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Non smettete mai di protestare; non smettete mai di dissentire, di porvi domande, di mettere in discussione l’autorità, i luoghi comuni, i dogmi. Non esiste la verità assoluta. Non smettete di pensare. Siate voci fuori dal coro. Un uomo che non dissente è un seme che non crescerà mai.

(Bertrand Russell)

13/12/14

Mafia Capitale, «È la teoria del mondo di mezzo compà…»

 

La Banda della Magliana non è mai morta. Non vedere né toccare gli intoccabili del sistema apicale di cui il cecato è servo e signore, significa essere più orbi di lui, e complici


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«È la teoria del mondo di mezzo compà… Ci stanno i come se dice, i vivi sopra e i morti sotto e noi stamo in mezzo… Un mondo in mezzo dove tutti s’incontrano e tu dici come cazzo è possibile». Quando Massimo Carminati pronuncia queste parole per spiegare a Riccardo Brugia chi sono e che portano – ma soprattutto che vogliono – l’ex Nar a capo (?) della cupola romana è arcisicuro che nessuno oltre al compare di cosca sia in ascolto. Per sua sfortuna, invece, e nonostante le buone entrature ovunque, qualche cimicione ben piazzato qua e là  (i fregni, per stare al colorito linguaggio della banda) ancora resiste alle soffiate e ai repulisti. Forse tanto non basterà a far sì che la sua teoria, il suo sovramondo, sia inserito dallo Zingarelli tra i neologismi dell’anno, certo è però che la vicenda del cupolone rossonero messo in piedi da Carminati & soci merita una riflessione anche sotto il profilo delle scienze politiche e delle comunicazioni, passando per la semantica e la sociologia, lasciando la cronaca ai tanti commentatori.
Carminati & co. sono la filiazione diretta dell’intreccio di malaffare, mafia, eversione nera, servizi segreti, curia, massoneria e addentellati politici di alto profilo che ufficialmente dalla metà degli anni ’70 ai primi anni ’90 ha dominato la capitale – e non solo – rendendola assai più infetta di quanto denunciasse una nota inchiesta degli anni precedenti: quello passato alla storia come Banda della Magliana, nota ai più come un prodotto di malafiction. Il non aver scoperchiato quel verminajo, se non nella sua parte terminale, ha fatto sì che quell’intreccio criminale non sia mai venuto meno, come non si stancano di ripetere a ondate mediatiche successive gli scampoli dei pentiti, vedi per tutti Antonio Mancini detto l’accattone. Ma Carminati & co. sono assai di più. Se quella banda capace di dettare legge a tutt’oggi in tutte le batterie di malavitosi, ben oltre i palazzi e le periferie romane, mettere del suo in tutti i maggiori guasti del Belpaese, dall’affaire Pasolini al caso Moro, dall’omicidio Pecorelli alla strage di Bologna, dal rapimento Orlandi all’attentato a papa Wojtyla, aveva una sua chiara pars politica di riferimento e sbudellava senza pensarci su chiunque si frapponesse al suo cammino, oggi, in tempi di pensiero spento e democrazia liquida, i suoi figliocci sono oltre. Oltre gli schemi e le logiche della contrapposizione ideologica, ben oltre la democrazia. Gli scagnozzi destrorsi gridano dagli allo zingaro ma ci fanno più soldi che con la roba, ciancicano un linguaggio veterofascista ma non si fanno scrupolo d’arruolare assessori d’ogni colore, destri o sinistri non importa, purché utili alla causa. Di più.
«Da ieri sono diventato un membro dei Movimento 5 stelle. Stiamo aprendo presso le zone Infernetto, Acilia, Ostia uno studio dove daremo vita a questo movimento di Beppe Grillo. Chiunque fosse interessato ci contatti su fb». Così recita un post del maggio 2012 di Matteo Calvio, uno dei caporioni della banda, sul suo profilo facebook. Pronti a cogliere il nuovo che avanza ma anche arretra, altro che fissi alle logiche della guerra fredda o alla fedeltà di clan. Eccola qui, la quintessenza del governissimo di piduista memoria, la democrazia pura e dura che mostra la sua natura di menade del capitale. Forti di un tessuto sociale e connettivo allo sbando, d’un paese troppo preso a castrarsi coi dettami di Bruxelles e a baloccarsi di parole vuote, Carminati & co. governano il paese reale & brutale. E lo fanno con parole altrettanto reali & brutali. Non certo quelle mutuate dalla saga tolkeniana che, checché ne dicano anime belle e aficionados del genere, resta uno dei punti di forza del pensiero destrorso e superomista. E neanche quelle che l’ottimo Filippo Ceccarelli scambia per slang della gang. Eppure lui, romano doc e fine notista politico, dovrebbe sapere che questa non è la lingua d’una nuova razza predona, ma il corrotto romanesco d’ogni dì. Quello che può sentirsi fuori e dentro ai bar o alle pompe di benzina, dove i nostri facevano squadra e traffici, appunto.
La vera novità del sovramondo, il novus della sua teoria politica è dunque l’aver compreso e rovesciato l’assioma latino: in medio stat vir, non virtus, nel mezzo sta la forza e non la virtù; compreso e rovesciato il messaggio orwelliano: “Chi controlla il passato controlla il futuro, chi controlla il presente controlla il passato”. Dunque chi controlla il mondo di mezzo controlla quello di sopra e di sotto. Come cazzo è possibile, si chiede lo stesso Carminati con finto stupore, che questi mondi siano lì a strusciarsi, nessuno meglio di lui – tra i fiduciari del deposito di armi della banda negli scantinati del ministero della Sanità e anello di giunzione tra il neofascismo e i boss della Magliana dei quali era pupillo, prima di finire impiombati – può dirlo. È possibile, altroché. Come è possibile che tutto ciò avvenga alla luce del sole, o quasi, nell’indifferenza se non nella connivenza d’una città morente. Come è possibile che chi ha messo in piedi un sistema del genere tenga appeso al muro un Pollock o un Warhol e non manchi di dare il becchime alle galline che tiene nella villetta ai margini della capitale, mentre arraffa nella carne viva del paese, forte del radicamento nei palazzi del potere che nutre e di cui si nutre.
La banda della Magliana non è mai morta, la si chiami pure mafia capitale o modello autoctono di associazione a delinquere, per dirla come il procuratore antimafia Franco Roberti. La madre di tutte le bande, e di tutti gli intrecci, è ancora assai viva e vegeta per essere solo un documentario di History channel di due anni fa. Solo, parla una neolingua che nuova non è, ma assai antica e dolente, come la città di cui è specchio. E spara allo stesso modo, anche se alza il tiro meno d’allora. Per questo guai a vedere in Carminati & co, negli uomini vecchi di questa capaci di riciclarsi nei tempi nuovi, i veri poteri che muovono i fili, i burattinaj. Essi stanno nel mezzo, appunto, non sopra né sotto, ma da sopra e da sotto traggono linfa vitale. Non vedere né toccare gli intoccabili del sistema apicale di cui il cecato è servo e signore, significa essere più orbi di lui, e complici. Ma tra tutte le cose possibili, questa è senz’altro la meno plausibile.

di Maurizio Zuccari - 11 dic 2014
fonte: http://popoffquotidiano.it/ 

"La piaga di Mafia Capitale? La Boldrini e il buonismo verso immigrati e nomadi"

Gabriele Adinolfi, fondatore di Terza Posizione, al Giornale.it: "Il ruolo di Carminati gonfiato per distrarre l’opinione pubblica"


“Destra è un termine espresso dalla Rivoluzione Francese e strettamente connesso alla democrazia parlamentare e personalmente lo rigetto. Preferisco parlare di cultura reazionaria che si nutre di una nostalgia del mondo e che oggi non esiste più”. 




