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Non smettete mai di protestare; non smettete mai di dissentire, di porvi domande, di mettere in discussione l’autorità, i luoghi comuni, i dogmi. Non esiste la verità assoluta. Non smettete di pensare. Siate voci fuori dal coro. Un uomo che non dissente è un seme che non crescerà mai.

(Bertrand Russell)

06/02/16

Chi voleva morto Giulio Regeni?





Giulio Regeni, cittadino italiano e dottorando dell’Università di Cambridge, scomparso al Cairo dieci giorni fa, è stato massacrato. A chi giova questo brutale omicidio? Non alla credibilità del presidente egiziano al-Sisi, già sospettato dall’opinione pubblica occidentale di essere un sanguinario dittatore. Non favorisce lo sviluppo dei rapporti commerciali tra l’Egitto e l’Italia, messi prontamente in stand-by dopo la scoperta del fatto di sangue. Regeni era al Cairo per motivi di studio: stava completando una tesi in politica economica. Il suo interesse scientifico era focalizzato sull’esperienza di lotta dei movimenti sindacali indipendenti e sull’azione repressiva del regime di al-Sisi contro le libertà e i diritti dei lavoratori. Questo potrebbe essere stato un buon movente per le forze di sicurezza egiziane che avrebbero sequestrato e poi torturato il giovane italiano, fino a provocarne la morte.
Che la sua sparizione sia avvenuta nel giorno dell’anniversario della rivolta di piazza Tahrir, che portò nel 2011 alla caduta di Hosni Mubarak e alla salita al potere dei Fratelli Musulmani, è più di una coincidenza. Ma i militari egiziani sarebbero stati tanto stupidi da non valutare a dovere le negative ricadute geopolitiche ed economiche conseguenti al sequestro e all’uccisione di un giovane cittadino di uno Stato amico? Ci sarebbe poi la pista dell’integralismo islamico. Le menti fini dello Jihadismo hanno dimostrato di non farsi scrupoli a usare anche le vite di quegli occidentali che non nutrono pregiudizi nei confronti della loro causa. È capitato in Siria con le “allegre cooperanti” Greta Ramelli e Vanessa Marzullo, il cui riscatto è servito a finanziare la “buona causa” dei terroristi.

E se la vita di Giulio fosse servita per far saltare il banco delle relazioni tra l’Italia e l’Egitto? Anche questa è un’ipotesi. Altrimenti, chi lo voleva morto? C’è dell’altro. Giulio Regeni è giunto nel suo amato Egitto da studioso, ma si è lasciato rapire dal demone del giornalismo. Non gli bastava più osservare: voleva testimoniare la realtà. Così ha iniziato a scrivere per il quotidiano “Il Manifesto”. Con un’avvertenza: i suoi pezzi dovevano essere pubblicati con uno pseudonimo. Regeni, per quanto alle prime armi, era consapevole del pericolo che correva in una terra che ha scarsa dimestichezza con le regole dello Stato di diritto. Quindi, nessuno avrebbe potuto collegare il suo nome agli articoli che criticavano fortemente la condizione dei lavoratori egiziani. Con tutto il rispetto per i colleghi de “Il Manifesto” non è che si stia parlando del New York Times: il giornale della ultrasinistra italiana, sebbene dignitosissimo, ha una platea di lettori molto contenuta. È pensabile che al-Sisi e compagni siano stati talmente spaventati dalle inchieste del giornale italiano da ordinare alla propria intelligence di scoprire l’identità del testimone sul campo per neutralizzarlo con inaudita ferocia? Anche qui: possibile, ma poco realistico.

Chi, oggi, lega la morte del giovane alla sua attività di giornalista di denuncia, dovrebbe porsi un ben più inquietante interrogativo: chi ha tradito Giulio, svelandone l’identità? Toccherà alla squadra degli inquirenti italiani, che affiancheranno i colleghi egiziani nell’indagine, passare al setaccio la vita del dottorando per scoprire chi l’abbia potuto “vendere” e perché. Regeni potrebbe aver confidato la sua attività segreta alla persona sbagliata. La sua breve storia si è svolta in giro per il mondo, dagli Stati Uniti alla Gran Bretagna: Paesi nei quali prosperano aziende e gruppi di potere che non fanno certo i salti di gioia per il successo degli interessi economici italiani in Nord-Africa. Giulio Regeni potrebbe essere stato vittima di un gioco molto più grande di lui. Comunque sia, le ipotesi restano ipotesi: ciò che serve è che la verità salti fuori. Al più presto.

di Cristofaro Sola - 06 febbraio 2016
fonte: http://www.opinione.it

Cancellato il diritto di voto per 170.000 militari, Mattarella messo all’angolo.La Signora Galipari, Piddina (PD) e’ quella Parlamentare che ha fatto una bella carriera politica dopo la morte del marito che tutti ricordiamo.



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Cancellato il diritto di voto per 170.000 militari, Mattarella messo all’angolo


Con un emendamento della deputata piddina Rosa Villecco Calipari ieri il partito democratico ha cancellato il diritto di voto per 170.000 cittadini italiani. La durata del mandato elettivo dei Consigli della rappresentanza militare, giunto quasi al termine, sarà prorogato di un anno.

