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Non smettete mai di protestare; non smettete mai di dissentire, di porvi domande, di mettere in discussione l’autorità, i luoghi comuni, i dogmi. Non esiste la verità assoluta. Non smettete di pensare. Siate voci fuori dal coro. Un uomo che non dissente è un seme che non crescerà mai.

(Bertrand Russell)

01/04/17

Legittima difesa: anche da giustizia dannosa


 


Si discute (magari si fa per dire) alla Camera dei deputati su di una seconda (dopo quella del 2006) riforma delle norme sulla legittima difesa. Non sembra che le cose si mettano proprio bene.
È bastata l’assenza di alcuni deputati in Commissione Giustizia per vanificare la possibilità di un testo ragionevole e concludente, che un’inconsueta ragionevolezza dei deputati grillini avrebbe potuto consentire. È passato un emendamento del Partito Democratico che definirei tipicamente democristiano: tale cioè da far sì che le parole servano a non dire piuttosto che a fare chiarezza. La chiarezza, del resto, è ciò che chiaramente manca in questa pur non necessariamente spinosa questione. Manca nella legge e, soprattutto, nelle prassi giurisprudenziali attuali e pure nelle idee di riformatori un po’ improvvisati, nei giornali e infine (ed è la mancanza più significativa) tra la gente.
Intanto il dibattito nel Paese non è tanto e, purtroppo, solo teorico. Così di persone aggredite che hanno reagito e che sono oggetto di procedimenti penali, si succedono ad altre, purtroppo non infrequentemente e si apprestano processi, magari solo disciplinari persino per qualcuno che, avendo subìto una minaccia di aggressione, pare abbia commesso un eccesso colposo di manifestazione di opinione sulla legittima difesa. Parlo, ovviamente, del caso del giudice Mascolo, di Treviso. Molte sciocchezze, inevitabilmente, sono state dette e molti evitabili eccessi affiorano in tali discussioni. Meno però del solito. Segno che la gente ha della questione un’idea e un’informazione forse migliore di quella dei legislatori e, soprattutto, dei magistrati che professionalmente se ne occupano.
Un argomento, solo formalmente, e quindi apparentemente fuori luogo nel dibattito specifico sulla riforma dell’articolo 52 del codice penale, mi pare che sia emerso, degno invece non solo di essere apprezzato ma fondamentale per quella realtà delle cose di cui le leggi sempre dovrebbero tener conto e assai spesso non lo fanno. Viene spesso sottolineata la penosa vicenda di chi, aggredito, abbia reagito ferendo o uccidendo l’aggressore e sia stato subito “indagato” per “eccesso colposo di legittima difesa”, quando non di lesioni o di omicidi volontari. E della conclusione di tali procedimenti spesso, magari, di assoluzione, che giunge dopo una trafila di mesi e di anni, con vicende alterne, patemi d’animo, spese. Guai, insomma, che si aggiungono a quello di una patita rapina, di un furto in casa, e che fanno desiderare alla vittima di non essersi avvalso del diritto di difendersi anche quando, tardivamente, gli è riconosciuto.
Credo che questo tutto sommato sia, al di là di molte sciocchezze e di molte altre argomentazioni giuste e ragionevoli, il punto centrale nella realtà della questione. Il punto dolente in cui non potrà certo porsi rimedio con una diversa formulazione, pur auspicabile, dell’articolo 52 del codice penale. Quando la legge penale parla di aggressore e di aggredito trascura infatti (né la legge penale vera e propria potrebbe non trascurarlo) quell’aggressore che, purtroppo, è sempre sulla strada del cittadino italiano: quello della “malagiustizia”. Che, nella specie, si concreta nella distorta e frenetica applicazione del principio della obbligatorietà dell’azione penale. Casi di rapinatori respinti a pistolettate da un gioielliere o di ladri notturni che ci lasciano la pelle in casa di un pensionato indomito sono cosa ghiotta per un Sostituto procuratore. Il quale non sarà mai disposto a chiuderli prima ancora che si aprano, per il solo fatto che a sparare sia stato un cittadino che manifestamente intendeva difendere la propria vita, quella dei suoi cari e per i suoi, magari, scarsi beni.
La gente guarda la televisione e vede nei film western il cow-boy che, più rapido ad “estrarre”, cioè ad impugnare la colt, fa secco il cattivo che ha fatto il gesto di fare altrettanto e dice “legittima difesa” allo sceriffo che assiste alla scena e che, convinto di ciò, si limita a chiamare il beccamorto che vada a seppellire l’imprudente tipaccio nel “cimitero degli stivali”.
Certo, non siamo nel vecchio west ed è augurabile che non ci si finisca. Ma sentir dire che “il Pm fa il suo mestiere ad incriminare quello che non ci ha rimesso la pelle: sarà poi un giudice terzo a dire se c’è stata legittima difesa”, è cosa addirittura rivoltante. Perché significa non solo mettere in dubbio pressoché automaticamente la “legittimità”, ma anche e sicuramente a vanificare una vera e integrale difesa. Perché l’aggredito sarà sfuggito a una pallottola o a una coltellata dell’assalitore, avrà conservato l’incolumità dei suoi e il possesso delle, magari, magre sostanze, ma viene così a subire un’altra aggressione: quella di un processo che, come diceva Francesco Carnelutti, “è pena”.
Una penosa Via Crucis di interrogatori, di avvocati, di parcelle, di periti e di perizie, di giornali e di giornalisti, da cui nessuno in nessun caso potrà difenderlo o risarcirlo. Ecco dunque che, nella “Patria del Diritto” che è pure la patria di una giurisdizione invadente, zoppicante e incontrollata, di una giustizia lenta e, magari, approssimativa e arbitraria, la legittima difesa non ha diritto di piena e operante cittadinanza. E pare che non vi sia Pontefice che voglia predicare l’“accoglienza” di una giustizia giusta a misura del cittadino e non del magistrato, di fronte alla quale pare che le nostre frontiere siano invalicabili.

