a cura di quelli che non dimenticano mai
Foibe e infoibati
di Ottaviano De Biase
In
occasione dell’istituzione nel febbraio 2004 della “Giornata del
Ricordo” delle foibe e dell’esodo abbiamo assistito a tutta una serie di
dichiarazioni, trasmissioni televisive e radiofoniche, interventi da
parte dei media e dibattiti politici, tutte con l’intento di fare piena
luce su un problema politicamente ignorato per troppi lunghissimi
anni. Analogo discorso andrebbe fatto sul reale numero delle vittime.
Sempre nel 2004, l’On. Fassino parlava di 2000 infoibati, viceversa
l’allora Ministro dell’Informazione On. Gasparre riteneva che le vittime
fossero addirittura milioni. Ricordiamo anche che già nella primavera
del 2002 il Presidente Ciampi andò a Trieste per sostenere che le foibe
furono un esempio di “pulizia etnica”, focalizzate a cancellare la
presenza italiana in Istria, in Dalmazia e in tutta quell’area oggi
chiamata Venezia Giulia.
Ma come stanno oggi le cose? Non bene. La recente visita nel Friuli (Udine, Aviano, Monfalcone, Gorizia: città ove ho presentato il mio ultimo romanzo “Notti di veglia in guerra fredda”) mi ha dato la possibilità di confrontarmi con studiosi locali sullo scottante tema della pulizia etnica, attuata dall’esercito italiano, durante l’occupazione della Slovenia, della Dalmazia, e dell’Istria.
Lo studioso Giacomo Scotti lo spiega parlando di interi paesi rasi al suolo, di 11606 internati civili sloveni e croati morti nei lager italiani tra il 1941 ed il 1943 che, secondo le direttive emanate dall’allora generale Gastone Gambara, sarebbero stati lasciati morire d’inedia e malattie varie. Seguì poi l’8 settembre 1943. Seguì cioè l’occupazione della Venezia Giulia, nonché parte del Friuli e la provincia di Camaro (Fiume), da parte dell’esercito germanico con l’annessione al Reich col nome di Adriatisches Kustenland (Litorale Adriatico). Sul versante opposto abbiamo i partigiani di Tito ed i primi scontri tra civili ed esercito invasore.
Antun Giron, partigiano nonché storico di Fiume, nel 1945, a distanza di due anni dal suo ritorno da un campo di concentramento nel Friuli, ebbe a scrivere: All’inizio a nessun italiano è stato fatto nulla di male. I partigiani avevano diramato l’ordine che non doveva essere fatto del male a nessuno. Ma qualche giorno dopo lo scoppio della rivolta popolare, alcuni corrieri a bordo di motociclette sidecar hanno portato la notizia che i fascisti di Albona avevano chiamato e fatto venire da Pola i tedeschi in loro aiuto e questi avevano aperto il fuoco contro i partigiani. Poco dopo si è saputo che i tedeschi erano stati chiamati in aiuto anche dai fascisti di Canfanaro, Sanvincenti e Parendo, fornendogli informazioni sui partigiani (…) Pertanto partigiani e contadini hanno cominciato ad arrestare ed imprigionare i fascisti (…) i partigiano decisero di fucilarne solo alcuni, i peggiori. Purtroppo quando, alcuni giorni più tardi, cominciarono ad avanzare i reparti germanici, i partigiani vennero a trovarsi nell’impaccio, non sapendo dove trasferire i prigionieri fascisti per non farli cadere nelle mani dei tedeschi. In questo imbarazzo hanno deciso di ammazzarli. Ne hanno uccisi circa 200 gettando i corpi nelle foibe.
Questa di Scotti, anche se di parte in quanto partigiano di Tito, è la prima vera, diretta tragica testimonianza. Particolarmente gravi ci sono sembrate le dichiarazioni fatte a suo tempo dal segretario del PCI Fausto Bertinotti che, in assenza di una reale conoscenza storica della materia, ebbe a dichiarare, riprendendo le tesi di due noti storici, anch’essi dichiarati comunisti, Pupo e Spazzali, che bisognava condannare il modo di fare informazione, ritenendolo, nei riguardi della verità storica, nocivo in particolar modo sotto l’aspetto politico. La realtà è che a partire dal 1945 la sinistra sapeva e tacque!
