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Non smettete mai di protestare; non smettete mai di dissentire, di porvi domande, di mettere in discussione l’autorità, i luoghi comuni, i dogmi. Non esiste la verità assoluta. Non smettete di pensare. Siate voci fuori dal coro. Un uomo che non dissente è un seme che non crescerà mai.

(Bertrand Russell)

05/08/14

DISPUTA ITALIA-INDIA.....MARÒ, LA STORIA INFINITA


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Ennesimo rinvio dei tribunali indiani sulla questione dei nostri fucilieri di marina, trattenuti in India ormai da circa due anni e mezzo. Questo è quanto avvenuto Il 31 luglio. Il 4 agosto la Corte Suprema indiana ha poi autorizzato il rinnovo della cauzione a garanzia della libertà provvisoria dei due Marò. 

La Corte speciale che era stata incaricata dalla Corte suprema indiana di giudicare il caso si è aggiornata al 14 ottobre 2014 a causa dell’indisposizione di uno dei giudici. Qualcuno, a quanto sembra a livello governativo, ha affermato che si tratta di un mero fatto tecnico. Altri hanno scritto che il rinvio gioca a nostro favore. 

Nei fatti, la questione dei Marò sta cadendo nel dimenticatoio, sommersa da altre notizie internazionali (Libia, Gaza, Ucraina, etc.). Non si capisce bene come si stiano muovendo la nostra diplomazia e le autorità di governo. Che cosa stanno facendo? L’opinione pubblica vuole saperlo e non mi sembra che, in questo caso, la riservatezza sia l’arma della buona diplomazia. 

Attualmente sulla questione dei Marò sono pendenti in India quattro procedimenti, tre dinanzi alla Corte suprema, uno dinanzi alla Corte speciale. Addirittura è stato presentato dal proprietario del peschereccio, colpito secondo la tesi dell’accusa dai nostri Marò, un ricorso volto a statuire l’incompetenza della Corte speciale e a riportare il caso dinanzi ai tribunali del Kerala.

Dopo De Mistura, la fase dell’internazionalizzazione
Con grande clamore era stato annunciato dal nuovo governo e dai ministri degli Esteri e della Difesa una “nuova fase”. Dato il ben servito a Staffan De Mistura, che aveva praticamente seguito la vicenda fin dalle origini, la nuova fase sarebbe consistita nell’internazionalizzazione del caso, sia a livello diplomatico sia a livello giurisdizionale internazionale, con l’eventuale ricorso all’arbitrato.

L’internazionalizzazione a livello diplomatico non ha finora fatto registrare iniziative incisive. Uno dei punti su cui ha insistito l’Italia è quello dell’immunità funzionale dei due Marò, in quanto organi dello stato italiano. Tesi cui il sottoscritto crede fermamente, ma non pacifica (tra l’altro disconosciuta, sia pure in altro contesto, dalla nostra Corte di cassazione in una recente sentenza).

La Presidenza italiana dell’Unione europea (Ue) è iniziata senza che il Presidente del consiglio o il Ministro degli affari esteri abbiano fatto della questione dei Marò una priorità, quantunque la lotta alla pirateria interessi tutti i paesi membri. Della questione dell’immunità funzionale si sta occupando la Commissione del diritto internazionale (Cdi), organo di codificazione delle Nazioni Unite. 

Ebbene, non sembra che la tesi dell’immunità funzionale sia stata adeguatamente affrontata nella VI Commissione dell’Assemblea generale delle Nazioni unite, dove vengono discussi i progetti della Cdi, tranne qualche sporadico intervento. 

Della scarsa attenzione dedicata dalla nostra diplomazia alla tesi dell’internazionalizzazione è stato di recente testimone anche chi scrive, che era stato chiamato, in quanto esperto indipendente, a relazionare sulla questione delle Compagnie militari di sicurezza private nell’ambito del corrispondente Gruppo di lavoro presso il Consiglio dei diritti umani delle Nazioni unite a Ginevra. 

Avendo il sottoscritto trattato il tema sotto il profilo del personale imbarcato su navi commerciali in funzione antipirateria, sarebbe stato facile per il rappresentante italiano (silente) sollevare la questione del personale militare e dell’immunità funzionale. Niente di tutto questo è stato fatto.

Tra arbitrato e inchiesta internazionale
La scelta dell’arbitrato, più volte evocata come una delle possibili soluzioni dell’internazionalizzazione della vicenda, langue. Sulle insidie e, soprattutto, sui tempi lunghi che questa soluzione comporta ci siamo già espressi e non è necessario ripetersi.

Una volta promosso l’arbitrato, disciplinato dall’Annesso VII alla Convenzione sul diritto del mare, sarebbe anche possibile, come misura provvisoria, chiedere al Tribunale internazionale del diritto del mare, l’invio in Italia dei due Marò, in attesa che si pronunci il tribunale arbitrale. Soluzione possibile, ma non certa.

La questione dei due Marò è complicata, sotto il profilo tecnico, dall’incastro tra competenze dell’esecutivo e competenze dei tribunali, di non facile soluzione in uno stato dove vige il principio della separazione dei poteri. Probabilmente anche per l’India la controversia si trascina ormai da troppo tempo. 

Occorre quindi trovare, a livello diplomatico, un meccanismo che, nella salvaguardia del principio della separazione dei poteri, consenta di addivenire a una rapida soluzione della questione. Questo potrebbe concretarsi in una Commissione d’inchiesta di cui esistono molti precedenti nel campo marittimo. 

L’accordo dovrebbe consistere nel far rientrare i Marò in Italia, con l’obbligo di punirli qualora l’inchiesta accertasse che effettivamente essi siano responsabili dell’uccisione dei pescatori indiani. In tal caso verrebbe in considerazione anche il risarcimento del danno alle famiglie. Ma questo è già stato corrisposto, sia pure a titolo “grazioso”, senza cioè ammissione di responsabilità alcuna da parte italiana.

Giurista britannico
Per seguire la questione dei Marò è stato installato presso il Ministero affari esteri, sotto la presidenza di un avvocato londinese, un team di giuristi. Nessuno ne contesta la competenza ed è consuetudine in un affare internazionale ampliare il team con presenze straniere. Nominare capo del team un avvocato straniero è però un'altra cosa. Qualcuno avrà pensato che un giurista britannico avrebbe impressionato gli avvocati indiani, essendo stato il Regno Unito la potenza coloniale che per secoli ha governato l’India. 

Tuttavia, l’attuale fase nazionalista che ha investito l’India avrebbe dovuto far pensare il contrario. L’esperienza insegna che sono i paesi del terzo mondo carenti di giuristi di valore che ingaggiano avvocati occidentali. L’Italia non è un paese del terzo mondo e ha eccellenti giuristi in grado di difendere le sue ragioni! 

Natalino Ronzitti è professore emerito di Diritto internazionale (LUISS Guido Carli) e Consigliere scientifico dello IAI.


Natalino Ronzitti - 4 agosto 2014
Fonte: www.affarinternazionali.it

04/08/14

I panni sporchi di Girone e Latorre





" Ho la vaga impressione che questi panni mostrati su un "terrazzo internazionale" servano solo a spostare l'attenzione dal vero problema: L'imbarazzante "sur-place" del nostro governo su questa indecente vicenda. Intanto l'Ambasciatore Terzi, con tutto il rispetto, dica finalmente tutto quello che sa sui motivi del rientro dei due fucilieri in India nel marzo 2013."

e.m.