di Mauro Mellini - 01 aprile 2017

fonte: http://www.opinione.it

Libia: al-Sarraj in caduta libera anche sul fronte petrolifero



Fayez Mustafa al-Sarraj, Chairman of the Presidential Council of Libya and prime minister of the Government of National Accord of Libya, speaks during the High-level plenary meeting on addressing large movements of refugees and migrants in the Trusteeship Council Chamber during the 71st session of the United Nations in New York September 19, 2016.
A summit to address the biggest refugee crisis since World War II opens at the United Nations on Monday, overshadowed by the ongoing war in Syria and faltering US-Russian efforts to halt the fighting. World leaders will adopt a political declaration at the first-ever summit on refugees and migrants that human rights groups have already dismissed as falling short of the needed international response.
 / AFP PHOTO / TIMOTHY A. CLARY


Abbandonato dalle principali tribù, il premier libico riconosciuto dalla comunità internazionale Fayez al-Sarraj e il suo governo di unità nazionale (GNA) sono in difficoltà anche con la Compagnia petrolifera nazionale (NOC) che tiene i cordoni della borsa degli incassi dall’export di greggio, attualmente unica fonte lecita di valuta della Libia.
Mustafa Sanalla presidente della NOC, ha criticato il GNA per aver deciso di chiudere il ministero del petrolio e aver tagliato la produzione, in quello che ritiene un abuso di giurisdizione ai danni della NOC. Sanalla ha dichiarato che al-Sarraj sta “oltrepassando la sua autorità”, riferendosi al recente provvedimento governativo che assegna al primo ministro (cioè a sè stesso) – e non a Sanalla – la gestione dei contratti, degli investimenti, dei progetti e dell’offerta petrolifera, lasciando al NOC solo un ruolo di esecutore dei piani governativi.
Il capo della NOC ha chiesto ufficialmente di ritirare il provvedimento con cui al-Sarraj ha cercato di incassare direttamente proventi dell’export di greggio che attualmente la NIC gestisce dai terminal posti sotto il controllo delle truppe di Haftar nella cosiddetta “Mezzaluna petroliera”
Del resto Sanalla è considerato un personaggio super partes, che gode del rispetto di tutte le parti in conflitto e che ha lavorato molto in questi mesi per attrarre nuovamente la fiducia degli investitori internazionali. Il tentativo di esautorarlo non si è rivelato un buon affare per al-Sarraj, ormai sempre più isolato.
Non a caso a sostegno di Sanalla si sono espressi i cinque ambasciatori dei Paesi con seggio permanente al Consiglio di Sicurezza Onu, dichiarando congiuntamente che “l’infrastruttura petrolifera, la produzione e i ricavi da esportazione appartengono al popolo libico e devono rimanere sotto l’amministrazione della NOC. Gli ambasciatori ritengono che l’appropriazione politica della compagnia petrolifera nazionale sia un ostacolo alla pacificazione del Paese.
Di fatto ormai l’uomo su cui conta Roma per stabilizzare la Libia e fermare i flussi di immigrati illegali verso l’Italia non sembra godere più neppure dell’appoggio delle Nazioni Unite che avevano creato il suo governo.

