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Non smettete mai di protestare; non smettete mai di dissentire, di porvi domande, di mettere in discussione l’autorità, i luoghi comuni, i dogmi. Non esiste la verità assoluta. Non smettete di pensare. Siate voci fuori dal coro. Un uomo che non dissente è un seme che non crescerà mai.

(Bertrand Russell)

21/05/16

Solo il no alla riforma di Renzi è cambiamento





Matteo Renzi ha dato il via alla campagna per il Si alla sua controriforma costituzionale. Non è solo per svalutare le elezioni amministrative, che si preannunciano abbastanza tristi per il suo partito, che ha fatto ora questa scelta. Il plebiscito è l'arma finale di tutti i sistemi autoritari, e spesso viene giocato quando il potere è sicuro di vincerlo. Renzi ricorre a questa arma perché è convinto che solo con una investitura plebiscitaria potrà confermare e consolidare il suo potere.

La domanda è: perché Renzi si sente così sicuro? Sulla carta il referendum sulla legge Boschi è perso per lui. Il PD nei sondaggi viaggia attorno al trenta per cento. Anche aggiungendo tutto il mondo centrista, verdiniano, alfaniano, è difficile pensare che lo schieramento politico per il Si superi il quaranta. Tutte le altre forze politiche, sinistra, destra, Cinque Stelle sono contro. Quindi sulla carta non ci sarebbe partita, ma perché invece Renzi punta tutto su di essa? Perché pensa di sgretolare gli schieramenti politici contando sulla spinta conservatrice, dispersa ma sempre esistente, nel paese. Perché Renzi proporrà al popolo italiano di concludere la lunga marcia più che trentennale di distruzione di principi costituzionali con un sistema organicamente autoritario. Il suo vero messaggio sarà questo: volete dare compimento alla controriforma sociale e politica iniziata negli anni 80 o volete, con il No, il salto nel buio? La sua sarà un campagna profondamente reazionaria, che farà appello a tutti gli istinti antidemocratici che covano nel DNA di una parte del popolo italiano. Basta con i partiti, i sindacati, le proteste ed i conflitti, basta con la democrazia, ci vuole ordine.

Questo il suo messaggio vero, quello su cui conta per vincere. Il resto, l'apologia del cambiamento senza chiarirne la direzione, il giovanilismo e il conflitto generazionale al posto dei contrasti sociali e di interesse, la contrapposizione tra nazione sana per il sì e sabotatori per il no, tutto il resto che Renzi presenta come il suo progressismo, è in realtà una facciata ancora più reazionaria dei contenuti reali del suo progetto.

Ne “Il Gattopardo”, il giovane Tancredi allo zio principe di Salina spiega che perché tutto resti come prima, bisogna che tutto cambi. Da D'Annunzio a Mussolini fino ai giorni nostri la più brutale conservazione del potere costituito, quando quest'ultimo rischiava di essere messo in discussione, si è sempre presentata come rivoluzione del nuovo.
Matteo Renzi rientra perfettamente in questa biografia della nazione.

Non c'è nulla di nuovo nella sua controriforma costituzionale. Il centro di essa in realtà non è il cambiamento della Carta, ma la legge ordinaria elettorale. Con l'Italicum il partito di migliore minoranza acquisisce una maggioranza devastante, tutta composta di parlamentari nominati dal capo. Ma non basta avere potere assoluto sul parlamento se non si cambia l'assetto costituzionale. La legge elettorale serve a decidere chi governa, ma la riforma costituzionale gli dà il potere di comandare sul serio. Non c'è niente di nuovo in tutto questo. Da sempre tutte le forze conservatrici e reazionarie in Italia vogliono un capo che faccia il capo senza opposizioni o conflitti che lo disturbino. Lasciatelo lavorare dicevano i fan di Berlusconi nel 1994, ora Renzi realizza i loro desideri.

Non c'è niente di nuovo nella controriforma di Renzi ed è probabile che essa finirebbe nel nulla di altri precedenti tentativi, se a suo favore non giocassero i poteri forti dell'economia e soprattutto il sistema finanziario ed il potere dell’Unione Europea. Questa sarà la carta finale che Renzi giocherà. Se vogliamo che l'Europa ci rispetti, ed a questo scopo lui si diverte ad alzare la voce contro la UE, dobbiamo approvare le riforme. È stato così per la cancellazione dell'articolo 18, un successo renziano che appare anche più grande ora che in Francia il paese è in rivolta contro l'equivalente d'oltralpe del Jobs Act.

