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Non smettete mai di protestare; non smettete mai di dissentire, di porvi domande, di mettere in discussione l’autorità, i luoghi comuni, i dogmi. Non esiste la verità assoluta. Non smettete di pensare. Siate voci fuori dal coro. Un uomo che non dissente è un seme che non crescerà mai.

(Bertrand Russell)

09/06/18

La scomparsa del ruolo politico della Chiesa


La scomparsa del ruolo politico della ChiesaAll’indomani del voto del 4 marzo nessuno si è posto il problema. E nei quasi cento giorni di crisi in cui si è sviluppata la difficile gestazione del governo giallo-verde, la disattenzione per il problema è stata altrettanto forte. Ma oggi che la fase tumultuosa della nascita della nuova e inedita maggioranza si è conclusa, è interessante sollevare l’interrogativo fino ad ora dimenticato. Ma quanto ha pesato e pesa sulla politica italiana la Chiesa cattolica?
Non si tratta di una questione peregrina. Perché Vaticano e gerarchie ecclesiastiche hanno sempre rappresentato un fattore importante per le vicende politiche nazionali. Non c’è bisogno di ricordare come dalla nascita dello Stato unitario al secondo dopoguerra il peso della Chiesa sia stato sempre e comunque determinante per l’Italia. Dalla questione romana al Patto Gentiloni, dal Concordato alla Costituzione, dal partito unico dei cattolici al condizionamento continuo e costante dei due poli antagonisti della Seconda Repubblica, non c’è stata fase della politica nazionale che non sia stata segnata dalla presenza determinante del mondo cattolico.
E ora? Nel Patto di governo tra Lega e Movimento Cinque Stelle non esiste alcun paragrafo in cui venga citata in qualche modo la Chiesa e il suo mondo. Nelle illustrazioni al Senato e alla Camera del suo programma di governo il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha seguito la traccia del testo del Patto e ha ignorato totalmente il “fattore Chiesa”. E se ci si chiede se e quanto questo fattore possa aver influito sul risultato elettorale, sugli assetti politici che ne sono seguiti e su quanto possa pesare sul futuro della politica italiana, la risposta è automatica. Poco o nulla. Mai come in questo momento storico la Chiesa sembra essere separata dalle vicende politiche nazionali e, di fatto, del tutto ininfluente.
È un bene? È un male? Ognuno può dare la risposta che preferisce agli interrogativi. Ma è certo che quel punto di riferimento, positivo o negativo che fosse, esistito per secoli nella società italiana non c’è più.
È il frutto della globalizzazione della Chiesa di Papa Francesco? O, più semplicemente, della laicizzazione definitiva del nostro Paese? Nell’epoca delle semplificazioni via Twitter la questione sembra inutile e artificiosa. Ma con le semplificazioni si fa la cronaca, non la storia!

04/06/18

Il rischio del neo-nazarenismo




Il rischio del neo-nazarenismo“Ora lo Stato siamo noi”. L’affermazione di Luigi Di Maio di fronte alla folla grillina festante di piazza Bocca della Verità si presta alle più svariate ironie. Da quella sulla sindrome da Luigi XIV che avrebbe colto il capo politico del Movimento 5 Stelle a quella sulla infantile ignoranza di chi identifica lo Stato con il governo lasciando intendere che di questo passo se ne vedranno sicuramente delle belle. Ma un pizzico di verità di fronte alla Bocca della Verità è stato detto. E si compirebbe un errore marchiano se gli unici commenti al trionfalismo grillino per l’ingresso nella “stanza dei bottoni” fossero quelli degli sberleffi più o meno feroci. L’errore è non capire che il cambiamento è in atto. E che, prima ancora di essere politico, è generazionale e antropologico.
Questo errore è il pericolo più grande che grava sulle due opposizioni al governo giallo-verde del triumvirato Conte-Di Maio-Salvini. Quella delle diverse anime della sinistra e quella del mondo moderato dei partiti di centrodestra rimasti fuori dalla coalizione governativa.
L’irrisione, affiancata alla nostalgia per l’egemonia ormai persa, è il mastice più sicuro per tentare di mette insieme l’opposizione di sinistra. Ed è facile immaginare che a questa mistura di rabbie recenti e di ricordi passati le molteplici sinistre faranno riferimento per tentare di riorganizzarsi dopo la tragedia di una sconfitta epocale.
Ma se c’è una deriva che il centrodestra non salviniano deve evitare è proprio quella di mettersi a rimorchio di una sinistra recriminatoria e nostalgica. Nessun fronte repubblicano può nascere tra Forza Italia e Partito Democratico renziano (ipotesi cara ai neo-nazarenici) se è la sinistra orfana dell’egemonia a pretendere di guidare lo schieramento dell’“heri dicebamus”.
La destra e il centro moderato, liberale e popolare, non hanno nostalgie egemoniche da rimpiangere. Perché egemoniche non lo sono state neppure negli anni del massimo consenso berlusconiano. Hanno, in compenso, idee e valori da ribadire, da proporre, da difendere con la massima energia nella consapevolezza che la verità di Bocca della Verità è il processo di cambio generazionale verificatosi con l’avvento al governo dei due populismi.
Lo Stato non è diventato grillino ma sono i grillini che sono entrati nello Stato. E se destra e centro liberale e popolare vogliono rimanere fedeli ai loro valori debbono evitare di mettersi sulla sponda del fiume a recriminare attendendo il passaggio dei cadaveri dei loro avversari. Se lo facessero correrebbero il rischio di attendere per anni. Hanno, al contrario, il dovere di presidiare il corso del fiume impedendo che si possa piegare verso sbocchi di tipo venezuelano.
Fuori di metafora il centrodestra può dall’esterno pesare e condizionare fortemente la coalizione governativa. Sulla giustizia, sulla infrastrutture, sulla pressione fiscale, sull’immigrazione e su tutte le altre grandi questioni che pesano sul Paese. Non farlo guardando avanti piuttosto che indietro significherebbe lasciarsi fagocitare o dalla sinistra o dai presunti nuovi barbari!