Foto Askanews

di redazione 31 marzo 2017

fonte: http://www.analisidifesa.it


29/03/17

Berlino vuole imporre, a suon di multe, la dittatura del politically correct


hatespeech-W



Il ministro della Giustizia tedesco ha proposto la scorsa settimana una legge che potrebbe costringere Facebook e gli altri social network a pagare multe salate se non riuscissero a “estirpare” dai loro siti la piaga degli “hate speech”, i discorsi di incitamento all’odio.
Il ministro, il socialdemocratico Heiko Maas, ha duramente criticato le iniziative di Facebook per reprimere i post e i commenti xenofobi e razzisti spiegando che le nuove misure prevedono, contro i social responsabili, ammende di un massimo di 50 milioni di euro.
Maas ha poi sottolineato che la proposta di legge, che avrebbe ancora bisogno dell’approvazione del consiglio dei ministri della Cancelliera Angela Merkel e poi del parlamento, arriva dopo alcuni mesi in cui la compagnie sono state autorizzate ad assumere iniziative volontarie.
“Queste si sono rivelate insufficienti e i post non sono rimossi abbastanza rapidamente”, ha detto Maas ai giornalisti, citando i dati forniti su internet dall’organo di controllo jugendschutz.net.
Insomma, per il governo tedesco la “censura” interna praticata dai social network non è abbastanza incisiva né veloce e non riesce a impedire la diffusione di commenti, notizie e opinioni “non allineate”, cioè politcamente scorrette.
L’aspetto più grottesco è che sarà lo Stato tedesco a decidere cosa è “incitamento all’odio” e cosa non lo è: un nuovo “grande fratello” orwelliano che minaccia quelle libertà di espressione e opinione che sono state negli ultimi 70 anni alla base dell’Occidente e dell’Europa.
Tanto per chiarirci le idee: in Germania, Olanda o altri Paesi dell’Europa Occidentale viene tollerata l’applicazione della sharia presso molte comunità islamiche, imam salafiti predicano liberamente jihad, rogo per i gay e stupro per le donne che “mostrano il loro corpo e si profumano” senza aver mai subito processi o censure mentre chi osa criticare simili barbarie rischia l’accusa di “islamofobia”.
Curiosamente, circa 80 anni or sono, fu ancora una volta la Germania (nazista) a varare il più ampio programma di censura e repressione del dissenso mai visto nella storia d’Europa ed eguagliato solo dall’analogo sistema comunista sovietico.
Certo allora era più facile il lavoro del censore, non esistevano i social network, ma il principio di vietare ogni forma di espressione che dissenta dal “sistema vigente” pare ancor oggi ben saldo a nord delle Alpi.

Vignetta: Prezi.com
26 marzo 2017 - di


ITALIA PAESE SENZA GIUSTIZIA ?







Angelo Mascolo magistrato coraggioso ma non basta. Finalmente un giudice dice come vanno (male) le cose e la giustizia in Italia ma ora rischia il trasferimento. Nella lettera scrisse: "lo Stato non c'è, d'ora in poi giro armato"  
 
 
 
 

L'ITALIA E' UN PAESE SENZA GIUSTIZIA ?
Noi, quando potremo finalmente dire: l’Italia s’è desta?"La lettera del giudice di Treviso Angelo Mascolo


 
 

Angelo Mascolo magistrato coraggioso ma non basta. Finalmente un giudice dice come vanno (male) le cose e la giustizia in Italia ma ora rischia il trasferimento. Nella lettera scrisse: "lo Stato non c'è, d'ora in poi giro armato". "Il problema della legittima difesa è un problema di secondo grado, come quello di asciugare l’acqua quando si rompono le tubature. Il vero problema sono le tubature e, cioè, che lo Stato ha perso completamente e totalmente il controllo del territorio". Il Consiglio superiore della magistratura, dopo una nota ricevuta dal procuratore generale di Venezia, ha autorizzato la verifica se sussistano o meno i presupposti per avviare una procedura di trasferimento d'ufficio del dottor Angelo Mascolo.
 