 

 

RIPORTIAMOLI A CASA

I marò: Non abbiamo danneggiato l’ambasciata con il filo della biancheria. Giulio Terzi: «Ma nessuno rivela i veri motivi del loro ritorno in India»


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Non siamo responsabili di alcun danneggiamento. L’unica cosa che desideriamo è ritornare in Patria: Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, da quasi novecento giorni prigionieri in India, hanno fatto sapere al «Il Tempo» attraverso le famiglie di essere estranei alla vicenda della richiesta di risarcimento per presunti danni alla recinzione della residenza dell’ambasciatore italiano Daniele Mancini a Nuova Delhi. È una presa di distanza netta, espressa con il consueto contegno, ma sullo sfondo resta una forte amarezza per una nuova polemica che non tiene conto della drammaticità del contesto, con una querelle internazionale in corso da anni senza nemmeno un’ipotesi di calendarizzazione - dopo decine e decine di grotteschi rinvii - delle prossime tappe.
«Che immagine diamo all'India?»: Paola Moschetti Latorre è a Nuova Delhi per stare vicina a Massimiliano e non ha nessuna voglia di soffermarsi «su una questione legata ad un filo per appendere i panni». «La priorità - puntualizza con molta serenità, nonostante tutto - resta riportare a casa i Leoni del San Marco». I fucilieri Massimiliano Latorre e Salvatore Girone sono alloggiati in una dependance della residenza diplomatica italiana a Nuova Delhi: questi locali da oltre due anni ospitano la quotidianità dei soldati italiani, candenzata da ritmi e abitudini ordinarie che non potrebbero arrecare alcun disturbo alla tradizionale routine diplomatica. Insomma meriterebbero solidarietà e vicinanza, mentre - in più di una occasione - hanno invece registrato sensazioni «differenti» da parte di chi dovrebbe essere in prima linea nella battaglia per la loro liberazione. La sensazione è che siano ospiti da molto, forse da troppo tempo, dell’ambasciata italiana di Delhi.
E mentre ci si azzuffa attorno ai panni puliti stesi all’ambasciata, nessuno sembra più preoccuparsi della sostanza della vicenda. «È venuto il momento che vengano spiegate le vere ragioni di chi ha voluto rimandare Girone e Latorre in India quel 22 marzo 2013», ha tuonato l’ex ministro degli Esteri del governo Monti, ora componente dell’Ufficio di presidenza di Fratelli d'Italia, Giulio Terzi.
«Dal governo - ha aggiunto Terzi - arriva solo silenzio e inazione. Abbiamo dovuto vivere il farsesco rinvio per l’indisposizione di un giudice della Corte Speciale indiana. E davanti a questo è inaccettabile e preoccupante che palazzo Chigi si trinceri dietro esigenze di silenzio e ci si affidi a un avvocato inglese, quando i ministri competenti avevano annunciato di voler chiedere l’arbitraggio internazionale».
«La preoccupazione aumenta - ha proseguito l’ex ministro - mentre la questione è lontana dall’essere risolta, la situazione impone una strategia ben più incisiva, per questo abbiamo chiesto che Renzi si rechi in India entro il mese di agosto».
Sulla vicenda intanto sta lavorando, con contatti e fatica quotidiana, il ministero degli Esteri. L’esecutivo, per bocca del premier stesso, Matteo Renzi, l’altro giorno, ha dichiarato che «noi non soltanto non dimentichiamo la vicenda dei marò, ma ho molta fiducia nel nuovo governo indiano». E ancora: «Faccio i migliori auguri al nuovo primo ministro e auspico che la discussione sui marò sia affrontata e risolta sulla base diritto del internazionale».

Antonio Angeli Michele De Feudis - 4 agosto 2014
fonte:http://www.iltempo.it/esteri

Dai Marò alla Folgore: quando la nazione non rispetta le forze armate.

 

FOLGORE !!!!!!!!

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Non vi sono veramente parole per descrivere l’abisso di disonore nel quale, con evidenti complicità anche in ambito militare, sono cadute le Istituzioni italiane nel loro rapporto con quegli uomini il cui stesso lavoro garantisce la vigenza delle leggi e la tutela degli interessi internazionali italiani sul suolo nazionale ed all’estero.
Da un lato assistiamo in queste ore agli sviluppi dell’ormai fin troppo conosciuta vicenda di Massimiliano La Torre e Salvatore Girone, che si trascina in maniera farsesca da anni, con una vicenda giudiziaria vergognosa, ormai nota in tutti i suoi cavillosissimi dettagli, che ha assunto i tratti di una tragicommedia, inscenata dalla giustizia indiana che si prende gioco di un’intera nazione, con dilazioni, rinvii, cavilli procedurali, dinanzi alla quale il Ministro degli Esteri, quello della Difesa, il Presidente stesso della Repubblica stanno facendo fare a tutta la nazione la peggiore figura della sua storia.
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Il Paese dell’8 settembre, fatto solo di moniti e pernacchioni retorici è lo stesso che oggi si fa ridicolizzare dall’India, dove l’indisposizione di un giudice ha, notizia di queste ore, rinviato di mesi l’udienza dei due fucilieri di Marina. Rinvio su rinvio il tempo passa, e a farne le spese, oltre ai due nostri marinai, è il buon senso, il prestigio, tutto.
L’onore di una nazione non consta infatti esclusivamente nella deposizione di corone a monumenti ai caduti, nel pur doveroso rispetto di simboli, bandiere e commemorazioni di circostanza o nella esposizione del tricolore sugli edifici pubblici nelle ricorrenze civiche comandate o in occasione dei mondiali di calcio. Ma sta nel rispetto che le istituzioni, a tutti i livelli, hanno per i propri soldati, per le divise che indossano con onore a cui essi devono a loro volta onore, rispetto e fedeltà fino al sacrificio della propria vita.
Lo Stato italiano, ancora una volta, non interviene per motivi di opportunità forse, forse anche di debolezza, forse anche di incapacità. Non vi è stato magistrato, in Italia, che si sia la briga di analizzare il clima di faciloneria, di dilettantismo allo sbaraglio e di cattiva gestione del caso nelle ore immediatamente successive al fatto, per cui oggi gli indiani stanno sottraendo due soldati al loro servizio alla nazione ed alle loro famiglie.
Del resto quale ulteriore autorevolezza può vantare uno stato che mette sotto accusa altri suoi uomini, i migliori e più addestrati, del V reparto d’assalto paracadutisti, gli eredi dei leoni della Folgore, rei di aver onorato un reduce con un canto, gli stornelli del paracadutista.
Questo canto, nato nelle trincee della prima guerra mondiale, presso i reparti di arditi, dei quali la Folgore è erede militare, onora il coraggio, lo sprezzo della morte, ed aggiunge solo una strofa goliardica, che invita a pulirsi il culo con la bandiera rossa.
Tale strofa fu inserita negli stornelli nel dopoguerra, in piena guerra fredda, quando il nemico dell’Italia era l’Unione sovietica, che minacciava l’invasione di tutto l’Occidente. Il nemico, che sovvenzionava il principale partito di opposizione, il Partito Comunista Italiano, in maniera clandestina.
Ovviamente tale canto non è sfuggito a qualche solerte questurino del pensiero, poveretti che riempiono i propri vuoti esistenziali alla ricerca di fantasmi del passato, temendo chissà quali rinascite autoritarie.
Questo clima malmostoso, che offende non solo i militari, ma tutti gli italiani che ancora credono in questo paese sciagurato, tanto da pagarne ancora le tasse, suscita eccome rinascite autoritarie, se non altro nella doverosa indignazione di tutti noi.
Si conoscono i nomi ed i cognomi del giornalista del Fatto Quotidiano che ha sollevato questo infame polverone, come si conoscono i nomi ed i cognomi dei solerti funzionari, degli ufficiali e degli altri esponenti coinvolti nell’inchiesta che hanno avuto perfino l’infame impudenza di disporre provvedimenti disciplinari esemplari contro questi ragazzi, rei di avere non tanto intonato gli stornelli del paracadutista, (a cui si ricalcano quelli degli alpini, dei Vigili del fuoco e di altri corpi dello Stato), bensì di aver introdotto quella strofa sulla bandiera rossa, strofa che al di fuori di una Caserma è doveroso cantare da parte di tutti gli uomini liberi, e che in una Caserma altro non è che un retaggio goliardico dei tempi della Guerra fredda.
Si conoscono nomi e cognomi, qualifiche e gradi, e si spera che un domani, quando i pagliacci che danno questi abominevoli indirizzi politici saranno cacciati a calci dai vertici delle istituzioni che indegnamente ricoprono, vengano assunti provvedimenti disciplinari esemplari contro questi volenterosi carnefici del buon senso e dell’Onore della Nazione.
Perché il marcio non è in chi canta, ma è in chi, colpendoli, vuole colpire i corpi militari dello Stato più fedeli alla nazione, quelli più esposti nei teatri internazionali, con un disegno ben preciso, perché Folgore e Battaglione San Marco costituiscono il simbolo vivente di un’Italia migliore, di un’Italia che ancora crede nel servizio con onore, disciplina, abnegazione e fedeltà nelle istituzioni.
Gli artefici di questo disegno, che siedono nelle Istituzioni stesse, talvolta nei suoi scranni più alti, nelle Università e nelle Redazioni dei Giornali, sono nemici di questa Italia migliore e da nemici della Patria meritano di essere trattati.

