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Non smettete mai di protestare; non smettete mai di dissentire, di porvi domande, di mettere in discussione l’autorità, i luoghi comuni, i dogmi. Non esiste la verità assoluta. Non smettete di pensare. Siate voci fuori dal coro. Un uomo che non dissente è un seme che non crescerà mai.

(Bertrand Russell)

10/02/18

10 febbraio “Foibe la giornata del ricordo”


a cura di quelli che non dimenticano mai






Foibe e infoibati
di Ottaviano De Biase


In occasione dell’istituzione nel febbraio 2004 della “Giornata del Ricordo” delle foibe e dell’esodo abbiamo assistito a tutta una serie di dichiarazioni, trasmissioni televisive e radiofoniche, interventi da parte dei media e dibattiti politici, tutte con l’intento di fare piena luce su un problema politicamente ignorato per troppi lunghissimi anni. Analogo discorso andrebbe fatto sul reale numero delle vittime. Sempre nel 2004, l’On. Fassino parlava di 2000 infoibati, viceversa l’allora Ministro dell’Informazione On. Gasparre riteneva che le vittime fossero addirittura milioni. Ricordiamo anche che già nella primavera del 2002 il Presidente Ciampi andò a Trieste per sostenere che le foibe furono un esempio di “pulizia etnica”, focalizzate a cancellare la presenza italiana in Istria, in Dalmazia e in tutta quell’area oggi chiamata Venezia Giulia.
Ma come stanno oggi le cose? Non bene. La recente visita nel Friuli (Udine, Aviano, Monfalcone, Gorizia: città ove ho presentato il mio ultimo romanzo “Notti di veglia in guerra fredda”) mi ha dato la possibilità di confrontarmi con studiosi locali sullo scottante tema della pulizia etnica, attuata dall’esercito italiano, durante l’occupazione della Slovenia, della Dalmazia, e dell’Istria.
Lo studioso Giacomo Scotti lo spiega parlando di interi paesi rasi al suolo, di 11606 internati civili sloveni e croati morti nei lager italiani tra il 1941 ed il 1943 che, secondo le direttive emanate dall’allora generale Gastone Gambara, sarebbero stati lasciati morire d’inedia e malattie varie. Seguì poi l’8 settembre 1943. Seguì cioè l’occupazione della Venezia Giulia, nonché parte del Friuli e la provincia di Camaro (Fiume), da parte dell’esercito germanico con l’annessione al Reich col nome di Adriatisches Kustenland (Litorale Adriatico). Sul versante opposto abbiamo i partigiani di Tito ed i primi scontri tra civili ed esercito invasore.
Antun Giron, partigiano nonché storico di Fiume, nel 1945, a distanza di due anni dal suo ritorno da un campo di concentramento nel Friuli, ebbe a scrivere: All’inizio a nessun italiano è stato fatto nulla di male. I partigiani avevano diramato l’ordine che non doveva essere fatto del male a nessuno. Ma qualche giorno dopo lo scoppio della rivolta popolare, alcuni corrieri a bordo di motociclette sidecar hanno portato la notizia che i fascisti di Albona avevano chiamato e fatto venire da Pola i tedeschi in loro aiuto e questi avevano aperto il fuoco contro i partigiani. Poco dopo si è saputo che i tedeschi erano stati chiamati in aiuto anche dai fascisti di Canfanaro, Sanvincenti e Parendo, fornendogli informazioni sui partigiani (…) Pertanto partigiani e contadini hanno cominciato ad arrestare ed imprigionare i fascisti (…) i partigiano decisero di fucilarne solo alcuni, i peggiori. Purtroppo quando, alcuni giorni più tardi, cominciarono ad avanzare i reparti germanici, i partigiani vennero a trovarsi nell’impaccio, non sapendo dove trasferire i prigionieri fascisti per non farli cadere nelle mani dei tedeschi. In questo imbarazzo hanno deciso di ammazzarli. Ne hanno uccisi circa 200 gettando i corpi nelle foibe.
Questa di Scotti, anche se di parte in quanto partigiano di Tito, è la prima vera, diretta tragica testimonianza. Particolarmente gravi ci sono sembrate le dichiarazioni fatte a suo tempo dal segretario del PCI Fausto Bertinotti che, in assenza di una reale conoscenza storica della materia, ebbe a dichiarare, riprendendo le tesi di due noti storici, anch’essi dichiarati comunisti, Pupo e Spazzali, che bisognava condannare il modo di fare informazione, ritenendolo, nei riguardi della verità storica, nocivo in particolar modo sotto l’aspetto politico. La realtà è che a partire dal 1945 la sinistra sapeva e tacque!

La pulizia etnica jugoslava del 1945
A tacere lo furono un poco tutti. Sul versante opposto, infatti, abbiamo la seguente situazione. Dopo la battaglia di Basovizza del 30 aprile 1945, la gente del posto gettò in una foiba detta “Pozzo della Miniera” un imprecisato numero di soldati italiani e civili. Il 1 maggio 1945 a Trieste e a Gorizia si insediò il potere popolare controllato dall’Esercito di Liberazione Jugoslavo, seguirono 40 giorni di inauditi massacri e vendette personali e retroattive.
Molti dei militari arrestati nelle zone occupate di Trieste e Gorizia furono internati nei campi di lavoro di Borovnica, a qualche chilometro da Lubiana. In quello stesso campo furono pure internati i bersaglieri del battaglione “Mussolini”, catturati nella zona di Tolmino, e alcuni corpi appartenenti alla Guardia di Finanza, Polizia di Stato, Carabinieri, militari della X.ma Mas, ed altri. Circa 4500. Alcuni di loro, una volta riconosciuti essere gli esecutori dei vari rastrellamenti effettuati dal 1941 al 1943, furono immediatamente fucilati. In gran numero furono lasciati morire di tifo e di stenti.