UNA LETTERA CORAGGIOSA E REALISTICA :
 
"Qualche sera fa, tornando da una cena, ho avuto la cattiva idea di sorpassare una Bmw. Qualcuno a bordo si è offeso, ed è cominciato un inseguimento a colpi di fari abbaglianti e di preoccupanti avvicinamenti. Direte voi: finalmente capita a un giudice la rogna! Non fino in fondo, però, perché fortuna ha voluto che raggiungessi una pattuglia di Carabinieri, che segnalassi loro i miei inseguitori e che questi, bloccati, venissero a buoni consigli, dicendo che “abbiamo seguito il signore per esprimere le nostre critiche sul suo modo di guidare”. Pensa te.
Qui si pone un problema: se fossi stato armato, come è mio diritto e come sarò d’ora in poi, che sarebbe successo se, senza l’intervento dei Carabinieri, le due facce proibite a bordo della Bmw mi avessero fermato e aggredito, come chiaramente volevano fare? Se avessi sparato avrei subito l’iradiddio dei processi - eccesso di difesa, la vita umana è sacra e via discorrendo- da parte di miei colleghi che giudicano a freddo e difficilmente – ed è qui il grave errore - tenendo conto dei gravissimi stress di certi momenti.
Concludendo, per bene che mi fosse andata, sarei andato incontro quantomeno alla rovina economica per le spese di avvocato: mistero dei misteri è perché non debbano essere rifuse dallo Stato le spese ai processati innocenti: un fatto che non capirò mai. Forse perché, come dice qualcuno, gli imputati non sono mai innocenti. Mah! Ma il problema della legittima difesa è un problema di secondo grado, come quello di asciugare l’acqua quando si rompono le tubature. Il vero problema sono le tubature e, cioè, che lo Stato ha perso completamente e totalmente il controllo del territorio, nel quale, a qualunque latitudine, scorazzano impunemente delinquenti di tutti i colori, nonostante gli sforzi eroici di poliziotti anziani (a Treviso l’età media è di 49 anni), mal pagati e meno ancora motivati dall’alto e, diciamolo pure, anche dallo scarso rigore della Magistratura.
 
La severità nei confronti di questi gentiluomini - e gentildonne se no mi danno del sessista - è diventata, a dir poco, disdicevole, tante sono le leggi e le leggine che provvedono a tutelarli per il processo e per la detenzione e che ti fanno, talvolta, pensare: ma cosa lavoro a fare? E, in effetti, il lavoro di un giudice penale è, oggi, paragonabile a quello del soldato al quale, per tenerlo calmo, fanno scavare un buco e poi riempirlo. Severità, forza: argomenti obsoleti. Pascal, non Ivan il Terribile, disse che la legge, senza forza, è impotente. Se non ci fosse stata la forza, come sarebbe avvenuta la Rivoluzione Francese, pietra miliare della civiltà vera, quella occidentale e non quella dei cammellieri? Offrendo cioccolatini a Maria Antonietta? E Hitler lo avrebbero fermato le gentili parole di Chamberlain e Deladier? Il che vuol dire che, quando ci vuole, ci vuole. Ne deriva che, a parte casi di persone – esistono, incredibilmente, anche loro, questi cuori candidi- che ci credono veramente, coloro che proclamano che il nemico, e Dio sa se ne abbiamo e quali stiano bussando alle nostre inermi porte, può essere fermato con la bontà e l’offerta di pace, sono pavidi o renitenti alla leva, e Dio sa se l’Italia non è patria di queste categorie di soggetti. Golda Meir, che qualcuno definì unico uomo nel governo di Israele, dopo i fatti di Monaco ’72 disse che ci sono dei momenti in cui uno Stato deve venire a compromessi coi suoi valori e fece inseguire e uccidere uno per uno gli attentatori. Attentatori che oggi, a parte episodi sporadici, guarda un po’, girano alla larga da Israele. E noi, quando potremo finalmente dire: l’Italia s’è desta?" 
 