 

È stata l’ennesima giornata nera per i diritti ma per quelli dei militari è stata solo una delle tante che si susseguono senza soluzione di continuità ormai da anni, forse decenni, cioè da quando i primi movimenti democratici di cittadini in divisa fecero la loro prima silenziosa protesta a Roma in Piazza Venezia. Correva l’anno 1975. Ne sono passati di anni e le regole militari sono un po cambiate. Oggi i soldati hanno un loro sistema di rappresentanza e tutela degli interessi collettivi, ancorché fortemente limitato dalla rigida struttura gerarchica nella quale si colloca e dalla quale ha mutuato, purtroppo, solo i peggiori difetti: la rappresentanza militare, i cosiddetti Cocer. Organismi totalmente estranei al sistema più democratico delle organizzazioni sindacali.

 

Dal 2010 in poi, per ben tre volte, con la scusa di portare a termine le riforme per garantire maggiori diritti ai militari, il Parlamento, ha imposto delle proroghe alla naturale scadenza del mandato elettorale dei rappresentanti in carica, posticipandone la data secondo le personali esigenze dei soli delegati Cocer e dei vertici delle forze armate. I primi per un interesse squisitamente legato ai vantaggi derivanti dall’incarico (non esclusi quelli economici), i secondi dalla prospettiva di poter continuare il confronto sui tanti temi del settore con Organismi che – tranne qualche rarissima eccezione – sono notoriamente incapaci di pensare e agire in modo differente dalle idee del capo di turno. Il mandato dei rappresentanti dei militari – tra loro ve ne sono alcuni che possono vantare esperienze decennali che fanno sembrare dei dilettanti anche quei parlamentari che, passando da una casacca all’altra, riescono a bivaccare felicemente tra gli scranni vellutati – si sarebbe dovuto concludere, ai differenti livelli (Cobar Coir e Cocer) tra i mesi di aprile e luglio del 2016.

 

 Lo scorso 28 gennaio un Giudice del Consiglio di Stato nel decidere sul ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, presentato da un militare nel 2013, ha deciso secondo scienza e coscienza l’annullamento dell’elezione di alcuni di quei delegati, che ieri sicuramente hanno applaudito festosi e compatti all’approvazione dell’emendamento di proroga del loro mandato, perché frutto di un evidente raggiro ma siamo nell’era renziana e quindi tutto è possibile.Tutto è giustificato e giustificabile finanche – e non ci stupisce più di tanto – che un parlamentare arrivi a sostituirsi ad un giudice e ad erigersi a giudice egli stesso per difendere le richieste della casta.

 

Lo ha fatto ieri nella Sala del Mappamondo della Camera la deputata piddina Daniela Matilde Maria Gasparini, relatrice alle Commissioni riunite I e V della legge di conversione in legge del decreto cosiddetto milleproroghe (DL 210/2015) che, rispondendo ai concreti dubbi sulla legittimità dell’emendamento presentato dalla Calipari sollevati dai parlamentari del Movimento Cinque Stelle sulla proroga del mandato dei Cocer, ha cosi proclamato: «la sentenza del Consiglio di Stato, segnalata dai componenti del Movimento 5 Stelle, relativa all’abilitazione necessaria per poter far parte del COCER, non risulterebbe violata dall’approvazione del citato emendamento Villecco Calipari 4.67, in quanto, qualora si dovesse accertare che alcuni membri risultano privi della necessaria abilitazione, si verificherà la decadenza dei suddetti membri.».

 

La deputata si sostituisce al Giudice, l’arroganza ai diritti. Per l’effetto della scellerata scelta del partito democratico il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella (già giudice emerito della Corte costituzionale), nelle prossime settimane sarà chiamato – sicuramente con non poco imbarazzo – a promulgare una legge che priverà i militari dell’esercizio di un legittimo diritto garantito dalla Costituzione e dalle leggi – il diritto dovere di eleggere i propri rappresentanti – e, contemporaneamente, dovrà emanare il provvedimento con il quale dovrà adottare la decisione del ricorso straordinario conformemente al parere – immodificabile – del Consiglio di Stato.

 

L’autoproclamatosi partito “democratico” non sé fatto alcuno scrupolo nel calpestare il diritto di voto di 170.000 cittadini in divisa ma così facendo ha messo all’angolo anche il Presidente Mattarella, nella sua duplice veste di garante della Costituzione e Capo delle Forze armate.

di Luca Comellini - 05 febbraio 2016

 

04/02/16

Marò, il silenzio di Renzi e gli interessi economici di Finmeccanica in India


Marò, il silenzio di Renzi e gli interessi economici di Finmeccanica in India

Tace da due giorni Matteo Renzi. E tace tutto il governo italiano chiuso a riccio mentre l’India si interroga ora dopo ora sulla trattativa segretissima che sarebbe stata intavolata, nel settembre 2015, fra il premier italiano Matteo Renzi e il suo omologo indiano, Narendra Modi, durante un incontro cosiddetto “brush-by“, cioè non pianificato, all’Assemblea generale delle Nazioni Unite a New York. Oggetto dell’accordo che si andava perfezionando: il rilascio dei due marò, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone in cambio – sostiene il 54enne Christian Michel, faccendiere inglese e intermediario d’armi con la sua società Safary Company basata a Dubai – delle prove della corruzione nel 2013 della famiglia di Sonia Ghandi, avversaria politica di Narendra Modi.