Testimonianze di prima mano
Le foibe esplorate e censite sarebbero più di 60. La voragine nota come Foiba di Basovizza è in realtà il pozzo di una vecchia miniera abbandonata. Sui cui massacri, avvenuti tra il 2 e il 5 maggio 1945, vi è una nota del successivo 14 giugno del Comitato di Liberazione Nazionale di Trieste, inviato alle autorità angloamericane appena insediatisi. Si legge in questa nota: Nelle giornate del 2-3-4- e 5 maggio numerose centinaia di cittadini vennero trasportate al cosiddetto POZZO DELLA MINIERA, in località presso BASOVIZZA, e fatti precipitare nell’abisso profondo circa 240 mt. Su questi disgraziati vennero in seguito lanciate le salme di circa 120 soldati tedeschi uccisi nei combattimenti dei giorni precedenti e le carogne putrefatte di alcuni cavalli.
Il 29 giugno, apparve su Risorgimento Liberale la seguente notizia: Grande e penosa impressione ha destato in tutta l’America la notizia, proveniente da Basovizza presso Trieste, circa il massacro di oltre 400 persone da parte dei partigiani di Tito.
Scrive, al riguardo, don Flaminio Rocchi, nel suo libro di memorie: L’esodo dei 350.000 Giuliani, Fiumani e Dalmati, del 1971. Dal primo maggio al 15 giugno 1945 sono state gettate in questa voragine 2.500 tra civili, carabinieri, finanzieri e militari italiani, tedeschi e neozelandesi…”, a riprova che non tutta la verità era stata fatta emergere. Molte vittime,continua don Rocchi, erano prima spogliate e seviziate. E’ da notare che tra le vittime risultano moltissime donne e bambini. A volte intere famiglie, come il caso della postina di Sant’Antonio in Bosco, Pettirossi Andreina, che venne precipitata nella foiba insieme al marito ed alla figlioletta di due anni…
Ma c’è anche chi da quelle viscere riuscì ad uscirne vivo. Racconterà Giovanni Radeticchio, sopravvissuto di Sirano. “…mi appesero un grosso masso, del peso di circa 10 kg, per mezzo di filo di ferro ai polsi già legati con altro filo di ferro e mi costrinsero ad andare da solo dietro Udovisi, già sceso nella foiba. Dopo qualche istante mi spararono qualche colpo di moschetto. Dio volle che colpissero il filo di ferro che fece cadere il sasso. Così caddi illeso nell’acqua della foiba. Nuotando, con le mani legate dietro la schiena, ho potuto arenarmi. Intanto continuavano a cadere altri miei compagni e dietro ad ognuno sparavano colpi di mitra. Dopo l’ultima vittima gettarono una bomba a mano per finirci tutti. Costernato dal dolore non reggevo più. Sono uscito a rompere il filo di ferro che mi serrava i polsi, straziando contemporaneamente le mie carni, poiché i polsi cedettero prima del filo di ferro. Rimasi così nella foiba per un paio di ore. Poi col favore della notte, uscii da quella che doveva essere la mia tomba…
Molte sono le testimonianze che ci consentono di capire le reali difficoltà di quei giorni terribili. Claudia Cernigoi in “Operazione foibe” racconta tra l’altro di Giuseppe Cernecca, che, di ritorno da un viaggio a Trieste, fu arrestato da tre slavi mentre stava cenando in una osteria di Cittanova. Fu portato al comando, interrogato, bastonato, senza alcun valido motivo. Seguì il trasferimento a Cimino, sede del quartiere generale del temutissimo braccio destro di Tito, tal Ivan Motika, e da questi fu condannato a morte. In una cella accanto alla sua ritrovò la sorella con quattro suoi ragazzi: riuscì a trattenersi solo poche ore… Il mattino seguente fu lapidato e gettato in una fossa comune…
In ordine al pietoso recupero delle salme nelle zone della Venezia Giulia rimasta all’Italia, anche in relazione del fatto che due tra le più grandi foibe: quella di Basovizza e di Monrupino, contenenti migliaia di cadaveri, furono rozzamente tappate con un solaio di cemento. L’allora Ministro della Difesa, On. Giulio Andreotti, incalzato dalla stampa nazionale ed estera, sull’argomento si espresse in questi termini: La chiusura è del tutto provvisoria. Essa è costituita da lastre di cemento poggiate su travi di ferro e munite di anelloni per il loro sollevamento. La chiusura non preclude quindi la possibilità del recupero delle salme giacenti nel fondo del pozzo, recupero che sarà effettuato quando sarà possibile superare le molteplici e serie difficoltà di ordine igienico e di sicurezza. Un decreto del Presidente della Repubblica, Luigi Scalfaro, datato 11 settembre 1992, dichiarò la foiba di Basovizza monumento nazionale.
Altra foiba tristemente nota è quella di Plutone. Altra voragine che si apre sul Carso triestino, sulla strada che porta a Gropada. Segue la grotta di Sath, che si trova a circa 500 metri da Basovizza, sempre sul Carso, lungo la strada per il paese di Jezero. Anche in questa grotta furono scoperti un gran numero di corpi marcescenti di soldati italiani e civili. Anche qui, pur di nascondere ogni traccia, i partigiani di Tito vi gettarono esplosivo e nitroglicerina. Tra queste poche citazioni meriterebbero il giusto spazio quelle di tante altre persone scomparse o uccise a Trieste ed a Gorizia nel periodo dei tragici 40 giorni di amministrazione jugoslava o perché arrestate in base a denunce di privati cittadini, ritenutisi vittime del precedente governo fascista.

I processi
Quello di Trieste, il più importante, si aprì il 3 gennaio 1948. In seguito furono istituiti decine di altri processi tutti per foibe. Tra questi vi è quello altrettanto triste di San Sabba che andò in aula solo nel 1976. Molti conobbero il carcere; altri, per aver fatto perdere ogni traccia, furono condannati in contumacia. L’amnistia, concessa dall’allora Presidente della Repubblica Sandro Pertini, pose la parola fine .

Una polemica infinita
L’uscente  Presidente della Repubblica, Napolitano, ha di recente accusato un poco tutti di aver tenuto nascosta la verità alla Nazione; tale presa di posizione, per quanto si è potuto leggere sulla stampa, sembra sia stata mal digerita dal protempore collega croato, Mesic. Come è possibile? A Gorizia ho avuto il piacere di discorrere con il Generale di Brigata, Sabatino Aufiero, mio conterraneo, il quale, riguardo l’aspetto foibe, mi confermava che tutto quanto ha avuto origine nel 1943 quando – ormai era chiaro a tutti che la guerra era persa – Tito, avuto l’appoggio di Togliatti, fece pressione per annettersi tutta la Venezia Giulia; al seguito poi della rottura con Mosca, l’allora segretario del PCI italiano scelse apertamente di stare al fianco di Stalin, non solo inimicandosi Tito quanto impedendo a tanti nostri soldati prigionieri in Russia, e a tutti quei comunisti italiani che erano andati in Jugoslavia a lavorare per una causa che credevano giusta, per favorire la ripresa economica in particolar modo di Pola e di Fiume, di fare rientro in patria. Altra chiave di lettura che spiega la vendetta cieca degli Slavi, tesa a colpire tutto quello che era italiano, anche per creare, come del resto abbiamo visto nell’ultimo conflitto balcanico, un regime di stragi e di terrore mirato a far migrare, come poi è successo, intere popolazioni.

Una lezione di vita
Molti sono gli intellettuali che hanno preso le distanze dai politici di sinistra e di destra del tempo. I primi, come sappiamo, avevano cercato di imbavagliare una realtà per molti scomoda, mentre i secondi avevano cercato in tutti i modi di ingigantirla. Tuttavia la strada che ci porta dritto verso la verità è tuttora in salita in quanto troppi lati oscuri sono circonfusi da una palpabile ipocrisia. Questo spiega il clima sospettoso delle varie etnie presenti in quell’area. La stessa Legge dello Stato che ha riconosciuto il 10 febbraio come il Giorno della Memoria, non è che il primo passo verso il definitivo riconoscimento di responsabilità di una politica sbagliata in quanto priva di ogni fondamento storico ed umano.
Una lezione che vale per tutti. Quando l’umanità si lascia trascinare dalla febbre del potere, dalla voglia di primeggiare e di prevaricare sull’altro, quando ci si lascia andare alla violenza cieca, si finisce sempre per generare altra violenza. Un continuo per dire che chi crede di doversi difendere con la violenza, altra violenza si deve pure aspettare. Chiudo col prendere in prestito un pensiero di Brecht, che recita più o meno così: “…impari l’uomo; però, prima impari ad essere di aiuto all’uomo”.