Gabriele Adinolfi, uno dei fondatori, alla fine degli anni ’70, del movimento politico Terza Posizione, ci tiene a mettere subito le cose in chiaro. Oggi Adinolfi dirige il Centro Studi Polaris, un think tank dove poter esprimere “un pensiero non astratto "armato", in condizioni cioè di agire, in sinergia o in dialettica con le élites della nazione”.
Ilgiornale.it lo ha intervistato per capire in che direzione sta andando oggi la destra italiana, sconvolta da un lato dal caso di Mafia Capitale e dall’ascesa di Matteo Salvini.
Come e quando è nata la sua passione politica?
Nel 1968, ribelle alla società borghese, ma dall’alto (perché non era né aristocratica, né doverosa né responsabile), non dal basso come faceva la sinistra (perché troppo autoritaria). Loro volevano uccidere anche l’idea del Padre, io e non solo io, volevamo imporre il Padre a chi ne era soltanto una caricatura. Purtroppo prevalsero loro e oggi il maschio è un cappone".

Quali libri e autori hanno maggiormente influenzato la sua formazione politica?
"Sicuramente Così parlò Zarathustra, Julius Evola con Cavalcare la tigre e Gli uomini e le rovine ma anche Adriano Romualdi con Su Evola, Le ultime ore dell’Europa ha avuto un peso e uno spessore non da poco nella mia formazione. Ci sono, poi, le epopee di guerra che vanno dal Diario di uno squadrista toscano di Piazzesi a Mourir à Berlin di Mabir, tutti gli scritti di Degrelle sul Fronte dell’Est, i diari e le memorie di Balbo, Romualdi, Farinacci e Goebbels, ma ho letto anche molto di Mishima. Quindi mi sono dedicato alle letture più tecniche come Sorel, Lenin, Alvi e de Benoist, agli storici greci antichi, al teatro di Anouilh, Guitry, Pirandello e perfino di Gaber e alla letteratura francese da Balzac a Blondin, da Drieu La Rochelle a Bardèche.

Oggi chi rappresenta meglio la cultura di destra?
"Tutti mi sembrano così programmati nella cultura atomizzata dell’ultimo uomo nicciano saltellante come una pulce che perfino quando pensano di cantare fuori dal coro sono omologatissimi. Il fatto che si sentano differenti non li rende differenti".

Crede che i valori di “destra” trovino rappresentanza politica nei leader attuali come Matteo Salvini e Marine Le Pen?
"Le Rivoluzioni Nazionali furono tutte compiute da uomini che non venivano da destra e persino Franco nacque progressista. Si trattò di interpretare la sana psicologia reazionaria del popolo per darle un indirizzo rivoluzionario che fu moderno, innovatore ma anti-progressista. Tutto questo oggi manca. Salvini è un buon capopopolo ma mi sembra che accanto al suo genio tattico non ci sia una strategia di ampio raggio né una vera e propria Idea del Mondo. Queste sono entrambe necessarie e devono per forza intervenire altrimenti si corre a vuoto. In quanto a Marine Le Pen sono particolarmente addentro alle cose francesi per dire che rimpiango Jean-Marie. Lei andrà lontano sì, ma anche Fini lo fece. Molto meglio vedo Alba Dorata in Grecia".

A proposito di valori e di politici, si è mai sentito rappresentato da chi in questi vent'anni ha guidato la destra, soprattutto a Roma?
"Non sono mai stato così sciocco. Addirittura nel 2009 dissi che avrei preferito la Bonino alla Polverini. Ciò detto e senza voler salvare nessuno, in particolare Gianni Alemanno che a mio parere è stato il peggior sindaco di Roma, sarebbe ora di mettere a fuoco la questione sullo scandalo romano che non è “di destra” ma riguarda soprattutto il Pd e l’associazionismo, vero e proprio parassita del momento, motore dell’immigrazione massiccia e causa delle guerre etniche tra i poveri.
Ha conosciuto Carminati? E cosa pensa della vicenda giudiziaria che lo riguarda?
"Non ho mai conosciuto né incontrato Carminati e non so granché di quel che è accaduto. Ho però l’impressione che il ruolo di Carminati sia stato gonfiato e trascinato un po’ per i capelli in questa faccenda perché la sua figura dà il dovuto colore e permette così di distrarre l’opinione pubblica dalla regolarità di un malgoverno che tutto è fuorché eccezionale".

Avrebbe mai immaginato che gente cha fece la lotta armata si sarebbe potuta mettere in affari con un uomo di sinistra come Buzzi?
"Non mi sorprende la trasversalità del consociativismo, essa è l’anima e la nervatura della democrazia. La democrazia, quantomeno quella delegata, è male in se stessa e i suoi comportamenti ne rispecchiano l’essenza. Che Buzzi sia di sinistra non significa nulla come nulla significa che Alemanno sia di destra. Siamo semplicemente in presenza di una caduta verticale che è dell’intera società italiana, ivi compresi quelli che si scandalizzano oggi ma facevano i cortigiani fino a ieri, sempre coerenti nella parte dei topi che abbandonano la nave che affonda.

Cosa ne pensa del fatto che i rom siano stati usati per fini politici e che abbiano influenzato, con il loro voto alle primarie, la scelta del candidato sindaco del Pd?
"Non è tanto questo a riempirmi di rabbia quanto il fatto che nessuno abbia sottolineato la frase che tutti i telegiornali hanno riportato “gli immigrati rendono più della droga”. E’ l’associazionismo assistenzialista la vera piaga. Per ogni immigrato queste organizzazioni “buoniste” si rimpinzano di denaro pubblico e non hanno alcuna remora nel causare disordini sociali né nel vendere la loro mamma a un nano. Se c’è qualcuno che deve dare immediatamente le dimissioni per quello che è emerso a Roma e che nella sua gravità sociale va ben oltre le tangenti dei politici, quella è la Boldrini e non dovrebbe essere la sola. Tutte quelle associazioni e cooperative che lei tanto decanta dovrebbero essere chiuse immediatamente e bisognerebbe chiedere loro indietro tutto il denaro pubblico che hanno sprecato per creare disperazione".

- Sab, 13/12/2014
fonte: http://www.ilgiornale.it 

Mafia Capitale, pure siciliani e camorra obbedivano al Cecato. Nelle carte dell’inchiesta il marcio di Roma. Per Carminati legami anche con gli albanesi



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A Roma la mafia è “cosca nostra”. Anzi, le mafie. Perché dalle 1228 pagine dell’ordinanza che inchioda il sistema criminale messo in piedi da Massimo Carminati, emergono pesanti (e proficui) rapporti con le grandi organizzazioni criminali tradizionali. Non solo ‘ndrangheta. Ma anche camorra e mafia. Tutte “obbedienti” alla politica di Carminati. Scrivono i magistrati: “il prestigio criminale di Mafia Capitale e del suo capo indiscusso, Massimo Carminati, ha trovato conferme anche in altre attività di indagini”. Attività che, nero su bianco, dimostrano come l’ex Nar fosse riuscito a creare una spaventosa rete di contatti. A cominciare dalla camorra. Oltre ai rapporti accertati con il clan di Michele Senese (attivo da tempo a Roma), forte è anche il legame con la famiglia dei Licciardi, già facente capo alla cosiddetta “alleanza di Secondigliano” di Napoli. A rivelarlo un episodio, ricostruito dai magistrati, del 22 novembre 2012. Mario Vecchioni, pregiudicato romano, viene sparato e gravemente ferito. Il movente sarebbe l’aggressione di qualche giorno prima di Vecchioni a Salvatore “Sasà”, fratello di Genny Esposito e figlio di Luigi “a’ Nacchella”, elemento di spicco proprio del clan dei Licciardi che, ora, operano anche a Roma proprio sotto l’egida di Senese. Ebbene, da quanto scritto dai magistrati a organizzare la spedizione punitiva sarebbe stato proprio Carminati.

L’INCREDIBILE RETE
Ma la vicenda Vecchioni va oltre e rivela anche ulteriori legami. A muoversi per risolvere la questione era stato anche Roberto Macori, “legato a Gennaro Mokbel e a Michele Senese”, il quale a sua volta faceva riferimento, parlando con Vecchioni, a una “batteria di albanesi” attiva a Roma di cui faceva parte anche l’ex pugile Orial Kolaj, arrestato a fine 2013 perché ritenuto “l’esattore” dei Casalesi ad Acilia. Una rete incredibile, dunque, che si chiude con un altro nome, contattato per intercedere con lo stesso Carminati. Ovvero Giovanni De Carlo, il “boss” dei vip, per il quale risultano “documentate aderenze con Carminati Massimo e Senese Michele”. Non è un caso che in un altro passaggio dell’ordinanza si rileva come De Carlo fosse molto vicino all’ex Nar (in un’intercettazione è definito il “tuttofare” di Carminati). Non solo: emerge dalla carte anche “la disponibilità, in capo a entrambi, di immobili” formalmente riconducibili a Marco Iannilli, il commercialista di Mokbel, condannato per la colossale truffa Fastweb- Telecom Sparkle.