Le riforme liberiste e le privatizzazioni sono lo scopo di tutto, per realizzarle e renderle irreversibili serve la controriforma costituzionale. E il primo atto di essa è avvenuto quando ancora il governo attuale non esisteva, con un parlamento, camera e senato, che quasi all'unanimità ha votato la modifica dell'articolo 81. L'obbligo costituzionale del pareggio di bilancio, introdotto come applicazione del fiscal compact nei mesi della massima pressione dello spread, ha già stravolto il significato sociale della Costituzione del 1948.

Allora la stampa conservatrice britannica commentò che con quella decisione Keynes veniva messo fuorilegge. Poco tempo dopo la Banca Morgan chiedeva di mettere definitivamente in soffitta le costituzioni antifasciste europee, ostacolo istituzionale alle riforme liberiste. Ora la legge Boschi e l'Italicum realizzano l'opera, istituzionalizzando il sistema di potere che deve distruggere ciò che resta dello stato sociale. Se misuriamo trenta anni di discesa verso le diseguaglianze sociali, mentre passo dopo passo la nostra democrazia veniva sottomessa ai diktat della Troika, delle banche, della finanza, se pensiamo a tutto questo il Si ratifica la continuità, il No apre la via al cambiamento.

La controriforma costituzionale si sconfigge se si chiarisce il suo scopo autoritario e socialmente reazionario. Accettiamo la sfida di Renzi e proviamo a vincerla.


di Giorgio Cremaschi (4 maggio 2016)

Il caso Marò! Girone rientra o no?


di Giuseppe Paccione

Un po’ di chiarezza in merito al dispositivo, adottato alla fine del mese di aprile da parte del Tribunale arbitrale del mare, con sede in Olanda, composto da 5 giudici arbitrali, Vladimir Golitsyn, Hin-Hyun Paik, Patrick Robinson, Francesco Francioni e Patibandla Chandrasekhara Rao, costituito al fine di reperire una risoluzione alla controversia ancora in piedi fra la Repubblica italiana e l’Unione d’India sulla vicenda del mercantile Enrica Lexie e dei due fanti della marina militare Salvatore Girone e Massimiliano Latorre, va fatta per cancellare l’ampia euforia che vi è stata non appena la Farnesina – il Ministero degli Esteri – postava sulla propria pagina istituzionale il comunicato stampa del seguente tenore “Fucilieri di Marina: decisione Tribunale arbitrale de l’Aja su rientro in Italia di Salvatore Girone“, da parte di alcuni politici, così pure dal governo italiano, si pensi al messaggio scritto dallo stesso Matteo Renzi su Twitter e, poi, anche da parte dell’opinione pubblica circa il permesso di Salvatore Girone, tuttora detenuto nelle stanze della sede diplomatica italiana a Nuova Delhi, di lasciare il territorio indiano.
Nell’ordinanza PCA Case n.° 2015-28, del 29 aprile del 2016, circa le misure cautelari, viene dato il via libera a favore del fante del Reggimento San Marco Salvatore Girone di poter rientrare in Italia. I cinque giudici del Tribunale arbitrale hanno riconosciuto la giurisdizione prima facie, ponendo in rilievo che la domanda dell’agente italiano, basato sull’articolo 290, paragrafo 1°, della Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare, che sancisce che “Se una controversia è stata debitamente sottoposta ad una corte od un tribunale,che ritiene prima facie di essere competente ai sensi della presente Parte o della ParteXI, Sezione 5, detta corte o tribunale può prescrivere qualsiasi misura cautelare che giudica appropriata in base alle circostanze per prescrivere i diritti rispettivi delle parti in controversia o per impedire gravi danni all’ambiente marino, in pendenzadella decisione definitiva” è del tutto diversa nei riguardi di quella presentata presso il Tribunale internazionale del mare di Amburgo che, quest’ultimo aveva rigetto l’istanza italiana, avente ad oggetto l’immediata cancellazione delle restrizioni alla libertà personale, alla sicurezza e alla libertà di circolazione, con particolare riguardo a Girone, di farlo rientrare nella sua madre patria e di rimanervi per l’intero periodo del procedimento arbitrale.
L’Unione d’India ha posto un alt al tanto entusiasmo scoppiato nel paese di poeti, santi e navigatori in base a cui le autorità di Roma non hanno interpretato in modo corretto e chiaro l’ordine o il dispositivo dei giudici arbitrali dell’Aja. Il nostro Paese, difatti, non basa la sua richiesta sulla mancanza di giurisdizione dell’Unione d’India, ma domanda un mutamento di luogo fisico, soprattutto per motivi d’umanità, senza pregiudicare l’autorità della Corte Suprema dell’Unione d’India, nel senso che le condizioni di libertà temporanea del fante Salvatore Girone deve essere statuita dalla stessa Corte Suprema di Nuova Delhi. Conseguentemente, va precisato che la richiesta del rappresentante italiano non costituisce un tentativo di mutare la precedente misura. I componenti del Tribunale arbitrale, determinato che il requisito d’urgenza per quanto sancito nell’articolo 290, paragrafo 1°, della Convenzione di Montego Bay sul diritto del mare del 1982, è inerente all’adozione di misure temporanee, hanno espresso parere favorevole al ritorno del militare Salvatore Girone in patria.
Su quest’ultimo punto va precisato che ci si trova davanti a un vincolo di risultato che, tuttavia, deve concretizzarsi attraverso una cooperazione fra i due Paesi, id est Italia e Unione d’India, nel totale riconoscimento dell’autorità della Corte Suprema dell’Unione d’India, nel senso che spetta ai giudici indiani determinare le condizioni, di rientro e permanenza in Italia del marò Salvatore Girone.
Ancora, i giudici arbitrali del mare considerano appropriate le condizioni, le garanzie e le procedure che sono state stabilite per il collega di Girone, Massimiliano Latorre che si trova in Italia per ragioni di salute e al quale la Corte Suprema indiana gli ha concesso la proroga sino alla fine di settembre.
Gli stessi giudici arbitrali dell’Aja hanno suggerito ai loro colleghi della Corte Suprema dell’Unione d’India di adottare le medesime misure per il rientro di Salvatore Girone in Italia, che potrebbero includere, inter alias, una serie di condizioni come quelle in base a cui l’Italia sarà in dovere di assicurare che il fante Girone si presenti ad un’autorità in Italia, designata dal collegio dei giudici della Corte Suprema indiana, a intervalli stabiliti dalla stessa Corte Suprema dell’Unione d’India; inoltre, il fante del Reggimento San Marco della Marina militare italiana dovrà consegnare il passaporto alle autorità italiane senza la possibilità per il pugliese Girone di abbandonare il suolo italiano e senza che ci sia il permesso dei giudici della Corte Suprema indiana.
Il nostro Paese, infine, si è impegnato ad assicurare il ritorno in India sia di Massimiliano Latorre, sia di Salvatore Girone nel caso in cui il Tribunale arbitrale dell’Aja decida, a fine agosto del 2018, di emettere la sentenza a favore della giurisdizione dell’Unione d’India.