Foibe, Auschwitz, la vita è odio o amore?
A pagare sono sempre gli innocenti.

di Pancrazio “Ezio” Vinciguerra

Fino a pochi anni fa, quando si parlava di Foibe in Italia valeva quanto riportato in un celebre e diffuso dizionario della nostra amata lingua, che semplicemente usava la definizione di “dolina carsica”. Nulla che potesse richiamare una verità terribile e scomoda per la storiografia ufficiale, ovvero quegli eccidi compiuti dalle truppe titine a danno della popolazione italiana particolarmente tra il 1943 e il 1947, anche molto dopo la fine della Seconda Guerra mondiale. Barbarie tanto più odiosa, perché compiuta contro degli inermi, donne e bambini, anziani, colpevoli solo di essere italiani, in un clima di odio diffuso che prendeva rapidamente i contorni di una vera e propria pulizia etnica. Il dolore dei profughi, negli anni seguenti, è stato se possibile reso ancora più forte dal silenzio calato sull’intera vicenda, e chi è sopravvissuto ha dovuto anche sopportare, oltre alla perdita dei propri cari e ad atrocità di ogni genere, l’umiliazione di sentirsi straniero in Patria, testimone scomodo di una realtà che si voleva a tutti i costi rimuovere e dimenticare. 
“A pagare sono stati e sono sempre gli innocenti“
. L’uomo continua la sua strage degli innocenti, ammassandoli come rifiuti senza una degna sepoltura, ne una Prece, ne un ricordo…
La barbarie umane compiute contro degli inermi, colpevoli solo di essere creduti dalla parte sbagliata, alimentano odio; un odio esteso subito anche dal mondo animale e vegetale.
L’odio, perpetrato nell’omicidio, nella pulizia etnica, nell’inquinamento, nell’affannosa ricerca al benessere sfrenato, non ha colore o ideologia: è odio!
L’amore è il contrario dell’odio.  Ma questo decantato amore è latente perché siamo peccatori, perché siamo sordi e non sappiamo più ascoltare col cuore, perché siamo pronti a giudicare e non sappiamo perdonare, perché ci professiamo  sempre innocenti e non conosciamo più vergogna, perché siamo i primi a scagliare le pietre pur sapendo di essere complici e colpevoli: complici dell’omertà del silenzio e colpevoli o correi di omissione alla verità.
Perché non arrossiamo alla vergogne nostre e degli altri rendendoci  complici di fronte a quell’odio che è peccato? Che cos’è il peccato? E l’espiazione al peccato che cos’è? Siamo ancora credenti? La vita, la nostra, è odio o è amore?

09/02/18

Le foibe della memoria




Le foibe sono una profondità carsica nella nostra memoria collettiva. Un vuoto popolato di fantasmi reali e presunti che si rincorrono e mai hanno la forza necessaria per palesarsi.


Quando fu istituito il Giorno del ricordo l’intento era chiaro: fare in modo che non vi fosse alcun silenzio su fatti accertati e tenuti nascosti per troppo tempo, e si ricordasse il sacrificio di tutti gli uomini, le donne e i bambini colpevoli solo di essere italiani. E invece tutto è diventato sulfureo come la polvere e il buio di quelle cavità nelle rocce. Financo le alte cariche dello Stato, come capitato anche in anni recenti, si dimenticano di celebrare con dignità e piena consapevolezza un tale abominio. Qualche citazione, una frase di circostanza negli abituali e noiosi discorsi preparati dagli uffici stampa o da asettici ghostwriter, e nulla più.
In realtà, quello che accade ai primi di febbraio di ogni anno, è vergognoso e disperante. Il dibattito si accende ma prende una piega laterale e sbagliata, ponendo questo tema con sofisticata scaltrezza ad una parte consistente dell’opinione pubblica che già di suo poco sa e poco vuole sapere. E pur tuttavia, la questione viene sempre presa per il verso sbagliato. E così c’è sempre qualche mente illuminata dell’Anpi che cerca di circoscrivere il fenomeno in parametri ristretti o addirittura negarlo; chi, pur riconoscendo una tale vergogna, indirettamente costruisce plausibili motivazioni di politica estera, di rancore bellico; chi mette in mezzo i fascisti e la loro precedente violenza e via così.
La vicenda di Simone Cristicchi di qualche anno fa risulta ancora paradigmatica. Il suo spettacolo Magazzino 18 ebbe tanti e tali impedimenti, manifestazioni contro e attacchi di vario genere, nemmeno si fosse peritato di declamare con orgoglio e fierezza le pagine più tetre del Mein Kampf. E invece stava rappresentando fatti accaduti alcuni decenni fa e che hanno visto, purtroppo, tanti nostri connazionali essere assassinati per il solo fatto di appartenere ad una comunità. Ma la sua vicenda è una delle tante che si sommano in lungo e in largo sul nostro territorio.

Come la squallida routine impone, anche quest’anno l’andazzo pare infatti simile. Frotte di nostalgici di ogni schieramento che deviano l’interpretazione dei fatti su binari poco consoni alla verità, l’associazione dei partigiani che nel migliore dei casi fa ‘’buon viso a cattivo gioco’’ oppure, per fortuna in casi isolati, ancora nega l’evidenza, e alte cariche istituzionali che, con malcelata fatica, riescono a profferire qualche parola solo poche ore prima del 10 febbraio svelando così una adesione al contesto generale di commemorazione più imposta da obblighi istituzionali che da reale e partecipato dolore.
Le foibe restano una cavità che squarcia ancora la nostra memoria e da essa fanno capolino i fantasmi di tutta la storia recente che è in larga parte a servizio delle piccole beghe politiche e di mestieranti della cultura. A distanza di tanti decenni non si riesce a dare un senso a quel dolore e a rivolgere una solidale e collettiva preghiera per quegli innocenti, senza incomprensibili distinguo o paventate e inconsapevoli giustificazioni.
E fin quando il nostro Paese non si scollerà di dosso i cascami di una dialettica politica sempre combinata con la falsa e capziosa storiografia sarà preda degli spasmi di ogni sorta di radicalismo e mai potrà porre la parola ‘fine’ su questa interminabile, penosa e logorante guerra civile.

di Luigi Iannone - 9 febbraio 2018

Canada: Il sostegno di Trudeau agli islamisti



Il premier canadese Justin Trudeau sostiene la causa islamista da nove anni rifiutandosi di dialogare con i musulmani riformisti.

Forse sono stati più inquietanti i commenti espressi da Trudeau nel corso di una riunione di gruppi islamisti di facciata, asserendo di condividere le loro convinzioni, i loro valori e la loro visione comune.
Il Canada non potrà appellarsi all'ignoranza o all'incapacità di fronte alle accuse di complicità mosse dalle future vittime di terrorismo americane.

Il primo ministro canadese Justin Trudeau sostiene la causa islamista da nove anni rifiutandosi di dialogare con i musulmani riformisti. Riguardo ai combattenti dell'Isis che fanno ritorno in Canada, Trudeau ha affermato che saranno una "potente voce per la deradicalizzazione" e coloro che si oppongono al loro rientro sono "islamofobi. Inoltre, il governo canadese non fornisce i nomi dei combattenti dello Stato islamico che fanno ritorno nel paese alla commissione delle Nazioni Unite incaricata di aggiornare la lista dei jihadisti internazionali.

Molti canadesi (e altri) iniziano a credere che la posizione del premier Trudeau sull'integrazione e la deradicalizzazione dei combattenti dell'Isis sia irragionevole, se non illusoria. Il "Centro canadese di impegno comunitario e di prevenzione della violenza" non ha alcun leader né ha un centro di deradicalizzazione. Sembra inoltre che non abbia messo a punto dei piani per un programma che potrebbe operare all'interno o all'esterno del governo. Non è chiaro poi se la legislazione canadese potrebbe costringere un combattente dell'Isis che fa ritorno nel paese a frequentare un programma del genere, anche se esistesse davvero. In Francia, un programma simile sponsorizzato dal governo è stato un fallimento.


Il premier canadese Justin Trudeau sostiene la causa islamista da nove anni rifiutandosi di dialogare con i musulmani riformisti. (Foto di Matt Cardy/Getty Images)

Il Canada ha inoltre assunto una posizione poco chiara riguardo all'arresto dei combattenti dell'Isis di ritorno dall'Iraq e dalla Siria, e in pochi finora ne hanno affrontato le conseguenze. Il numero dei combattenti dello Stato islamico che sono tornati in Canada è impreciso. Secondo le stime del 2015, ne sono rientrati una sessantina. Il governo canadese ha cercato di dire che il loro numero è rimasto inalterato dal 2015, nonostante il crollo quasi totale dell'Isis negli ultimi mesi.