OTTIMI RAPPORTI
Ovviamente, non poteva mancare Cosa Nostra. In un’intercettazione Ernesto Diotallevi (ritenuto uomo di raccordo proprio con la mafia) afferma che, nonostante il suo ruolo, “materialmente conta Giovanni”. Ancora De Carlo. Ancora il “tuttofare” che eseguiva gli ordini di Carminati. Non solo. Secondo quanto riferito da un altro mafioso, Sebastiano Cassia, il suo diretto superiore, Benedetto Spataro, appartenente al clan catanese dei Santapaola, “era in ottimi rapporti con Carminati” perchè “ punto di riferimento a cui lo stesso Spataro faceva capo” in caso si fosse palesata la necessità di “certe cose” da fare sulla Capitale. “Che ne so ammazza’ qualcuno qua a Roma, io… lui, Benedetto parlava pure co’ Massimo”

di Carmine Gazzanni - 12 dic 2014
fonte: http://www.lanotiziagiornale.it

Perché è necessaria una nuova Norimberga


Mentre la situazione economica e politica internazionale va deteriorandosi, nonostante le ottime prospettive di crescita di importanza dei Brics, si stanno prospettando soluzioni e proposte pericolose, nel senso del conflitto con l’interesse all’evoluzione positiva e pacifica del genere umano (oggi e ieri minacciata dalle follie di eliminazione della spesa pubblica e di privatizzazione anche di ciò che è bene non dipenda dalla condizione finanziaria dei singoli, come la sanità, la formazione, la sicurezza, l’acqua, l’aria e via dicendo): c’è chi prospetta un ritorno all’oro dopo che il dollaro tracollasse o chi propone una riserva del 100% per le banche; ma stanno emergendo anche i nuovi “gattopardi” che – persino in nome dell’abbattimento dell’euro – propugnano tesi che, nel recente passato, non hanno mai condiviso.
Sia chiaro: quello che è stato compiuto o avallato in questi ultimi trentacinque anni (indebolimento degli Stai nazionali, macelleria sociale, impoverimento e depredamento della popolazione) sono crimini contro l’umanità che, come tali, dovranno essere affrontati. Una nuova Norimberga, in altri termini, appare proponibile, onde evitare che in un domani sempre più prossimo, ognuno dei responsabili di questi crimini possa dire quanto condivide il cambiamento e quanto è lontano dal presente e dal passato recente.
Oggi, in Italia, ad esempio, siamo 60 milioni (dove sono i demografi che pochi decenni fa prevedevano, per il presente, una popolazione sotto i 55 milioni?); di questi, circa 20 milioni versano in miseria, altri 20 milioni arrivano con difficoltà a fine mese ed il restante – pur tendendo a diminuire – riesce a riempire cinema e ristoranti, col risultato di far sottovalutare la gravità dell’attuale crisi.
Più si taglia la spesa pubblica per ridurre le tasse (la cui pressione è eccessiva, per chi le paga) e più si riduce il Pil; col risultato che, poi, mancano le risorse per tagliare le tasse: si bloccano i contratti dei pubblici dipendenti ed il loro turn over col risultato che peggiorano e diminuiscono i servizi essenziali e, quindi, la gente – oltre le tasse – deve spendere di più, impoverendosi, per mandare i figli a scuola o curarsi o viaggiare.
Però, se si tagliano le spese per ridurre le tasse e si ottiene l’esatto contrario, una ragione forse c’è: i debitori (famiglie, imprese e Stati) devono stare sempre peggio perché l’attuale modello economico si basa non sulla redditività finanziaria, ma sul numero delle emissioni dei titoli (derivati, derivati su derivati, titoli tossici di tutti i tipi) e, quindi, meno i debitori potranno ripagare i loro impegni e maggiore sarà l’accelerazione delle emissioni derivate.
In tutto, ciò la gente muore, le imprese muoiono, gli Stati muoiono…cosa si aspetta?

02 - 12 - 2014Antonino Galloni
fonte: http://www.formiche.net 


12/12/14

Ardea, catturato ricercato internazionale: aveva ucciso un uomo picchiandolo selvaggiamente






Aveva ucciso un uomo nel suo paese, in Bulgaria, massacrandolo a calci e pugni, e si nascondeva ad Ardea per sfuggire alla giustizia. Ma i Carabinieri della Compagnia di Pomezia lo hanno localizzato e sottoposto ad arresto provvisorio ai fini della consegna (ex art. 11 legge nr. 69/2005): si tratta di G.T.I., cittadino bulgaro, senza fissa dimora e domiciliato alle Salzare, complesso di edifici noto per le molte occupazioni abusive da parte di extracomunitari.

L’uomo era ricercato in campo internazionale in quanto raggiunto da un mandato d’arresto europeo, emesso il 20.07.2012, dal Tribunale di Vratsa, in Bulgaria, perché ritenuto responsabile dell’omicidio di un connazionale, commesso il 31 maggio 2000 a Mezdra.

L’uomo era stato arrestato in flagranza di reato dalle autorità bulgare, ancora accanto al corpo della vittima, dopo che lo aveva selvaggiamente picchiato sino a causarne la morte. Decorsi i termini di custodia cautelare, G.T.I. aveva lasciato il paese di origine e da più di 14 anni viveva in Italia, pensando di aver definitivamente eluso la giustizia Bulgara.

Dopo l’arresto, il ricercato è stato condotto presso il carcere di Velletri a disposizione dell’Autorità Giudiziaria, in attesa che vengano definite le pratiche per l’estradizione in Bulgaria.

di Direttore - 12 dicembre 2014 - 10:54
fonte: ilcorrieredellacitta.com

DEUTSCHE BANK: ”PER COLPA DELL’EURO, ABBIAMO PERSO UN’INTERA GENERAZIONE. L’UNIONE MONETARIA E’ SBAGLIATA” (EURO FINITO)



http://www.sapereeundovere.it

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BERLINO – L’economista capo di Deutsche Bank ha delineato un quadro scoraggiante per l’eurozona nei prossimi anni: “Il costo per tenere unita l’eurozona e’ stato una intera generazione perduta”, ha dichiarato David Folkerts-Landau di fronte ai giornalisti a Francoforte.
Secondo l’economista un’unione monetaria costruita in modo sbagliato e con strutture troppo diverse tra loro ha portato ad una crisi che si traduce in una elevata disoccupazione giovanile e in un bassissimo livello di crescita.
Nonostante le cupe previsioni economiche, pero’, Folkerts-Landau ritiene che i sacrifici necessari a tenere in vita l’euro non siano stati vani: “La maggior parte dei cittadini europei e’ pronta a pagare questo prezzo per avere un’Europa piu’ unita”, ha dichiarato l’economista, che ha elogiato la gestione della crisi da parte del cancelliere tedesco Angela Merkel. Ma questo apprezzamento va letto in chiave politica nei confronti del governo tedesco e non in chiave economica rispetto l’euro in quanto tale.
Folkerts-Landaunon non ritiene che l’euro possa vivere – cioè sopravvivere – a un’altra crisi paragonabile a quella degli scorsi anni, anche nel caso in Grecia dovesse salire al potere il partito della sinistra radicale Syriza.
Ormai da tempo le previsioni di crescita di Deutsche Bank per l’eurozona sono tra le piu’ pessimistiche: per il prossimo anno la banca tedesca prevede una crescita di appena l’1 per cento.
“Il problema centrale continua ad essere la mancanza di riforme nazionali”, ha affermato Folkerts-Landau, secondo cui l’attuazione di riforme strutturali per il rafforzamento della crescita resta “molto limitata”.
Il debito pubblico dell’Italia, ad esempio, e’ arrivato ormai al 138 per cento del Pil e da anni la crescita e’ a zero – ha sottolineato.
Generalmente questa situazione dovrebbe scatenare una crisi di sostenibilita’ del debito sovrano: “Ma la Bce e’ pronta a fare da rete di sicurezza”, ha spiegato l’economista. Finchè sarà possibile.
Nella sostanza, il numero uno degli economisti della prima banca della Germania, qual è Deutsche Bank, ha annunciato la fine dell’euro.