Angelo Mascolo
 
 In redazione il 29 Marzo 2017

28/03/17

Elezioni Presidenziali Francesi: "Macron, vincitore annunciato ma debole"


 


Emmanuel Macron o Marine Le Pen? A meno di un mese dalle elezioni presidenziali francesi, con il primo turno fissato al 23 aprile e il ballottaggio al 7 maggio, la sfida finale pare essere un affare a due, tra la leader del Front National (Fn) e l’uomo della finanza internazionale. François Fillon, il candidato dei Repubblicani, sembra ormai fuori gioco, così come i rappresentanti delle varie formazioni della sinistra. Al ballottaggio, dunque, sarebbero esclusi proprio i candidati di quelli che erano i due maggiori partiti di Francia, i socialisti e i repubblicani eredi (solo di facciata) di un gollismo che in realtà era tutt’altra cosa.
I sondaggi indicano un testa-a-testa tra Le Pen e Macron al primo turno, con il netto successo dell’uomo ex Rothschild al ballottaggio. Ma se anche i pronostici venissero confermati, per Macron non si prospettano tempi facili. Perché a giugno i francesi saranno chiamati nuovamente alle urne, per le elezioni legislative. E se il Fn reggerà l’urto di una sconfitta alle presidenziali, alle politiche farà il pieno di voti e di seggi. Mentre “l’uomo dei Rothschild” avrà maggiori difficoltà proprio perché espressione della finanza e privo di un partito organizzato. Le legislative potrebbero premiare anche i repubblicani a prescindere da Fillon. E, a quel punto, la “destra presentabile” potrebbe finalmente mettere da parte la pregiudiziale anti-Fn per decidere di fare una vera opposizione al nuovo presidente. È vero che la Francia è una repubblica presidenziale, ma un Parlamento non in linea con Macron avrebbe comunque la possibilità di ostacolare la politica dell’Eliseo.
Non solo sul fronte interno, ma anche su quello internazionale. Le Pen e Fillon avevano in comune la simpatia per Vladimir Putin e la Russia. Macron è molto più freddo nei confronti di Mosca. Punterà a ripristinare l’asse con Berlino, a prescindere da chi vincerà le elezioni in Germania. D’altronde, Parigi avrà sempre più bisogno di un sostegno tedesco anche in sede di Unione europea. Perché i bilanci francesi non sono per nulla in regola ed occorre che l’Europa continui a chiudere gli occhi. Così come ha fatto sino ad ora, per evitare che eventuali sanzioni si trasformassero in un assist per Marine Le Pen. D’altronde il tifo per Macron da parte delle istituzioni europee è smaccato. In Francia sono intervenuti i giudici per bloccare la corsa di Fillon, a Bruxelles è intervenuto il voto dell’assemblea per togliere l’immunità alla Le Pen, colpevole di aver mostrato ai francesi le immagini girate dai tagliagole dell’Isis. Incapaci di fronteggiare i terroristi, attaccano chi mostra i crimini dell’Isis.
D’altronde anche la finanza, francese ed internazionale, è schierata con Macron. Con le banche che hanno negato a Marine Le Pen i finanziamenti per la campagna elettorale mentre l’associazione degli industriali ha già chiarito che sarà contro il Fn, accusato di essere troppo “socialista”. Ma se è chiaro il ruolo che Macron vuole svolgere in Europa – contro i populisti, contro i sovranisti, perfettamente allineato a banchieri ed euroburocrati – è ancor più chiara la ricetta che ha in mente per la Francia. Massicce dosi di liberismo, precarietà assoluta per i lavoratori. E nessun intervento per frenare l’immigrazione. Perché quello che Marx definiva come “esercito industriale di riserva” è indispensabile per abbattere i salari e ridurre i diritti dei lavoratori francesi.
Una corsa al ribasso che potrebbe avere conseguenze drammatiche in tutta Europa. La Francia aumenterebbe la competitività nei confronti degli altri Paesi, obbligandoli ad adeguarsi e ad inseguire Parigi sul fronte dei tagli salariali e delle condizioni di lavoro. Ma una corsa a perdere, perché si ridurrebbe drasticamente il mercato interno di ogni Paese in seguito all’aumento della povertà generale. La Grecia è il simbolo del fallimento di queste politiche. Questo, però, non interessa alla grande finanza ed al grande capitale che controlla gli organi di informazione che sostengono Macron. L’instabilità politica che si prospetta nell’Esagono dopo le legislative rischia, però, di ostacolare i piani del probabile futuro presidente e dei suoi sostenitori. Anche perché i francesi hanno più volte dimostrato di essere capaci di grandi mobilitazioni di piazza. Molto dipenderà dall’atteggiamento dei repubblicani, a seconda se sceglieranno l’opposizione ferma o se prevarrà ancora una volta la pregiudiziale anti Le Pen.