Michel, inseguito da un mandato di cattura spiccato a luglio delle autorità indiane, è uno snodo fondamentale nella vendita di 12 elicotteri Agusta Westland (società controllata da Finmeccanica) all’India nel 2010 per 560 milioni di dollari.
Indagato dalla Procura di Busto Arsizio assieme a Bruno Spagnolini e Giuseppe Orsi, entrambi ex-Amministratori di AgustaWestland poi assolti, Michel, che il nuovo governo di Narendra Modi ritiene responsabile di aver gestito la maxi-mazzetta da 30 milioni di euro agli indiani per concludere l’affare e, per questo, lo vuole in manette, ha scritto una lettera, inviata il 23 dicembre scorso attraverso i suoi due avvocati, al Tribunale internazionale del diritto del mare di Amburgo e alla Corte permanente di arbitrato dell’Aia in cui si sta dibattendo fra l’Italia e l’India sulle accuse promosse da New Delhi contro i due fucilieri di Marina italiani.

Nella lettera Michel sostiene che Modi avrebbe chiesto a Renzi di aiutarlo a costruire un dossier che dimostrasse un legame fra lo stesso Michel e Sonia Ghandi proprio nell’ambito della vendita degli elicotteri Agusta Westland e cita, inoltre, la condanna il 3 giugno 2015, da parte dei giudici di Dubai, a un anno di carcere, di un manager di primissimo piano di Finmeccanica, l’avvocato Neil Alexander Cranidge “colpevole” di aver svelato ai giornali le informazioni sull’affaire elicotteri e sul ruolo di Michel con la sua società Safary Company dopo aver acquisito ufficialmente la documentazione, in qualità di consulente legale di Finmeccanica e, perdipiù, avendo firmato un Nda, un Not Disclosure Agrement che gli vietava espressamente di divulgare i contenuti delle carte. Invece la documentazione scottante, ottenuta legalmente da Cranidge, sarebbe poi finita in pasto all’opinione pubblica indiana attraverso i giornali locali scatenando un putiferio.
«Le accuse sono troppo ridicole per commentarle», taglia corto il portavoce del ministero degli esteri Vikas Swarup di fronte alle pressanti richieste di chiarimento dei media, primo fra tutti   The Telegraph che ha svelato la vicenda e che, inutilmente, attende da due giorni una risposta da parte di Matteo Renzi al quale ha inviato una mail chiedendo se sia vero quanto raccontato da Christian Michel. Ma fino a tarda notte, fanno sapere dal The Telegraph, nessuno ha risposto da palazzo Chigi.
A peggiorare il quadro c’è l’ultimo passo fatto dall’India sulla questione dei due Marò. In barba all’ordine di sospensione del processo pronunciato dal Tribunale internazionale del diritto del mare di Amburgo che ha intimato a New Dehli di congelare la vicenda in attesa di quanto sarà deciso nell’arbitrato, la Corte Suprema indiana ha fissato una nuova udienza, il 13 aprile prossimo. Che sia un segnale a Renzi per mettere mano al dossier chiesto da Narendra Modi?

giovedì 4 febbraio 2016  
fonte: http://www.secoloditalia.it

Sulla Turchia Renzi bara clamorosamente



 
 
 
Ma che nazionalista è il premier Matteo Renzi quando, a proposito della polemica nata con Bruxelles sugli aiuti alla Turchia, dice cose del tipo “noi siamo l’Italia, non accetto provocazioni, il nostro mestiere è salvare le vite. Noi continueremo a essere uomini, nonostante i professionisti della polemica provino a rilanciare ancora da Bruxelles con una distinzione che nessuna persona può cogliere tra vite da salvare”. Verrebbe da alzarsi in piedi e cantare l’Inno di Mameli se non fosse che quelli del Presidente del Consiglio sono gli ultimi disperati espedienti retorici per nascondere il profondo rosso in cui si trova il bilancio italiano, scassato a colpi di mancette elettorali elargite con l’utilizzo della spesa pubblica mascherata sotto lo pseudonimo di flessibilità.
A Renzi non frega nulla dei poveri migranti, della Turchia, della grandeur italica e della burocrazia europea che frustra i nostri desideri di sviluppo. Renzi sta banalmente mercanteggiando uno sforamento di due o tre miliardi facendo il classico gioco delle tre carte: prima ha finto di non sapere che i contributi dei singoli Stati destinati all’emergenza immigrazione in Turchia fossero fuori dal Patto di Stabilità e poi l’ha buttata in vacca chiedendo in maniera molto prosaica che anche i due/tre miliardi che l’Italia spende per accogliere i rifugiati vadano in deroga (Alfano in passato, mentendo, parlava di cifre molto più basse).
Juncker, che sarà pure un euroburocrate ma non uno scemo, ha capito subito il giochetto al rialzo ed ha avuto vita facile nello sbugiardare Renzi. Gli è bastato ricordare che l’Italia era a conoscenza da mesi del fatto che, mentre per i contributi elargiti dall’Ue alla Turchia si conosce l’esatto ammontare, per l’Italia le clausole di flessibilità andranno valutate in primavera sulla base di una rendicontazione delle spese effettivamente sostenute per l’accoglienza. Il socialista Moscovici ha rincarato la dose ricordando al Premier italiano che “naturalmente la flessibilità esiste in Europa e l’Italia beneficia copiosamente di questa flessibilità”.
Tradotto, ciò significa che Renzi è stato clamorosamente tanato, beccato come un ragazzino con le dita nel deficit e con i conticini truccati sulla legge di stabilità e sta tentando manovre diversive per non essere mandato in punizione dalla troika. Tra pacchetti sicurezza, indennità culturali e continue richieste di deroghe rispetto al patto di stabilità, l’impressione degli euro-guardiani è che si tratti di diversivi che nascondono misure di natura domestica (elettorale?), calderoni dentro cui inguattare sgravi fiscali e spese in deficit - che nulla c’entrano con l’accoglienza dei rifugiati - finalizzate ad alimentare la domanda interna. Renzi sta barando ed è per questo che Juncker ha preteso di vedere in primavera le pezze d’appoggio per capire se la flessibilità chiesta dall’Italia sia documentabile e riconducibile al problema immigrazione o sia solo una furbata per continuare ad accumulare debito pubblico e campicchiare sulle spalle delle generazioni future.
Siamo diventati improvvisamente dei paladini del rigore? Chiaramente no ed anzi si può discutere sull’assurdità di certi parametri. Ma le mandrakate patriottiche per fottere i crucchi Renzi le racconti pure agli amichetti di Whatsapp, i quali gli manderanno le faccine sorridenti in segno di approvazione. I nodi, fuori da Whatsapp, invece vengono al pettine e la storia del “governo - Luis Miguel”, quello dell’entusiastica canzone “Noi, ragazzi di oggi”, non impressiona più. Le maggiori spese si finanziano con la spending review, quella che Renzi ha smesso di citare nei suoi logorroici monologhi e che farebbe bene ad attuare se vuole meritarsi stima e credibilità. Altro che mercanteggiare continuamente sconticini.