Fonte: Qelsi.it

L’India rigetta l’egemonia globale degli USA


L’India rigetta l’egemonia globale degli USA affondando il Global Trade Deal, mettendo in dubbio  il futuro dell’OMC

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Ieri abbiamo riportato che l’asse Russia-Cina si è saldamente assicurato, la corsa ora è volta ad assicurare l’alleanza di quest’ultima, con la critica potenza eurasiatica dell’India. Qui la Russia ha compiuto il primo passo simbolico, quando all’inizio della settimana la sua banca centrale ha annunciato di aver avviato trattative internazionali per utilizzare monete nazionali, un processo che culminerà nell’eliminazione della moneta statunitense nelle transazioni bilaterali. La Russia non è la prima nazione a valutare l’importanza chiave dell’India nel concludere forse il più importante asse geopolitico del 21° secolo, abbiamo riportato che il Giappone, agendo per trovare un contrappeso naturale alla Cina con cui le relazioni sono regredite ai livelli della Seconda Guerra Mondiale, ha anche caldamente e pesantemente corteggiato l’India. “I giapponesi si trovano ad affrontare enormi problemi politici con la Cina“, ha detto Kondapalli in un’intervista telefonica. “Le aziende giapponesi quindi ora cercano di spostarsi verso altri Paesi, cercano in India“. Naturalmente per l’India il problema dell’alleanza giapponese implicitamente coinvolgerebbe anche gli Stati Uniti, ultimo e unico sostegno sostenitore dell’insolvente e demograficamente implosivo Giappone, quindi bruciando i ponti con Russia e  Cina. Una domanda emerge: l’India abbraccerebbe l’asse Stati Uniti – Giappone rinunciando al suo mercato naturale dei BRICS e agli alleati Russia e Cina.
Ora abbiamo una risposta chiara ed è un sonoro no, perché in ciò che è il definitivo ceffone alla totalmente dissolvente egemonia globale degli USA, questa mattina l’India ha rifiutato di firmare un critico accordo commerciale globale. In particolare, le richieste irrisolte dell’India portano al crollo della prima grande riforma del ventennale patto commerciale globale. I ministri dell’OMC avevano già concordato la riforma globale delle procedure doganali nota come “facilitazione degli scambi” a Bali, in Indonesia, lo scorso dicembre, ma non poterono superare le obiezioni dell’ultimo minuto indiane e non l’hanno fatto, secondo le regole dell’OMC, entro il 31 luglio. Il direttore generale dell’OMC, Roberto Azevedo, ha detto ai diplomatici commerciali di Ginevra, appena due ore prima che il termine ultimo per l’accordo scadesse a mezzanotte, che “non abbiamo trovato una soluzione che ci permetta di colmare questa lacuna“. Reuters riporta che la maggior parte dei diplomatici aveva previsto di firmare l’accordo questa settimana, segnando un successo unico nei 19 anni di storia dell’OMC che, secondo alcune stime, doveva aggiungere 1000 miliardi di dollari e 21 milioni di posti di lavoro all’economia mondiale. Si scopre che l’India è contenta di deludere i globalisti: i diplomatici erano scioccati quando l’India ha posto il veto e il fallimento dell’ultima ora le ha attirato forti critiche, così come brontolii sul futuro dell’organizzazione e del sistema multilaterale ad essa sotteso. “L’Australia è profondamente delusa dal fatto che non sia stato possibile rispettare la scadenza. Tale fallimento è un grave colpo alla fiducia riavviata a Bali sull’OMC nell’avere un risultato dai negoziati“, ha detto il ministro del commercio australiano Andrew Robb. “Non ci sono vincitori con tale risultato, meno di tutti nei Paesi in via di sviluppo che avrebbero visto i maggiori profitti“. Incredibilmente, e senza alcun preavviso, l’ostinato rifiuto dell’India di soddisfare le richieste degli Stati Uniti potrebbe aver schiacciato l’OMC quale fonte del commercio internazionale, sferrandogli un pugno eliminando direttamente l’avvento futuro di una globalizzazione implacabile, che negli ultimi 50 anni ha avvantaggiato sopratutto gli Stati Uniti.
L’indebitato Giappone, come già detto, desideroso di diventare il migliore amico dell’India, è stupito dal rifiuto: “Un funzionario giapponese a conoscenza della situazione, ha detto che mentre Tokyo ha ribadito l’impegno a mantenere e rafforzare il sistema commerciale multilaterale, è frustrato che tale piccolo gruppo di Paesi ne abbia ostacolato il consenso pressoché unanime. Il futuro del Doha Round, compreso il pacchetto di Bali, non è chiaro in questa fase, ha detto“. Altri sono giunti a suggerire l’espulsione dell’India: “Alcune nazioni, tra cui Stati Uniti, Unione Europea, Australia, Giappone e Norvegia, hanno già discusso un piano per escludere l’India dall’accordo e portarlo avanti, hanno detto dei funzionari coinvolti nei colloqui”. Tuttavia, una tale mossa chiaramente indicherebbe che il grande esperimento della globalizzazione volge al termine: “Il ministro del Commercio Estero della Nuova Zelanda, Tim Groser, ha detto a Reuters che c’è “troppa dramma” sulle trattative e ha aggiunto che qualsiasi discorso volto ad escludere l’India ciò è “ingenuo” e controproducente. “L’India è il secondo Paese più popoloso, parte vitale dell’economia mondiale e sarà ancora più importante. L’idea di escludere l’India è ridicola”…”Non voglio essere troppo critico verso gli indiani. Abbiamo cercato di convincerli, ma infine mettere l’India nell’angolo non sarebbe produttivo”, ha aggiunto”. E sì, la morte dell’OMC è già casualmente indicata come possibilità concreta: “Eppure, il fallimento dell’accordo dovrebbe segnare l’allontanamento dai singoli monolitici accordi commerciali che hanno definito l’ente per decenni, ha detto Peter Gallagher, esperto di libero scambio e OMC presso l’Università di Adelaide. Penso che sia certamente prematuro parlare di morte dell’OMC. Spero che si sia al punto in cui un po’ più di realismo entri nei negoziati“, ha detto. Ma il Paese più traumatizzato è quello che non ha mai accettato una risposta negativa da certi “squallidi e arretrati Paesi in via di sviluppo“: gli Stati Uniti, e la persona più umiliata non è altri che John Kerry. “Il segretario di Stato USA John Kerry ha detto al Primo ministro Narendra Modi che il rifiuto dell’India di firmare l’accordo commerciale globale invia un segnale sbagliato, e ha esortato New Delhi a lavorare per risolvere la questione al più presto possibile. La mancata firma dell’accordo per facilitare il commercio invia un segnale confuso e mina l’immagine stessa che il Premier Modi tenta d’inviare dell’India“, ha detto un funzionario del dipartimento di Stato USA ai giornalisti, dopo l’incontro di Kerry con Modi. Il segnale sbagliato per John Kerry, forse, è che ora è lo zimbello “diplomatico” mondiale e l’uomo che, insieme a Hillary Clinton (e al presidente degli Stati Uniti), è stato beffato completamente sull’influenza globale degli Stati Uniti negli ultimi 5 anni. Ma è il segnale giusto per la Cina e, naturalmente, la Russia.

