Tutti
presi come siamo dal problema delle fake news stentiamo ad ammettere
che spesso le loro origini, la loro strada maestra sono proprio là dove
non immaginiamo. In quella sorta di politica patibolare con
accompagnamento di media forcaioli che operando in stretta dipendenza
reciproca rivelano (soprattutto ora con l’aggancio ai social) come e
qualmente e sempre più spesso “quelli che strillano contro le fake news
sono gli stessi che alimentano i processi sommari, le sentenze lampo, la
Cayenna informativo-giudiziaria” (Italia Oggi).
Insomma, le bufale, le notizie farlocche, le fole spacciate per vere,
derivano frequentemente dall’attitudine invero inesausta, di ergersi a
Saint-Just infallibili, decisi a far rotolare le teste per la goduria di
milioni di tricoteuses che condividono i filmati dei servizi sui mitici
social network. Appunto.
Ma poi ci sono le notizie vere, le immagini, degli spot politici
quasi in diretta, che destano bensì reazioni dure, durissime, come nel
caso del blitz anti-migranti a Como di una dozzina del Veneto Fronte
Skinheads, dopo l’irruzione, deprecabile, condannabile ça va sans dire,
in un centro anti-frontiere, per cui si invocano mobilitazioni immediate
e misure ferme e adeguate sottolineando degli stessi l’inconfondibile
impronta nazifascista, la provocazione e la violenza connaturate, e
anche la tracotanza delirante.
Intendiamoci, le parole, anzi il programma di questi crani rasati è
non solo condannabile politicamente e moralmente, ma è gravemente
offensivo della stessa storia nella misura in cui mettere in dubbio i
sei milioni di ebrei sterminati da Hitler rivela un vero e proprio
delirio razzista che si arrampica sui vetri per non accettare quello che
è, sic et simpliciter, un fatto della storia. Mostruoso. Più unico che
raro. Vero.
Eppure, da questa apparizione sui teleschermi grazie alla ripresa da
loro stessi effettuata del capo che parlava con tanto di foglietto in
mano, ci proviene un qualcosa fra righe, una novità nel modo, nel mood,
una specie di lezione, di messaggio subliminale che sollecita qualche
riflessione a chiunque segua lo spettacolo quotidiano di talk-show
rissosi, urlanti, col vezzo del patibolo anticasta e antipolitica,
dell’insulto fra politici in una instancabile gara nel delegittimarsi
reciprocamente, e i risultati nelle urne li vediamo e li vedremo,
eccome. Al di là delle reazioni ex post Como, con l’allarme nazifascista
incorporato. Il messaggio subliminale, dunque. C’è ed è ravvisabile
proprio nella sequenza suddetta, in quello che chiamiamo spot, in chi lo
rappresentava e nella platea degli ascoltatori, sia pure forzati.
Questi ultimi, per tutta la durata del discorso/annuncio, erano
certamente stupiti per l’irruzione non prevista, ma dalle riprese
dell’operatore degli stessi skinheads apparivano attenti, silenti,
curiosi. Come tutti noi fruitori, ma dopo.
E lui, il messaggero con tanto di discorso preparato e letto con
cura? Era tranquillo, a suo agio, pacato, con l’eloquio niente affatto
imitante Lui, del resto inimitabile, ben scandente i punti per dir così
programmatici, dall’inizio alla fine. La novità, la (chiamiamola così)
lezione? Consiste in una sorta di arrovesciamento della prassi, in una
versione capovolta del fascismo/squadrismo tradizionale e dello stile
del Duce al balcone, in una versione del tutto riveduta, corretta e
aggiornata. Fascismo in doppiopetto? Ma al tempo stesso, se vogliamo
parlare di lezione, sia pure forzata e teorica, l’irruzione comasca e il
messaggio erano, sono, il rovescio non soltanto di una tradizione che
vede nei fascisti rompitutto urlanti ed estremisti i soliti violenti
antidemocratici, ma un’offerta in tv di un rifiuto di quell’altro stile
cui siamo abituati nei talk-show divenuti, chi più chi meno, e proprio
loro, i più aderenti, i più imitatori, i più simili, per certi versi, a
quel mood, anche quando ne deprecano a serate alterne i pericoli e la
storia. Per questo “quelli di Como” fanno discutere. E forse fanno anche
più paura.