Ma come stanno oggi le cose? Non bene. La recente visita nel Friuli (Udine, Aviano, Monfalcone, Gorizia: città ove ho presentato il mio ultimo romanzo “Notti di veglia in guerra fredda”) mi ha dato la possibilità di confrontarmi con studiosi locali sullo scottante tema della pulizia etnica, attuata dall’esercito italiano, durante l’occupazione della Slovenia, della Dalmazia, e dell’Istria.
Lo studioso Giacomo Scotti lo spiega parlando di interi paesi rasi al suolo, di 11606 internati civili sloveni e croati morti nei lager italiani tra il 1941 ed il 1943 che, secondo le direttive emanate dall’allora generale Gastone Gambara, sarebbero stati lasciati morire d’inedia e malattie varie. Seguì poi l’8 settembre 1943. Seguì cioè l’occupazione della Venezia Giulia, nonché parte del Friuli e la provincia di Camaro (Fiume), da parte dell’esercito germanico con l’annessione al Reich col nome di Adriatisches Kustenland (Litorale Adriatico). Sul versante opposto abbiamo i partigiani di Tito ed i primi scontri tra civili ed esercito invasore.
Antun Giron, partigiano nonché storico di Fiume, nel 1945, a distanza di due anni dal suo ritorno da un campo di concentramento nel Friuli, ebbe a scrivere: All’inizio a nessun italiano è stato fatto nulla di male. I partigiani avevano diramato l’ordine che non doveva essere fatto del male a nessuno. Ma qualche giorno dopo lo scoppio della rivolta popolare, alcuni corrieri a bordo di motociclette sidecar hanno portato la notizia che i fascisti di Albona avevano chiamato e fatto venire da Pola i tedeschi in loro aiuto e questi avevano aperto il fuoco contro i partigiani. Poco dopo si è saputo che i tedeschi erano stati chiamati in aiuto anche dai fascisti di Canfanaro, Sanvincenti e Parendo, fornendogli informazioni sui partigiani (…) Pertanto partigiani e contadini hanno cominciato ad arrestare ed imprigionare i fascisti (…) i partigiano decisero di fucilarne solo alcuni, i peggiori. Purtroppo quando, alcuni giorni più tardi, cominciarono ad avanzare i reparti germanici, i partigiani vennero a trovarsi nell’impaccio, non sapendo dove trasferire i prigionieri fascisti per non farli cadere nelle mani dei tedeschi. In questo imbarazzo hanno deciso di ammazzarli. Ne hanno uccisi circa 200 gettando i corpi nelle foibe.
Questa di Scotti, anche se di parte in quanto partigiano di Tito, è la prima vera, diretta tragica testimonianza. Particolarmente gravi ci sono sembrate le dichiarazioni fatte a suo tempo dal segretario del PCI Fausto Bertinotti che, in assenza di una reale conoscenza storica della materia, ebbe a dichiarare, riprendendo le tesi di due noti storici, anch’essi dichiarati comunisti, Pupo e Spazzali, che bisognava condannare il modo di fare informazione, ritenendolo, nei riguardi della verità storica, nocivo in particolar modo sotto l’aspetto politico. La realtà è che a partire dal 1945 la sinistra sapeva e tacque!
La pulizia etnica jugoslava del 1945
A tacere lo furono un poco tutti. Sul versante opposto, infatti, abbiamo la seguente situazione. Dopo la battaglia di Basovizza del 30 aprile 1945, la gente del posto gettò in una foiba detta “Pozzo della Miniera” un imprecisato numero di soldati italiani e civili. Il 1 maggio 1945 a Trieste e a Gorizia si insediò il potere popolare controllato dall’Esercito di Liberazione Jugoslavo, seguirono 40 giorni di inauditi massacri e vendette personali e retroattive.
A tacere lo furono un poco tutti. Sul versante opposto, infatti, abbiamo la seguente situazione. Dopo la battaglia di Basovizza del 30 aprile 1945, la gente del posto gettò in una foiba detta “Pozzo della Miniera” un imprecisato numero di soldati italiani e civili. Il 1 maggio 1945 a Trieste e a Gorizia si insediò il potere popolare controllato dall’Esercito di Liberazione Jugoslavo, seguirono 40 giorni di inauditi massacri e vendette personali e retroattive.