BRAZIL-BRICS-ROUSSEFF-XI-MODI-PUTIN-ZUMA

Traduzione di Alessandro Lattanzio
02/08/2014
Tyler Durden - 01/08/2014
fonte: http://aurorasito.wordpress.com

03/08/14

"Se non ci conoscete"... prendete un granchio Raduno della Folgore accusato di 'nostalgia' per una canzone che si è sempre intonata ovunque - Ennesimo scivolone dell'Anpi

antifascismo da asilo

Raduno della Folgore accusato di 'nostalgia' per una canzone che si è sempre intonata ovunque - Ennesimo scivolone dell'Anpi

"Se non ci conoscete"... prendete un granchio


Chissà se gli arditi che hanno combattuto durante la Grande Guerra avrebbero mai immaginato che una delle canzoncine che cantavano con l'ironia goliardica loro propria avrebbe, a distanza di anni, destato tante polemiche. E' bastato infatti che qualche solerte giornalista vedesse il video di un raduno della Folgore presso una caserma senese in cui militari e reduci cantano in coro “Se non ci conoscete” per scatenare una cagnara in pieno stile “dagli al fascista”. Gli scandalizzati difensori della democrazia hanno infatti immediatamente gridato allo scandalo, chiedendo che venissero presi seri provvedimenti per questo rigurgito apologetico. Come sempre (purtroppo) accade in casi simili, l'ansia di voler dimostrare fedeltà all'ideologia resistenziale ha superato la correttezza professionale, secondo cui bisognerebbe almeno documentarsi prima di scrivere.
“Sarebbe bastata una ricerchina su Google – scrive Cristiano Coccanari su Il primato nazionale – per scoprire la verità. Certo, scrivere che si tratta di una canzone di epoca pre-fascista avrebbe fatto molto meno scalpore. Alla canzone originale peraltro, sono seguite innumerevoli versioni, con testo modificato. Tra queste una in epoca fascista, è vero, ma anche una degli Arditi del Popolo”, nota organizzazione antifascista. Per non parlare di quella cantata dalle mondine emiliane: “se non ci conoscete, guardateci all'occhiello: portiam falce e martello, portiam falce e martello”. E di quella dei ragazzi che andavano in colonia, che si concludeva con “dai dai dai, combiniamo tanti guai”.
La versione fascista è quindi soltanto una tra le tante che sono state cantate prima e anche dopo il Ventennio. Come quella della Folgore, che nel testo ha chiari riferimenti alla rivalità con i fanti e all'orgoglio di appartenenza al corpo dei paracadutisti (“Se non ci conoscete guardateci dall'alto, noi siamo i paraca del battaglion d'assalto”).
Goliardia dunque. Nella migliore delle ipotesi male interpretata, nella peggiore strumentalizzata con malafede per attaccare un corpo d'elite la cui sola esistenza a quanto pare infastidisce più di qualcuno. E non da oggi: la polemica sul presunto inno fascista è infatti soltanto l'ultima di una serie di attacchi e critiche di cui la Folgore è stata fatta oggetto. E questo nonostante tutto il mondo la consideri un'eccellenza da ammirare e da imitare. Un corpo scelto che ha dimostrato, in molti scenari di guerra anche recenti (Libano, Somalia, Kossovo, Afghanistan) di essere professionalmente molto valido. E capace di affrontare rischi e perdite con un coraggio ed una dignità di cui andare più che orgogliosi.
L'Italia di oggi è però un Paese assai strano se una tale eccellenza viene addirittura messa sotto inchiesta per una canzone. Una punizione richiesta dai solilti noti, ai quali si è naturalmente accodata l'Anpi regionale Toscana, che ha richiesto provvedimenti esemplari per atteggiamenti che offendono la nazione intera con comportamenti chiaramente nostalgici. Chiude il comunicato, diffuso in questi giorni, l'annuncio che l'associazione starà sempre attenta e pronta a denunciare ogni episodio che infanga la resistenza. Come una canzone goliardica, che si conclude con una strofa anch'essa goliardica, sull'utilizzo per scopi di igiene intima di una bandiera rossa. Ove il rosso, è bene ricordarlo, per i militari è il colore della fanteria. Certo, per chi vuol leggere sempre e comunque tutto sotto la lente deformata dell'ideologia politica è tutta un'altra storia. 
 