Giuseppe Pacione

Uranio impoverito: soldato morto, la Corte d’appello condanna il ministero della Difesa



uranio-impoverito


“Potrebbe mettere la parola fine la sentenza pubblicata oggi dalla Corte D’Appello di Roma su uno tra i primi casi in Italia che portò all’attenzione del mondo il problema dell’uranio impoverito”. Lo scrive in una nota il coordinatore dell’Osservatorio uranio impoverito, Domenico Leggiero, dando notizia della pubblicazione di una sentenza della Corte d’appello di Roma che dà ragione a Giuseppina Vacca, madre di Salvatore Vacca morto a 23 anni per uranio impoverito. La sentenza respinge l’appello del ministero della Difesa verso la sentenza di primo grado, che imponeva oltre agli indennizzi anche un risarcimento alla famiglia del militare morto di oltre 4 milioni.
Vacca, riassume Leggiero, fu “esposto agli effetti dell’uranio impoverito senza “alcuna adeguata informazione sulla pericolosità e sulle precauzioni da adottare”; “la pericolosità delle sostanze prescinde dalla concentrazione”; “condotta omissiva di natura colposa dell’Amministrazione della Difesa”; “vi è compatibilità tra il caso ed i riferimenti provenienti dalla letteratura scientifica”; “esistenza di collegamento causale tra zona operativa ed insorgenza della malattia”; “comportamento colposo dell’autorità militare per non avere pianificato e valutato bene gli elementi di rischio”. Questi sono solo alcuni dei principi contenuti in sentenza da cui emergono gravi inadempienze e la certezza assoluta del rapporto diretto di causa effetto tra l’esposizione all’uranio impoverito e le neoplasie che hanno portato alla morte 333 ragazzi ed oltre 3.600 malati”.
Leggiero ricorda che si tratta “della 47ma sentenza di condanna ottenuta dall’avvocato Angelo Fiore Tartaglia dell’Osservatorio nei confronti del ministero della Difesa. E’ stato un crescendo di presa d’atto da parte della magistratura che oggi ha emesso questa sentenza unica in Europa che potrebbe chiudere definitivamente il caso uranio impoverito. Questa sentenza darà certamente una spinta maggiore alla missione della quarta Commissione parlamentare” che indaga sui casi di morti per neoplasie di militari in missione.
“La sentenza esce proprio alla vigilia dell’audizione in commissione d’inchiesta del ministro Pinotti prevista per giovedì, che certamente prenderà atto delle evidenti ed impetuose motivazioni in essa contenute. La sentenza -si legge infine- definisce anche un ulteriore problema sollevato dal ministero della Difesa sulla distinzione netta tra indennizzi, già ricevuti e risarcimenti, sanciti in sede giudiziaria già in primo grado. Anche su un caso così complicato la magistratura -conclude Leggiero- ha saputo intervenire con determinazione e terzietà nell’argomento riportando in giusto equilibrio quella fiducia necessaria in un ordinamento democratico tra cittadini ed istituzioni”.