max parisi - 11 dic 2014
Fonte www.ilnord.it 

IMMIGRAZIONE - Richiamo di Frontex alle navi militari italiane “Troppi salvataggi”

 
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12 dic – l’agenzia europea per il controllo delle frontiere (Frontex, che ha sede a Varsavia) accusa il suo “ufficio” italiano di essere un po’ troppo di manica larga nel decidere di avviare i salvataggi in mare. Quelle azioni che, finché c’era stata “Mare Nostrum” (che, però, era condotta e anche pagata solo dall’Italia) costituivano la ragione fondamentale del dispiegamento delle forze marittime nel Mediterraneo.
L’invito a rientrare nei ranghi è contenuto in una lettera – il cui testo è stato rivelato dall’Adnkronos – inviata dal direttore della divisione operativa di Frontex, Klaus Rosler, al direttore centrale per l’immigrazione del ministero dell’Interno, Giovanni Pinto. Nella lettera Rosler si dice “preoccupato” per i continui interventi di Frontex oltre le 30 miglia marine, il limite operativo dell’operazione “Triton”.
Quando alla fine dell’estate scorsa fu annunciata la interruzione, peraltro mai avvenuta,  di “Mare Nostrum”, tutte le associazioni umanitarie denunciarono che “Triton” sarebbe rimasta circoscritta entro le 30 miglia dalla costa e che questo limite di azione avrebbe certamente provocato un aumento del numero delle vittime del Mediterraneo. La risposta fu che, in caso di reale emergenza, quel limite non avrebbe avuto alcun valore. In casi simili, infatti, l’obbligo di intervenire è assoluto. Già, ma quando e come si individua questo genere di emergenza?
Molto spesso l’allarme viene lanciato dalle barche in difficoltà attraverso telefonate fatte con i satellitari. E’ successo anche lo scorso 20 novembre: ricevuta la richiesta di aiuto, è scattata l’operazione di soccorso.

Secondo il direttore operativo di Frontex, è esattamente quanto non andava fatto. Rosler, infatti, nella lettera scrive che una telefonata satellitare non può essere di per sé considerata un evento idoneo a determinare un’azione di “Search and rescue” (cioè di ricerca e soccorso). E raccomanda che in casi del genere siano prima intraprese “azioni per investigare e verificare e solo in seguito, in caso di difficoltà, attivare un altro assetto marittimo”.
Frontex, inoltre, non considera “necessario e conveniente sotto il profilo dei costi” l’utilizzo di pattugliatori (offshore patrol vessel) “per queste attività di verifica iniziale al di fuori dell’area”.
Altre indicazioni di Frontex al Centro operativo di Roma sono di “tenere in considerazione il luogo e la distanza tra i possibili obiettivi e gli assetti di Frontex” (per esempio, se un naufragio avviene in prossimità delle coste libiche “coinvolgere i centri operativi di controllo più vicini”) e, infine, di utilizzare la lingua inglese per “tutte le comunicazioni in ambito Frontex”. Il frequente uso della lingua italiana, sottolinea Rosler, “dovrebbe essere evitato”, perché “non del tutto in linea con il piano operativo e con le procedure internazionali”. Non è chiaro se l’ultimo avvertimento sia un banale richiamo al protocollo operativo o nasca dall’esigenza di controllare meglio le comunicazioni tra il centro Frontex di Roma e le navi militari italiane impegnate dell’operazione. Per evitare che – memori di Mare Nostrum – i nostri siano troppo zelanti nei salvataggi oltre le trenta miglia.    

TISCALI

http://www.imolaoggi.it - 

Il malaffare, l’"antipolitica" e le colpe di Napolitano

Il malaffare, l’"antipolitica" e le colpe di Napolitano

di Angelo Cannatà 
Ci sono persone che amano essere venerate come divinità. Non sbagliano mai. Non hanno colpe. Possiedono la verità. Napolitano, per esempio. L’ultimo discorso mostra – come meglio non si potrebbe – questo stile di pensiero. I cortigiani plaudono. Il Presidente ha parlato. “L’ha detto lui”, dunque non può che essere vero. E’ lecito praticare – di fronte a tante certezze – l’esercizio del dubbio? 

L’impressione, per dirla in modo chiaro, è che il testo letto all’Accademia dei Lincei contenga una forte carica di ambiguità. Vediamo. 

Si parla della necessità di combattere il malaffare. Giusto. Venezia, Milano e “Mafia Capitale” fanno orrore e vedono coinvolti destra e sinistra. Dopodiché si additano come “patologia” coloro che negli scandali non sono coinvolti, non rubano, nonsono collusi con la mafia. I conti non tornano. Vedere nei grillini una “patologia del sistema”, significa nascondere che non solo sono onesti ma restituiscono quanto gli spetta per legge. Ergo: il Presidente di fatto delegittima (come “antipolitica”), la forza parlamentare che lotta la corruzione, proprio mentre diceche la corruzione va combattuta. Protagora e Gorgia (insieme) non avrebbero fatto di meglio. 

Il richiamo ai sofisti non è casuale. Perché i fatti, davvero, vengono stravolti con un gioco linguistico: a sentire Napolitano chi denuncia gli scandali “in realtà” licavalca. Con un gioco di prestigio dialettico si cambiano i termini (e le carte in tavola), si fa sparire la verità e dal cilindro spuntano i 5Stelle – “patologia eversiva” – responsabili di tutti i mali d’Italia. Una favola. Alla quale non crede più nessuno. 

Piuttosto. Visto che il Capo dello Stato riconosce, finalmente, le responsabilità di Renzi (“banditore di smisurate speranze”, “per giunta senza alcun ben determinato retroterra”), è lecito chiedere chi l’ha nominato/sostenuto/consigliato/guidato? Non sono sue – Presidente – le “smisurate speranze” nel segretario fiorentino e nelsupertecnico Monti e nella inflessibile Fornero, nell’inconcludente Letta? Non è responsabile anche lei del fallimento di una politica che – con ostinazione – ha tolto ai cittadini la possibilità di scegliersi un governo? Nessuna autocritica. Mai. È imbarazzante la certezza del Capo dello Stato. 

Viene in mente Stirner. L’Unico. Benché provenga dalla tradizione marxista Re Giorgio adotta schemi e stili di pensiero che trascurano le cause economiche e sociali della crisi politica. Soprattutto: ha pensato di risolverla, la crisi, scrivendo il copione, dettando i tempi e dirigendo dalla cabina di regia. S’è sentito l’Unico in grado di capire guidare il Paese. Intendiamoci. Che l’abbia guidato è incontestabile; che l’abbia anche capito e trovato soluzioni giuste – visto il fallimento – è un altro discorso. No. Napolitano non è stato un buon Presidente. E non va giudicato per le intenzioni (Kant), ma per le responsabilità (Weber): se il risultato delle sue scelte è un disastro non può chiamarsi fuori. Le smisurate (e mal riposte) speranze in progetti e uomini sbagliati fanno parte della storia del Presidente Giorgio Napolitano. 

Infine. Il Nostro ritiene che il degrado sia frutto anche “d’infiniti canali di comunicazione, di giornali tradizionalmente paludati, opinion makers senza scrupoli”. I giornalisti. Ecco i responsabili: l’hanno tirato in ballo sulla trattativa Stato-mafia. Napolitano rifiuta l’evidenza: “lo Stato è sceso a patti dopo le stragi e oggi è ancora più succube delle organizzazioni criminali” (Ingroia). “Mafia Capitale” è figlia di un clima: di tolleranza e trattative, oltre che di squallidi interessi per il Dio denaro. 