 
Chissà se gli arditi che hanno combattuto durante la Grande Guerra avrebbero mai immaginato che una delle canzoncine che cantavano con l'ironia goliardica loro propria avrebbe, a distanza di anni, destato tante polemiche. E' bastato infatti che qualche solerte giornalista vedesse il video di un raduno della Folgore presso una caserma senese in cui militari e reduci cantano in coro “Se non ci conoscete” per scatenare una cagnara in pieno stile “dagli al fascista”. Gli scandalizzati difensori della democrazia hanno infatti immediatamente gridato allo scandalo, chiedendo che venissero presi seri provvedimenti per questo rigurgito apologetico. Come sempre (purtroppo) accade in casi simili, l'ansia di voler dimostrare fedeltà all'ideologia resistenziale ha superato la correttezza professionale, secondo cui bisognerebbe almeno documentarsi prima di scrivere.
“Sarebbe bastata una ricerchina su Google – scrive Cristiano Coccanari su Il primato nazionale – per scoprire la verità. Certo, scrivere che si tratta di una canzone di epoca pre-fascista avrebbe fatto molto meno scalpore. Alla canzone originale peraltro, sono seguite innumerevoli versioni, con testo modificato. Tra queste una in epoca fascista, è vero, ma anche una degli Arditi del Popolo”, nota organizzazione antifascista. Per non parlare di quella cantata dalle mondine emiliane: “se non ci conoscete, guardateci all'occhiello: portiam falce e martello, portiam falce e martello”. E di quella dei ragazzi che andavano in colonia, che si concludeva con “dai dai dai, combiniamo tanti guai”.
La versione fascista è quindi soltanto una tra le tante che sono state cantate prima e anche dopo il Ventennio. Come quella della Folgore, che nel testo ha chiari riferimenti alla rivalità con i fanti e all'orgoglio di appartenenza al corpo dei paracadutisti (“Se non ci conoscete guardateci dall'alto, noi siamo i paraca del battaglion d'assalto”).Goliardia dunque. Nella migliore delle ipotesi male interpretata, nella peggiore strumentalizzata con malafede per attaccare un corpo d'elite la cui sola esistenza a quanto pare infastidisce più di qualcuno. E non da oggi: la polemica sul presunto inno fascista è infatti soltanto l'ultima di una serie di attacchi e critiche di cui la Folgore è stata fatta oggetto. E questo nonostante tutto il mondo la consideri un'eccellenza da ammirare e da imitare. Un corpo scelto che ha dimostrato, in molti scenari di guerra anche recenti (Libano, Somalia, Kossovo, Afghanistan) di essere professionalmente molto valido. E capace di affrontare rischi e perdite con un coraggio ed una dignità di cui andare più che orgogliosi.
L'Italia di oggi è però un Paese assai strano se una tale eccellenza viene addirittura messa sotto inchiesta per una canzone. Una punizione richiesta dai solilti noti, ai quali si è naturalmente accodata l'Anpi regionale Toscana, che ha richiesto provvedimenti esemplari per atteggiamenti che offendono la nazione intera con comportamenti chiaramente nostalgici. Chiude il comunicato, diffuso in questi giorni, l'annuncio che l'associazione starà sempre attenta e pronta a denunciare ogni episodio che infanga la resistenza. Come una canzone goliardica, che si conclude con una strofa anch'essa goliardica, sull'utilizzo per scopi di igiene intima di una bandiera rossa. Ove il rosso, è bene ricordarlo, per i militari è il colore della fanteria. Certo, per chi vuol leggere sempre e comunque tutto sotto la lente deformata dell'ideologia politica è tutta un'altra storia.

cristina di giorgi - 03/08/2014 
fonte: http://www.ilgiornaleditalia.org

©LA GUERRA MEDITERRANEA INIZIATA DUE ANNI E MEZZO FA, ESPLODE ALLO SCOPERTO. NON C’È ODORE DI GAS, MA PUZZA DI IMBROGLIO.


                                  foto aggiunta non facente parte dell'articolo


Il 25 Aprile ho pubblicato un post dal titolo lungo e complicato ” I paesi francofoni iniziano a contrastare il reclutamento di volontari per la guerra di Siria. i paesi arabi anglofoni continuano. ecc. “

Il titolo interminabile e me ne scuso, serviva per iniziare a far capire una delle grandi differenze tra il mondo multipolare vissuto in Europa tra il 1945 e il 1992 ( resa dell’impero sovietico all’Inghilterra della Tatcher) e il mondo unipolare e globalizzato che si è affacciato col nuovo secolo.
Non mi stanco di ripetere che dal 2000 in poi, i sistemi di alleanze non hanno più senso.
Con la globalizzazione e la competizione economica, ogni paese diventa rivale di ogni altro.
Le alleanze durano fino a che conviene per togliere il mercato a un terzo paese e la guerra è essenzialmente guerra per la prevalenza economica.
I campi in cui ci si misura sono il cibo, l’acqua, le risorse minerali essenziali, l’energia, la demografia..