Molti
dei militari arrestati nelle zone occupate di Trieste e Gorizia furono
internati nei campi di lavoro di Borovnica, a qualche chilometro da
Lubiana. In quello stesso campo furono pure internati i bersaglieri del
battaglione “Mussolini”, catturati nella zona di Tolmino, e alcuni corpi
appartenenti alla Guardia di Finanza, Polizia di Stato, Carabinieri,
militari della X.ma Mas, ed altri. Circa 4500. Alcuni di loro, una volta
riconosciuti essere gli esecutori dei vari rastrellamenti effettuati
dal 1941 al 1943, furono immediatamente fucilati. In gran numero furono
lasciati morire di tifo e di stenti.
Testimonianze di prima mano
Le foibe esplorate e censite sarebbero più di 60. La voragine nota come Foiba di Basovizza è in realtà il pozzo di una vecchia miniera abbandonata. Sui cui massacri, avvenuti tra il 2 e il 5 maggio 1945, vi è una nota del successivo 14 giugno del Comitato di Liberazione Nazionale di Trieste, inviato alle autorità angloamericane appena insediatisi. Si legge in questa nota: Nelle giornate del 2-3-4- e 5 maggio numerose centinaia di cittadini vennero trasportate al cosiddetto POZZO DELLA MINIERA, in località presso BASOVIZZA, e fatti precipitare nell’abisso profondo circa 240 mt. Su questi disgraziati vennero in seguito lanciate le salme di circa 120 soldati tedeschi uccisi nei combattimenti dei giorni precedenti e le carogne putrefatte di alcuni cavalli.
Il 29 giugno, apparve su Risorgimento Liberale la seguente notizia: Grande e penosa impressione ha destato in tutta l’America la notizia, proveniente da Basovizza presso Trieste, circa il massacro di oltre 400 persone da parte dei partigiani di Tito.
Scrive, al riguardo, don Flaminio Rocchi, nel suo libro di memorie: L’esodo dei 350.000 Giuliani, Fiumani e Dalmati, del 1971. Dal primo maggio al 15 giugno 1945 sono state gettate in questa voragine 2.500 tra civili, carabinieri, finanzieri e militari italiani, tedeschi e neozelandesi…”, a riprova che non tutta la verità era stata fatta emergere. Molte vittime,continua don Rocchi, erano prima spogliate e seviziate. E’ da notare che tra le vittime risultano moltissime donne e bambini. A volte intere famiglie, come il caso della postina di Sant’Antonio in Bosco, Pettirossi Andreina, che venne precipitata nella foiba insieme al marito ed alla figlioletta di due anni…
Ma c’è anche chi da quelle viscere riuscì ad uscirne vivo. Racconterà Giovanni Radeticchio, sopravvissuto di Sirano. “…mi appesero un grosso masso, del peso di circa 10 kg, per mezzo di filo di ferro ai polsi già legati con altro filo di ferro e mi costrinsero ad andare da solo dietro Udovisi, già sceso nella foiba. Dopo qualche istante mi spararono qualche colpo di moschetto. Dio volle che colpissero il filo di ferro che fece cadere il sasso. Così caddi illeso nell’acqua della foiba. Nuotando, con le mani legate dietro la schiena, ho potuto arenarmi. Intanto continuavano a cadere altri miei compagni e dietro ad ognuno sparavano colpi di mitra. Dopo l’ultima vittima gettarono una bomba a mano per finirci tutti. Costernato dal dolore non reggevo più. Sono uscito a rompere il filo di ferro che mi serrava i polsi, straziando contemporaneamente le mie carni, poiché i polsi cedettero prima del filo di ferro. Rimasi così nella foiba per un paio di ore. Poi col favore della notte, uscii da quella che doveva essere la mia tomba…
Molte sono le testimonianze che ci consentono di capire le reali difficoltà di quei giorni terribili. Claudia Cernigoi in “Operazione foibe” racconta tra l’altro di Giuseppe Cernecca, che, di ritorno da un viaggio a Trieste, fu arrestato da tre slavi mentre stava cenando in una osteria di Cittanova. Fu portato al comando, interrogato, bastonato, senza alcun valido motivo. Seguì il trasferimento a Cimino, sede del quartiere generale del temutissimo braccio destro di Tito, tal Ivan Motika, e da questi fu condannato a morte. In una cella accanto alla sua ritrovò la sorella con quattro suoi ragazzi: riuscì a trattenersi solo poche ore… Il mattino seguente fu lapidato e gettato in una fossa comune…
In ordine al pietoso recupero delle salme nelle zone della Venezia Giulia rimasta all’Italia, anche in relazione del fatto che due tra le più grandi foibe: quella di Basovizza e di Monrupino, contenenti migliaia di cadaveri, furono rozzamente tappate con un solaio di cemento. L’allora Ministro della Difesa, On. Giulio Andreotti, incalzato dalla stampa nazionale ed estera, sull’argomento si espresse in questi termini: La chiusura è del tutto provvisoria. Essa è costituita da lastre di cemento poggiate su travi di ferro e munite di anelloni per il loro sollevamento. La chiusura non preclude quindi la possibilità del recupero delle salme giacenti nel fondo del pozzo, recupero che sarà effettuato quando sarà possibile superare le molteplici e serie difficoltà di ordine igienico e di sicurezza. Un decreto del Presidente della Repubblica, Luigi Scalfaro, datato 11 settembre 1992, dichiarò la foiba di Basovizza monumento nazionale.