di Vito Massimano - 04 febbraio 2016
fonte: http://www.opinione.it

Isis, parla il ministro Pinotti: "L'intervento dell'Italia in Libia non è imminente"

Isis, parla il ministro Pinotti: "L'intervento dell'Italia in Libia non è imminente"


Il ministro della Difesa fa chiarezza sulla road map della coalizione anti Isis. Intanto, come riporta la Bbc, i capi jihadisti si stanno trasferendo nel Paese nordafricano






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03/02/16

CASO MARO' - Una strana lettera sui marinai italiani accusati in India e il governo italiano


Un ex consulente di Finmeccanica sostiene che il governo indiano abbia chiesto a quello italiano prove su un caso di corruzione internazionale in cambio di una mano sul caso di Latorre e Girone

India
Narendra Modi (ROBERTO SCHMIDT/AFP/Getty Images)
Christian Michel, ex consulente inglese di AgustaWestland, una società legata a Finmeccanica, ha scritto una lettera pubblica accusando il governo indiano di aver offerto all’Italia la libertà di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone – i due militari italiani accusati di avere ucciso due pescatori all’interno delle acque territoriali indiane – in cambio di informazioni che collegassero Sonia Gandhi (presidente del principale partito di opposizione al primo ministro Narendra Modi) e la sua famiglia a una truffa legata alla vendita di elicotteri. La lettera è stata inviata al Tribunale internazionale del diritto del mare (un organo indipendente delle Nazioni Unite, con sede ad Amburgo) e anche alla Corte permanente di arbitrato dell’Aja (CPA, un’organizzazione internazionale per facilitare la risoluzione delle controversie fra stati).

AgustaWestland è una multinazionale italo-britannica che realizza e costruisce elicotteri: fino a poco tempo fa era una società controllata direttamente da Finmeccanica, che ne possedeva l’intera proprietà, dal 1 gennaio 2016 le sue attività sono confluite nel settore Elicotteri di Finmeccanica. La vicenda a cui fa riferimento la lettera riguarda presunte tangenti per circa 50 milioni di euro che sarebbero state pagate nel 2010, quando Giuseppe Orsi era amministratore delegato di AgustaWestland, per aggiudicarsi la vendita di 12 elicotteri modello AW101 al governo indiano. Per favorire il gruppo italiano, persone collegate allo stato maggiore militare indiano fecero modificare il bando in alcuni aspetti tecnici. La gara si concluse l’8 febbraio 2010 con la vittoria di Finmeccanica. I primi modelli furono consegnati nel dicembre del 2012. Il valore complessivo dell’appalto era circa 550 milioni di euro. Nel 2013 alcuni dirigenti di Finmeccanica vennero accusati in Italia di aver corrotto dei funzionari indiani attraverso Michel e un altro intermediario, Ralph Haschkee. Giuseppe Orsi venne arrestato e anche le autorità dell’India avviarono un’inchiesta sull’acquisto degli elicotteri, che è ancora in corso e che coinvolge i due intermediari, compreso Michel, che attualmente si trova a Dubai.

Christian Michel ha detto al Calcutta Telegraph di essere consapevole «che si tratta di gravi accuse». La lettera è del 23 dicembre 2015 e dice che il primo ministro Narendra Modi aveva fatto l’offerta durante un incontro con il presidente del Consiglio italiano Matteo Renzi a New York nel settembre 2015, quando entrambi avevano partecipato all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Michel ha parlato di un “brush-by”, cioè di un incontro non pianificato tra i due leader, e ha anche detto di essere disposto a rivelare le sue fonti in maniera riservata al tribunale. Nella lettera si dice: «Il primo ministro indiano ha proposto al primo ministro italiano che in cambio di qualche prova che il consigliere chiave di Finmeccanica/AgustaWestland (questo è un riferimento a me stesso) avesse qualche relazione con qualsiasi membro della famiglia Gandhi, lo stesso primo ministro indiano avrebbe fornito un aiuto per risolvere il caso dei due marinai italiani».
Il portavoce del ministero degli Affari Esteri indiano, Vikas Swarup, ha detto che «le accuse sono troppo ridicole per essere commentate». Né l’India né l’Italia hanno mai ufficialmente riconosciuto l’incontro tra Modi e Renzi a New York nel 2015, ma Swarup rispondendo a una precisa domanda non ha negato l’affermazione di Michel sul “brush-by” tra Modi e Renzi, citando la presenza alle Nazioni Unite di «tanti leader mondiali» e facendo dunque intendere che una breve conversazione tra i due poteva essere stata possibile. Quello che si sa è che i due primi ministri hanno parlato almeno una volta al telefono, l’11 agosto del 2014, per cercare di risolvere la questione dei due militari italiani.