Se questo è il quadro – nonostante i banalizzatori (non solo Ferrara) – l’auspicio di Re Giorgio “di una larga mobilitazione collettiva” contro l’antipolitica è fuori dalla realtà: il Paese si mobilita, oggi, contro corrotti e corruttori; sta con chi non rubae pensa, per intenderci, alla redistribuzione del reddito. Al salario di cittadinanza. Sarà un tema decisivo nelle prossime elezioni. Il popolo rivendica diritti. Ed ha superato – in larghi settori della società – la soglia minima di povertà. I cittadini votano guardando le proprie tasche vuote. E quelle, troppo piene, dei politici. Di quale mobilitazione va parlando Giorgio Napolitano? Per difendere chi? 

http://temi.repubblica.it/micromega-online/il-malaffare-l%E2%80%99antipolitica-e-le-colpe-di-napolitano/

Giorgio Napolitano: “Critica alla politica è degenerata in patologia eversiva”

tramite: http://alfredodecclesia.blogspot.it/

Padova: carabinieri presi a calci e pugni dagli immigrati davanti ai passanti

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12 dic – PADOVA – Violenta aggressione ieri pomeriggio ai danni di due carabinieri in piazzale Stazione, a Padova.

I militari avevano fermato per un controllo uno straniero quando alcuni amici del fermato sono intervenuti picchiando con calci e pugni gli uomini dell’Arma.
Il tutto sotto lo sguardo di decine di passanti terrorizzati. Succede anche questo a Padova. Immediatamente è giunta in soccorso un’altra pattuglia di carabinieri e una della polizia locale, ma sono riusciti a fermare solo il primo fermato. I militari sono dovuti ricorrere alle cure del pronto soccorso. ilgazzettino.it/NORDEST/PADOVA

leggi anche:

http://edoardo-medini.blogspot.it/2014/12/depenalizzazione-reati-lievi-una-mossa.html 

http://edoardo-medini.blogspot.it/2014/12/via-libera-alla-delinquenza-il-colpo-di.html 



Le sanzioni a Mosca e i rischi per le imprese italiane

Nel terzo trimestre del 2014 l’interscambio tra Italia e Russia è crollato del 17%. Recuperare il rapporto privilegiato con il Cremlino è però ancora possibile. Il commento del presidente della Camera di Commercio Italo-Russia Rosario Alessandrello

A T-34 Soviet-made tank and Russian servicemen take part in a rehearsal for a military parade at the Red Square in Moscow
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Il valore del rublo in picchiata, il calo del prezzo del petrolio, le sanzioni occidentali e un piano per il rilancio dell’economia che potrebbe non bastare per superare la fase di decrescita prevista per il 2015. Mentre dal fronte ucraino non arrivano segnali di miglioramento e i rapporti con Washington e Bruxelles rimangono tesi, Mosca si appresta ad affrontare una complicata fase recessiva. Ma a pagarne le conseguenze, spiega a Lookout News il presidente della Camera di Commercio Italo-Russia Rosario Alessandrello, non sarà solo il suo tessuto produttivo e imprenditoriale.La disputa chiama infatti in causa direttamente anche le oltre 200 imprese italiane che fino a pochi mesi fa gestivano affari consolidati nel mercato russo.

Come valuta ad oggi l’effetto di queste sanzioni?
Queste sanzioni imposte a Mosca dall’UE con il sostegno degli Stati Uniti, sono state pensate per danneggiare l’economia russa. Una strategia che ha cominciato a dare i primi frutti, considerato che la Russia andrà incontro nel 2015 a una fase di decrescita. Quello di cui dobbiamo tenere più conto, però, sono le controsanzioni del Cremlino. Si tratta di misure che stanno bloccando le importazioni dei russi, il che sta danneggiando direttamente le esportazioni dei Paesi europei, e quindi anche dell’Italia.

È possibile quantificare le perdite causate alle imprese italiane che hanno rapporti con la Russia?
Le prime sanzioni sono state applicate tra luglio e settembre, motivo per cui è ancora presto per tracciare un bilancio dei loro effetti. Sinora il valore dell’interscambio italo-russo è calato del 10% nel secondo trimestre del 2014 e del 17% nel terzo trimestre. È stata perciò innescata una spirale che condurrà a un peggioramento della situazione nel 2015. Se non vi si porrà rimedio, le cose sono destinate ad aggravarsi negli anni successivi.

Quali sono i settori più colpiti?
Finora i mercati russi hanno tentato di privilegiare i prodotti italiani. Certamente però le sanzioni si stanno facendo sentire. Il settore agroalimentare è stato quello più colpito. Mi riferisco ad esempio alle esportazioni di uva da tavola dalla Sicilia o dalla Puglia, crollate del 50%. Anche gli ortaggi hanno subito delle conseguenze, per non parlare di prodotti freschi come la mozzarella o la burrata. Tra Mosca e le altre principali città della Russia ci sono circa 150 ristoranti italiani che finora utilizzavano prodotti che arrivavano direttamente dall’Italia. Da un po’ di tempo devono affidarsi a fornitori russi. Il rischio è che presto quella che proporranno non sarà più cucina veramente italiana.

Quali altri comparti produttivi hanno subito delle conseguenze?
Sicuramente l’abbigliamento e il settore tessile. Prima l’Italia comprava materie semilavorate dalla Russia, realizzava in casa il prodotto finito e poi lo rivendeva al mercato russo. Adesso questo interscambio proficuo per entrambe le parti è stato bloccato. I danni al momento sono parziali, ma in prospettiva rischiano di essere di gran lunga molto più gravi.

Che intende?
Messa all’angolo dall’Occidente, la Russia soffrirà nei primi due-tre anni ma in futuro potrebbe uscire molto più rafforzata. Sinora non aveva mai sviluppato un proprio settore manifatturiero, perché le costava di meno vedere materie prime e importare prodotti finiti. Adesso è costretta a farlo. Questo aspetto, unito al calo delle sue importazioni, ne faranno un competitor da temere per gli altri mercati europei.

ALESSANDRELLO 


Come stanno reagendo a questa situazione gli imprenditori russi che hanno affari in Italia?
Attualmente ci sono circa 150 imprenditori russi presenti in Italia e una settantina di centri produttivi. Si tratta soprattutto di soggetti che hanno acquisito aziende italiane sull’orlo del fallimento o che non erano più capaci di espandersi. Ma ora i russi non possono investire in Italia, e considerato il momento economico del nostro Paese questa è un’occasione persa. Basti pensare a ciò che è accaduto con il mercato immobiliare. Il sequestro di proprietà ad alcuni personaggi russi anche in Italia ha congelato l’acquisto di nuovi immobili. Pensare di risollevare il mercato del mattone in queste condizioni è impossibile.

Una delle altre partite aperte è quella energetica. L’Italia che ruolo sta giocando?
La disinformazione che è stata fatta in Italia e in Europa riguardo il South Stream è stata massima. La Germania ha già il North Stream con cui riceve il gas direttamente dalla Russia. Noi invece senza il South Stream continueremo a ottenere le forniture passando per altri Paesi, il che avrà delle conseguenze sull’aumento del prezzo dell’energia. Strategicamente si tratta di un grave errore di valutazione.

C’è un modo per recuperare il rapporto privilegiato che per anni abbiamo avuto con la Russia?
L’Italia si è dovuta accodare alle scelte dell’UE e degli Stati Uniti. Sulla lunga distanza è però uno dei Paesi che rischia di pagare il prezzo più caro dello strappo con la Russia. L’unica soluzione è trovare la capacità politica che ci consenta di uscire da questa situazione.

di Rocco Bellantone - 12 dicembre 2014
fonte: http://www.lookoutnews.it

11/12/14

A che punto è la guerra in Libia?

Il 9 dicembre ad Abu Dhabi rappresentanti di UE, USA, ONU e Paesi arabi hanno fatto il punto sulla crisi libica. I negoziati tra laici e islamisti potrebbero riprendere la prossima settimana

General Khalifa Haftar talk about military operations with Libyan army commanders in BenghaziVai vai vai alla scheda paese 
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In una nota inviata dall’ufficio di gabinetto del premier libico Abdullah Al Thinni si legge che il 9 dicembre Abu Dhabi ha ospitato un meeting di alto livello tra i maggiori stakeholder presenti in Libia, ovvero Unione Europea, Stati Uniti e ONU. L’incontro, al quale hanno preso parte anche i rappresentanti di diversi Paesi arabi (Egitto ed Emirati erano in prima fila per via del loro coinvolgimento diretto nella crisi libica), ha di fatto sostituito il “Ghadames II”, appuntamento annunciato nelle scorse settimane dall’UNSMIL (missione delle Nazioni Unite in Libia) per il 9 dicembre ma che, a un giorno dallo svolgimento, è stato posticipato alla prossima settimana.