Altra foiba tristemente nota è quella di Plutone. Altra voragine che si apre sul Carso triestino, sulla strada che porta a Gropada. Segue la grotta di Sath, che si trova a circa 500 metri da Basovizza, sempre sul Carso, lungo la strada per il paese di Jezero. Anche in questa grotta furono scoperti un gran numero di corpi marcescenti di soldati italiani e civili. Anche qui, pur di nascondere ogni traccia, i partigiani di Tito vi gettarono esplosivo e nitroglicerina. Tra queste poche citazioni meriterebbero il giusto spazio quelle di tante altre persone scomparse o uccise a Trieste ed a Gorizia nel periodo dei tragici 40 giorni di amministrazione jugoslava o perché arrestate in base a denunce di privati cittadini, ritenutisi vittime del precedente governo fascista.
Le foibe esplorate e censite sarebbero più di 60. La voragine nota come Foiba di Basovizza è in realtà il pozzo di una vecchia miniera abbandonata. Sui cui massacri, avvenuti tra il 2 e il 5 maggio 1945, vi è una nota del successivo 14 giugno del Comitato di Liberazione Nazionale di Trieste, inviato alle autorità angloamericane appena insediatisi. Si legge in questa nota: Nelle giornate del 2-3-4- e 5 maggio numerose centinaia di cittadini vennero trasportate al cosiddetto POZZO DELLA MINIERA, in località presso BASOVIZZA, e fatti precipitare nell’abisso profondo circa 240 mt. Su questi disgraziati vennero in seguito lanciate le salme di circa 120 soldati tedeschi uccisi nei combattimenti dei giorni precedenti e le carogne putrefatte di alcuni cavalli.
Il 29 giugno, apparve su Risorgimento Liberale la seguente notizia: Grande e penosa impressione ha destato in tutta l’America la notizia, proveniente da Basovizza presso Trieste, circa il massacro di oltre 400 persone da parte dei partigiani di Tito.
