Questo blog non rappresenta una testata giornalistica in quanto viene aggiornato senza alcuna periodicità . Non può pertanto considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge n° 62 del 7.03.2001. L'autore non è responsabile per quanto pubblicato dai lettori nei commenti ad ogni post. Verranno cancellati i commenti ritenuti offensivi o lesivi dell’immagine o dell’onorabilità di terzi, di genere spam, razzisti o che contengano dati personali non conformi al rispetto delle norme sulla Privacy. Alcuni testi o immagini inserite in questo blog sono tratte da internet e, pertanto, considerate di pubblico dominio; qualora la loro pubblicazione violasse eventuali diritti d'autore, vogliate comunicarlo via email all'indirizzo edomed94@gmail.com Saranno immediatamente rimossi. L'autore del blog non è responsabile dei siti collegati tramite link né del loro contenuto che può essere soggetto a variazioni nel tempo.


Non smettete mai di protestare; non smettete mai di dissentire, di porvi domande, di mettere in discussione l’autorità, i luoghi comuni, i dogmi. Non esiste la verità assoluta. Non smettete di pensare. Siate voci fuori dal coro. Un uomo che non dissente è un seme che non crescerà mai.

(Bertrand Russell)

29/12/17

In Niger! Ma a fare cosa?

libya_niger_guard

Nel XIX secolo molte potenze europee hanno avviato discutibili operazioni militari in Africa anche al fine distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica dai problemi interni.
L’Italia, come il bambino che tenta di scimmiottare i “grandi”, lo ha fatto anche nella prima metà del XX secolo con la Libia e, soprattutto, con la sconclusionata operazione in Etiopia. Ora mi sembra di essere di fronte a un dejà vu!
Da giorni i media ci forniscono dettagli in merito all’Operazione “Deserto Rosso” in Niger, con numeri di soldati, loro dislocazione e loro equipaggiamenti. I giornali forniscono anche dettagli su tipologia di unità (genio, sanità, paracadutisti, numero  automezzi e mezzi da combattimento e numero di aeromobili , eccetera) e un sacco di altri dettagli insignificanti. Insignificanti, sì! Perché l’unica cosa che dovremmo sapere come cittadini e come contribuenti sarebbe quale missione gli viene assegnata e con quali regole d’ingaggio dovrebbero operare!
Dobbiamo sapere “quale missione” per renderci conto se è una missione che veramente possa giovare agli interessi nazionali. Dobbiamo sapere a “quali regole d’ingaggio” si conformerà il comportamento dei nostri militari, sia per sapere se tali regole d’ingaggio ne assicureranno l’incolumità in un teatro non scevro di rischi, sia soprattutto per essere certi che tali regole d’ingaggio (se troppo restrittive in merito all’uso della forza) non ne inficino l’efficacia e la credibilità, come troppe volte avviene ad esempio alle operazioni a guida ONU.

Carte-Niger-Madama-360x245Su tali punti essenziali vedo solo nebbia e contraddizioni. Incominciamo dal compito dei nostri soldati in Niger. Intanto in quale contesto internazionale opereranno? Non appare troppo chiaro, e ciò già preoccupa.
Il contesto di riferimento potrebbe essere la Risoluzione ONU n.2359 de 2017 che ha riconosciuto la “Force Conjointe du G5 du Sahel” di 5.000 uomini di Mauritania (paese pilota del progetto), Niger, Ciad, Burkina Faso e Mali (tutti paesi francofoni). Non è però chiaro cosa c’entri l’Italia.
Quindi gli italiani dovrebbero inserirsi in un contesto a guida francese (che da anni già hanno nella regione dai 3 ai 4 mila uomini, nell’ambito dell’operazione “Barkhane”) per supportare/addestrare i contingenti di questi paesi francofoni. Quanto ciò risponda più agli interessi di Parigi che di Roma lo ha già spiegato su questa testata Gianandrea Gaiani.
Diamo per scontato che andiamo lì per generosità nei confronti di Parigi, il ché in un’ottica di “do ut des” ci può decisamente stare (il “do” da parte nostra c’è sempre, in merito al “des” da parte degli altri abbiamo finora visto qualche défaillance, ma è colpa nostra!).
Andiamo ai compiti sul terreno. Il Presidente Gentiloni avrebbe indicato come obiettivi: “consolidare quel paese, contrastare il traffico di essere umani ed il terrorismo”. Ora mi sembra che contrastare il traffico di esseri umani e combattere il terrorismo richiedano assetti, procedure e regole d’ingaggio ben diverse. Nonostante le connessioni finanziarie tra i due fenomeni, non penso si possano adottare procedure simili per intercettare una colonna di migranti illegali o un team terroristico!