L’episodio dimostra come non sia ancora stata risolta la disputa per il potere in corso nel Paese, con due governi e due parlamenti insediati rispettivamente a Tobruk (dove ha sede il governo ‘laico’ guidato da Al Thinni) e Tripoli (dove ha invece il proprio quartier generale l’esecutivo islamista).

L’8 dicembre Bernardino Leon, inviato speciale dell’ONU in Libia, era a Tripoli per incontrare Nuri Abu Sahmain, il presidente del Congresso Nazionale Generale (CNG), l’organismo a maggioranza islamista che dopo le elezioni di giugno avrebbe dovuto cedere il potere alla Camera dei Rappresentanti e che invece ha deciso di non riconoscere il nuovo parlamento. Dall’incontro è dunque emersa l’intenzione della comunità internazionale di voler ammettere anche il CNG al tavolo dei negoziati, perché è “l’unica maniera per porre fine alla crisi è avviare un dialogo nazionale sincero che miri a superare le divergenze”, come si legge in un comunicato congiunto emesso al termine dell’incontro di Abu Dhabi.

Ad Abu Dhabi era però presente il solo Al Thinni, il cui governo continua a operare regolarmente sebbene la Corte Costituzionale libica ne abbia decretato lo scioglimento a inizio novembre. Non resta pertanto che attendere il prossimo round dei negoziati, per capire se e come sarà possibile far arrivare a un accordo le due parti. Un altro elemento da chiarire è se al tavolo dei negoziati verranno invitati o meno esponenti dell’Esercito Nazionale Libico (LNA) o il generale Khalifa Haftar. Quest’ultimo l’8 dicembre ha posto le sue condizioni per la riuscita del processo di riconciliazione: disarmo e dissoluzione delle milizie e consegna al governo di Tobruk dei punti strategici (porti, aeroporti, impianti petroliferi) in mano agli islamisti.

A complicare la situazione la notizia secondo cui l’Assemblea Costituente (l’unico organo ancora ufficialmente operativo in Libia) starebbe valutando la possibilità di sostituire la Camera dei Rappresentanti e il Congresso Nazionale Generale con un parlamento ad interim composto dai nuovi sindaci eletti a novembre (nonostante i disordini, in diverse circoscrizioni si è infatti votato per il rinnovo dei consigli municipali).

L’Italia osserva con attenzione l’evoluzione delle trattative. Il 9 dicembre, nel corso di un incontro a Washington con il segretario di Stato John Kerry, il ministro degli Esteri italiano Paolo Gentiloni si è pronunciato sulla crisi libica affermando che “la priorità di Italia e Stati Uniti è quella di sostenere la mediazione dell’inviato dell’ONU e di farlo anche con i Paesi vicini [..] benché consapevoli delle difficoltà che la mediazione in corso sta incontrando sul terreno”.

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Il ruolo di Khalifa Haftar

Nel permanente caos libico, la figura di Haftar potrebbe alla fine avere la meglio su quella di altri leader militari o politici. Tornato in patria dopo la caduta di Gheddafi, Haftar si è riproposto sulla scena nazionale con la campagna anti-islamista “Operazione Dignità”, di recente sostenuta anche dall’esecutivo di Tobruk. Nelle scorse settimane, inoltre, è circolata la notizia secondo cui la Camera dei Rappresentanti avrebbe ufficialmente decretato la riabilitazione del Generale e il reintegro di alcuni suoi ufficiali nell’Esercito Nazionale, mentre in questi giorni si è addirittura parlato di una nomina di Haftar a Comandante Supremo dell’Esercito.

La voce è circolata con un tempismo forse non casuale. La scorsa settimana i vertici dell’Esercito Nazionale Libico hanno dichiarato di non escludere la possibilità che un Consiglio Supremo delle Forze Armate (SCAF) prenda in mano il potere nel Paese nel caso in cui governo e parlamento non saranno più capaci di gestire la situazione. Qualora ciò dovesse avvenire, la strada per l’ascesa di Haftar sarebbe spianata.

11 dicembre 2014
fonte. http://www.lookoutnews.it

Processo Trattativa: la Procura per Mannino chiede 9 anni

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L'ex ministro “è l'istigatore del contatto Ros-Cosa Nostra”

Palermo. “Chiediamo una condanna per Mannino a nove anni di reclusione più le pene accessorie previste dalla legge”. E' questa la richiesta di pena formulata dall'accusa (rappresentata dal procuratore aggiunto Vittorio Teresi e dai sostituti Nino Di Matteo, Roberto Tartaglia e Francesco Del Bene) per Calogero Mannino al processo contro l’ex ministro democristiano Calogero Mannino, imputato con il rito abbreviato per la Trattativa Stato mafia. Mannino è imputato del reato disciplinato dagli articoli 338 e 339 del codice penale, ovvero violenza o minaccia ad un corpo politico dello Stato. Teresi, che oggi ha concluso la propria requisitoria davanti al gup Marina Petruzzella, ha indicato nel politico democristiano come “l'istigatore principale di quel contatto tra Mori e De Donno e Cosa Nostra affinché non lo si ammazzi. E non voglio dire che questo è l'unico fine della trattativa ma sicuramente è l'unico fine di Mannino che si adopera anche con altri esponenti istituzionali per scegliere la via del dialogo”. “Quando Mannino disse a Gargani 'la Procura di Palermo ha capito tutto' diceva il vero - ha aggiunto Teresi - Si è riusciti a trasformare quel che si era capito in prove giudiziarie. Le sue parole, 'ora ci fottono', 'Ciancimino ha detto la verità su di noi' vanno direttamente collegate al ruolo avuto dal Mannino dopo la morte di Lima, dopo le stragi, il suo rapporto con Mori, il suo sollecitare la non applicazione del 41 bis.
E' lui l'istigatore principale di quel contatto tra Mori e De Donno e Cosa Nostra affinché non lo si ammazzi”. Il pm ha chiarito che evitare l'omicidio di Mannino, che temeva di essere ammazzato come Salvo Lima per non aver tenuto fede all'impegno con i boss per un buon esito del maxiprocesso, “non è l'unico fine della trattativa, il che sarebbe riduttivo, ma è certamente l'unico fine di Mannino”. Con il suo agire l'ex ministro "rafforza con questo la determinazione di Mori, De Donno e Subranni a parlare con Riina. Mannino vuole che Cosa Nostra pensi ad altro, cinicamente pensi ad altri. Altre vittime, altre stragi, non Mannino”. Secondo l'accusa l'imputato ha quindi sollecitato “l'interlocuzione con Cosa Nostra, ma anche con altri esponenti istituzionali, perché bisogna scegliere la via dell'accordo mentre gli uomini dello Stato avrebbero dovuto cercare la strada per distruggere Cosa Nostra, non quella di conviverci e coesisterci".
Con il processo a Mannino, che è stato rinviato al 3 marzo per proseguire con gli interventi delle parti civili, per la prima volta un giudice si esprimerà sulla trattativa. Una vicenda che secondo l'accusa, così come spiegato nella requisitoria, vede il coinvolgimento di Mannino in più fasi. Prima di tutto il suo è uno dei nomi che viene inserito nella lista di politici da eliminare, stilata da Cosa Nostra. E' da quel momento che su richiesta dell'ex ministro prenderebbe il via il dialogo. “Quando Mannino disse a Gargani 'la Procura di Palermo ha capito tutto' diceva il vero - ha detto stamattina Teresi - Si è riusciti a trasformare quel che si era capito in prove giudiziarie. Le sue parole, 'ora ci fottono', 'Ciancimino ha detto la verità su di noi' vanno direttamente collegate al ruolo avuto dal Mannino dopo la morte di Lima, dopo le stragi, il suo rapporto con Mori, il suo sollecitare la non applicazione del 41 bis allo stesso Di Maggio”.