I precedenti commenti del premier Trudeau sulla necessità che i politici adottino una posizione di "neutralità responsabile" in merito a questioni come le violenze domestiche e le mutilazioni genitali femminili rendono le sue attuali posizioni sui gruppi islamisti ancor più difficili. Forse sono stati più inquietanti i commenti espressi da Trudeau nel corso di una riunione di gruppi islamisti di facciata, asserendo di condividere le loro convinzioni, i loro valori e la loro visione comune. A questo si aggiunge una sua intervista del 2014 – quando era parlamentare – al quotidiano di Montreal Sada al-Mashrek. Questo giornale è notoriamente khomeinista e filo-iraniano (così come filo-Hezbollah). In questa intervista, Trudeau dichiarava di avere un programma speciale sull'immigrazione più aperto ai "musulmani e agli arabi".

Il grado di diffusione dell'estremismo islamista in Canada può essere dimostrato dal numero di combattenti che si sono uniti all'Isis. Secondo il Soufan Center, sono 180 i canadesi che si sono recati all'estero per andare a combattere per "gruppi terroristici" (Isis) in Iraq e in Siria, a fronte di 129 americani che hanno fatto la stessa cosa. Dato che la popolazione americana è circa dieci volte quella del Canada, il numero degli americani avrebbe dovuto essere prossimo ai 1.800 piuttosto che ai 129 segnalati.

La posizione del premier canadese sugli islamisti dovrebbe preoccupare tanto i suoi connazionali quanto gli americani. Se la storia dei rapporti tra Canada e Stati Uniti è ampiamente positiva, gli attacchi islamisti contro l'America sono stati orditi in Canada. Fra i tentati attacchi terroristici figurano l'attentato progettato da Ahmed Ressam nel 1999, l'attacco preparato da Chiheb Esseghaier nel 2013 e quello pianificato da Abdulrahman El Bahnasawy che avrebbe dovuto colpire New York nel 2016.

Oltre al sostegno offerto agli islamisti, il premier Trudeau sembra essersi riavvicinato a Teheran dopo che il precedente primo ministro canadese (Stephen Harper) aveva chiuso l'ambasciata dell'Iran in Canada ed espulso tutti i suoi diplomatici. Durante le elezioni federali del 2015, Trudeau disse che sperava che il Canada "sarebbe stato in grado di riaprire la sua missione" ed era "piuttosto sicuro della possibilità di riallacciare le relazioni diplomatiche". I progressi finora compiuti non sono stati uniformi, ma i colloqui sembrano continuare.
Il sostegno del primo ministro Trudeau alla causa islamista è stato costante fin dalla sua elezione a deputato nel 2008. Questa posizione sembra essersi rafforzata da quando è diventato premier nel 2015. Oltre alla sua posizione, il Partito liberale canadese ha un problema entrista poiché è stato preso di mira da gruppi islamisti.

Sfortunatamente per tutti gli interessati, l'ideologia islamista globale sta crescendo e con essa i suoi problemi relativi allo scontro, all'oppressione e alla violenza. Il Canada sembra fare ben poco per affrontare questi problemi, accogliendo coloro che costituiscono la base ideologica del problema. Il Canada non potrà appellarsi all'ignoranza o all'incapacità di fronte alle accuse di complicità mosse dalle future vittime di terrorismo americane. Il prezzo della sottomissione del Canada agli islamisti potrebbe essere davvero alto.
Tom Quiggin è un ex ufficiale dell'intelligence militare, un ex intelligence contractor della Royal Canadian Mounted Police e un esperto di terrorismo jihadista nei tribunali federali e penali del Canada. Gran parte del materiale di questo articolo proviene dal suo libro di recente pubblicazione SUBMISSION: The Danger of Political Islam to Canada – With a Warning to America, scritto insieme a Tahir Gora, Saied Shoaaib, Jonathon Cotler e Rick Gill, con la prefazione di Raheel Raza.

08/02/18

Uranio impoverito: "Commissione parlamentare di inchiesta sull’uranio: il testo integrale della relazione"



“Mai più una penisola interdetta, mai più militari morti senza un perché. È diventato il simbolo della maledizione che per troppi decenni ha pesato sull’universo militare: la Penisola Delta del Poligono di Capo Teulada, utilizzata da oltre 50 anni come zona di arrivo dei colpi, permanentemente interdetta al movimento di persone e mezzi. Le immagini satellitari ritraggono una discarica non controllata: sulla superficie tonnellate di residuati contenenti cospicue quantità di inquinanti in grado di contaminare suolo, acqua, aria, vegetazione, animali. E l’uomo”.

“Non sorprendono, a questo punto, le indagini condotte dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Cagliari per il delitto di disastro doloso. L’omessa bonifica per ragioni di ‘convenienza’ economica e il prosieguo delle esercitazioni sono scelte strategiche che stonano a fronte di un crescente e assordante allarme prodotto dalla penisola interdetta tra cittadini e istituzioni. Mai più militari morti e ammalati senza sapere perché, mai più una ‘penisola interdetta’: ecco gli obiettivi perseguiti dalla quarta Commissione parlamentare d’inchiesta sull’uranio impoverito. Mai più una gestione del territorio affidata in via esclusiva all’autorità militare, senza interlocuzioni con l’amministrazione dell’ambiente, con la Regione e con le Autonomie locali. Garantire al meglio la sicurezza e la salute dei militari non è un sogno, ed è un atto dovuto alle nostre Forze armate per l’impegno e lo spirito di sacrificio dimostrati ogni giorno al servizio del Paese”.

La relazione della Commissione, la quarta costituita nella storia del Parlamento italiano per indagare sulle complesse questioni che concernono l’utilizzo dell’uranio impoverito e sulla salute dei militari, dei dipendenti civili dell’Amministrazione della Difesa e delle popolazioni residenti nei territori su cui insistono i poligoni e le installazioni militari, ha svolto approfondimenti su casi di militari gravemente ammalati, sicurezza e salute nei luoghi di lavoro sul territorio nazionale che all’estero, adeguatezza degli istituti indennitari e previdenziali, rischio ambientale determinato dall’attività delle Forze armate nei poligoni di tiro, anche con riferimento ai territori limitrofi e alle popolazioni ivi residenti, rischi alla salute derivanti dall’esposizione all’amianto e al radon, e dalla somministrazione dei vaccini.

“Tra le tante audizioni, merita attenzione quella del prof. Giorgio Trenta, Presidente dell’Associazione italiana di radioprotezione medica, che il 23 marzo 2016 ha riconosciuto la responsabilità dell’uranio impoverito nella generazione di nanoparticelle e micropolveri, capaci di indurre i tumori che hanno colpito anche i nostri militari inviati ad operare in zone in cui era stato fatto un uso massiccio di proiettili all’uranio impoverito. Tre i casi specifici emersi nel corso dell’inchiesta, trasmessi alla Procura della Repubblica: quello del militare Antonio Attianese, vittima di una grave patologia insorta a seguito della sua permanenza in territori contaminati dalla presenza di uranio impoverito in Afghanistan; quello del tenente colonello medico Ennio Lettieri che, il 5 luglio del 2017, affermava di essere stato direttamente testimone, nel corso della sua ultima missione in Kossovo, della presenza di una fornitura idrica altamente cancerogena di cui era destinatario il contingente italiano; e quello del generale Carmelo Covato, che aveva affermato che i militari italiani impiegati nei Balcani erano al corrente della presenza di uranio impoverito nei munizionamenti utilizzati ed erano conseguentemente attrezzati, affermazioni che apparivano in contrasto con le risultanze dei lavori della Commissione e con gli elementi conoscitivi acquisiti nel corso dell’intera inchiesta.

Ed ecco i punti principali della relazione.