20/05/16

IL SEQUESTRO DEI FUCILIERI DI MARINA LATORRE E GIRONE - CHANDY PERDE LE ELEZIONI E VA A CASA ….... ORA A CASA FARANNO FINALMENTE RIENTRARE ANCHE GIRONE






19 Maggio 2016
Stefano Tronconi

A spoglio ancora in corso si stanno ormai chiaramente delineando i risultati delle elezioni politiche in Kerala.
Il partito del Congresso ed il suo primo ministro in carica O. Chandy, uno dei grandi responsabili del criminale sequestro di cui sono rimasti vittime Salvatore Girone e Massimiliano Latorre, subiscono una sonora sconfitta.
A dimostrazione dell'unicità del panorama politico dello Stato del Kerala, al governo tornerà un'alleanza di sinistra costruita intorno al locale partito Comunista, formazione politica praticamente estinta nel resto dell'India.
Il partito Nazionalista indiano del premier Narendra Modi registra un successo in termini di voti e dovrebbe riuscire ad entrare in parlamento per la prima volta nella storia del Kerala con uno o due deputati.
Che l'iter per il rientro in Italia di Salvatore Girone fosse chiaramente subordinato alle esigenze di politica interna ed agli appuntamenti elettorali indiani era da tempo assolutamente evidente (non certo solo per il fatto che lo vado scrivendo io da mesi).
E' quindi davvero stupefacente l'aver letto ancora nei giorni scorsi che in Italia qualcuno si aspettasse un pronunciamento della Corte Suprema indiana prima dello svolgimento delle elezioni in Kerala.
Ora il governo indiano potrà procedere con i passaggi previsti e coerenti con la scelta compiuta da tempo di consentire il rientro in Italia di Salvatore Girone pur mantenendo il controllo sui tempi e sui modi di tale rientro in maniera tale da evitare imbarazzi per l'India e costi politici per il partito nazionalista guidato dallo stesso Modi.
A quanto sopra era funzionale la scelta dell'anno scorso di affidarsi all'arbitrato internazionale e la strategia del governo indiano ha funzionato egregiamente.
Il fatto che la Corte Suprema indiana sia in ferie fino a Giugno potrebbe far sì che il rientro di Salvatore slitti a Luglio, ma la cosa non è assolutamente automatica.
In questo perido rimane infatti attiva la sezione feriale della Corte Suprema per tutti i casi 'urgenti'. Tutto dipenderà dalla valutazione sui 'costi politici interni' che riterrà di fare il governo indiano.
In ogni caso in un sequestro durato oltre quattro anni non sono certo poche settimane che faranno la differenza.
Tutto quello che Salvatore Girone da innocente poteva subire ormai l'ha già subito e tutta l'umiliazione che l'Italia poteva ricevere ed auto-infliggersi l'ha già ricevuta e se l'è auto-inflitta.
D'altra parte un 'costo politico' non l'hanno voluto sopportare i vari governi italiani che si sono succeduti, non l'hanno voluto sopportare i partiti politici italiani di ogni orientamento, non l'hanno voluto sopportare le istituzioni italiane (in particolare quelle militari) sposando al momento opportuno l'innocenza dei fucilieri di marina. Sposare l'innocenza prima di avviare l'arbitrato avrebbe infatti significato portare alla luce l'incompetenza ed i misfatti delle gerarchie italiane oltreché quelle indiane.
Se non l'hanno dunque fatto gli italiani perché mai avrebbe dovuto allora assumersi dei costi politici l'attuale governo indiano che non si ritiene certo responsabile di quanto accaduto?
Ci sarà una ragione se Matteo Renzi non perde occasione per rivolgere belle parole all'attuale governo indiano ed al primo ministro Modi prefigurando grandi intese future! O no?
E' proprio vero che grazie alla classe politica ed al mondo dell'informazione che si ritrovano ormai gli italiani sono diventati un popolo di grulli che ha perso qualsiasi capacità di comprendere il mondo fuori dai propri confini. L'intera vicenda marò ne è solo una lampante dimostrazione.