2 febbraio 2016 - http://www.ilpost.it

02/02/16

Immigrazione. Per distruggere gli Stati nazionali







Storicamente, l’unica struttura statale – specie in àmbito europeo –  che è sopravvissuta nei secoli ed è uscita vincitrice dai conflitti con altre strutture, è la “Nazione”: codificata con la Rivoluzione Francese e poi soprattutto con il “Discorso alla Nazione Tedesca” di Fichte,  ma in realtà preesistente all’una e all’altro. La Nazione ha scompaginato gli Imperi ma anche una più ampia struttura sovranazionale, cioè la Chiesa, intesa non come fattore religioso, ma come fattore politico, come potere temporale dei Papi o, meglio, come superpotere che imponeva il proprio volere a regni ed imperi.
Orbene, dovrebbe ormai essere chiaro a tutti – a questo punto della crisi planetaria degli ultimi anni – che l’obiettivo finale della guerra di conquista scatenata dai “poteri forti” sono proprio le Nazioni, anzi il concetto stesso di “Stato Nazionale”. La guerra (e non sembri eccessivo il termine) è stata ed è condotta con tutti i mezzi – leciti e illeciti – e in tutti gli àmbiti: da quello finanziario, attraverso la globalizzazione economica; a quello sociale, con la disoccupazione generalizzata e con la macelleria sociale; a quello squisitamente politico, con l’impulso dato ad una migrazione di massa di cui oggi avvertiamo soltanto i primi segnali, anticipatori di una vera e propria valanga con la quale si vuole sommergere (e snaturare) gli Stati europei.
Ed è proprio l’assalto migratorio che, in questa fase, viene privilegiato come strumento dell’aggressione agli Stati Nazionali. Si punta tutto sul “buonismo”, una sorta di nuova religione laica che accomuna le utopie di una Sinistra priva di idee e le contorsioni dottrinarie di una Chiesa Cattolica che sembra aver smarrito le certezze del passato. L’una e l’altra, mosse dalle migliori intenzioni. L’una e l’altra, però, divenute oggettivamente strumento di un disegno perverso, contrario agli interessi sia dei ceti popolari, sia della stessa identità cristiana dei popoli europei.
Si lanciano messaggi sbagliati che, debitamente amplificati dagli strumenti di comunicazione, si cerca di far diventare patrimonio inconsapevole dell’opinione pubblica europea. Le analisi politiche procedono come se le Nazioni non esistessero, come se i confini nazionali non avessero una funzione, come se ogni essere vivente non appartenesse per nascita ad una Nazione (dal latino natio, cioè appunto nascita) ma avesse viceversa il diritto di scegliersi la patria per lui più conveniente, anche calpestando i diritti degli abitanti di quella patria. Anzi, se qualche governo compie il proprio dovere e difende la frontiera nazionale (per esempio, costruendo una barriera a protezione dei confini), quel governo viene condannato senza appello dagli organi d’informazione “europei”, che lo qualificano come razzista e xenofobo. L’ultima vittima di questo conformismo becero è l’Ungheria, per la decisione di proteggere la sua frontiera con la Serbia; ma è già toccato alla Spagna, alla Grecia, alla Svizzera (ricordate il referendum anti-immigrazione?), e la stessa Francia viene in questi giorni criticata per il blocco alla frontiera di Ventimiglia.
Quanto all’Italia, la sua classe dirigente è in perfetta sintonia con tutti i padrini dell’assalto migratorio: con i “mercati”, in primo luogo; ma anche con il Vaticano, con una Sinistra che va tenuta buona con un osso (quello appunto dell’immigrazione) e – ultimo non ultimo – con la Grande Alleata che ha voluto l’eliminazione di Geddafi, forse anche per togliere un ostacolo oggettivo allo scatenamento dell’assalto migratorio contro le coste italiane; la stessa Grande Alleata – guarda caso – che non muove un dito per impedire l’avanzata dell’ISIS in Libia.
Quello dell’immigrazione – tra i tanti – è il più clamoroso dei fallimenti del Pifferaio dell’Arno, che è riuscito a prendere pesci in faccia da tutti con il sorriso sulle labbra, ad incassare le sconfitte più clamorose scrivendo su Twitter che l’Italia era riuscita ad ottenere non so quali eccezionali risultati in sede europea. La realtà è sotto gli occhi di tutti. Adesso gli immigrati non li portano in Italia soltanto le nostre navi; ma anche le navi degli altri Paesi europei (Inghilterra, Germania, Spagna, eccetera), che li prelevano appena fuori dalle acque territoriali libiche e li vengono sùbito a depositare nei nostri porti. Bel risultato davvero!
Ma il Vispo Tereso non fa una piega, anzi ha la faccia tosta di insolentire chi stigmatizza il suo operato. Salvini, in particolare, è accusato di “speculare sulla paura”. Come se gli italiani non avessero motivo di aver paura! «La priorità – ripete come un disco rotto – è salvare vite umane.» Altro messaggio moralmente apprezzabile, ma giuridicamente infondato. La priorità per qualunque Stato è difendere i propri cittadini, la vita dei propri cittadini, la sicurezza dei propri cittadini, gli interessi dei propri cittadini. Dopo di che, difendere anche vita, sicurezza, interessi degli altri. Ma in seconda istanza, e comunque in termini realistici, rapportati alle proprie capacità, compatibilmente con le proprie disponibilità (economiche, occupazionali, abitative, eccetera).
Non esiste, non può esistere una solidarietà illimitata. Neanche il Paese più ricco del mondo può permettersi di non chiudere la porta in faccia a nessuno. Eppure, il buonismo di Stato (e di parrocchia) ci dice che abbiamo l’obbligo (l’obbligo, non la facoltà) di accogliere tutti coloro che vogliono venire da noi. E pazienza se accanto ai cristiani profughi dall’ISIS ci sia qualche (?) musulmano che vede l’Europa come una terra di conquista per l’Islam; pazienza se, accanto a chi fugge dalle persecuzioni, ci sia chi soltanto voglia “una vita migliore”; pazienza se, accanto a chi cerca un lavoro (che non c’è), ci siano dei delinquenti, anche pericolosissimi. Poco importa, le Nazioni, i loro confini, le loro regole sono piccoli ostacoli che la storia ci ha gettato fra i piedi, per farci inciampare sulla strada imbecille di un mondo senza frontiere e senza anima, pronto per essere guidato da quel “governo unico mondiale” che è il sogno proibito della speculazione finanziaria. Con gli applausi di una Sinistra succube, e con la benedizione di una Chiesa miope.