L'interlocuzione a colpi di bombe
Durante la requisitoria Teresi si è concentrato in particolare sull'analizzare quanto avvenuto nel corso del 1993 non solo all'esterno, con le bombe di via Fauro, via dei Georgofili, via Palestro, San Giorgio al Velabro e San Giovanni in Laterano, ma anche all'interno delle istituzioni. E' quello infatti l'anno degli scossoni sia all'interno dell'universo politico (come la sostituzione del ministro della Giustizia Martelli con Conso), che in quello carcerario (la sostituzione di Amato con Capriotti alla direzione del Dap e la nomina di Di Maggio come vice). Nella sua requisitoria Teresi ha ricordato quindi che all’indomani della strage di via dei Georgofili Mannino rilasciò un'intervista in cui, contrariamente a quanto detto dai principali investigatori dell'epoca, Mannino diceva che a compiere la strage non erano i boss. Per il procuratore aggiunto l’ex ministro democristiano è “perfettamente consapevole che, dopo la strage di Capaci, ha bisogno dell'interlocuzione con la mafia perché sa che è nel mirino della mafia. In questo momento iniziano i suoi incontri con Mori e Contrada come testimoniano le agende dell’uno e dell’altro. Lui (Mannino, ndr) conosce ed interferisce con il Dap per realizzare cosa è possibile dare ai mafiosi, per convincere alcuni settori istituzionali, per acconsentire alle richieste, le uniche che gli possono oggettivamente salvare la vita”. Ecco quindi che si arriva alle mancate proroghe di centinaia di 41bis così da dare “un segnale di distensione”.

Interferenze con il Dap
Nella documentazione citata dal pm si fa riferimento ad una prima riduzione del 10% dei decreti firmati da Martelli. Il tutto avviene meno di un mese dopo la strage di Firenze. Per Teresi si tratta di “un segnale di distensione immotivato, ma fortemente voluto dal Dap e da chi, fuori dal Dap, aveva assoluta necessità di far vedere a Cosa Nostra che stava adempiendo alle obbligazioni assunte”. Ma chi c’era fuori? “Mannino che telefona a Di Maggio” per chiedere di “non far applicare” e di “ritardare” alcuni 41 bis. Il pm ha ricordato che in quel momento ai vertici del Dap si parlava anche, in maniera riservata, di creare all’interno delle carceri delle “aree omogenee” da “destinare ai dissociati di mafia”. Secondo la ricostruzione del pm il 41 bis “potrebbe rappresentare il primo concreto cedimento dello Stato intimidito dalla stagione delle bombe”. “Per capire cosa accade nel 1993 - ha spiegato Teresi - bisogna capire la rivoluzione copernicana al ministero della giustizia accompagnata dalla sostituzione al Dap dove il problema carcerario era una risposta”. Il Dap “doveva essere controllato da personaggi che fossero disposti a consentire la realizzazione di talune richieste di Cosa Nostra”, soprattutto in merito all’“attenuazione del 41 bis”. Torna quindi sotto i riflettori la questione dei messaggi della “falange armata” contro il 41bis. Teresi ricorda che l’allora capo del Dap Nicolò Amato è “meno in sintonia” con il neo Guardasigilli Conso precisamente in tema di carcere duro. “Conso non tiene in nessun conto” le indicazioni di Amato sull’effettivo potenziamento del regime del 41bis. Non solo. Tra i primi atti compiuti vi è un annullamento di un decreto firmato da Martelli con cui venivano potenziati i regimi carcerari a Secondigliano e a Poggio Reale dopo gli omicidi “simbolici” del sovraintendente Pasquale Campanello e dell’agente penitenziario Michele Gaglione. Nel ripercorrere le varie fasi degli avvicendamenti ai vertici del Dap Teresi ha evidenziato le “anomalie” di certe procedure come “l'intervento di figure ecclesiastiche come l’ex ispettore generale dei cappellani delle carceri, Cesare Curioni, e del suo fedele vice, Fabio Fabbri, chiamati appositamente da Scalfaro per farsi consigliare sul sostituto di Amato al Dap. Oppure come l'azione mirata a conferire l'incarico di vice direttore al Dap a Francesco Di Maggio, semplice magistrato di tribunale, privo di quel livello di professionalità per potersi occupare delle carceri.

Il parere di D'Ambrosio
Per unire i vari tasselli che ruotano attorno alla nomina di Di Maggio al Dap Teresi ha ripreso la conversazione telefonica tra Nicola Mancino e l’ex consulente giuridico del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, Loris D'Ambrosio. L’intercettazione è quella del 25 novembre 2011 quando a Mancino il dott. D’Ambrosio dichiara: “Uno dei punti centrali di questa vicenda comincia a diventare la nomina di Di Maggio”, per sentirsi rispondere: “E certo, non aveva i titoli”, prima di replicare: “Ecco, e diventa dirigente generale attraverso un decreto del presidente della Repubblica no? Ora io ho assistito personalmente a questa vicenda (…) Io ricordo chiaramente il decreto scritto, il Dpr scritto nella stanza della Ferraro (Liliana Ferraro, all’epoca direttore degli affari penali del Ministero, ndr.), il Dpr che lo faceva vice capo del Dap”. Di fatto si tratta della dimostrazione plastica della piena conoscenza di D’Ambrosio dell’irritualità della nomina di Di Maggio al Dap, una notizia inizialmente taciuta ai magistrati che lo avevano interrogato.

Mori e la sua immorale definizione di “baratto”
“L'altro giorno, Mori - ha sottolineato Teresi - intervistato ad una nota trasmissione tv, dopo essere stato convocato al Copasir, anziché andare in quella sede, ed evocando i fatti per la prima volta, usa una parola che è a dir poco scandalosa nella sua immoralità. Dice (Mori, ndr) che è stato sostanzialmente un ‘baratto’ (uno scambio di cose) ‘abbiamo dato un regime carcerario meno pesante’… si, e loro hanno dato i morti… Questo è un cinismo che fa paura. E’ questa la logica di quei commentatori che parlano di una trattativa ‘per evitare le stragi’. No! Tutto questo ha indotto le stragi. Da quel ‘baratto’ abbiamo avuto i morti!”.

Quelle carte che profetizzavano la trattativa
Nella sua lunga requisitoria il pm ha ripreso inoltre due documenti fondamentali per contestualizzare il grado di consapevolezza istituzionale del patto che si stava consumando tra Cosa Nostra e pezzi dello Stato: la nota della Dia del 10 agosto ’93 e il rapporto dello Sco dell’11 settembre di quello stesso anno. In quelle carte, inviate ai gangli vitali degli apparati statali, per la prima volta compariva il termine “trattativa”. “La perdurante volontà del Governo di mantenere per i boss un regime penitenziario di assoluta durezza ha concorso alla ripresa della stagione degli attentati - avevano scritto gli analisti della Dia -. Da ciò è derivata per i capi l’esigenza di riaffermare il proprio ruolo e la propria capacità di direzione anche attraverso la progettazione e l’esecuzione di attentati in grado d’indurre le Istituzioni a una tacita trattativa”. “Verosimilmente la situazione di sofferenza in cui versa Cosa Nostra e la sua disperata ricerca di una sorta di soluzione politica potrebbe essersi andata a rinsaldare con interessi di altri centri di potere, oggetto di analoga aggressione da parte delle istituzioni, ed aver dato vita ad un pactum sceleris attraverso l’elaborazione di un progetto che tende a intimidire e distogliere l’attenzione dello Stato per assicurare forme d’impunità ovvero innestarsi nel processo di rinnovamento politico e istituzionale in atto nel nostro paese per condizionarlo”. Nel documento veniva specificato che “l’eventuale revoca anche solo parziale dei decreti che dispongono l’applicazione dell’Art. 41 bis, potrebbe rappresentare il primo concreto cedimento dello Stato, intimidito dalla stagione delle bombe”. Per gli uomini dello Sco Cosa Nostra stava seminando il terrore in tutta Italia per “cercare una sorta di trattativa con lo Stato sulle questioni che più affliggono Cosa Nostra: il carcerario e il pentitismo”. Le bombe di Firenze, Milano e Roma “non avrebbero dovuto realizzare stragi, ponendosi invece come tessere di un mosaico inteso a creare panico, intimidire, destabilizzare, indebolire lo Stato, per creare i presupposti di una ‘trattativa’, per la cui conduzione potrebbero essere utilizzati da Cosa Nostra anche canali istituzionali”. Parole pesantissime, e soprattutto profetiche. Per Teresi le revoche di quei 41bis “sono inevitabilmente una deviazione del comportamento istituzionale da parte degli organi dello Stato”.

