Per una volta non è l’Italia ad essere obiettivo di ondate migratorie clandestine ed incontrollate, provenienti dal continente africano, anche se gli sbarchi illegali sulle nostre coste proseguono. Bensì, è la Spagna che ha dovuto fare i conti in questi giorni con una repentina invasione di migranti irregolari. L’enclave spagnola di Ceuta, circondata dal territorio marocchino, è stata presa d’assalto da ben 8mila persone, che in vari modi hanno attraversato il confine fra il Marocco e la città autonoma dipendente da Madrid.
La pressione dell’immigrazione clandestina, originaria dell’Africa, è un fatto acclarato da parecchi anni ormai, e noi italiani ne sappiamo qualcosa, ma sembra che l’invasione di Ceuta sia stata voluta dal Governo marocchino, intenzionato a vendicarsi nei confronti della Spagna. Parrebbe che la polizia di frontiera marocchina abbia permesso scientemente ai migranti di violare il confine. Il Marocco sarebbe particolarmente irritato con la Spagna, rea di aver consentito il ricovero in un ospedale iberico di Brahim Ghali, leader del Fronte Polisario, il movimento che lotta per l’indipendenza del Sahara Occidentale, considerato un nemico da Rabat. In ogni caso, ritorsione o meno da parte marocchina, la Spagna ha reagito con molta fermezza, mobilitando l’esercito e provvedendo senza esitare a rimpatri immediati.
Già 5600 degli 8mila migranti penetrati illegalmente a Ceuta hanno fatto ritorno in Marocco. Il Governo spagnolo del premier Pedro Sánchez ha di fatto lanciato un duplice messaggio politico, che l’Italia, ossia il ventre molle del continente, e il resto d’Europa dovrebbero fare proprio. Per prima cosa, non si cede alle intimidazioni, qualunque esse siano, e per seconda cosa si offre assistenza immediata a chi ne ha bisogno, ma subito dopo, coloro i quali sono giunti in maniera illegale, devono mettere in conto il rimpatrio. Perché l’immigrazione di massa incontrollata non può essere né accettata e nemmeno stimolata, anche o soprattutto per evitare che gruppi di disperati incontrino purtroppo una brutta morte nel loro viaggio oppure che rimangano vittime di spregiudicati giochi politici e commercianti di uomini senza scrupoli.
I Paesi civili, pensiamo agli Usa, al Canada e all’Australia, non solo non rifiutano l’apporto di manodopera straniera, più e talvolta anche meno qualificata, ma hanno vissuto e vivono di immigrazione. Tuttavia, la filosofia di fondo è quella di fare sì che tutti gli ingressi diversi ovviamente dal turismo o dai trasferimenti per ragioni sentimentali/matrimoniali, corrispondano a precise esigenze del mercato del lavoro locale. Insomma, ci si sforza di impedire anzitutto gli arrivi in massa, inevitabilmente difficili poi da gestire, e chi giunge da oltreconfine deve già avere, ancora prima di partire, una sistemazione lavorativa ed abitativa. Non viene consentito prima l’ingresso e poi soltanto dopo, forse, la ricerca di una occupazione.
A questi principi si ispira anche, probabilmente, il premier spagnolo Pedro Sánchez. Ciò si chiama, in modo molto semplice, buonsenso ed esso non è né di destra, né di sinistra. Sánchez non è un sovranista di destra, un lepenista, bensì è un socialista a capo di un Governo di sinistra. Eppure, egli si è mosso, in tema di immigrazione, sulla falsariga di quanto sostenuto e fatto da Matteo Salvini in qualità di ministro dell’Interno. Ma a quest’ultimo, determinate decisioni hanno comportato la demonizzazione mediatica e i processi in tribunale. La sinistra italiana, anziché accarezzare le trecce di Carola Rackete e intestardirsi sulla solita linea irresponsabile, (intanto facciamo entrare tutti, e poi si vedrà), vada a lezione dal socialista Pedro Sánchez.