Fort-MadamaDal canto suo, il Capo di SMD avrebbe dichiarato che “non si tratterebbe di una missione combat” (allora non capisco perché non ci vadano i boyscout cari a Renzi) e che i nostri avrebbero solo compito di “addestrare le forze nigerine e renderle in grado di contrastare efficacemente il traffico di migranti ed il terrorismo”.
I membri del G5 del Sahel stiano mettendo in piedi una forza multinazionale per combattere il terrorismo ma non ho trovato riferimenti nei loro documenti pubblici al contrasto dei flussi migratori clandestini. Che si tratti di un qualcosa messo lì per rendere l’operazione più gradita al pubblico italiano?
Infatti, il senatore Latorre , presidente della Commissione Difesa del Senato, ha dichiarato: “lo scopo sarà di realizzare un’attività di training, che non avrà l’obiettivo di contenere i flussi migratori, ma di governare i confini di paesi che sono transito di flussi”.
Quindi non molto a che fare con il contrasto dei flussi migratori illegali (che comunque, a parere di chi scrive resta un’attività di competenza della polizia e non dell’esercito!)
Il Decreto del Consiglio dei Ministri, un po’ più tecnico delle dichiarazioni alla stampa, stabilisce che la missione si prefigge di “rafforzare le capacità di controllo del territorio delle autorità nigerine e dei paesi del G5 Sahel e lo sviluppo delle forze di sicurezza nigerine per lo sviluppo di capacità volte al contrasto del fenomeno dei traffici illegali e delle minacce alla sicurezza”.

AP TM nEwsViene ribadito che”il controllo delle frontiere rimarrà un compito delle forze di sicurezza nigerine”.  È ovvio, infatti, che nessuno Stato Sovrano sia disposto a delegare ad autorità esterne il controllo dei propri confini! Naturale, pertanto, che il controllo delle frontiere resti responsabilità nazionale, cui i nostri potrebbero concorrere eventualmente con apparati per il controllo di aree estese. Comunque, anche se i nostri intercettassero (volutamente o incidentalmente) dei terroristi non potrebbero che avvisare i nigerini per intervenire. Non potrebbero, infatti, arrestarli in quanto poi non saprebbero come gestirli: non sarebbe loro consentito, una volta arrestati, consegnarli alle autorità del Niger (ove è sia pure solo formalmente in vigore la pena di morte) né potrebbero inviarli in Italia per il processo (cosa che credo i terroristi gradirebbero).
Se nell’ambito degli apparati di polizia nigerina, come da molti sostenuto, vi sono stati casi non sporadici di collusione con i trafficanti, appare ovvio che l’addestramento da solo può servire a ben poco. A meno che si avvii un processo globale di Security Sector Reform (come avviato in Afghanistan e Iraq per l’intero apparato di sicurezza dei due paesi), di cui nessuno ha parlato per Niger e Mali, il problema non si risolve!
Si è detto anche che l’intervento serve a bloccare i foreign fighters di ritorno.  A parte il fatto che non ce li vedo i foriegn fighters che tornano in Europa mischiandosi a carovane  nel deserto, mi sembra che le aree da cui oggi stanno evacuando gli “ex – foreign fighters” siano essenzialmente Siria e Iraq. Perché mai per rientrare in Europa dovrebbero passar per il Sahel?
In conclusione, non appare ben chiaro che cosa si vada a fare in Niger né perché ci si vada.Purtroppo, ancor meno si sa in merito al comando (verosimilmente francese) sotto il quale opereranno i nostri soldati.