Alcuni paesi per sopravvivere economicamente rompono vecchie regole e l’Inghilterra è tra questi e non si capisce – faccio per dire – se i viaggi della morte di William Hague e John Kerry per vendere armi ai sauditi precedano o seguano gli eventi luttuosi nel nostro mare.
Ricordo di aver letto – ahimè non ricordo in quale testo – il resoconto della conferenza, credo di Teheran ( 1943), tra i quattro grandi, che a seguito di alcune considerazioni inglesi su un’altra aerea, Stalin, che abbiamo poi saputo essere ben informato su quel che facevano gli inglesi, disse che stavano distraendo l’attenzione per avere il modo di occupare Siria e Libano.
Ricordo il resoconto perché raccontava che Churchill e Eden – suo genero – “arrossirono e protestarono”. L’arrossire mi parve un’ammissione indiretta.
L’episodio mi è tornato alla mente assistendo al repentino cambiamento di rotta della politica francese nei confronti della Siria, dopo aver iniziato la campagna anti Assad due anni fa.
Il Presidente francese ha bruscamente allentato la pressione sulla Siria e battendo la mozione americana alle Nazioni Unite sul tempo ( era stata annunziata per settembre e anticipata a primavera, ma Hollande e stato più svelto ) si è lanciato nella operazione SERVAL in Mali con una forza evidentemente sproporzionata all’entità dei nemici da colpire; ha dichiarato perdite a malapena sufficienti per dichiarare che la Francia rimarrà sul posto ( con una maggioranza parlamentare di 342 voti) fino a che sarà necessario e sta inquadrando le truppe ONU dei paesi vicini ( 12.000 solo la scorsa settimana) che affluiscono, senza però diminuire i propri effettivi che di 500 uomini ad uso interno e dimostrativo.
Dopo questo dispiegamento di forze i due nemici tradizionali di area Marocco e Algeria, hanno iniziato una collaborazione di polizia antiterrorismo e sono riusciti a coinvolgere la Tunisia che sembra aver ripreso coraggio nello sforzo di contenimento dei fondamentalisti e dei salafiti in particolare.
Altri segnali: il capo dell’attacco a Is Amenas è stato giudicato e condannato a morte.
In Tunisia, un sito ( http://www.tunisie-secret.com ) ha pubblicato gli estratti di un libro che dettaglia l’opera di corruttela sistematica dell’Emiro del Katar che ha regalato appartamenti a Parigi nel XVI arrondissement a un parente di Ben Alì e sta continuando con il partito fondamentalista Ennahda.
L’obbiettivo è sottrarre il Maghreb all’influenza europea ( e francofona) per farlo scivolare nella sfera di influenza kataro-saudita che mira a egemonizzare l’Egitto e il canale di Suez.
È in corso insomma una offensiva politica e di intelligence che ha nella Francia il suo fulcro ed investe l’intero Maghreb e che ha consentito all’Algeria di togliersi di dosso la cattiva nomea di dittatura autoritaria.
Ecco cosa accadrà :
1. Nel periodo Maggio-Ottobre 2013 la Tunisia diventerà un “campo di battaglia” ove si affronteranno due forze contrapposte del mondo arabo-islamico: il Maghreb laico (benché musulmano) e il katar, punta di lancia dei paesi del golfo per l’islamizzazione fondamentalista della regione Maghrebina e il suo allontanamento dall’orbita europea.
2. Il confronto é di importanza strategica in quanto determinerà il futuro assetto della regione e vedrà per la prima volta alleati Algeria e Marocco impegnati a contenere l’infiltrazione islamista dei paesi del golfo nel Maghreb.
Tale confronto si svolgerà sotto traccia e si svilupperà come segue:
· il Katar incrementerà la pressione religiosa e l’afflusso di ONG e fondi;
· la coalizione algero-marocchina contrasterà tale attivismo sostenendo l’opposizione laica, favorendo episodi mirati a screditare la troika al potere in Tunisia e coordinerà la coalizione dei “rassemblements democratiques” di Tunisia, Algeria e Marocco.
l’azione si svilupperà in maniera tale da evitare incidenti che possano compromettere o ritardare le elezioni (previste per Nov/Dic 2013).
3. Sono prevedibili microepisodi di orientamento della pubblica opinione quali non limitativamente:
· scandali economici e di costume a carico di esponenti della troika di governo, in particolare Ennahda;
· azione di screditamento del Presidente della Repubblica;
· azioni violente attribuibili ai “comitati per la protezione della rivoluzione” e ai gruppi islamisti/salafiti contigui ad Ennahda;
· esposizione sullo scenario internazionale delle sistematiche violazioni dei diritti umani che si verificheranno.
4. le elezioni dovrebbero tenersi entro fine anno, ma si vocifera di uno slittamento a marzo 2014 che tradisce il nervosismo del partito di governo timoroso per la perdita di consenso anche in virtù della possibilità di voto per i tunisini emigrati in Francia.
La eventuale sconfitta elettorale farebbe precipitare gli eventi e spingerebbe i fondamentalisti ad uscire allo scoperto, provocando quindi interventi equilibratori risolutivi.
A completamento del quadro complessivo, il Presidente algerino Abd el Aziz Bouteflika, 76 anni, oggi è stato ricoverato a Parigi all’ospedale militare Val de grâce perché colto da un ictus – pudicamente definito ” episodio ischemico senza conseguenze”. Ma lo stanno curando.
Gia nel 2005 a seguito della guerra civile contro i salafiti, finanziati dai sauditi , era stato operato ( sempre in Francia) per una ulcera gastrica. Cose che capitano nei momenti di stress.
Passando al Fronte Egiziano, lo scontro tra laici e islamisti mascherati da democratici continua con la proposta di legge di ridurre l’età della pensione per i magistrati da 70 anni a sessanta.
Sarebbe stato un bel colpo di scopa che avrebbe condotto alla decimazione dei magistrati ed all’inserimento di una nuova leva scelta dai Fratelli Mussulmani.
Si sono dimessi il Consigliere del Presidente per gli affari giuridici, il ministro della giustizia e i magistrati stanno organizzando manifestazioni a getto continuo.
L’opera di delegittimazione di Morsi, sempre meno in grado di gestire la situazione, continua .
Anche qui in Egitto sta nascendo una opposizione che , ad esempio, in Italia non ci fu quando – D’Alema consule – l’Aise, servizio segreto per l’estero, fu epurata mandando via tutti gli agenti con venti anni di servizio e consentendo l’assunzione di seicento ragazzini raccomandati e super pagati che hanno dimostrato quel che valgono e votato per chi sappiamo.
IL SECONDO FRONTE È LA SIRIA:
fin dal 2007 il giornalista Seymour Hersh vincitore di un Pulitzer scriveva sul New Yorker un articolo dal titolo: “The Redirection: Is the Administration’s new policy benefiting our enemies in the war on terror? “ spiegando che, ” per indebolire l’Iran che è a predominanza sciita, l’Amministrazione Bush ha riconfigurato le sue priorità nel Medio Oriente, collaborando in Libano con il governo saudita, che è sunnita, in operazioni clandestine tese a indebolire Hezbollah l’organizzazione spalleggiata dall’Iran. ( sarebbe bastato non regalare l’Irak agli Ayatollah. NdR).
Seymour prosegue:
“Gli USA hanno anche preso parte in operazioni clandestine mirate all’Iran ed al suo alleato siriano.
A by-product of these activities has been the bolstering of Sunni extremist groups that espouse a militant vision of Islam and are hostile to America and sympathetic to Al Qaeda.”.
Da allora, il coinvolgimento è stato crescente fino all’invio di oltre 3000 tonnellate di armi dalla Croazia ( vedi post del 1 marzo ” Croazia in imbarazzo. Gli Stati Uniti spifferano tutto mettendoli in difficoltà”) poche settimane fa, benché lo stesso New York Times ammetta ( il 27 aprile) che ” in tutta la Siria non esistono gruppi armati non confessionali
I democratici, cioè, non esistono: le armi vanno a Al Kaida ed alle formazioni ad essa affiliate.
In questi giorni, gruppi interessati a mettere in difficoltà l’Amministrazione Obama, il governo inglese e una frazione israeliana, hanno messo in atto una campagna mirante a forzare la mano al presidente e provocare un intervento in Siria, oppure dimostrare che le promesse USA di intervento a difesa degli alleati ( Israele, Corea del sud, Giappone) non sono credibili.
A dodici anni di distanza si ritrova a New York ” un pezzo del carrello di uno degli aerei dell’11 settembre” e parte una campagna stampa internazionale mirante a far credere che la Siria abbia fatto uso di gas ( il Sarin) e che quindi il governo americano – come da promessa – deve intervenire militarmente o accettare la qualifica di inaffidabilità.
Le fonti di intelligence sono le stesse che annunziarono che l’Irak aveva le armi di distruzione di massa: l’intelligence inglese ( lo steso dell’uranio comprato in Niger…) e quello israeliano ( non il capo, ma un subordinato il generale Itai Brun in margine a un convegno pubblico su altro argomento), hanno dato risalto a questa balla.
In realtà l’accusa è tecnicamente indimostrabile e irrealistica. Non ci sono prove, esistono solo le dichiarazioni ufficiali di organizzazioni addette alla disinformazione e già colte in fallo più di una volta.
Negli USA il Pentagono ha chiesto prove concrete, mentre i media continuano a dire che la ” intelligence community” ( che non essendo un ente, ma una locuzione, non può smentire) sostiene il contrario.
Sono in possesso dell’ ” Worldwide Threat Assessment of The US intelligence community” emesso dal DNI ( director of National intelligence) James R. Clapper in data 12 Marzo2013
e non vi è alcuna accusa in tal senso.La ragione di questa campagna è presto detta: l’esercito lealista siriano è militarmente vittorioso su tutti i fronti e le ” larghe parti di territorio sotto controllo dell’ ESL” millantate dalla propaganda occidentale sono prevalentemente desertiche o abitate da nomadi. Anche questi due elementi ( la non necessita e le zone desertiche) rafforza nella convinzione che il gas non è stato usato.
Era necessaria una controffensiva politica occidentale mirante a fermare o rallentare il negoziato politico la cui chiusura in questo momento sarebbe clamorosamente favorevole a Assad.
Per far convertire la Francia, i sauditi hanno intavolato trattative per forniture militari con una missione francese , ma per non togliere nulla agli angloamericani che riforniscono aeronautica ed esercito, hanno deciso – almeno così dicono – di rafforzare …la Marina mediante la creazione di due basi navali nelle isole di Fersan e di Ras Moheïsin e l’acquisto di quattro sottomarini.
Per far capire alla Francia che esiste il bastone oltre alla carota, qualcuno ha messo una bomba al l’ambasciata francese in Libia, unico territorio saldamente in mano fondamentalista, ( vedi mio post del 20 aprile su “Africa del Nord ecc” a Nicolas Sarkozy ed alla cara Hilary che, passato il timore di una incriminazione per i fatti di Benghazi è perfettamente guarita.
Non così i quattro americani che ci hanno rimesso la pelle.