di Stefano Tronconi
fonte:  https://www.facebook.com/stefano.tronconi.79?fref=ts

18/05/16

CASO MARO', LA FARSA CONTINUA ___ "Giudici in ferie, Girone bloccato in India "

La Corte Suprema di Delhi riapre a fine giugno, il rientro del marò slitta Renzi ostenta ottimismo: "Stiamo facendo di tutto, è l’iter internazionale"

girone
BARI La Corte Suprema indiana ha chiuso i battenti per ferie e riaprirà il 28 giugno e non c’è nessun aggiornamento sull’iter per il rientro del fuciliere barese Salvatore Girone. Il premier Matteo Renzi, intervenuto nella città del marò, alla domanda de Il Tempo sui prossimi sviluppi, ha replicato con una dichiarazione d’ottimismo di maniera, citando il «rispetto delle tempistiche diplomatiche istituzionali», formula che ha tanto il sapore dei refrain di un famoso film di Mario Monicelli. Insomma restano all’orizzonte le solite nubi e le costanti incertezze che hanno cadenzato la querelle dei militari pugliesi del San Marco, dal febbraio del 2012.

Il presidente del Consiglio, a Bari per la firma del Patto metropolitano con il sindaco Antonio Decaro, ha confermato l’impegno dell’esecutivo nella crisi con l’India, ha rinnovato l’amicizia con il governo Modi ma non si è sbilanciato. «Il caso Girone? Per Salvatore - ha detto Renzi - stiamo facendo tutto quello che è nelle nostre possibilità affinché il rientro avvenga prima possibile, fermo restando l’amicizia nei confronti del popolo e del governo indiano». E poi ha aggiunto: «Siamo pronti ad accogliere il rientro di Girone e molto contenti che il tribunale sia andato nella direzione giusta, nel rispetto delle tempistiche diplomatiche istituzionali, avendo il tribunale preso una decisione chiara».
Eppure due settimane fa aveva salutato così il pronunciamento del Tribunale arbitrale in Olanda per il rientro del fuciliere di Marina, a Nuova Delhi dal marzo 2013: «Felici per il rientro di Salvatore Girone». Poi da Firenze aveva aggiunto: «Ho parlato con il marò Girone, che potrà tornare in Italia, della straordinaria notizia che arriva dal Tribunale de l’Aja. È un passo avanti davvero significativo al quale abbiamo lavorato con grande dedizione e determinazione».
Dall’inizio di maggio il lavoro della Farnesina e del pool legale è proseguito con la consueta determinazione, ma passi in avanti non se ne sono registrati. La corsa contro il tempo, per arrivare a una soluzione positiva prima delle ferie dei magistrati del paese asiatico, non ha portato i frutti sperati.

Di sicuro la Suprema Corte indiana, nonostante i messaggi di amicizia e cordialità inviati da Palazzo Chigi al premier Modi, non ha ancora esaminato l’istanza italiana per il rimpatrio di Girone, procedura che avrà delle affinità con quella recepita dai magistrati di Nuova Delhi per i permessi concessi a Massimiliano Latorre, e prevederà la presentazione di una serie di garanzie da parte del governo italiano nonché obblighi per il fuciliere (attualmente costretto alla firma presso un commissariato nella capitale indiana).
Sul fronte politico, Elio Vito, deputato di Forza Italia, già presidente della Commissione Difesa, chiederà al ministro Roberta Pinotti delucidazioni: «Stante la soddisfazione per la decisione del tribunale dell’Aja al quale il governo si era rivolto con ritardo - ha puntualizzato il forzista - ancora una volta mancano notizie sul percorso che deve portare al rientro di Girone. Per questo presenterò una ulteriore interrogazione al ministro della Difesa, al fine di avere avere notizie e garanzie sulle iniziative che vengono assunte».
Dall’India intanto arriva la notizia della vittoria nel Kerala (regione nella quale iniziò questa vicenda) dei comunisti del Fronte democratico della Sinistra, forza politica intransigente nella contesa per la libertà dei marò. L'estrema sinistra è sempre stata contraria a ogni dialogo costruttivo con l'Italia.

