
economiche nell’UE non si ha nessuna ripresa economica. Il 2015 sarà
l’anno della verità per l’Italia, ma anche per l’euro e la stessa Unione
Europea. Incrociamo le dita e speriamo che prevalga il buon senso sulla
rigidità delle regole arbitrarie e dei trattati.
www.lookoutnews.i - 1 gennaio 2015
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