Af_Ner_115_Fort_de_MadamaRegole d’ingaggio? Queste ovviamente discendono dal compito e dal contesto in cui si opera. Se il compito è confuso, le regole d’ingaggio non potranno certamente essere efficaci.
Occorre tener presente che le regole d’ingaggio sono sì funzionali alla sicurezza dei nostri militari (e già ciò basterebbe a farle tenere nella massima considerazione), ma sono soprattutto funzionali all’assolvimento della missione (innumerevoli sono le operazioni militari, soprattutto a guida ONU, che sono fallite miseramente  a causa anche di regole d’ingaggio non adeguate: fallimenti che, come nel caso di UNPROFOR in Bosnia dal 1992 al ‘95, hanno avuto come conseguenza migliaia di vittime civili che avrebbero potuto e dovuto essere evitate).
L’insistenza sul fatto che sarà una missione “non-combat” mi fa temere che sia la foglia di fico per mandare soldati allo sbaraglio con compiti non chiari e con regole d’ingaggio non adeguate.
Inoltre, se i nostri non saranno combat, come si interfacceranno con chi combat lo è (francesi, ma anche statunitensi e poi, ovviamente, i nigerini).
Essere “non-combat” in un teatro dove gli altri combattono è come essere un vaso di terracotta tra quelli di ferro, come scriveva Manzoni. Per prima cosa vieni escluso da buona parte del flusso informativo (no need to know!) e ciò si riverbera sulla sicurezza dei nostri contingenti. Peraltro, mentre non si sa bene che cosa esattamente andranno a fare i nostri soldati in Niger, si sa che saranno al massimo 470 (quindi si stima una forza media annuale di 250) e, comunque, non da subito!
Tra l’altro, in un contesto d’impiego così lontano ed isolato, una componente non indifferente e poco comprimibile del contingente dovrà inevitabilmente essere connessa con l’assolvimento di compiti di supporto nazionale (National Support Element, collegamenti con l’Italia), di sostegno logistico e di sicurezza. Quindi per numeri piccoli, si rischia che l’output operativo o addestrativo diventi davvero marginale.  Ovvero, parafrasando Pierre De Coubertin, l’importante è partecipare, non fornire un contributo significativo!

141210_bkh_pose-madama-3_article_pleine_colonne-10Ci si premura comunque di assicurare che saranno contestualmente ridotti i militari in Iraq (circa 1.500 uomini). Peccato! Non mi sembra che a Bagdad il compito di addestrare le FA irachene sia completato né che ad Erbil si possa abbassare già la guardia! Non capisco perché, se proprio l’aritmetica deve tornare, non si vadano a rivedere i nostri impegni militari in Kosovo (missione KFOR, più di 500 militari) o i pattugliatori che navigano al largo del Sinai (Multinational Force of Observers –MFO-circa 80 marinai)!
Ma non si vorrà mica andare a cancellare missioni che ormai sono di tutto riposo, senza rischio e che consentono di elargire benefit economici al personale (soprattutto sotto elezione)! Quindi, vada per la riduzione in Iraq.
Tra l’altro, ridurre il contingente in Iraq anziché quello della MFO al largo delle pericolosissime acque di Sharm el Sheik può essere gradito sia a pacifisti vari e sia al personale militare.
Se fosse una questione di numeri di soldati impegnati all’estero (ma non lo è) allora si potrebbe considerare che senso abbia continuare ad impegnare 900 uomini in Afghanistan (Operazione Resolute Support).
Non so chi possa ritenere tale operazione ancora funzionale alla sicurezza nazionale, dopo sedici anni dall’intervento (i primi soldati italiani vi si recarono a dicembre 2001). In Afghanistan mi pare che ci restiamo ancora solo perché ce lo chiedono gli USA. Legittimo?
Forse. Peraltro poi non siamo in grado di sfruttare a nostro favore tale impegno, perché ci inimichiamo Washington in mille modi (da ultimo con il voto alle Nazioni Unite con cui si condanna Washington in merito al riconoscimento di Gerusalemme come capitale di Israele).

