Matteo Renzi ha dato il via alla campagna per il Si alla sua controriforma costituzionale. Non è solo per svalutare le elezioni amministrative, che si preannunciano abbastanza tristi per il suo partito, che ha fatto ora questa scelta. Il plebiscito è l'arma finale di tutti i sistemi autoritari, e spesso viene giocato quando il potere è sicuro di vincerlo. Renzi ricorre a questa arma perché è convinto che solo con una investitura plebiscitaria potrà confermare e consolidare il suo potere.
La domanda è: perché Renzi si sente così sicuro? Sulla carta il referendum sulla legge Boschi è perso per lui. Il PD nei sondaggi viaggia attorno al trenta per cento. Anche aggiungendo tutto il mondo centrista, verdiniano, alfaniano, è difficile pensare che lo schieramento politico per il Si superi il quaranta. Tutte le altre forze politiche, sinistra, destra, Cinque Stelle sono contro. Quindi sulla carta non ci sarebbe partita, ma perché invece Renzi punta tutto su di essa? Perché pensa di sgretolare gli schieramenti politici contando sulla spinta conservatrice, dispersa ma sempre esistente, nel paese. Perché Renzi proporrà al popolo italiano di concludere la lunga marcia più che trentennale di distruzione di principi costituzionali con un sistema organicamente autoritario. Il suo vero messaggio sarà questo: volete dare compimento alla controriforma sociale e politica iniziata negli anni 80 o volete, con il No, il salto nel buio? La sua sarà un campagna profondamente reazionaria, che farà appello a tutti gli istinti antidemocratici che covano nel DNA di una parte del popolo italiano. Basta con i partiti, i sindacati, le proteste ed i conflitti, basta con la democrazia, ci vuole ordine.
Questo il suo messaggio vero, quello su cui conta per vincere. Il resto, l'apologia del cambiamento senza chiarirne la direzione, il giovanilismo e il conflitto generazionale al posto dei contrasti sociali e di interesse, la contrapposizione tra nazione sana per il sì e sabotatori per il no, tutto il resto che Renzi presenta come il suo progressismo, è in realtà una facciata ancora più reazionaria dei contenuti reali del suo progetto.
Ne “Il Gattopardo”, il giovane Tancredi allo zio principe di Salina spiega che perché tutto resti come prima, bisogna che tutto cambi. Da D'Annunzio a Mussolini fino ai giorni nostri la più brutale conservazione del potere costituito, quando quest'ultimo rischiava di essere messo in discussione, si è sempre presentata come rivoluzione del nuovo.
Matteo Renzi rientra perfettamente in questa biografia della nazione.
Non c'è nulla di nuovo nella sua controriforma costituzionale. Il centro di essa in realtà non è il cambiamento della Carta, ma la legge ordinaria elettorale. Con l'Italicum il partito di migliore minoranza acquisisce una maggioranza devastante, tutta composta di parlamentari nominati dal capo. Ma non basta avere potere assoluto sul parlamento se non si cambia l'assetto costituzionale. La legge elettorale serve a decidere chi governa, ma la riforma costituzionale gli dà il potere di comandare sul serio. Non c'è niente di nuovo in tutto questo. Da sempre tutte le forze conservatrici e reazionarie in Italia vogliono un capo che faccia il capo senza opposizioni o conflitti che lo disturbino. Lasciatelo lavorare dicevano i fan di Berlusconi nel 1994, ora Renzi realizza i loro desideri.
Non c'è niente di nuovo nella controriforma di Renzi ed è probabile che essa finirebbe nel nulla di altri precedenti tentativi, se a suo favore non giocassero i poteri forti dell'economia e soprattutto il sistema finanziario ed il potere dell’Unione Europea. Questa sarà la carta finale che Renzi giocherà. Se vogliamo che l'Europa ci rispetti, ed a questo scopo lui si diverte ad alzare la voce contro la UE, dobbiamo approvare le riforme. È stato così per la cancellazione dell'articolo 18, un successo renziano che appare anche più grande ora che in Francia il paese è in rivolta contro l'equivalente d'oltralpe del Jobs Act.
Le riforme liberiste e le privatizzazioni sono lo scopo di tutto, per realizzarle e renderle irreversibili serve la controriforma costituzionale. E il primo atto di essa è avvenuto quando ancora il governo attuale non esisteva, con un parlamento, camera e senato, che quasi all'unanimità ha votato la modifica dell'articolo 81. L'obbligo costituzionale del pareggio di bilancio, introdotto come applicazione del fiscal compact nei mesi della massima pressione dello spread, ha già stravolto il significato sociale della Costituzione del 1948.
Allora la stampa conservatrice britannica commentò che con quella decisione Keynes veniva messo fuorilegge. Poco tempo dopo la Banca Morgan chiedeva di mettere definitivamente in soffitta le costituzioni antifasciste europee, ostacolo istituzionale alle riforme liberiste. Ora la legge Boschi e l'Italicum realizzano l'opera, istituzionalizzando il sistema di potere che deve distruggere ciò che resta dello stato sociale. Se misuriamo trenta anni di discesa verso le diseguaglianze sociali, mentre passo dopo passo la nostra democrazia veniva sottomessa ai diktat della Troika, delle banche, della finanza, se pensiamo a tutto questo il Si ratifica la continuità, il No apre la via al cambiamento.
La controriforma costituzionale si sconfigge se si chiarisce il suo scopo autoritario e socialmente reazionario. Accettiamo la sfida di Renzi e proviamo a vincerla.
di Giorgio Cremaschi (4 maggio 2016)