Sicurezza e salute sul lavoro. La Commissione d’inchiesta, grazie alle penetranti metodologie investigative adottate, ha scoperto – dietro le rassicuranti dichiarazioni rese dai vertici dell’Amministrazione della Difesa e malgrado gli assordanti silenzi generalmente mantenuti dalle Autorità di Governo pur esplicitamente sollecitate – le sconvolgenti criticità che in Italia e nelle missioni all’estero hanno contribuito a seminare morti e malattie tra i lavoratori militari del nostro Paese. Un’opera a maggior ragione preziosa, ove si tenga presente che malauguratamente non appaiono sistematici gli interventi della magistratura penale a tutela della sicurezza e della salute del personale dell’Amministrazione della Difesa. Il risultato è devastante. Nell’Amministrazione della Difesa continua a diffondersi un senso d’impunità quanto mai deleterio per il futuro, l’idea che le regole c’erano, ci sono e ci saranno, ma che si potevano, si possono e si potranno violare senza incorrere in effettive responsabilità. E quel che è ancora peggio, dilaga tra le vittime e i loro parenti un altrettanto sconfortante senso di giustizia negata. Ecco perché in data 15 ottobre 2017 la Commissione ha trasmesso la “Relazione intermedia” al Ministro della Giustizia.

Molteplici e temibili sono i rischi a cui sono esposti lavoratori e cittadini nelle attività svolte dalle Forze Armate, ma anche dalla Polizia di Stato e dai Vigili del Fuoco. Sono proprio i rischi che la Commissione d’inchiesta è riuscita a portare alla luce. Basti pensare ai poligoni di tiro presenti sul territorio nazionale nei quali la mancata o tardiva bonifica dei residui dei munizionamenti impiegati nelle esercitazioni ha prodotto rischi ambientali in danno di quanti sono chiamati ad operare o a vivere nel loro ambito. Per quanto riguarda i rischi da esposizione alle radiazioni ionizzanti del personale delle Forze Armate, sono emersi ulteriori dati. A seguito dell’esame testimoniale reso dal Maresciallo in congedo Giuseppe Carofiglio, la Commissione ha ricevuto una nota del Comandante Generale della Guardia di Finanza del 26 ottobre 2017, che indica la detenzione/presenza di 576 proiettili “API” realizzati con uranio impoverito. Tali proiettili sarebbero stati “smaltiti” in un’esercitazione presso il Poligono militare di Torre Astura (LT) nel 1994. Rischi minacciosi gravano persino su caserme, depositi, stabilimenti militari: sia deficienze strutturali (particolarmente critiche nelle zone a maggior sismicità), sia carenze di manutenzione, sia materiali pericolosi. La presenza di amianto ha purtroppo caratterizzato navi, aerei, elicotteri. Tanto è vero che la Commissione d’inchiesta è giunta ad accertare che solo nell’ambito della Marina Militare 1.101 persone sono decedute o si sono ammalate per patologie asbesto-correlate. Ed allarmano le prospettive delineate dal Direttore del RENAM Alessandro Marinaccio, audito il 19 ottobre 2017: “Il picco dei casi di mesotelioma è presumibile sia nel periodo tra il 2015 e il 2020”.
Desta poi allarme la situazione dei teatri operativi all’estero. La Commissione ha dovuto constatare l’esposizione a inquinanti ambientali in più casi nemmeno monitorati. Singolare è, inoltre, la scarsa conoscenza, ammessa dagli stessi vertici militari, circa l’uso in tali contesti di armamenti pericolosi eventualmente impiegati da Paesi alleati.
Le criticità sono alimentate da un problema irrisolto: l’universo della sicurezza militare non è governato da norme e da prassi adeguate. Restano immutate le scelte strategiche di fondo che attualmente ispirano la politica della sicurezza nel mondo delle Forze Armate. Quelle scelte strategiche che paradossalmente trasformano il personale della Difesa in una categoria di lavoratori deboli. Si tratta di scelte strategiche che doverosamente, tra il 19 e il 20 settembre 2017, la Commissione d’inchiesta ha segnalato alle Autorità competenti, trasmettendo, in particolare, al Presidente del Consiglio dei Ministri, nonché ai Ministri della Difesa, della Salute, del Lavoro e dell’Ambiente, la propria ‘Relazione sull’attività d’inchiesta in materia di sicurezza sul lavoro e tutela ambientale nelle forze armate: criticità e proposte’.

Questi due anni di investigazioni a tutto campo hanno consentito di fare finalmente piena luce sugli otto meccanismi procedurali e organizzativi che oggettivamente convergono nel produrre il duplice effetto di offuscare i rischi incombenti su militari e cittadini e nel contempo di arginare le responsabilità dei reali detentori del potere:
1) datori di lavoro sprovvisti di autonomi poteri decisionali e di spesa;
2) ispettori “domestici”: nei luoghi di lavoro delle Forze armate, la vigilanza sulla applicazione della legislazione in materia di salute e sicurezza è svolta esclusivamente dai servizi sanitari e tecnici istituiti presso la predetta amministrazioni. La loro azione si è dimostrata insufficiente;
3) DVR e DUVRI omessi o inadeguati: la diffusa inosservanza degli obblighi inerenti alla valutazione dei rischi risulta perfettamente funzionale a una strategia di sistematica sottostima, quando non di occultamento, dei rischi e delle responsabilità effettive. Una conferma si trae dall’esame dell’Ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, Comandante del Comitato Operativo Interforze, irremovibile in data 23 febbraio 2017 nel dichiarare che nei teatri operativi all’estero non sarebbe doverosa una stretta osservanza dell’obbligo di valutazione dei rischi;
4) Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione (RSPP) e Medici competenti (MC) tra inerzie e note di linguaggio. In alcuni siti, RSPP e/o MC sono risultati addirittura assenti. Inoltre RSPP esaminati dalla Commissione hanno palesato seri limiti nello svolgimento della propria attività. Utile è prendere in considerazione le dichiarazioni dell’RSPP di Capo Teulada: “Ho appreso oggi che esistono altre tipologie di rischio, come quello delle nanoparticelle”;
5) RLS nominati dal datore di lavoro; 6) la crisi del CISAM e del CETLI: nel corso dell’inchiesta, il CISAM ha dichiarato la propria incapacità operativa a provvedere a una completa caratterizzazione radiometrica. Anche gli accertamenti sulle attività svolte dal CETLI NBC in merito a fattori di rischio chimici e biologici hanno evidenziato diverse criticità. Già nell’esame testimoniale dell’8 marzo 2017, il Direttore interinale del Centro Tecnico Logistico Interforze NBC aveva affermato che “l’ente non è in grado di effettuare analisi su particolato aerodisperso e nanoparticolato”;
7) un Osservatorio epidemiologico della difesa scientificamente non accettabile. La Commissione ha chiesto all’Ispettore Generale della Sanità Militare Gen. Enrico Tomao se gli sembrasse scientificamente accettabile che una struttura chiamata Osservatorio epidemiologico della Difesa si fermasse alla raccolta e alla valutazione dei casi relativi ai militari in servizio. La risposta è stata “no”. La sottostima dei casi induce a ritenere efficienti i sistemi di prevenzione in atto e a non stimolarne una revisione critica;
8) sanzioni pagate dallo Stato. Gli importi dei pagamenti delle sanzioni amministrative
eventualmente irrogate al personale militare e civile dell’Amministrazione della difesa per violazioni commesse presso organismi militari sono imputate, in via transitoria, sul pertinente capitolo dello stato di previsione della spesa del Ministero della Difesa, fatta salva ogni rivalsa dell’Amministrazione nei confronti degli interessati. È stato rilevato un unico caso di rivalsa.
Nel quadro descritto, fanno sensazione due fenomeni, l’uno da contraltare all’altro: il ‘negazionismo’ dei vertici militari e la supplenza della Commissione d’inchiesta. Al fine di recuperare il mondo militare a una dimensione effettivamente ispirata ai valori costituzionalmente protetti della sicurezza e della salute, la Commissione d’inchiesta avanza una serie di proposte fondamentalmente preordinate a bloccare gli effetti distorsivi prodotti dai meccanismi descritti. Basilare sarebbe, anzitutto, l’approvazione della Proposta di Legge Scanu AC 3925, firmata dalla quasi totalità dei componenti della Commissione, più che mai indispensabile al fine di garantire un’effettiva prevenzione contro i rischi incombenti su militari e cittadini. Le norme ivi contenute rompono il perverso meccanismo della giurisdizione domestica e affidano la vigilanza sui luoghi di lavoro dell’Amministrazione della difesa al personale del Ministero del lavoro. L’approvazione di questa Proposta è indispensabile, ma non ancora sufficiente, per smontare i meccanismi procedurali e organizzativi che valgono ad oscurare nell’universo militare rischi temibili e responsabilità effettive. Tra le altre necessità: servizi ispettivi terzi ed efficienti; una Procura nazionale sulla sicurezza del lavoro, altamente specializzata e con competenza estesa a tutto il Paese; individuare il datore di lavoro di fatto; garantire l’autonomia e la competenza di RSPP e MC; rigenerare gli organi tecnico-operativi e prevedere RLS eletti o designati dai lavoratori militari. Urgente anche il superamento dell’Osservatorio Epidemiologico della Difesa e l’affidamento delle indispensabili ricerche epidemiologiche nel mondo militare a un ente terzo e qualificato per coerenza scientifica come l’Istituto Superiore di Sanità.