di Alessandro Grandi (*) - 28 marzo 2017

(*) Think tank di geopolitica “Il Nodo di Gordio

27/03/17

IMMIGRAZIONE: "Se il «diritto di immigrare» diventa l’assurda barzelletta dell’emergenza rifugiati !


Che senso ha arricchire l’Isis e i trafficanti di schiavi, far spendere al nostro paese migliaia e migliaia di euro in soccorso? C’è urgenza di coniugare carità e ragione


migranti-profughi-ansa


Francesco viene a Milano. E si è fatto precedere da un breve articolo scritto per un numero speciale di Avvenire distribuito nelle parrocchie. È di grande forza. Come dice il cardinal Scola il metodo di questo Papa è «prima fare, poi parlare». La carità e la misericordia in azione dicono di Cristo e del Vangelo più che cento proclamazioni, senz’anima e senza decisione di testimonianza, di “Signore, Signore!”. Egli affronta anche il tema della povertà, in quel breve scritto, e mostra che la chiave per soccorrere i bisogni è anzitutto l’imparare da chi la patisce: una fraternità operosa caratterizza i quartieri “difficili” assai più delle zone residenziali privilegiate. Nelle periferie di Buenos Aires – ricorda – c’è meno solitudine, le famiglie si aiutano tra loro. Mi piace molto questo richiamo. Noi ci apparteniamo reciprocamente. Scartare qualcuno vuol dire amputare una parte di noi stessi. Vale anche per gli immigrati, che sono tra noi.
Il Pontefice scrive: chi viene da guerre e fame ha «il diritto di immigrare». E noi il dovere di accogliere quanti «possono» essere ospitati e integrati. Scrive proprio così: «Possono». Questa insistenza non è una fissazione politica, ma nasce da uno sguardo amoroso. Dice che è bene non affrontare la questione con manuali di sociologia – che pure possono essere utili – ma bisogna «toccare» queste persone. Lo aveva già consigliato a proposito dei senzatetto. La monetina non è l’essenziale: aiutate ma stringendo la mano, è la mano di un uomo. Come insegna Madre Teresa di Calcutta: è Cristo tra noi, che ha bisogno, ma pure noi di lui.
Ho conosciuto una giovane avvocata (si dice, si dice: anche nella Salve Regina si usa questa declinazione femminile) che dedica gran parte delle sue energie a curare i ricorsi di quegli immigrati cui viene negato lo statuto di rifugiato. Non ci guadagna nulla. Lo Stato dovrebbe pagare ma non lo fa. Non è questo il punto. Il fatto è che incontrando queste persone, ascoltando le loro storie, è cresciuta, si è arricchita. Ha imparato chi davvero ha diritto e chi invece parte per star meglio, legittimamente ci prova, ma forse non sarebbe nostro dovere privilegiarlo rispetto a chi ha più bisogno e neppure riesce a spostarsi dalla carestia o dai rastrellamenti. È odioso fare graduatorie, ma mi ha raccontato questa storia significativa. La sintetizzo.
Sud della Nigeria. Lì i cristiani non sono perseguitati. Non c’è uno stato di guerra conclamata. Succede questo. I pullman che partono dalla Nigeria sono offerti a prezzi altissimi, ma con la garanzia del soccorso di navi italiane o di onlus umanitarie al momento opportuno. Il rischio della traversata marittima non c’è più, dicono. Chi parte non sono i più poveri, ma coloro che possono fare un investimento su un figlio. Borghesia piccola e media. Ma ci sono anche casi orrendi. C’è chi è davvero disperato. E allora la famiglia fa un contratto a debito. Dovrà versare 7-8 dollari in un anno. In caso contrario: espianto di organi di uno o più familiari rimasti in patria, oppure vendetta sulla ragazza costretta a prostituirsi o introduzione del giovane nello spaccio!