26 giugno 2015
fonte: http://www.rinascita.net

MARO' IN INDIA - IL SEQUESTRO DEI FUCILIERI DI MARINA LATORRE E GIRONE - COMMENTO DELLA SETTIMANA (n° 206 DI INGIUSTA DETENZIONE)




2 Febbraio 2016
Stefano Tronconi 

Lo spunto per il commento di questa settimana me lo offrono alcune delle parole pronunciate da Giancarlo Magalli nel corso della puntata de 'I Fatti Vostri' del 29 Gennaio scorso, occasione in cui il conduttore televisivo ha intervistato Vania Girone, la moglie di Salvatore.
Non mi interessa qui giudicare il tenore dell'intera intervista nella quale gli sforzi di Magalli sono purtroppo parsi quasi esclusivamente tesi a salvaguardare l'immagine di quelle istituzioni italiane che sono state all'origine di una delle più grandi 'debacle' di politica estera della storia repubblicana. Ad una televisione pubblica il cui intento è in primo luogo quello di manipolare, anziché quello di informare, in Italia siamo purtroppo tutti abituati da tempo.
Le parole che invece voglio commentare sono quelle con cui Magalli ha ritenuto di dover corregere un'affermazione di Vania Girone secondo cui i due Fucilieri di Marina furono fatti rientrare in India in base a degli 'errori di valutazione'.
Nonostante le parole di Vania siano state quanto di più moderato si potesse usare per descrivere quanto avvenuto in quelle circostanze, l'ineffabile Magalli si è sentito in dovere di correggere immediatamente l'espressione usata ribadendo la solita 'bufala di regime' che ci ripetono da anni, ovvero che 'C'era stato un impegno a farli rientrare ….... Tutti abbiamo apprezzato il rispetto degli impegni presi …...... Dimostrando che quando gli italiani danno una parola la rispettano'.
In realtà è bene che anche in Italia si sappia che il mondo intero, e l'India in particolare, hanno letto in modo molto diverso quanto successo in quel Marzo 2013.
L'unico paragone possibile è con quanto avvenuto l'8 settembre 1943 con la fuga dei vertici militari e politici dalle loro responsabilità, l'abbandono dei soldati italiani al loro destino ed il marchio di incapacità ed inaffidabilità impresso sulla reputazione internazionale dell'Italia.
La decisione italiana del Marzo 2013 di trattenere in Italia al termine della licenza elettorale Salvatore Girone e Massimiliano Latorre, venendo meno all'impegno preso di fronte alla Corte Suprema dall'ambasciatore italiano, fu una decisione di inaudita gravità.
Da parte italiana veniva infatti messo in discussione il riconoscimento ed il rispetto di una delle più alte istituzioni indiane, riconoscimento e rispetto che sono alla base di ogni relazione tra Stati sovrani in tempo di pace.
L'Italia avrebbe quindi dovuto mettere in conto una pesantissima ritorsione indiana. Avrebbe tuttavia potuto e dovuto far valere in quell'occasione molte buone ragioni per giustificare un'azione così ostile e con ben pochi precedenti, ragioni tutte riconducibili al fatto che in varie occasioni fosse stata l'India stessa nei mesi precedenti a venir meno al riconoscimento ed al rispetto dovuto alle istituzioni italiane.
Invece nulla di tutto ciò avvenne. Le istituzioni italiane semplicemente se la fecero sotto, rinnegarono in pochi giorni le gravissime decisioni prese e fecero ricadere tutte le conseguenze della loro inadeguatezza e della loro vigliaccheria sulle spalle di Girone e Latorre che furono rispediti in India in condizioni ben peggiori di quelle precedenti.
Altro che, come prova Magalli a dar da bere ai telespettatori italiani, 'apprezzamento per gli impegni presi e dimostrazione che l'Italia rispetta la parola data'.
Agli occhi del mondo quanto avvenuto nel Marzo 2013 ha dimostrato una volta di più che l'Italia rimane un Paese più che mai inaffidabile e dedito ai sotterfugi nei confronti del quale funzionano solo le maniere forti.
Agli occhi dell'India a quel punto Salvatore Girone e Massimiliano Latorre non furono più tanto i presunti responsabili della morte di due pescatori, bensì il capro espiatorio su cui far ricadere la colpa di appartenere ad un Paese che aveva usato l'ardire di insultare una delle principali istituzioni dell'India, con l'aggravante di non avere il coraggio di andare fino in fondo.
Ed è questa la 'colpa' che purtroppo Salvatore Girone sta ancora pagando sulla propria pelle.
I fucilieri di marina Salvatore Girone e Massimiliano Latorre sono del tutto innocenti e non è giusto che paghino per colpe non loro.
Le istituzioni italiane innocenti in questa vicenda invece non lo sono mai state, malgrado il fumo che provano a vendere agli italiani i vari Magalli e soci per compiacere i padroni politici della RAI.