Michele De Feudis- 18 maggio 20166
fonte: http://www.iltempo.it

17/05/16

Jobs Act: una frode a tutto tondo





Dal momento in cui il cosiddetto “Jobs Act” – la Riforma del Lavoro – è stato approvato, gli unici a decantarne le caratteristiche positive, sono stati i componenti del governo, Renzi in testa, e anche, le oltre 60.000 imprese nazionali che, a vario titolo, hanno usufruito delle agevolazioni economiche previste dalla legge per quei datori di lavoro che avessero assunto – per tre anni – personale con contratto a tempo “indeterminato”. Il virgolettato è d’obbligo, dal momento che, gli assunti dopo la ratifica del Jobs Act, di fatto, non hanno le stesse garanzie di coloro che, un contratto a tempo indeterminato, hanno avuto la fortuna di firmarlo prima della Riforma.
Per mesi, il governo ha dichiarato falsi numeri, relativi a “nuovi posti di lavoro” ottenuti “grazie al Jobs act”. In realtà, nella maggior parte dei casi – parliamo di oltre 700.000 “nuovi posti di lavoro” - si tratta di riconversioni di contratti di lavoro già in essere. In pratica, i datori di lavoro che avevano contrattualizzato le risorse umane con contratti a termine, non hanno fatto altro che convertirli in contratti a tempo indeterminato, ben sapendo peraltro che, allo scadere dei tre anni validi per intascare le agevolazioni fiscali che possono arrivare fino alla cifra di 8.060 euro per ogni contratto di assunzione.
Facendo una semplice operazione aritmetica, un datore di lavoro, che abbia riconvertito un contratto da tempo determinato a tempo indeterminato, ottiene – nel triennio – uno sgravio fiscale che può arrivare a 24.000 euro. Non poco, considerando i tempi.
Peccato che, il lavoratore contrattualizzato a tempo indeterminato, solo grazie al Jobs Act, può essere licenziato immediatamente allo scadere del triennio, e di conseguenza, gli unici ad aver avuto vantaggi da questa riforma del mercato del lavoro, siano stati solo il governo, che propaganda dati in maniera assolutamente falsa, e dall’altra, le imprese, che si garantiscono non tanto forza lavoro, bensì sgravi fiscali, e restano nella totale libertà di poter licenziare il lavoratore in qualsiasi momento.
C’è un’altra categoria, che si è avvantaggiata moltissimo delle norme contenute nel Jobs Act: sono quelle oltre 60,000 imprese italiane che, in maniera del tutto illegale, hanno intascato le agevolazioni fiscali, senza però aver materialmente dato lavoro a una sola persona.
Hanno semplicemente dichiarato il falso all’Agenzia delle Entrate, intascato una generosa fetta del finanziamento dedicato agli sgravi fiscali per le imprese che assumono – si parla di circa 100.000 finti contratti di lavoro - e di fatto, turlupinato un’intera popolazione.
Considerando peraltro che, il finanziamento messo sul piatto della propaganda politica dal Governo Renzi, nella realtà dei fatti lo paga ogni singolo contribuente, anche chi il lavoro lo ha perso da anni, o lavora con contratti precari, la realtà del Jobs Act si riduce solo a una cosa: la popolazione italiana è stata frodata più volte. Dal governo, che sa perfettamente che l’unica cosa vera, realizzata attraverso il Jobs Act, è stata la cancellazione dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, quello che lo cautelava dai licenziamenti senza giusta causa.
Oltre ciò, resta l’amaro in bocca, sapendo che ognuno di noi sta pagando a caro prezzo le agevolazioni fiscali date sia alle imprese che hanno o riconvertito i contratti a termine o assunto nuovi lavoratori, e le oltre 60.000 imprese che non hanno dato lavoro, ma hanno intascato milioni di euro.
Il Ministro Poletti tuona: “Le imprese che hanno frodato, pagheranno pesantemente”. Non ci ha ancora spiegato come queste imprese “pagheranno pesantemente” e nemmeno come noi cittadini verremo risarciti di questa truffa che, ribadisco, in ogni caso paghiamo noi. Inoltre, attenzione ai dati sventolati dal governo: ai “700.000 nuovi contratti di lavoro”, infatti, oltre a dover fare la tara tra i veri nuovi contratti di lavoro e quelli che sono stati solo convertiti, è necessario sottrarre i 100.000 finti contratti di lavoro falsamente accesi dalle oltre 60.000 imprese che hanno solo approfittato di tutti.
Ancora una volta, sulla pelle e sul denaro della gente comune, si fa solo bieca demagogia. Il problema più grande, è che molti cittadini ci credono, ai dati, alla propaganda, all’”Italia che avanza”…
Vi invito a seguire il video che trovate a questo linkRenzi parla del Jobs Act appena approvato, e dichiara che 200.000 contratti di lavoro saranno semplicemente convertiti...