2017-12-13t143019z_996703584_rc15149faa20_rtrmadp_3_africa-security-sahelAnche questo è perfettamente legittimo. Ma la politica di dare un colpo al cerchio ed uno alla botte perché non sappiamo dove vogliamo arrivare non porterà certo vantaggi.
Inoltre, se, come viene detto, lo spostamento della gravitazione del nostro dispositivo all’estero verso l’Africa risponde agli “interessi nazionali italiani” non si capisce perché non sia avvenuto prima, dato che il “fronte sud” è da tempo percepito come estremamente vulnerabile. Analogamente, in tale ottica, non si comprende la nostra ritrosia ad un impegno militare serio in Libia, che finora non mi pare esserci stato.
Se il Niger è veramente una priorità strategica italiana, allora impegnarvi solo 470 uomini, di cui i primi 120 non prima di febbraio/marzo e i rimanenti non prima di giugno non mi sembra un grande sforzo! Ma tanto, mi si obietterà, che se ne inviino 100 o 2.000 i titoli sui giornali sono gli stessi e allora … perché sprecarsi?
Infine, viene ripetuto ossessivamente che l’intervento serve per “contare di più in Europa”.  Il ché significa che visto che non siamo in grado di esprimere una politica estera che sappia farsi valere in Europa (né altrove), tentiamo di compensare inviando soldati ovunque ce lo chiedano anche se non sappiamo a cosa serva. Tanto i soldati ubbidiscono!

Foto: AP, AFP e Ministero Difesa Francese

28 dicembre 2017 - di i


28/12/17

Il “male nostrum”


Il “male nostrum”L’unico pensiero confortante in chiusura di un anno per niente brillante come vogliono farci credere (anzi) è che finalmente tra due mesi si voterà. Per il resto il 2017 non è stato l’anno della svolta, della raccolta di chissà quale semina, dell’uscita dalla caverna nella quale siamo strutturalmente costretti da sempre. Parliamo ovviamente di quei mali ottusi del Paese che, più o meno dal Nord al Sud, rappresentano un “Sistema Italia” tarlato da vulnus mai riformati per ipocrisia politica. Perché sia chiaro, per quanto mediocre e opportunista sia la politica, il “Male Nostrum” lo conosce bene eccome. Conosce l’assurdità di un apparato pubblico mostruoso, inefficiente, inadeguato e, come spesso vediamo dalle cronache, in parte corrotto e furbetto. I politici conoscono bene le patologie di una giustizia lenta, ingiusta e a tratti arrogante per via di poteri che sanno più di arbitrio che di autonomia. Sorvoliamo “sull’indipendenza” della magistratura, perché servirebbe un dizionario dei dubbi e degli esempi d’incertezza.
La politica è perfettamente a conoscenza delle opacità nel mondo del credito e della vigilanza, non fosse altro perché da decenni c’è un passaggio bidirezionale di poltrone a tutti i livelli. Per non parlare di quanto sappia dei veri motivi dello sfascio previdenziale, fiscale, burocratico e amministrativo del Paese. Insomma, è arcinoto che il debito irrefrenabile sia dovuto soprattutto a un eccesso di spesa pubblica, di spreco, di sperpero e di malaffare. Ecco perché su questo tema l’evasione, che pure c’è e va combattuta, non c’entra niente. L’eccesso di spesa non si combatte come fa la sinistra attraverso l’ossessione e la persecuzione fiscale, ma passando dalla cultura dell’assistenza e dello statalismo a quella dello sviluppo e dello Stato minimo. Ecco dove è il “Male Nostrum”; è nella devastazione di una cultura statalista, assistenzialista, clientelare, parrocchiale, da socialismo reale che il centrosinistra e il cattocomunismo hanno voluto in Italia.
Da noi lo Stato costa una follia e non funziona, esaspera e non aiuta, complica e non semplifica, sbaglia e non paga, se ne buggera alla faccia di tutto e tutti. Vale in ogni settore pubblico diretto o indiretto, dalla vigilanza bancaria alla previdenza, dalla amministrazione sanitaria a quella giudiziaria e universitaria. Vale per comuni, regioni, province, aziende municipalizzate e partecipate, enti, organismi e ogni altra follia ove per forza è stato fatto entrare lo Stato. È stato fatto entrare per assumere dove non serviva, per costruire aziende inutili ed enti pressoché fantasma solo per assegnare poltrone. Ecco il “Male dell’Italia” che il cattocomunismo ha inventato e scaricato sulla pelle dei privati, ecco perché senza quelle riforme strutturali che nessuno mai ha avuto la forza di fare non cresceremo mai come dovremmo. Con il voto di marzo, magari, si potrà cambiare, entrando in cabina basterà ricordare il sistema fiscale, Equitalia, le file in ospedale, agli sportelli, la Legge Fornero, gli scandali, l’Ilva di Taranto, le banche, i centri d’accoglienza, la giustizia ingiusta e i furbetti del cartellino. Basterà ricordare...