L’esca del “pocket money”
C’è un ragazzo che invece è arrivato con i debiti pagati. Costi esorbitanti, ovvio. Ma ora è qui. Non gli è stato riconosciuto lo statuto di rifugiato, per le ragioni anzidette. È stato attratto da una formula fatta apposta per incitare alla partenza: “pocket money”. Sono i soldi garantiti a chi arriva oltre l’alloggio. Questa dizione scritta così nei regolamenti italiani (!) è usata dai procacciatori di profughi presunti per convincere le famiglie ad affidargli un ragazzo o anche un minore. Che succede a un ragazzo cristiano del Sud della Nigeria arrivato in Italia? Gli hanno respinto come detto la richiesta di asilo, dopo due anni. Ha fatto ricorso grazie alla mia amica. Dunque ha un permesso temporaneo di soggiorno. È morto il padre a casa. Dolore, lutto. I fratelli gli dicono che non può essere seppellito senza la sua presenza. Che fa allora? Compra un biglietto aereo di andata e ritorno. Con il pocket money e un po’ di elemosina, se l’è cavata. È tornato.
Ora: che senso ha arricchire l’Isis e i trafficanti di schiavi, far spendere al nostro paese migliaia e migliaia di euro in soccorso? Non è tutta una assurda barzelletta? Non converrebbe razionalizzare? Da papa Benedetto abbiamo imparato che fede e ragione marciano una accanto all’altra, sono sorelle. Io credo che anche carità e ragione potrebbero lavorare insieme.

marzo 27, 2017Renato Farina
 

La Ue riparte (a parole) dalla sicurezza delle frontiere

In a handout picture released by the British Ministry of Defence (MOD) via their Defence News Imagery website on May 28, 2015 hundreds of migrants in a wooden-hulled ship are seen wearing lifejackets provided by Royal Navy personnel from British Royal Navy Albion-class assault ship HMS Bulwark (background) during a rescue mission in the Mediterranean Sea just north of the coast of Libya on May 28, 2015. Royal Navy personnel from HMS Bulwark were involved in an international rescue of hundreds of migrants from their stricken craft in the Central Mediterranean. 369 migrants crammed into a heavily overcrowded boat just north of Libya were led to safety from their stricken boat to landing craft from HMS Bulwark that have been converted into rescue boats loaded with lifejackets, medical facilities and emergency supplies. RESTRICTED TO EDITORIAL USE - MANDATORY CREDIT  " AFP PHOTO / ROYAL NAVY / MOD / CROWN COPYRIGHT 2015 / ET WE(CIS) LOUISE GEORGE "  -  NO MARKETING NO ADVERTISING CAMPAIGNS   -   DISTRIBUTED AS A SERVICE TO CLIENTS  -  NO ARCHIVE - TO BE USED WITHIN 2 DAYS (48 HOURS) FROM MAY 28, 2015, EXCEPT FOR MAGAZINES WHICH CAN PRINT THE PICTURE WHEN FIRST REPORTING ON THE EVENT


da Il Mattino del 26 marzo (titolo origunale “Frontiere, il rischio viene dalla Turchia”)