Criticità e proposte in materia previdenziale . 
Dalla comparazione tra il trattamento riservato al personale delle Forze armate e quello garantito alla generalità dei lavoratori, compresi i dipendenti civili dello Stato, è risultato di tutta evidenza che la tutela indennitaria prevista dall’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali è di maggior favore rispetto a quella garantita dall’equo indennizzo. Inoltre, il percorso amministrativo che porta al riconoscimento della c.d. «causa di servizio» per le Forze armate non garantisce sufficientemente la terzietà di giudizio. Ne è conseguita l’instaurazione di un circolo vizioso che ha prodotto una moltiplicazione del contenzioso con effetti pregiudizievoli per la finanza pubblica e, soprattutto, molto penosi per i militari interessati – o, troppo spesso, per gli eredi – che si sono visti negare, o differire all’infinito, il diritto alla tutela di cui lo Stato è debitore verso i propri servitori.
Le reiterate sentenze della magistratura ordinaria e amministrativa hanno costantemente affermato l’esistenza, sul piano giuridico, di un nesso di causalità tra l’accertata esposizione all’uranio impoverito e le patologie denunciate dai militari o, per essi, dai loro superstiti. Per l’uranio è stato altresì riconosciuto sul piano scientifico, con la Tabella delle malattie professionali INAIL approvata nel 2008, il nesso causale per la nefropatia tubolare. La Commissione ritiene che, a dieci anni dall’emanazione della predetta Tabella, i progressi della scienza medica e i risultati delle indagini epidemiologiche imporrebbero un aggiornamento della Tabella stessa, con l’inclusione di altre patologie, con particolare riguardo a talune forme tumorali del sistema emolinfopoietico.
L’accertata inadeguatezza della tutela previdenziale garantita al personale delle forze Armate, al quale è riservato un trattamento deteriore rispetto alla generalità dei lavoratori, appare inaccettabile, considerata la specificità e la rilevanza della funzione svolta, e in aperto contrasto con il principio di eguaglianza, di cui all’articolo 3 della Costituzione. Conformemente a quanto è previsto per tutti i dipendenti di ruolo dello Stato, con la Proposta Scanu l’assicurazione di tale personale verrebbe attuata dall’INAIL.

I poligoni di tiro. 
Nel corso dei lavori, sono emerse rilevanti criticità che investono in primo luogo i temi della salute dei lavoratori e dei cittadini che vivono nelle aree adiacenti agli insediamenti militari, nonché della salubrità degli ambienti. La Commissione non ritiene accettabile che l’adozione di misure di prevenzione e sicurezza nei poligoni e nelle strutture industriali della difesa possa essere condizionata dalla indisponibilità di mezzi finanziari adeguati. Sono particolarmente significativi i dati emergenti dalle indagini sui poligoni di tiro relativi alla salute dei cittadini che vivono nelle aree adiacenti i poligoni, soprattutto in Sardegna. Audizioni svolte presso la Commissione hanno peraltro evidenziato come, fino a un recente passato, la gestione del PISQ sia stata caratterizzata da una notevole sottovalutazione dell’impatto delle attività svolte sull’ambiente circostante. Un primo aspetto rilevante riguarda l’utilizzo dei missili anticarro Milan, il cui sistema di puntamento include una componente radioattiva, consistente in una lunetta di torio che, dopo il lancio, ricade sul terreno. Per quanto riguarda il personale, sono stati numerosi i militari ammalati. È emerso come le attività di brillamento venissero condotte tenendo in scarsa considerazione le condizioni di sicurezza degli operatori e delle popolazioni residenti. Numerose criticità presenta anche il poligono di Capo Teulada, a causa di una situazione ambientale che risulta fortemente compromessa. Il dottor Emanuele Secci, sostituto procuratore della Repubblica di Cagliari, ha dedicato una parte della sua audizione davanti alla Commissione proprio alla cosiddetta Penisola interdetta, affermando: “dal punto di vista oggettivo gli accertamenti che abbiamo svolto hanno dimostrato una compromissione del territorio estremamente significativa (…) Dai dati che abbiamo rilevato, sembrerebbe che siano presenti nella penisola interdetta 566 tonnellate di armamenti e che in due anni ne siano stati eliminati otto”. Di particolare interesse sono le conclusioni della consulenza prestata per la Procura di Cagliari dal prof. Annibale Biggeri: risulta infatti preoccupante la situazione di Foxi, frazione del comune di Sant’Anna Arresi, che insiste su un territorio in prossimità delle esercitazioni militari. È auspicabile che le disposizioni recentemente varate nell’ambito della manovra di bilancio per il triennio 2018-2020 possano concorrere a modificare questa situazione e segnare una decisa inversione di tendenza rispetto a una realtà di grave compromissione dell’ambiente e di colpevole inerzia delle istituzioni che avrebbero dovuto assicurarne la salvaguardia.
Dal primo gennaio sono in vigore nuove norme che regolano l’attività dei poligoni militari. Il testo, elaborato in Commissione e approvato con la Legge di Bilancio (articolo 1, comma 304), mette ordine tra le diverse criticità, a cominciare dalla dispersione nel territorio dei residui dei colpi esplosi nel corso delle esercitazioni militari. Per evitare la potenziale contaminazione dell’area circostante, si rende necessaria una rapida e generalizzata attività di recupero, che presuppone la puntuale conoscenza di tutti i colpi in partenza, qualunque sia la Forza Armata che svolge le esercitazioni militari. In particolare, con la nuova norma viene introdotto presso ciascun poligono e sotto la responsabilità del comandante, il registro delle attività a fuoco, nel quale sono annotati il munizionamento utilizzato, la data dello sparo e i luoghi di partenza e di arrivo dei colpi. Il registro è esibito agli organi di vigilanza e di controllo ambientali (ISPRA e ARPA) e di sicurezza e igiene del lavoro, per gli accertamenti di rispettiva competenza. Si tratta di un’importante innovazione, sul piano della trasparenza delle procedure e dei controlli, poiché si prevede che l’attività di vigilanza sull’applicazione della normativa ambientale, anche in aree appartenenti al demanio militare, possa essere svolta dalle amministrazioni titolari di queste funzioni, diverse dalle Forze Armate, e quindi collocate in quella posizione di terzietà e indipendenza. Un altro elemento di forte innovazione riguarda l’introduzione del piano di monitoraggio permanente sulle componenti di tutte le matrici ambientali in relazione alle attività svolte nel poligono. Con un’ulteriore disposizione si prevede la possibilità di istituire un Osservatorio ambientale regionale sui poligoni militari. Nel complesso, sono entrate a fare parte dell’ordinamento una serie di disposizioni che coronano l’attività di inchiesta svolta dalla Commissione e ne raccolgono l’indirizzo di fondo, rivolto alla realizzazione di una gestione più trasparente delle attività addestrative, alla garanzia della tempestività e della
completezza delle attività di bonifica e al rafforzamento delle funzioni di vigilanza e controllo sul rispetto della normativa in materia ambientale.