Natale nelle casette inabitabili: quel consorzio di Firenze che inguaia i terremotati


Piove sul bagnato

casette-sae-inabitabili-marche


Doveva essere un Natale “più normale” per le popolazioni colpite dal terremoto in Centro Italia. Sotto l’albero, infatti, gli abitanti di alcuni centri delle Marche avrebbero dovuto trovare, dopo enormi ritardi, le famose casette, in gergo tecnico chiamate Sae (soluzioni abitative d’emergenza). Ad alcuni sembrava troppo bello per essere vero e infetti le cose non sono andate proprio così. Lo sanno bene soprattutto i sindaci di Visso, Sarnano e Caldarola, comuni del maceratese. Il 22 dicembre i comuni hanno ricevuto il verbale della consegna e la documentazione del termine dei lavori dove si affermava che tutto era in ordine e le Sae erano pronte per la consegna delle chiavi. Ma dai sopralluoghi pre-consegna è emerso tutt’altro.
Sporcizia ovunque, sanitari non installati, caldaie non funzionanti, casette senza elettricità. E basta vedere la pendenza dei tetti (quasi inesistente) per capire che le casette non sono certo adatte a posti dove l'inverno porta sempre abbondanti nevicate. Questo è lo spettacolo piuttosto indecente che si è palesato agli occhi dei primi cittadini: “Si dice che a Natale bisognerebbe essere più buoni, ma non ce la faccio proprio: delle 12 sae consegnate ieri nessuna è abitabile. Consegnarle in queste condizioni è inaccettabile” sbotta il sindaco di Visso Giuliano Pazzaglini. Dello stesso tenore sono i commenti dei suoi colleghi, anche perché la situazione è praticamente la stessa: “E’ uno scandalo! All’esterno vialetti ancora da sistemare, cumuli di terra, terrapieni da ultimare, reti da cantiere, asfaltatura rovinata, pezzi di catrame sulle aiuole; all’interno, oltre alla sporcizia, parte del mobilio e dei complementi d’arredo previsti nel capitolato non montati o addirittura assenti. In teoria i lavori delle casette, arredi compresi, sarebbero stati ultimati lo scorso 22 dicembre, ma lascio a ognuno giudicare se sia possibile considerare terminati i lavori” commenta desolato il sindaco di Sarnano Franco Ceregioli che avrebbe dovuto consegnare proprio oggi le Sae e invece si è trovato costretto a far saltare la consegna delle chiavi, documentando il tutto in alcuni video postati sulla sul suo profilo Facebook. “Fosse stato per me avrei spostato ancora la data di consegna, perché ognuno di noi ha una dignità e lo stato attuale delle cose offende la dignità dei caldarolesi” dice il sindaco di Caldarola Luca Maria Giuseppetti.
Insomma, il quadro è chiaro. Così come è chiaro il destinatario delle invettive dei sindaci: quel consorzio Arcale, già nel mirino dell’assessore alla protezione civile della Regione Marche Angelo Sciapichetti per i notevoli ritardi nella consegna delle casette, e che in molti vogliono vicino al Pd, soprattutto al suo segretario Matteo Renzi.
E non solo perché la ditta ha origini fiorentine: qualche tempo fa, infatti, il Fatto Quotidiano ha riportato il testo di alcuni sms che sarebbero stati inviati nel settembre 2016 dal presidente della renziana Fondazione Open, l’avvocato Alberto Bianchi, all’allora ad di Consip Luigi Marroni in cui si chiedeva di verificare se il primo classificato della gara di appalto per le casette fosse in grado di portare a compimento l’opera: "Il secondo classificato (Arcale) mi dice che il primo non è in grado di costruirle in tempo" diceva Bianchi che però, contattato da Repubblica si è difeso: “Ho semplicemente segnalato che il rappresentante di Arcale mi aveva detto che era in grado di consegnare le casette tre mesi prima. Dopo quello scambio di sms con Marroni non mi sono più interessato della cosa”. Sarà anche così, ma senza entrare tanto nel merito della questione, i ritardi e i danni stanno dimostrando l’esatto contrario. I terremotati ne sanno qualcosa. E i sindaci sono sul piede di guerra e chiedono a gran voce che “qualcuno paghi per questi disagi”. 