01/02/16

Il ddl Cirinnà non va limato, va cancellato




«Così com’è scritta equipara le unioni omosessuali alla famiglia». Il giurista Mauro Ronco risponde a domande e provocazioni per capire tutto sulle unioni civili.

 



All’indomani delle manifestazioni che si sono svolte in cento piazze d’Italia a sostegno del disegno di legge Cirinnà sulle unioni civili, Laura Boldrini ha dichiarato che «le piazze ci hanno detto che il nostro paese si aspetta una legge che è l’unico a non avere in Europa». A parte la falsità di questa affermazione, la presidente della Camera ha voluto dare il suo assenso anche sulla discussa questione della stepchild adoption. Tempi ha intervistato Mauro Ronco, ordinario di diritto penale dell’Università di Padova e presidente del Centro studi Livatino.

Professore, nell’appello “Unioni gay: i bambini, innanzitutto”, lanciato da articolo29.it e promosso da Magistratura democratica, oltre quattrocento giuristi hanno sottolineato che «i giudici di Strasburgo con la sentenza del 21 luglio 2015 hanno condannato l’Italia per inottemperanza all’obbligo positivo di dare attuazione ai diritti fondamentali alla vita privata e alla vita familiare delle coppie dello stesso sesso. Come sottolineato dalla Corte costituzionale, il Parlamento italiano è chiamato oggi ad approvare “con la massima sollecitudine” una “disciplina di carattere generale” che tuteli le unioni omosessuali». Il Parlamento sta rispondendo a questo richiamo con il disegno di legge Cirinnà. Quindi una legge dobbiamo averla?
È vero, Strasburgo così come la Corte costituzionale hanno chiesto al Parlamento italiano di disciplinare le unioni omosessuali. Ma, sottolineiamolo subito: lascia ai nostri politici la libertà di trovare la regolamentazione adeguata. Il legislatore italiano ha un’ampia gamma di possibilità per disciplinare queste unioni che, giustamente, chiedono di essere tutelate. Dalla sentenza del luglio 2015 non si può dedurre una modalità obbligatoria, quindi non è detto che il ddl Cirinnà sia la scelta corretta. Anzi: i parlamentari devono tener conto di una sentenza, sempre della Corte costituzionale, ma che viene prima, la numero 138 del 2010. È fondamentale: la Corte ha stabilito che «le unioni omosessuali non possono essere ritenute omogenee al matrimonio», richiamandosi all’articolo 29 della nostra Costituzione: «La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Il matrimonio è ordinato sull’uguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare». Di conseguenza il ddl Cirinnà, così com’è scritto, non rispetta i paletti che la Corte costituzionale ci ha ricordato.  

E quindi come si possono salvaguardare i diritti delle persone omosessuali?
Ad esempio garantendo i diritti individuali. Tutelando le persone che hanno una relazione di tipo sociale stabile, ma che non può essere equiparata a una famiglia. Sono due cose completamente diverse, mentre il ddl in discussione regolamenta questi rapporti come se fossero una famiglia, e così vìola la Costituzione. E ricordiamolo: non tutto quello che dice Strasburgo è vincolante.

La legge Sacconi e di altri senatori di Area Popolare (Ncd-Udc) che presenta un Testo unico sui diritti dei conviventi va in questa direzione?
Le coppie omosessuali sono relazioni personali che meritano di essere apprezzate nei loro profili individuali; rapporti affettivi, umani, che vanno protetti. L’ordinamento italiano già prevede diritti per le persone impegnate in queste convivenze. Il Testo unico cerca di fare ordine e renderli più organici per quanto riguarda sanità, carceri, locazione e risarcimenti. E se esistono altri impedimenti dovranno essere eliminati, l’affettività va rispettata.

Secondo Repubblica i tecnici del Quirinale hanno consigliato di tenere in considerazione la sentenza della Corte costituzionale e Luigi Zanda, capogruppo del Partito democratico, ha fatto sapere che sono al lavoro per cercare di ridurre i rimandi agli articoli del codice civile sul matrimonio. È un tentativo di limare qualcosa nel ddl in discussione in modo da farlo approvare?
Secondo il mio parere la legge non va limata, dovrebbe essere cancellata. Se fossi in loro penserei a un cambiamento radicale delle normative relative alle unioni civili. Invece per non fare riferimenti agli articoli del codice civile destinati alla famiglia mi sembra che vogliano fare dei cambiamenti nominalistici.