Scrive, al riguardo, don Flaminio Rocchi, nel suo libro di memorie: L’esodo dei 350.000 Giuliani, Fiumani e Dalmati, del 1971. Dal primo maggio al 15 giugno 1945 sono state gettate in questa voragine 2.500 tra civili, carabinieri, finanzieri e militari italiani, tedeschi e neozelandesi…”, a riprova che non tutta la verità era stata fatta emergere. Molte vittime,continua don Rocchi, erano prima spogliate e seviziate. E’ da notare che tra le vittime risultano moltissime donne e bambini. A volte intere famiglie, come il caso della postina di Sant’Antonio in Bosco, Pettirossi Andreina, che venne precipitata nella foiba insieme al marito ed alla figlioletta di due anni…
Ma c’è anche chi da quelle viscere riuscì ad uscirne vivo. Racconterà Giovanni Radeticchio, sopravvissuto di Sirano. “…mi appesero un grosso masso, del peso di circa 10 kg, per mezzo di filo di ferro ai polsi già legati con altro filo di ferro e mi costrinsero ad andare da solo dietro Udovisi, già sceso nella foiba. Dopo qualche istante mi spararono qualche colpo di moschetto. Dio volle che colpissero il filo di ferro che fece cadere il sasso. Così caddi illeso nell’acqua della foiba. Nuotando, con le mani legate dietro la schiena, ho potuto arenarmi. Intanto continuavano a cadere altri miei compagni e dietro ad ognuno sparavano colpi di mitra. Dopo l’ultima vittima gettarono una bomba a mano per finirci tutti. Costernato dal dolore non reggevo più. Sono uscito a rompere il filo di ferro che mi serrava i polsi, straziando contemporaneamente le mie carni, poiché i polsi cedettero prima del filo di ferro. Rimasi così nella foiba per un paio di ore. Poi col favore della notte, uscii da quella che doveva essere la mia tomba…
Molte sono le testimonianze che ci consentono di capire le reali difficoltà di quei giorni terribili. Claudia Cernigoi in “Operazione foibe” racconta tra l’altro di Giuseppe Cernecca, che, di ritorno da un viaggio a Trieste, fu arrestato da tre slavi mentre stava cenando in una osteria di Cittanova. Fu portato al comando, interrogato, bastonato, senza alcun valido motivo. Seguì il trasferimento a Cimino, sede del quartiere generale del temutissimo braccio destro di Tito, tal Ivan Motika, e da questi fu condannato a morte. In una cella accanto alla sua ritrovò la sorella con quattro suoi ragazzi: riuscì a trattenersi solo poche ore… Il mattino seguente fu lapidato e gettato in una fossa comune…
In ordine al pietoso recupero delle salme nelle zone della Venezia Giulia rimasta all’Italia, anche in relazione del fatto che due tra le più grandi foibe: quella di Basovizza e di Monrupino, contenenti migliaia di cadaveri, furono rozzamente tappate con un solaio di cemento. L’allora Ministro della Difesa, On. Giulio Andreotti, incalzato dalla stampa nazionale ed estera, sull’argomento si espresse in questi termini: La chiusura è del tutto provvisoria. Essa è costituita da lastre di cemento poggiate su travi di ferro e munite di anelloni per il loro sollevamento. La chiusura non preclude quindi la possibilità del recupero delle salme giacenti nel fondo del pozzo, recupero che sarà effettuato quando sarà possibile superare le molteplici e serie difficoltà di ordine igienico e di sicurezza. Un decreto del Presidente della Repubblica, Luigi Scalfaro, datato 11 settembre 1992, dichiarò la foiba di Basovizza monumento nazionale.
Altra foiba tristemente nota è quella di Plutone. Altra voragine che si apre sul Carso triestino, sulla strada che porta a Gropada. Segue la grotta di Sath, che si trova a circa 500 metri da Basovizza, sempre sul Carso, lungo la strada per il paese di Jezero. Anche in questa grotta furono scoperti un gran numero di corpi marcescenti di soldati italiani e civili. Anche qui, pur di nascondere ogni traccia, i partigiani di Tito vi gettarono esplosivo e nitroglicerina. Tra queste poche citazioni meriterebbero il giusto spazio quelle di tante altre persone scomparse o uccise a Trieste ed a Gorizia nel periodo dei tragici 40 giorni di amministrazione jugoslava o perché arrestate in base a denunce di privati cittadini, ritenutisi vittime del precedente governo fascista.
I processi
Quello di Trieste, il più importante, si aprì il 3 gennaio 1948. In seguito furono istituiti decine di altri processi tutti per foibe. Tra questi vi è quello altrettanto triste di San Sabba che andò in aula solo nel 1976. Molti conobbero il carcere; altri, per aver fatto perdere ogni traccia, furono condannati in contumacia. L’amnistia, concessa dall’allora Presidente della Repubblica Sandro Pertini, pose la parola fine .
Quello di Trieste, il più importante, si aprì il 3 gennaio 1948. In seguito furono istituiti decine di altri processi tutti per foibe. Tra questi vi è quello altrettanto triste di San Sabba che andò in aula solo nel 1976. Molti conobbero il carcere; altri, per aver fatto perdere ogni traccia, furono condannati in contumacia. L’amnistia, concessa dall’allora Presidente della Repubblica Sandro Pertini, pose la parola fine .