16 maggio 2016 


16/05/16

11 Settembre: un altro documento scottante




La campagna elettorale negli Stati Uniti è entrata nella fase calda. È quindi inevitabile che le questioni politiche irrisolte e più esplosive tornino a riconquistare l’attenzione dell’opinione pubblica. La più importante riguarda la verità sull’11 settembre, sui suoi responsabili e finanziatori. Non si può dimenticare che 2977 innocenti persero la vita negli attentati contro le Torri Gemelle e che le loro famiglie, e non solo loro, non sono per niente soddisfatte delle spiegazioni ufficiali. Come è noto, quell’attentato cambiò radicalmente anche la politica internazionale.
Le famose “28 pages”, che rivelerebbero un importante e determinante coinvolgimento di personaggi e di strutture dell’Arabia Saudita, sono ancora secretate. Esse sono parte del rapporto della Commissione di indagine del Congresso americano sull’11 settembre. Nel frattempo però è apparso un altro dossier, il “Document 17” di 47 pagine, che punterebbe il dito sui legami di ben 21 persone, operanti per conto di istituzioni saudite, e i dirottatori. Interessante è la lettura del testo: http://www.archives.gov/declassification/iscap/pdf/2012-048- doc17.pdf.
Il documento è stato declassificato nel luglio del 2015 dalla Interagency Security Clearence Appeals Panel (Iscap). È una parte degli elaborati della “9/11 Commission”, la seconda indagine indipendente del 2003 sul più grande atto terroristico della storia. Il testo è stato scritto da due tra i più importanti inquirenti del governo federale americano, Dana Lesermann e Michael Jaconson. Gli stessi che per conto della Commissione di indagine del Congresso hanno partecipato alla stesura delle succitate “28 pages”.
Il “Document 17” tra i tanti interrogativi chiede di conoscere chi abbia aiutato due dei dirottatori, che in precedenza avevano soggiornato a lungo in California. Essi avrebbero goduto di appoggi logistici e sostegni finanziari di cittadini sauditi operanti sul territorio americano, dei quali uno sarebbe stato addirittura un informatore dell’Fbi. Nella lunga serie di domande all’Fbi si cerca di comprendere se sia stato fatto tutto il necessario per fermare i terroristi e scoprire le eventuali responsabilità e complicità dei 21 cittadini sauditi. Esso rivela anche vari collegamenti internazionali con personaggi operanti in altri Paesi, tra cui la Germania e la Norvegia. In merito si spera che le nostre autorità abbiano controllato l’eventualità che i 21 personaggi menzionati abbiano avuto contatti anche nel nostro Paese. Negli Usa su tali questioni il dibattito è diventato più acceso e più diffuso.
L’ex senatore Bob Graham, già copresidente della Commissione d’indagine del Congresso sull’11 settembre, continua con insistenza a chiedere la desecretazione delle 28 pagine. Anche recentemente in diverse interviste ha ribadito che “è necessaria la riapertura di un’indagine generale sull’11 settembre, perché entrambe le Commissioni d’indagine hanno dovuto operare entro un limite temporale che non ha permesso un’indagine esaustiva”. Ha aggiunto: “Le 28 pagine sono importanti in quanto indicano come il complotto venne finanziato e, anche se non sono autorizzato a discuterne, i dettagli comunque puntano il dito in maniera forte contro l’Arabia Saudita... È notorio che agenti del governo saudita hanno aiutato almeno due dirottatori che vivevano a San Diego, con sostegni finanziari e garantendo loro l’anonimità”.
La denuncia è forte tanto che definisce il lavoro dell’Fbi una “aggressive deception”, un inganno aggressivo. Riteniamo che i fatti in questione siano troppo importanti per la stabilità e per la lotta contro il terrorismo internazionale e che la piena verità possa essere il primo passo per affrontare in modo giusto e pacifico le sfide globali.

di M. Lettieri (*) e P. Raimondi (**) - 14 maggio 2016


(*) Già sottosegretario all’Economia
(**) Economista

15/05/16

Un figlio non è un diritto, lo diceva pure Gramsci



L'ULTIMO MARXIANO

Uno dei riferimenti della sinistra difendeva la famiglia. Ma oggi sono tutti fanatici pro-gay.


Una manifestazione LGBT a Roma.
(© GettyImages) Una manifestazione LGBT a Roma.