Ma la senatrice Monica Cirinnà è convinta che la legge non vada cambiata perché ha già accolto l’indicazione della Consulta del 2010. Infatti le unioni civili sono chiamate fin da subito “formazioni sociali specifiche”.
Ecco l’esempio di un cambio nominalistico. Le ripeto, la legge si può leggere solo in un modo: così com’è scritta equipara le unioni omosessuali alla famiglia. Non esiste altro modo di leggerla, a meno che non si voglia raccontare alle gente qualcosa di ingannevole. La Cirinnà non vorrebbe cambiare nulla del suo testo perché è persona coerente alla sua idea. Che è quella di equiparare le unioni civili alla famiglia. Da quello che emerge, però, ho l’impressione che qualcuno all’interno del Pd stia spingendo per fare qualche passo indietro, almeno dal punto di vista nominalistico, per evitare censure di carattere costituzionale. Hanno capito che devono essere un po’ meno “sfacciati” e quindi cercano di mettere qualche pezza.

È sicuro che una legge si può leggere solo in un modo? Sul Messaggero il giudice Cesare Mirabelli afferma che «il ddl definisce le unioni civili “specifica formazione sociale”, ma questo non basta e per rispettare il dettato costituzionale ci vorrebbe una disciplina adeguata». Nello stesso articolo, un altro giudice, Enzo Cheli è convinto che «non c’è alcun rischio di incostituzionalità», perché «queste materie sono soggette all’evoluzione dei costumi e della mentalità». Vede, ognuno la pensa come vuole.
Non credo. C’è una differenza tra le due affermazioni. Mirabelli legge la sentenza del 2010 e interpreta la Costituzione secondo il suo significato giuridico. Queste unioni non sono una famiglia, sono unioni che hanno caratteristiche diverse. Nel ddl si parla di “formazione sociale specifica” per nascondere la realtà giuridica. Ma questo tentativo non basta. Il giudizio di Cheli, invece, mi sembra molto soggettivo: cosa vuol dire che i tempi sono cambiati? In che modo? Chi lo dice? Il 20 giugno scorso a Roma c’erano decine di migliaia di persone che hanno testimoniato che i tempi, per loro, non sono cambiati. Gente comune arrivata in piazza San Giovanni per difendere la famiglia naturale, quella descritta nella nostra Costituzione. Quindi? Bisogna dimostrarlo che i tempi sono cambiati, non basta dirlo. Come si può leggere e interpretare la Costituzione in base al periodo storico? Allora, mettiamola così, se il Parlamento ha la forza di dimostrare che i tempi sono cambiati, abbia il coraggio di modificare la Costituzione perché la ritiene inadeguata al contesto sociale, storico e culturale di oggi. Ripeto, sotto un profilo giuridico, la Costituzione dice una cosa precisa sulla famiglia. Violarla sarebbe come fare un colpo di stato.

Crede che arriveranno a tanto?
La coerenza imporrebbe che prima di ogni altra legge si sforzassero di cambiare la Costituzione. Per farlo devono avere il coraggio di dire che la famiglia non è un’istituzione naturale ma convenzionale, stipulata attraverso l’accordo tra due persone. Smettano di dire che la nostra è la Costituzione più bella del mondo. Di solito lo sentiamo dire da loro, ma ora lo ricordo io: il nostro testo costituzionale è stato scritto con l’accordo di cattolici, liberali e comunisti. Chissà perché ora ci si dimentica di questa cosa.

Luciano Fontana in un editoriale sul Corriere della Sera ha scritto che la politica non dovrebbe affrontare leggi che riguardano i diritti delle coppie, eterosessuali o no, dei bambini, delle famiglie, delle persone. «Le soluzioni proposte sono destinate a essere cancellate alla prima prova in un tribunale».
Non commento, lascio dire queste cose ai giornalisti… Le interpretazioni del giudice devono essere sempre conformi alla Costituzione.

Perché due persone omosessuali non possono adottare un figlio? Basterebbe cambiare la legge 184/1983 che disciplina l’adozione e l’affidamento.
Ci sono tante persone buone, competenti, amorevoli che possono prendersi cura dei bambini. Non è questo il problema. L’educazione si esercita in via ordinaria attraverso la presenza di una duplice figura: quella maschile e quella femminile. La legge deve regolare situazioni di carattere generale, che valgono per l’intera società.

Ma questa è la posizione di un cattolico o di un giurista?
È la posizione di chi guarda la realtà, la storia, la cultura. Da sempre i bambini sono stati cresciuti ed educati in un rapporto tra uomo e donna. Alcuni aspetti della formazione del bimbo hanno bisogno di determinate caratteristiche femminili e altri di caratteristiche maschili. È stato Sigmund Freud, autore non propriamente cattolico, a mettere in evidenza gli aspetti fondamentali di un uomo e di una donna che sono trasferiti al bambino.

Ma, se i bambini crescono bene in una famiglia dove è venuto a mancare il padre o la madre, perché non possono crescere bene in una famiglia omosessuale? Non è un modo di discriminare queste unioni?
Il filosofo Giambattista Vico, morto nel 1744, diceva che le società si reggono su tre grandi istituti: i matrimoni, le famiglie, le sepolture. Se noi abbandoniamo anche solo uno di questi istituti le società crollano immediatamente. La nostra storia millenaria si è sempre basata su questi tre istituti. Vogliamo cambiarla adesso?

febbraio 1, 2016 Daniele Guarneri
fonte: http://www.tempi.it