Dalle revoche del 41bis alle “preoccupazioni” di Mannino per De Mita
Teresi ha ricordato quindi il fax mandato il 29 ottobre del ’93 dalla Procura di Palermo per sancire il parere contrario alla possibile revoca del 41bis per 474 detenuti di prima grandezza (esponenti di Cosa Nostra, ‘Ndrangheta, Camorra e Sacra Corona Unita) proposta dal Dap. Di fatto il parere della Procura palermitana era stato totalmente disatteso. Il pm ha sottolineato che a godere di quelle mancate proroghe erano stati “uomini d'onore, ma anche di capi mandamento che nella loro storia hanno abbracciato la causa corleonese stragista: Francesco Spadaro, Diego Di Trapani, Giuseppe Giuliano, Vito Vitale, Giuseppe Farinella, Antonio Geraci, Raffaele Spina, Giacomo Giuseppe Gambino, Giuseppe Fidanzati, Andrea Di Carlo, Giovanni Prestifilippo, Giuseppe Gaeta, Giovanni Adelfio ed altri”. “Il motivo di dare questo segnale di distensione ai mafiosi poi condannati per le stragi non si capisce”, ha ribadito laconicamente Teresi. Che, infine, ha ripreso quel noto dialogo tra l’ex esponente democristiano, Giuseppe Gargani, e Calogero Mannino “intercettato” casualmente dalla giornalista del Fatto Quotidiano, Sandra Amurri, il 21 dicembre del 2011. “Hai capito, questa volta ci fottono - aveva detto Mannino a Gargani nella ricostruzione della Amurri -, dobbiamo dare tutti la stessa versione. Spiegalo a De Mita, se lo sentono a Palermo è perché hanno capito. E, quando va, deve dire anche lui la stessa cosa, perché questa volta ci fottono. Quel cretino di Ciancimino figlio ha detto tante cazzate, ma su di noi ha detto la verità. Hai capito? Quello… il padre… di noi sapeva tutto, lo sai no? Questa volta, se non siamo uniti, ci incastrano. Hanno capito tutto. Dobbiamo stare uniti e dare tutti la stessa versione”.

di Aaron Pettinari e Lorenzo Baldo - 11 dicembre 2014
fonte: http://www.antimafiaduemila.com 

Il segreto delle primarie Pd: dammi questo voto, zingara


Dopo i cinesi, ecco anche i rom democratici. I ras rossi vanno a bussare pure negli accampamenti della desolata periferia romana


È l'avvilente colonna sonora delle primarie Pd: dammi questo voto, zingara. Dopo i cinesi, ecco anche i rom democratici.


Una rom vota per le primarie del Pd


Il partito di Renzi non si fa mancare nulla e i ras rossi vanno a bussare pure negli accampamenti della desolata periferia romana. La foto dell'aprile 2013 è un sigillo sul sacco capitale, ma l'anno scorso questo era solo un sospetto. Ora l'inchiesta sulla Mafia romana illumina l'intreccio tra partito e coop: la farsa era organizzata. Vizi antichi per il solito scambio di favori. L'eterna ricetta del vecchio Pci che cambia nome per non cambiare niente.

Stefano Zurlo - 10 dic 2014
fonte. http://www.ilgiornale.it

FOLLIA di Stato, in aumento vitalizi e numero dei politici!!! Ecco la denuncia della Corte dei Conti



relazione corte conti costi politica
 
Secondo uno studio redatto dalla Corte dei Conti in Italia ci sarebbe un esercito, profumatamente pagato, di “politici di professione”: sono oltre 140mila le persone elette (democraticamente?) nelle istituzioni locali, nazionali ed europee. Quanto ci costano? Uno sproposito: quasi 2 miliardi di euro. Ma il dato più clamoroso è che rispetto all’anno precedente – nonostante le promesse di tagli e riduzioni – il numero dei politici italiani è addirittura aumentato: ecco le cifre dello scandalo.

Troppe volte negli ultimi anni abbiamo sentito parlare dei costi della politica italiana e dei presunti tagli da applicare per combattere la Casta. Il tema è sempre in voga nelle campagne elettorali ma poi, all’atto pratico, quello che accade è il contrario di quanto promesso.
Se nel 2013 la Corte dei Conti certificava in 143.936 il numero dei “politici di professione” – suddivisi tra parlamentari italiano ed europei, politici regionali, provinciali e comunali – desta particolare sconcerto il dato del 2014 che, in controtendenza con quanto sbandierato dal Governo Renzi, è in aumento rispetto al precedente.
Secondo il Giudizio sul Rendiconto Generale dello Stato, presentato dalla Corte dei Conti nel 2014, sono infatti 144.591 i politici di professione, circa 655 in più: come avere, da un anno all’altro, un doppio Parlamento. Altro che taglio dei senatori e delle province, altro che spending review e lotta alla Casta, la realtà – messa nero su bianco – è inquietante, perchè in un periodo di crisi come quella che stiamo vivendo è inaudito veder crescere il numero dei politici italiani, a maggior ragione se il Paese continua ad andare alla deriva.
Per il funzionamento degli organi dello Stato centrale (Presidenza della Repubblica, Presidenza del Consiglio, Camera dei deputati e Senato della Repubblica), la somma impiegata è prossima ai 3 miliardi di euro, tanti quanti vengono spesi per il funzionamento degli Organi delle autonomie locali (Giunte e 119 Consigli di regioni, provincie e comuni).

6 miliardi di euro per l’esercito dei politici di professione, gli stessi che risultano, poi, collusi con le varie entità di natura criminale che inquinano la macchina dello Stato. Dal Mose a Mafia Capitale, in ogni inchiesta che si rispetti e in ogni organizzazione criminale che si rispetti, i politici nostrani fanno la loro porca figura.
Il Sistema Paese, quindi, non solo spreca miliardi di euro per “finanziare” le organizzazioni criminali, grazie agli appoggi politici, ma si ritrova a stipendiare – molto bene – quegli stessi politici che si vendono ai criminali. Un cane che si morde la coda, un perverso meccanismo da cui – così parrebbe – risulta impossibile uscire.
Dulcis in fundo, la beffa finale: c’è un ulteriore dato in aumento, pari a circa otto milioni di euro, costituito dall’erogazione di un maggior numero di vitalizi in favore di parlamentari cessati dal mandato.
La conclusione della Corte dei Conti, nella persona dell’estensore del paragrafo sui “costi della politica”, il Vice Procuratore generale Amedeo Federici, è illuminante: “I dati rappresentati testimoniano come i c.d. “costi della politica” rappresentino una voce di spesa di ragguardevoli dimensioni, significativamente maggiore rispetto a quella sostenuta nei paesi demograficamente confrontabili con l’Italia, quali Germania, la Francia, la Gran Bretagna, la Spagna. Ne consegue l’esigenza, non ulteriormente procrastinabile, di un’adozione di misure contenutive coerenti.
L’inerzia ravvisabile sul punto, peraltro oscurata da sterili confronti e proposte, non induce ad un recupero di affidamento del corpo elettorale nei confronti delle rappresentanze elette, dalle quali è auspicabile un intervento orientato nella direzione di assicurare un maggior rigore finanziario, riducendo la corresponsione di risorse finanziarie pubbliche anche adottando provvedimenti normativi tesi ad una semplificazione numerica degli organi politici eletti, con ricadute di efficienza e di economicità.”
E poi c’è qualcuno che si lamenta o si stupisce se l’astensionismo raggiunge livelli mai visti in passato.
fonte: infiltrato.it - 10 dic 2014
tramite: http://informatitalia.blogspot.it