Dalle pagine del Corriere della sera lo studioso gramsciano Giuseppe Vacca, tra i massimi esperti mondiali del pensiero di Gramsci, con alle spalle una lunga militanza nel Partito comunista italiano e nelle sue successive declinazioni, ha preso posizione in difesa della famiglia, contro le oggi in voga tendenze alla sua destrutturazione capitalistica.
Ha espresso con rigore e fermezza la sua posizione, da un punto di vista che mi pare del tutto coerente con Marx e con Gramsci, certo non con l’odierna Armata Brancaleone delle sinistre passate armi e bagagli dalla parte del Capitale.
Del resto, se la sinistra smette di interessarsi a Gramsci, occorre smettere di interessarsi alla sinistra.

NON TUTTO È LIBERTÀ. Così ha rilevato Vacca: «Come si fa a dire, per esempio, che avere un figlio è un diritto? Come si può pensare di declinare tutto nella chiave della libertà individuale, come se ciò che accade prescindesse dal modo in cui si compongono le volontà e le coscienze dei gruppi umani?».
Da sottoscrivere in ogni parola.
Si tratta di un discorso che, ovviamente, il politicamente corretto silenzierà come omofobo: dove «omofobo» deve oggi intendersi tutto ciò che non è in linea con le direttive del movimento Lgbt (Lesbiche, gay, bisessuali e transgender).
Dietro l’idea di sconfiggere l’omofobia si nasconde allora il segreto desiderio di sconfiggere ogni pensiero non allineato, imponendo un’ortodossia neo-orwelliana su cui non è lecito dissentire.

I RIDICOLI GENITORI 1 E 2. Credo che con queste considerazioni Vacca abbia pienamente centrato il punto.
Il paradigma neoliberista è quello che in nome delle “libertà” individuali decompone la società, disgregandola nel «sistema dell’atomistica» (Hegel), nella pluralità irrelata dei consumatori isolati.
Lo stesso matrimonio gay non ha oggi come oggetto il giusto riconoscimento della piena dignità degli omosessuali, ma l’indebolimento del legame simbolico tra uomo e donna, la decostruzione della figura del padre e della madre (sostituiti dalla ridicola formula “genitore 1” e “genitore 2”), la trasformazione della figura del figlio in un oggetto senza radici, senza provenienza, avulso da una storia e da una genealogia, puro articolo di commercio la cui nascita dipende dall’arbitrio e dal capriccio dell’io individuale portatore di volontà di potenza consumistica.

IL CAPITALE ODIA LA FAMIGLIA. L’obiettivo del fanatismo economico è quello di distruggere le identità e di annientare la società, disgregandola nell’atomistica delle solitudini, nella pluralità indifferenziata delle monadi prive di legami.
Per questo il Capitale odia la famiglia, giacché essa fa valere rapporti comunitari estranei alla logica del do ut des mercatistico e perché è la prova che l’uomo è naturaliter comunitario, venendo al mondo in quella microcomunità originaria che è la famiglia.
Del resto mai ci si pone nell’ottica del nascituro, considerato alla stregua di oggetto, un mero articolo di commercio.
La formula “diritto di avere un bambino” è l’emblema di questa deriva egoistica, che trasforma i desideri dell’io isolato in diritti insindacabili. E che mercifica ogni dimensione reale e simbolica.

COSA SI CHIEDE IL NASCITURO? Il nascituro, una volta che si trovi «gettato» (Heidegger) nel mondo, si chiederà donde e come vi sia pervenuto: non solo da quali corpi e da quali cellule, ma anche da quali desideri e da quali incontri.
Cosa si dirà a un figlio nato on demand da uteri in affitto?
Tutto ciò è funzionale alla creazione dell’uomo senza identità, privo di radici e di progetto, mera presenza che, alla stregua delle merci, è e non esiste, incapace di opporsi alla sua stessa mercificazione integrale.
Per tacere, poi, delle facili derive eugenetiche legate alla pratica dell’utero in affitto.

L'EPOCA DELL'EVAPORAZONE DEL PADRE. Viviamo nell’epoca dell’evaporazione del padre, diceva Lacan.
Non ci sono più padri, ma nemmeno più figli: in luogo dei figli vi sono solo i bambini, perché manca il processo simbolico di filiazione e resta unicamente il bambino come oggetto, come articolo da desiderare e, presto, come merce da acquistare (si pensi al surreale caso di Elton John).
Si impone, così, la triste figura del “diritto al bambino”, dove l’accento cade tutto sull’oggetto del desiderio, che grazie alle nuove tecniche diventa ora prenotabile e acquistabile, come già accade in alcuni Paesi detti “evoluti” dalla stessa neolingua che punisce chiunque non si adatti alla marcia dell’economicizzazione nichilistica dell’intera vita.


di Diego Fusaro - 09 Febbraio 2016