Sono Siti di interesse comunitario l’area del Poligono militare di Torre Veneri, in provincia di Lecce, e l’area di Isola rossa e Capo Teulada, in provincia di Cagliari. Ad oggi, salvo alcune eccezioni, la maggior parte delle attività a fuoco si è svolta senza che ne venissero informati gli Enti gestori delle aree protette e senza che venissero svolte le valutazioni di impatto ambientale pur previste dalla normativa vigente. Sotto questo profilo, le modifiche apportate al Codice dell’ambiente delineano una serie di misure che si possono definire di adeguamento della legislazione ai principi costituzionali. Partendo da queste premesse la Commissione ritiene che sia necessario mettere in campo una pluralità di strumenti e di iniziative rivolti a fare sì che la presenza dei poligoni sul territorio venga armonizzata con le esigenze di sviluppo sociale ed economico, di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori e dei cittadini e di salvaguardia dell’ambiente. La Commissione ribadisce quanto già contenuto nella Relazione intermedia della precedente Commissione, per quanto riguarda specificamente la Sardegna, la necessità che si pervenga alla progressiva dismissione dei poligoni di Capo Frasca e di Capo Teulada e alla concentrazione di tutte le attività sostenibili nel poligono interforze di Salto di Quirra, fermo restando la prospettiva di una gestione duale dell’area del poligono.

La profilassi vaccinale. 
Tra i temi approfonditi dalla Commissione, fanno spicco quelli concernenti la sorveglianza sanitaria e la profilassi vaccinale sul personale dell’Amministrazione della Difesa. Dalla testimonianza di alcuni militari affetti da patologie contratte in servizio si sono tratti significativi elementi a conferma che non sempre sia stata richiesta, analizzata o comunque approfondita, da parte del medico vaccinatore l’analisi pre-vaccinale del militare sottoposto, e analogamente è emerso, con preoccupante ricorrenza, che alcuni medici vaccinatori non si attengono nel somministrare i vaccini alle norme di precauzione indicate dalle Linee Guida del 14 febbraio 2008. La Commissione, al fine di garantire una effettiva tutela della salute (e della sicurezza) dei militari impegnati in Italia e all’estero, nonché per perseguire la sicurezza nella somministrazione dei vaccini, nell’ottica dell’eliminazione o quanto meno della massima riduzione del rischio di effetti negativi conseguente all’uso di vaccini in dosi multiple, raccomanda l’utilizzo di vaccini monodose, stante la concreta possibilità che il militare, data l’età adulta, risulti già immunizzato contro alcuni antigeni contenuti nei vaccini in dosi multiple. Si raccomanda altresì che non vengano inoculati, in un’unica soluzione, più di cinque vaccini, essendo questa la soglia oltre la quale possono verificarsi eventi avversi. Si raccomanda ancora una particolare attenzione all’anamnesi pre-vaccinale. Data la rilevanza dei temi affrontati nelle osservazioni del gruppo di lavoro sui vaccini (allegato 1), ai fini di un’adeguata tutela della salute dei militari, la Commissione provvederà a trasmetterle all’Istituto Superiore di Sanità per una indispensabile valutazione scientifica dei relativi contenuti.

I rapporti tra Parlamento, Governo, Forze Armate
Se la considerazione della specificità del “mestiere delle armi” può senza dubbio motivare per alcune fattispecie l’adozione di discipline speciali, essa non può tradursi, come di fatto sembra essersi verificato per le materie di cui si è occupata la Commissione, nella teorizzazione e soprattutto nella pratica di uno spazio operativo separato e privo di controlli esterni.
Poiché la conclusione della Legislatura ha coinciso con la decisione del Governo di inviare un contingente militare italiano in Niger, la Commissione, sulla scorta della documentazione acquisita, raccomanda al prossimo Parlamento di vigilare con il massimo scrupolo sulle modalità di realizzazione della missione, anche per quanto attiene alla valutazione dei rischi, all’idoneità sanitaria e ambientale dei luoghi di insediamento del contingente, alla congruità delle pratiche vaccinali adottate e alle pratiche di sorveglianza sanitaria. È essenziale che, anche nel prossimo Parlamento, non venga abbandonato un terreno di riflessione sulla necessità di mantenere fermo l’equilibrio tra le prerogative di discrezionalità, di cui le Forze Armate godono e devono godere in
quanto pubblica amministrazione, e l’affermazione inequivoca della centralità del ruolo del Parlamento e del Governo nell’esercizio della funzione di indirizzo politico.

Una riflessione finale. 
Ambizioso appare l’obiettivo che la Commissione si è proposta di raggiungere: quello di essere, non solo la quarta, ma soprattutto l’ultima Commissione d’inchiesta sull’uranio impoverito. Il suo bilancio è altamente positivo, in particolare sotto tre profili. Un primo profilo concerne la tutela ambientale nei poligoni di tiro nazionali, sollecitata dalle apposite modifiche normative introdotte nell’ambito della legge di bilancio per il triennio 2018-2020 in seguito a un’apposita proposta di legge preparata dalla Commissione. In secondo luogo, grazie a una molteplicità di accertamenti mirati (sia esami testimoniali, sia richieste di documentazioni), si è oggettivamente ottenuto un risultato non perseguito, ma quanto mai gradito: e, cioè, in più casi la scomparsa come d’incanto di comportamenti o situazioni contrastanti con le norme vigenti in materia di sicurezza del lavoro. Il terzo profilo: mai come questa volta il mondo militare della sicurezza è stato scandagliato in ogni sua piega anche più riposta. D’ora in avanti, sarà arduo non partire in qualsiasi analisi sul mondo militare dalla scoperta degli otto meccanismi procedurali e organizzativi che convergono nel produrre il duplice effetto di offuscare i rischi incombenti su militari e cittadini e nel contempo di arginare le responsabilità dei reali detentori del potere.

Spetterà al prossimo Parlamento approvare due capitoli fondamentali quali quelli attinenti alla sicurezza sul lavoro e alla tutela previdenziale. Tanto più che i principi ispiratori delle proposte elaborate al riguardo dalla Commissione – e, in ispecie, il superamento della giurisdizione domestica in materia di sicurezza del lavoro e un nuovo regime previdenziale ed assistenziale per il personale militare – hanno riscosso il consenso anche di altri comparti del settore sicurezza, quali le forze di polizia, la guardia costiera e la polizia penitenziaria. E per giunta hanno espresso parere favorevole i ministeri della Difesa, dell’Interno, della Giustizia, delle Infrastrutture e dei Trasporti, nonché il ministero del Lavoro.
In questo quadro, per dare concretamente seguito alle proposte di miglioramento dei livelli della salute e sicurezza e della tutela previdenziale del personale delle Forze armate e del comparto sicurezza, la Commissione chiede al Governo di avviare un tavolo di concertazione tra il Ministero della Difesa, il Ministero dell’Interno, gli altri ministeri interessati, e l’INAIL per definire le più efficaci modalità di transizione dal regime vigente a quello che entrerà in vigore dopo l’auspicata approvazione, da parte del prossimo Parlamento, della proposta di legge elaborata da questa Commissione.