Una polemica infinita
L’uscente Presidente della Repubblica, Napolitano, ha di recente accusato un poco tutti di aver tenuto nascosta la verità alla Nazione; tale presa di posizione, per quanto si è potuto leggere sulla stampa, sembra sia stata mal digerita dal protempore collega croato, Mesic. Come è possibile? A Gorizia ho avuto il piacere di discorrere con il Generale di Brigata, Sabatino Aufiero, mio conterraneo, il quale, riguardo l’aspetto foibe, mi confermava che tutto quanto ha avuto origine nel 1943 quando – ormai era chiaro a tutti che la guerra era persa – Tito, avuto l’appoggio di Togliatti, fece pressione per annettersi tutta la Venezia Giulia; al seguito poi della rottura con Mosca, l’allora segretario del PCI italiano scelse apertamente di stare al fianco di Stalin, non solo inimicandosi Tito quanto impedendo a tanti nostri soldati prigionieri in Russia, e a tutti quei comunisti italiani che erano andati in Jugoslavia a lavorare per una causa che credevano giusta, per favorire la ripresa economica in particolar modo di Pola e di Fiume, di fare rientro in patria. Altra chiave di lettura che spiega la vendetta cieca degli Slavi, tesa a colpire tutto quello che era italiano, anche per creare, come del resto abbiamo visto nell’ultimo conflitto balcanico, un regime di stragi e di terrore mirato a far migrare, come poi è successo, intere popolazioni.
L’uscente Presidente della Repubblica, Napolitano, ha di recente accusato un poco tutti di aver tenuto nascosta la verità alla Nazione; tale presa di posizione, per quanto si è potuto leggere sulla stampa, sembra sia stata mal digerita dal protempore collega croato, Mesic. Come è possibile? A Gorizia ho avuto il piacere di discorrere con il Generale di Brigata, Sabatino Aufiero, mio conterraneo, il quale, riguardo l’aspetto foibe, mi confermava che tutto quanto ha avuto origine nel 1943 quando – ormai era chiaro a tutti che la guerra era persa – Tito, avuto l’appoggio di Togliatti, fece pressione per annettersi tutta la Venezia Giulia; al seguito poi della rottura con Mosca, l’allora segretario del PCI italiano scelse apertamente di stare al fianco di Stalin, non solo inimicandosi Tito quanto impedendo a tanti nostri soldati prigionieri in Russia, e a tutti quei comunisti italiani che erano andati in Jugoslavia a lavorare per una causa che credevano giusta, per favorire la ripresa economica in particolar modo di Pola e di Fiume, di fare rientro in patria. Altra chiave di lettura che spiega la vendetta cieca degli Slavi, tesa a colpire tutto quello che era italiano, anche per creare, come del resto abbiamo visto nell’ultimo conflitto balcanico, un regime di stragi e di terrore mirato a far migrare, come poi è successo, intere popolazioni.
Una lezione di vita
Molti sono gli intellettuali che hanno preso le distanze dai politici di sinistra e di destra del tempo. I primi, come sappiamo, avevano cercato di imbavagliare una realtà per molti scomoda, mentre i secondi avevano cercato in tutti i modi di ingigantirla. Tuttavia la strada che ci porta dritto verso la verità è tuttora in salita in quanto troppi lati oscuri sono circonfusi da una palpabile ipocrisia. Questo spiega il clima sospettoso delle varie etnie presenti in quell’area. La stessa Legge dello Stato che ha riconosciuto il 10 febbraio come il Giorno della Memoria, non è che il primo passo verso il definitivo riconoscimento di responsabilità di una politica sbagliata in quanto priva di ogni fondamento storico ed umano.
Molti sono gli intellettuali che hanno preso le distanze dai politici di sinistra e di destra del tempo. I primi, come sappiamo, avevano cercato di imbavagliare una realtà per molti scomoda, mentre i secondi avevano cercato in tutti i modi di ingigantirla. Tuttavia la strada che ci porta dritto verso la verità è tuttora in salita in quanto troppi lati oscuri sono circonfusi da una palpabile ipocrisia. Questo spiega il clima sospettoso delle varie etnie presenti in quell’area. La stessa Legge dello Stato che ha riconosciuto il 10 febbraio come il Giorno della Memoria, non è che il primo passo verso il definitivo riconoscimento di responsabilità di una politica sbagliata in quanto priva di ogni fondamento storico ed umano.