L’Unione europea tenta il rilancio con la “Dichiarazione di Roma” ed è significativo che il primo dei quattro punti programmatici enunciati sia dedicato alla sicurezza e all’immigrazione. Una rilevanza che sembra confermare la consapevolezza che la crisi di consensi della Ue è stata determinata negli ultimi anni anche dalla sua palese incapacità di affrontare la minaccia dei flussi migratori illegali su vasta scala, dalla rotta libica come da quella balcanica.
Un’emergenza che ha avuto un impatto consistente, aumentandone il numero, anche sui voti raccolti dal Brexit che ha determinato, dopo le tante nuove adesioni, il primo caso di uno Stato membro che decide di lasciare la Ue.
Il testo del primo punto della Dichiarazione di Roma definisce gli obiettivi per un ‘Europa sicura.
“Un’Unione in cui tutti i cittadini si sentano sicuri e possano spostarsi liberamente, in cui le frontiere esterne siano protette, con una politica migratoria efficace, responsabile e sostenibile, nel rispetto delle norme internazionali; un’Europa determinata a combattere il terrorismo e la criminalità organizzata”.
La Ue sembra quindi ribadire il valore degli accordi di Schengen sulla libertà di movimento all’interno dell’Unione, messo a repentaglio proprio dai flussi migratori illegali che hanno indotto molti Stati membri a “barricare” le proprie frontiere o anche solo a ripristinarvi ferrei controlli.
Un obiettivo perseguibile però solo se le frontiere esterne verranno protette: l’impegno assunto in tal senso dai leader dei 27 Stati membri e dal Consiglio europeo, dal Parlamento e dalla Commissione europei, avrà quindi un senso solo se verrà varato un giro di vite nei confronti di migranti illegali e trafficanti.
Proteggere le frontiere esterne dell’Europa significa concretamente fermare i flussi illeciti con respingimenti in Libia e Turchia (dove nonostante gli accordi raggiunti il presidente Recep Tayyp Erdogan minaccia di riaprire i confini a tre milioni di migranti) ed espulsioni nei Paesi d’origine di coloro che sono già arrivati in Europa ma non hanno titolo per ottenere nessuna forma di asilo.
Più sibillino il richiamo a “una politica migratoria efficace, responsabile e sostenibile, nel rispetto delle norme internazionali”.
Pare evidente infatti che un’immigrazione siffatta può essere solo quella legale, scelta invece che subita dagli Stati europei, non certo indotta dagli umori di Ankara o dal business dei trafficanti libici legati alle organizzazioni terroristiche islamiche.

_89217586_89217582Del resto le “norme internazionali” a cui si richiama la Dichiarazione di Roma sono rappresentate dalla Convenzione di Ginevra sui Rifugiati del 1951, in base alla quale nessuno di coloro che ha raggiunto l’Europa via Libia e Turchia avrebbe diritto all’asilo.
Neppure chi fugge dalla guerra (categoria quasi inesistente tra i migranti che arrivano in Italia dalle coste libiche) ha infatti il diritto di rivolgersi a organizzazioni criminali per attraversare numerose frontiere e raggiungere il Paese europeo prescelto. La Convenzione precisa infatti che vanno accolti colori che fuggono direttamente dal Paese in cui la loro vita è in pericolo. USA, Gran Bretagna, Canada e altri Stati accolgono i rifugiati siriani che hanno fatto domanda di asilo dai campi profughi siti nei confinanti Libano, Turchia e Giordania; solo l’Europa accoglie chi si rivolge al crimine organizzato.
Per mantenere l’impegno assunto con la Dichiarazione di Roma del 25 marzo la Ue dovrà quindi cambiare radicalmente atteggiamento cessando di accogliere chiunque paghi i trafficanti verificando solo successivamente (e quando possibile) chi ha fatto entrare. Ne sarà capace?
Il documento sottolinea la volontà di combattere “il terrorismo e la criminalità organizzata” ma per farlo concretamente sul fronte dell’immigrazione occorre impedire che le flotte militari europee e le navi delle organizzazioni non governative continuino ad arricchire i trafficanti imbarcando migranti illegali appena fuori dalle acque libiche (e spesso anche al oro interno) per poi sbarcarli in Italia.
Mantenere l’impegno assunto ieri sarà fondamentale per consentire alla Ue di riguadagnare un minimo di consensi e credibilità richiederà determinazione politica e militare, specie ora che gli accordi stipulati con la Turchia e quello bilaterale tra Libia e Italia vengono messi in discussione.

DSC_0248Mentre Erdogan utilizza i migranti come arma di ricatto nel suo braccio di ferro con l’Europa, la Corte di Appello di Tripoli ha annullato l’intesa firmata il 2 febbraio a Roma da Paolo Gentiloni e dal premier Fayez al Serraj.
L’accordo prevedeva che da giugno la Guardia costiera libica, addestrata ed equipaggiata dall’Italia, fermasse barconi e gommoni di migranti per riportarli in campi di raccolti libici assistiti dalla comunità internazionale in vista del loro rimpatrio.
L’intesa aveva già poche speranze di concretizzarsi per il fatto che il governo di al-Sarraj non controlla neppure un lembo di territorio o di costa libica ma ora il suo annullamento lascia l’Italia e la Ue di fronte alla prospettiva di non avere interlocutori affidabili in Libia.

Foto: AP e Marina Militare Italiana

27 marzo 2017 di