La drammaticità dell’attuale situazione è confermata dai casi nei quali la Commissione ha doverosamente segnalato fatti specifici vuoi al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma, vuoi al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale Militare di Roma, onde consentire alle autorità competenti di valutare la configurabilità di ipotesi di reato. Né sfugga il rilievo della segnalazione in data 20 settembre 2017 al Presidente e al Procuratore generale della Corte dei conti.
Ecco perché la Commissione d’inchiesta ha pienamente assolto al proprio mandato. Infatti ha avanzato una ricca gamma di proposte normative, organizzative, procedurali atte a completare l’opera di tutela dei lavoratori militari anche sotto i profili attinenti alla sicurezza sul lavoro e alla tutela previdenziale”.

di redazione - 7 febbraio 2018

fonte: http://www.sardiniapost.it/senza-categoria/commissione-parlamentare-di-inchiesta-sulluranio-il-testo-integrale-della-relazione/

07/02/18

Il nigeriano e il buonista


ventimiglia-dopo-la-manifestazione-pro-migranti-un-corteo-per-le-vie-della-citta-247355.660x368PRIMO E SECONDO
Il primo è un nigeriano.
Il secondo è un buonista.
Il primo è un criminale.
Il secondo è un idiota.
Il primo fa lo spacciatore, a volte il ladro e forse anche l’assassino e il macellaio sui corpi di povere ragazze.
Il secondo fa il politico di sinistra, l’intellettuale impegnato, il volontario delle Ong con i soldi di Soros, il fighetto radical-chic con il culo degli altri.

Il primo è un nigeriano, il secondo è un buonista. Il primo è un criminale, il secondo è un idiota

Il primo è un immigrato irregolare con precedenti penali che gira libero per le nostre città a spacciare e a delinquere come se niente fosse.
Il secondo è un italiano regolare a cui dell’Italia non frega nulla ma grazie alle sue idee sballate, alla sua ipocrisia pelosa, ci sta riempiendo di rifiuti umani che vengono a distruggere la nostra già difficile convivenza civile.

Il primo, il nigeriano, è scappato dal suo Paese a causa della guerra, ci dicono. Ma da che mondo è mondo dalle guerre scappano le donne e i bambini mentre lui è un uomo di 28 anni. E francamente è strana questa immigrazione che porta in Europa masse di giovani sani di corpo e di mente e lascia sotto le bombe e le persecuzioni i più indifesi.
Il secondo, il buonista, vive da sempre qui, gode della libertà e della sicurezza che gli sono garantiti ed è così stupido da convincersi che facendo entrare tutti, lui faccia il bene di queste persone e di se stesso, mentre fa solo il bene dell’élite globalista che pilota questo esodo di nuovi schiavi.

Il nigeriano, quello che si traveste da profugo, da povero, da diseredato, è solo uno schifoso delinquente che si approfitta della possibilità che noi diamo a lui per farsi manovalanza delle organizzazioni criminali, in cambio di facili guadagni.

Il buonista, quello che si veste di solidarietà, è solo uno schifoso schiavista, uno di quelli che è convinto che gli immigrati ci pagheranno le pensioni o che è meglio farli entrare tutti così li mettiamo a raccogliere i pomodori come dice Emma Bonino (e questo solo perché in Italia non coltiviamo cotone come nella Virginia del XIX secolo).
 
88637_boldriniNON SOLO…
Il nigeriano non è solo il nigeriano; è anche il tunisino, il marocchino, il bosniaco insomma è tutti quelli che chiamiamo clandestini e che una volta in Italia si mettono a rubare, stuprare, spacciare, assassinare, rafforzando la già folta fauna di delinquenti nativi.
Il buonista non è solo il buonista; è anche l’antirazzista, il progressista, il catto-comunista, l’umanitarista, il prete arcobaleno, la femminista, insomma tutta quella poltiglia di retorica ed ipocrisia che alimenta una sottocultura che sta mandando in malora la nostra Nazione.

Sia chiara una cosa: il nigeriano e quelli come lui non hanno nulla da spartire con gli stranieri che in Italia vengono a lavorare, che rispettano le leggi e che magari sognano un giorno di diventare cittadini di questo Paese. A loro va il nostro aiuto e la nostra vera amicizia.

Mentre al contrario, il nigeriano e il buonista, l’irregolare e il suo complice italiano, il criminale che abusa della nostra libertà e l’idiota che lo legittima e lo fa entrare, rappresentano la feccia di questo Paese.

Entrambi vanno messi nella condizione di non nuocere: il primo, il nigeriano, ficcandolo in galera il tempo che occorre e poi rispedendolo a casa sua a calci nel sedere. Il secondo, il buonista, impedendogli democraticamente di continuare a governare questo Paese e a perpetrare i danni fin qui fatti.


Su Twitter: @GiampaoloRossi

di Giampaolo Rossi - 3 febbraio 2018

04/02/18

Italia invasa da delinquenti


Venerdì 2 febbraio 2018 – Festa della Candelora (Presentazione del Signore Gesù al Tempio) – a Casa Spirlì, in Calabria

1Omicidio_PamelaMastropietro_ViaSpalato_FF-4Innocent Oseghale, nigeriano

Innocent Oseghale, nigeriano. Permesso di soggiorno scaduto. Immondo spacciatore e feroce assassino.
Uno per tutti!
… Per tutti i delinquenti che abbiamo importato negli ultimi cinque anni da ogni latrina del globo. Impastate a pochi poveracci (usati come specchietto per le allodole), sono sbarcate da pittoreschi barconi, che fanno tanto “fuga dalla povertà”, e da comode navi, modello “ventre di mamma ong”, decine, centinaia di migliaia di farabutti e assassini africani, mediorientali e asiatici. Brutti ceffi, spesso terroristi, che NON scappano da guerre e pestilenze, ma da mandati di arresto stampati nei Paesi dove sono nati e dove hanno commesso chissà quale sorta di lurido delitto, chissà quale reato, chissà quale atrocità. Di questi stronzi non sappiamo nulla. Né il vero nome, né il vero luogo di nascita, né la fedina penale. Sappiamo solo che vengono bene in foto di gruppo, piangenti e imploranti mentre sono stipati su improbabili natanti salpati dalle coste libiche e diretti nel Paese di Bengodi, l’Italia puttana del terzo millennio. Questo residuo di Bel Paese, ormai ridotto ad un letamaio, nel quale ognuno fa legge a sé.
Tutti, tranne gli Italiani, ai quali non è consentito altro che sopravvivere in silenzio. Ai quali, anzi, è VIETATO anche sopravvivere. Qui, gli Italiani devono morire e basta. E se non lo fanno spontaneamente, ci pensano i Kabobo, gli Oseghale, le centinaia di clandestini delinquenti clandestini, privi della pur minima possibilità di essere veramente individuati,  identificati, rispediti nelle (loro) patrie galere. Sicuramente più galere delle nostre.
Qui in Italia, in Occidente, la condanna non li spaventa: li diverte. Siamo andati così avanti con le concessioni, che, quasi quasi, commettere reato è meno faticoso che fare la fila al supermercato.
Sono centinaia, migliaia, le vittime di violenza “clandestina”. Solo poche trovano soddisfazione nella Giustizia. La maggior parte deve subire in silenzio il buonismo imperante e le sue conseguenze. Il perdono forzato, per esempio. Se l’assassino è negro, zingaro o mediorientale, i Codici vengono silenziati e deposti nell’abisso senza fondo della finta bontà. Anche i tribunali si prestano, spesso, a inspiegabili sconti di pena, che stanno demoralizzando gli Italiani.
Ci siamo consegnati ai nostri carnefici, senza reagire. Anzi, ringraziandoli della morte che ci recapitano fin dentro le nostre case.
Mi auguro e auguro alla mia adorata Terra che le urne del 4 marzo riconsegnino l’Italia agli Italiani. E gli assassini alle pene massime stabilite dai Codici.
E vorrei poter morire con gli occhi pieni di un mare popolato da navi cariche di clandestini che… fanno ritorno verso casa… (volenti o nolenti)

#PrimagliItaliani

#ItaliaagliItaliani

di Nino Spirlì - 2 febbraio 2018