© di Antonio de Martini
fonte:  http://corrieredellacollera.com

I due marò Latorre e Girone fanno il bucato, l’ambasciatore Mancini chiede danni








 I marò Salvatore Girone e Massimiliano Latorre e l'ambasciatore Daniele Mancini (nell'ordine, da sinistra), che ora chiede 400 euro di rimborso per la riparazione della rete di recinzione rovinata dalla biancheria messa a stendere dai due militari


L'ambasciatore italiano a New Delhi, Daniele Mancini ora chiede 400 euro di rimborso per la riparazione della rete di recinzione rovinata dalla biancheria messa a stendere dai due militari


ROMA – Fanno il bucato da soli, stendono i panni in giardino e rovinano il recinto dell’ambasciata italiana a New Delhi i due marò Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, da due anni e mezzo ostaggio in India per colpa dell’insipienza della burocrazia italiana e dei Governi che si sono succeduti, dal febbraio 2012 a oggi.
E così l’ambasciatore d’Italia in India, Daniele Mancini, invece di darsi da fare per farli liberare, chiede i danni al suo ministero, quello degli Esteri: ben 400 euro, per un lavoro che dovrebbe essere stato eseguito da pittori indiani, dove il reddito medio è di 1.500 dollari all’anno. Tradotto, un terzo del reddito medio di un indiano per dipingere un pezzo di recinzione.
Alla Farnesina, dove ha sede il ministero degli Esteri, quasi non volevano credere a quel che c’era scritto, scrive trasecolato anche lui e noi con lui, Fabrizio Ravoni sul Giornale, quando hanno letto che l’ambasciatore a New Delhi, Daniele Mancini,
“chiedeva 400 euro all’amministrazione degli Esteri per «lavori straordinari». La prima considerazione fatta dagli uffici è stata: con quel che guadagna (si parla di 20mila euro netti al mese), magari, poteva non presentare il conto al ministero. Ma a far saltare sulla sedia i vertici del ministero (dal segretario generale, Michele Valensise, in giù) sono state le motivazioni della richiesta di rimborso economico. “I 400 euro – spiegava l’ambasciatore nella nota – sono serviti a pagare gli operai che hanno ridipinto una parte della recinzione della residenza del diplomatico a Nuova Delhi. Recinzione – spiegava la nota – rovinata (a dire dell’ambasciatore e della sua signora) dai fili dei panni utilizzati da Massimiliano Latorre e Salvatore Girone per stendere la propria biancheria.
I due fucilieri di Marina sono infatti «ospiti» dell’ambasciata da quando sono rientrati in India. Una soluzione accettata a denti stretti dall’ambasciatore e dalla moglie. Tant’è che, a quanto pare, non è la prima volta che la Farnesina si vede recapitare conti della spesa a loro carico.
La residenza diplomatica di Nuova Delhi ha un parco enorme e loro sono stati collocati in una dépendance nascosta da una grata di legno con rampicanti. Ospiti non proprio graditi, insomma. Soprattutto alla signora ambasciatrice. Tant’è che per giustificare e legalizzare la loro presenza in ambasciata, i due marò sono stati messi sotto le dipendenze dell’addetto militare. Una formula scelta per metterli al riparo dalle ugge della famiglia Mancini.
E pensare che proprio l’ambasciatore italiano a Nuova Delhi ha avuto un ruolo non secondario sul loro rientro in India. Le autorità indiane avevano paventato la possibilità di togliere l’immunità diplomatica a Mancini: immunità regolamentata dal Trattato di Vienna del 1961.
E l’ambasciatore, intimorito da questa minaccia, fece enormi pressioni sul suo principale sponsor dell’epoca, Corrado Passera; del quale era stato consigliere diplomatico al ministero dello Sviluppo economico. E fu proprio Passera – come ha ricostruito Giulio Terzi di Santagata, dimessosi da ministro degli Esteri ad una settimana dalla fine del governo Monti – a sostenere l’opportunità di far tornare in India i marò. Proprio per evitare – spiegava Passera a Palazzo Chigi – possibili ripercussioni al nostro ambasciatore.
Per essere più convincente raccontò di aver saputo attraverso i propri canali diplomatici (Mancini?) di una lettera che la Confindustria aveva in animo di scrivere. Lettera nella quale gli imprenditori facevano il punto del danno economico che sarebbe stato determinato da un mancato ritorno dei marò in India. Inutile dire che questa lettera non è mai stata recapitata a Palazzo Chigi.
Ma si tratta di gossip. Quel che resta è la richiesta di rimborso di 400 euro presentato da Daniele Mancini & signora alla Farnesina per ridipingere una balaustra.
Al ministero degli Esteri hanno fatto due conti. Tradotto in dollari, fa qualcosa più di 500 dollari. Per avere un termine di paragone, il reddito pro capite medio indiano è di 1.500 dollari all’anno. Ne consegue che l’operaio impegnato a ridipingere la recinzione, in pochi giorni, ha guadagnato un terzo di quel che incassa in dodici mesi”.

http://www.blitzquotidiano.it - redazione - 3 agosto 2014

 

Ecco i veri obiettivi degli estremisti di Hamas


 

 