Carlo Mascio

27/12/17

CHE C'ENTRANO I FALSI PROFUGHI?





Ma che c’entrano i falsi profughi con la Natività? E la “tenerezza rivoluzionaria” alla “Che” Guevara? Perfino nel "discorso politico", camuffato da omelia del santo Natale, il (falso) papa Bergoglio non ha saputo trattenersi di Francesco Lamendola  


Ma che c’entrano i falsi profughi con la Natività?

di

Francesco Lamendola

 

Perfino nella omelia del santo Natale, il (falso) papa Bergoglio non ha saputo trattenersi; e, invece di offrire ai fedeli uno spunto di spiritualità, di trascendenza, il senso verticale di Dio che si fa uomo e degli uomini che aspirano a Dio, ci ha restituito, per la centesima, per la millesima volta, come sempre, come ormai quasi ogni giorno, il senso della orizzontalità, della secolarizzazione, della immanenza. Non ha parlato di Gesù che nasce, ma dei falsi profughi che cercano accoglienza presso i nostri cuori, duri ed egoisti, e che bussano alle nostre porte, di noi ricchi e indifferenti cittadini del Nord del mondo, che ce ne infischiamo delle loro sofferenze e pensiamo solo al Presepio, ai regali e al pranzo natalizio. Eh, sì:; che vergogna. Come quando si è recato a Lampedusa, ha gettato una corona di fiori nel mare delle “stragi” (chi sa perché stragi, poi? il vocabolario non dà questa definizione di “strage”) e ha detto a voce alta, con tono tagliente, sdegnato, da giudice implacabile, lui così misericordioso: Vergogna!
Insomma, anche l’omelia di Natale è diventata un sermone politico e un ennesimo spot a favore della cittadinanza agli stranieri. Ancora una vola ha strumentalizzato il Vangelo, lo ha piegato nella direzione da lui voluta: da lui, o da quelli che lo hanno messo, sfortunatamente, sul seggio pontificio, a occupare la cattedra di san Pietro. Guarda caso, è la stessa direzione che sta seguendo la politica di George Soros e che rientra nei pani dell’élite finanziaria globale. E non si creda che queste sono le critiche, acide e forse ingenerose, di qualche ultratradizionalista; sono anche le critiche di un pensatore marxista come Diego Fusaro, secondo il quale il papa si sta mettendo al servizio della “mondializzazione” e dello “sradicamento capitalistico”; di più: che giudica il suo discorso di Natale più ispirato a Soros che a Cristo”. Questa, sì, che è una vergogna incancellabile, la vergogna suprema, perfino dal suo punto di vista: che il papa cattolico si faccia accusare di essere al servizio del supercapitalismo proprio da un filosofo marxista; lui che gongolava tutto quando il presidente marxista della Bolivia, Morales, gli ha regalati un Crocifisso costruito dentro una falce e martello, e lo ha preso con gioia, facendosi fotografare come se fosse perfettamente a suo agio con quel dono fra le mani.
Ed ecco la sua omelia natalizia, ad eccezione delle prime battute introduttive:
Per decreto dell’imperatore, Maria e Giuseppe si videro obbligati a partire. Dovettero lasciare la loro gente, la loro casa, la loro terra e mettersi in cammino per essere censiti. Un tragitto per niente comodo né facile per una giovane coppia che stava per avere un bambino: si trovavano costretti a lasciare la loro terra. Nel cuore erano pieni di speranza e di futuro a causa del bambino che stava per venire; i loro passi invece erano carichi delle incertezze e dei pericoli propri di chi deve lasciare la sua casa. E poi si trovarono ad affrontare la cosa forse più difficile: arrivare a Betlemme e sperimentare che era