Una
lezione che vale per tutti. Quando l’umanità si lascia trascinare dalla
febbre del potere, dalla voglia di primeggiare e di prevaricare
sull’altro, quando ci si lascia andare alla violenza cieca, si finisce
sempre per generare altra violenza. Un continuo per dire che chi crede
di doversi difendere con la violenza, altra violenza si deve pure
aspettare. Chiudo col prendere in prestito un pensiero di Brecht, che
recita più o meno così: “…impari l’uomo; però, prima impari ad essere di
aiuto all’uomo”.
Foibe, Auschwitz, la vita è odio o amore?
A pagare sono sempre gli innocenti.
di Pancrazio “Ezio” Vinciguerra
A pagare sono sempre gli innocenti.
di Pancrazio “Ezio” Vinciguerra
Fino
a pochi anni fa, quando si parlava di Foibe in Italia valeva quanto
riportato in un celebre e diffuso dizionario della nostra amata lingua,
che semplicemente usava la definizione di “dolina carsica”. Nulla che
potesse richiamare una verità terribile e scomoda per la storiografia
ufficiale, ovvero quegli eccidi compiuti dalle truppe titine a danno
della popolazione italiana particolarmente tra il 1943 e il 1947, anche
molto dopo la fine della Seconda Guerra mondiale. Barbarie tanto più
odiosa, perché compiuta contro degli inermi, donne e bambini, anziani,
colpevoli solo di essere italiani, in un clima di odio diffuso che
prendeva rapidamente i contorni di una vera e propria pulizia etnica. Il
dolore dei profughi, negli anni seguenti, è stato se possibile reso
ancora più forte dal silenzio calato sull’intera vicenda, e chi è
sopravvissuto ha dovuto anche sopportare, oltre alla perdita dei propri
cari e ad atrocità di ogni genere, l’umiliazione di sentirsi straniero
in Patria, testimone scomodo di una realtà che si voleva a tutti i costi
rimuovere e dimenticare.
“A pagare sono stati e sono sempre gli innocenti“
. L’uomo continua la sua strage degli innocenti, ammassandoli come rifiuti senza una degna sepoltura, ne una Prece, ne un ricordo…
La barbarie umane compiute contro degli inermi, colpevoli solo di essere creduti dalla parte sbagliata, alimentano odio; un odio esteso subito anche dal mondo animale e vegetale.
L’odio, perpetrato nell’omicidio, nella pulizia etnica, nell’inquinamento, nell’affannosa ricerca al benessere sfrenato, non ha colore o ideologia: è odio!
L’amore è il contrario dell’odio. Ma questo decantato amore è latente perché siamo peccatori, perché siamo sordi e non sappiamo più ascoltare col cuore, perché siamo pronti a giudicare e non sappiamo perdonare, perché ci professiamo sempre innocenti e non conosciamo più vergogna, perché siamo i primi a scagliare le pietre pur sapendo di essere complici e colpevoli: complici dell’omertà del silenzio e colpevoli o correi di omissione alla verità.
Perché non arrossiamo alla vergogne nostre e degli altri rendendoci complici di fronte a quell’odio che è peccato? Che cos’è il peccato? E l’espiazione al peccato che cos’è? Siamo ancora credenti? La vita, la nostra, è odio o è amore?
La barbarie umane compiute contro degli inermi, colpevoli solo di essere creduti dalla parte sbagliata, alimentano odio; un odio esteso subito anche dal mondo animale e vegetale.
L’odio, perpetrato nell’omicidio, nella pulizia etnica, nell’inquinamento, nell’affannosa ricerca al benessere sfrenato, non ha colore o ideologia: è odio!
L’amore è il contrario dell’odio. Ma questo decantato amore è latente perché siamo peccatori, perché siamo sordi e non sappiamo più ascoltare col cuore, perché siamo pronti a giudicare e non sappiamo perdonare, perché ci professiamo sempre innocenti e non conosciamo più vergogna, perché siamo i primi a scagliare le pietre pur sapendo di essere complici e colpevoli: complici dell’omertà del silenzio e colpevoli o correi di omissione alla verità.
Perché non arrossiamo alla vergogne nostre e degli altri rendendoci complici di fronte a quell’odio che è peccato? Che cos’è il peccato? E l’espiazione al peccato che cos’è? Siamo ancora credenti? La vita, la nostra, è odio o è amore?