Ecco i veri obiettivi degli estremisti di Hamas
Alberto Pasolini Zanelli, già inviato speciale di esteri e corrispondente dagli Usa per diverse testate italiane tra cui il Giornale, analizza le evoluzioni dei conflitti che infiammano il Medio Oriente
Grazie all’autorizzazione del gruppo Class Editori pubblichiamo l’articolo di Alberto Pasolini Zanelli, apparso sul quotidiano Italia Oggi.
I suoni e le immagini che ci vengono da Gaza non aumentano le simpatie né la comprensione per i protagonisti. Incidono, anzi, sulle più consolidate amicizie e alleanze. Un infaticabile tessitore di mediazioni e di buona volontà come il segretario di Stato americano John Kerry perde la sua pazienza di aristocratico della diplomazia e si fa cogliere dai microfoni durante una frase non proprio riguardosissima verso Israele, e un portavoce israeliano risponde con un ancor meno felice gioco di parole che paragona gli sforzi insistenti di Kerry a un atto di terrorismo.
Il mondo ascolta, non sempre capisce, si impietosisce, si indigna.
Quella Striscia maledetta sull’orlo del deserto appare ai più, in queste ore, come l’epicentro di un terremoto di guerre che scuote metà del mondo. Guardiamo e piangiamo i bambini palestinesi falciati dal fuoco su una spiaggia; quasi non ci accorgiamo che, nelle stesse ore, in un paio di giorni in Siria sono morte 700 persone, 170 mila in tre anni da che il conflitto è in corso. E non sono solo quei due i campi di battaglia: è un’intera regione, una grande area della Terra che è teatro di una grande guerra. È lecito ma fuorviante ridurla a una guerra fra arabi ed ebrei in Palestina. Quella esiste, ma non è più la stessa. Il mondo attorno è cambiato. E non ha cominciato in Palestina.
Un esperto diplomatico americano, Richard Haass, lo ha definito una Guerra dei trent’anni del Medio Oriente, un conflitto razziale, nazionale, religioso, sociale che trasforma nelle sue convulsioni quella parte del mondo. Ci sono più guerre in una. Quella tra i sunniti e gli sciiti. Quella fra i sauditi e gli iraniani per la supremazia regionale. La guerra fredda fra sunniti che rivaleggiano per il primato (Arabia Saudita, Qatar e, più dietro le quinte, Turchia). E infine lo scontro, il più violento, fra i regimi arabi autoritari e i jihadisti islamisti.
In questo quadro intricato l’ennesima tragedia di Gaza è collaterale a un evento che ha il suo centro in Egitto: la guerra a morte fra il regime militare e i Fratelli musulmani, di cui Hamas è un’appendice provinciale. Questo sangue sgorga dai fiori della Primavera araba, l’abbattimento della dittatura marziale di Mubarak, che ha portato gli estremisti al potere e la successiva rivincita dei generali, le loro sanguinose vendette, con condanne a morte a centinaia e con la chiusura, decisa dal Cairo, di quasi tutti i tunnel che collegano Gaza all’Egitto, unico suo collegamento con il mondo. Una misura devastante per una delle società più povere della Terra, che gli economisti calcolano in almeno un quinto del misero reddito.
Hamas si è sentita costretta a reagire ma, non potendo affrontare l’Egitto, si è scagliata contro Israele. Sa che non potrà vincere né resistere a lungo: cerca il Grande gesto, il Sacrificio eroico che provochi un’ondata di indignazione e conquisti simpatie e appoggi alla sua causa. Israele ha reagito come ci si attendeva, soprattutto da parte di un governo guidato da Netanyahu. Il mondo dei dintorni si è diviso più o meno come nei calcoli. A cominciare dai «mediatori»: l’Egitto e l’Arabia Saudita, sotto sotto, sono più vicini a Israele. Invece la Turchia e il Qatar sono fiancheggiatori di Hamas. Segretamente, d’accordo, ma non sorprendentemente.
E l’America, Obama e Kerry, deplorano ma non hanno scelta. Sono i primi a conoscere il contesto, che un politologo conservatore dal calibro di David Brooks ha riassunto in una citazione da Hemingway, «per chi suona la campana», trasformandola appena in «nessuna guerra è un’isola». In prosa, c’è anche per gli americani il tempo di riflettere, di ricordarsi che uno dei sismi che hanno messo in moto questa frana è venuto da una decisione di Washington di undici anni fa: la distruzione del regime iracheno di Saddam Hussein, una brutale dittatura che garantiva un certo equilibrio regionale. Si chiamava Iraq, oggi non esiste più se non nel delirio dei discepoli di Bin Laden e nel Califfo che essi cercano di mettere sul trono a Baghdad. E anche a Damasco, perché il rovesciamento di Assad completerebbe la distruzione di quell’«ordine» e una conclusione di questa «guerra dei trent’anni» mediorientale forse ancora più rovinosa della guerra che infuria a Gaza e in tante altre plaghe.

di Alberto Pasolini Zanelli - 03 - 08 - 2014
fonte: http://www.formiche.net

CASO MARO' - l'India ci snobba e noi incassiamo






Gli indiani ci ignorano, ci snobbano e ci prendono in giro da due anni e mezzo




L’ennesimo rinvio dell’udienza del tribunale speciale indiano che deve giudicare Salvatore Girone e Massimiliano Latorre al 14 ottobre la dice lunga sulla strafottenza con cui Nuova Delhi continua a trattare l’Italia facendosi beffe di un Paese che attraverso tre governi non è mai riuscito (non ci ha neppure provato) a mettere l’India di fronte alle sue responsabilità. Prima fra tutte quella di detenere da ormai 900 giorni due militari italiani  in servizio senza un processo e senza neppure riuscire a formulare un capo d’accusa.
La motivazione e il lungo termine del rinvio dell’udienza suonano poi come un’ulteriore beffa: il giudice Bharat Parashar della Corte di New Delhi non si è presentato in aula perché “indisposto” e siamo certi che il rinvio al 14 ottobre dell’udienza gli consentirà di tornare in piena salute. Latorre e Girone non erano presenti in aula ma l’ennesimo rinvio non può che aggravare lo scoramento che da tempo caratterizza le comunicazioni pubbliche dei due militari sui social network.
Nel portale internet della Giustizia indiana si rileva che domani un tribunale composto dal presidente della Corte, R.M. Lodha, e dai giudici Kurian Joseph e Rohinton Fali Nariman tornerà sulla vicenda dei marò per esaminare le controdeduzioni di governo e della polizia anticrimine federale Nia che la Corte Suprema aveva escluso dal procedimento accogliendo il ricorso italiano che contestava l’imputazione dei due militari in base alla legge anti terrorismo Sua Act.
Di fatto la vicenda processuale è da mesi azzerata, Latorre e Girone restano però in India in regime di libertà provvisoria dietro cauzione e risiedono nell’ambasciata d’Italia. Il governo Renzi ha ufficialmente assunto l’iniziativa di ricorrere all’arbitrato internazionale ma l’India non sembra esserne particolarmente turbata considerato che finora non ha neppure risposto a ben tre richieste di confronto presentate da Roma.
Gli indiani ci ignorano, ci snobbano e ci prendono in giro da due anni e mezzo ma il premier Matteo Renzi  ha reagito all’ennesima beffa facendo gli auguri al nuovo governo indiano del nazionalista Narendra Modì che ha incentrato la sua campagna elettorale sui “favoritismi” concessi dal precedente governo (guidato dal Partito del Congresso) ai nostri fucilieri di Marina.
I marò "non soltanto non li dimentichiamo ma ho molta fiducia nel nuovo governo indiano, a cui faccio i migliori auguri" ha detto Renzi nella conferenza stampa a Palazzo Chigi sul piano Sblocca Italia, aggiungendo che "ho molta fiducia perché la questione sia risolta sulle basi del diritto internazionale. Ci sono le condizioni per fidarsi tra due Paesi che sono storicamente amici".
Nessun sorpresa a ben guardare: gli ultimi tre governi italiani, Monti, Letta e Renzi  (guarda caso tutti subiti e non eletti dai cittadini) non hanno mai alzato la voce con Delhi né hanno mai mutato concretamente atteggiamento mantenendo la posizione prona, evidentemente considerata indispensabile per evitare rappresaglie sull’interscambio commerciale con l’India.
Secondo Nicola Latorre, presidente della commissione Difesa del Senato “il rinvio al 14 ottobre è la conferma che le autorità indiane sono in difficoltà nel contrastare la nostra tesi secondo la quale l’unica giurisdizione possibile e competente sia quella italiana. Utilizziamo dunque questi giorni che ci separano dalla nuova udienza di ottobre per rafforzare l’iniziativa diplomatica del nostro Paese.”
L’impressione è che il senatore del PD cerchi di tenere a galla la credibilità del governo Renzi palesemente in difficoltà per la scarsa considerazione che riscuote in ambito internazionale, dall’Europa al subcontinente indiano.
Di fronte all’atteggiamento ostentatamente di spregio da parte dell’India è difficile comprendere perché, invece di inviare auguri, Palazzo Chigi e il Parlamento non assumano iniziative diplomatiche ed economiche forti nei confronti del  governo indiano: dal richiamo dell’ambasciatore al blocco dell’interscambio e dei beni degli indiani in Italia abbinati a iniziative in ambito ONU e UE per boicottare in tutti i campi gli indiani. Invece Renzi applica sanzioni a Mosca (che non ha mai leso o compromesso interessi e diritti di cittadini italiani) per la crisi ucraina ma fa gli auguri a Nuova Delhi che detiene illegalmente e senza neppure un capo d’accusa due nostri militari dal febbraio 2012.

di Gianandrea Gaiani - 03-08-2014
fonte: http://www.lanuovabq.it