una terra che non li aspettava, una terra dove per loro non c’era posto. E proprio lì, in quella realtà che era una sfida, Maria ci ha regalato l’Emmanuele. Il Figlio di Dio dovette nascere in una stalla perché i suoi non avevano spazio per Lui. «Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto» (Gv 1,11). E lì… in mezzo all’oscurità di una città che non ha spazio né posto per il forestiero che viene da lontano, in mezzo all’oscurità di una città in pieno movimento e che in questo caso sembrerebbe volersi costruire voltando le spalle agli altri, proprio lì si accende la scintilla rivoluzionaria della tenerezza di Dio. A Betlemme si è creata una piccola apertura per quelli che hanno perso la terra, la patria, i sogni; persino per quelli che hanno ceduto all’asfissia prodotta da una vita rinchiusa. Nei passi di Giuseppe e Maria si nascondono tanti passi. Vediamo le orme di intere famiglie che oggi si vedono obbligate a partire. Vediamo le orme di milioni di persone che non scelgono di andarsene ma che sono obbligate a separarsi dai loro cari, sono espulsi dalla loro terra. In molti casi questa partenza è carica di speranza, carica di futuro; in molti altri, questa partenza ha un nome solo: sopravvivenza. Sopravvivere agli Erode di turno che per imporre il loro potere e accrescere le loro ricchezze non hanno alcun problema a versare sangue innocente. Maria e Giuseppe, per i quali non c’era posto, sono i primi ad abbracciare Colui che viene a dare a tutti noi il documento di cittadinanza. Colui che nella sua povertà e piccolezza denuncia e manifesta che il vero potere e l’autentica libertà sono quelli che onorano e soccorrono la fragilità del più debole. In quella notte, Colui che non aveva un posto per nascere viene annunciato a quelli che non avevano posto alle tavole e nelle vie della città. I pastori sono i primi destinatari di questa Buona Notizia. Per il loro lavoro, erano uomini e donne che dovevano vivere ai margini della società. Le loro condizioni di vita, i luoghi in cui erano obbligati a stare, impedivano loro di osservare tutte le prescrizioni rituali di purificazione religiosa e, perciò, erano considerati impuri. La loro pelle, i loro vestiti, l’odore, il modo di parlare, l’origine li tradiva. Tutto in loro generava diffidenza. Uomini e donne da cui bisognava stare lontani, avere timore; li si considerava pagani tra i credenti, peccatori tra i giusti, stranieri tra i cittadini. A loro – pagani, peccatori e stranieri – l’angelo dice: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore» (Lc 2,10-11). Ecco la gioia che in questa notte siamo invitati a condividere, a celebrare e ad annunciare. La gioia con cui Dio, nella sua infinita misericordia, ha abbracciato noi pagani, peccatori e stranieri, e ci spinge a fare lo stesso. La fede di questa notte ci porta a riconoscere Dio presente in tutte le situazioni in cui lo crediamo assente. Egli sta nel visitatore indiscreto, tante volte irriconoscibile, che cammina per le nostre città, nei nostri quartieri, viaggiando sui nostri autobus, bussando alle nostre porte. E questa stessa fede ci spinge a dare spazio a una nuova immaginazione sociale, a non avere paura di sperimentare nuove forme di relazione in cui nessuno debba sentire che in questa terra non ha un posto. Natale è tempo per trasformare la forza della paura in forza della carità, in forza per una nuova immaginazione della carità. La carità che non si abitua all’ingiustizia come fosse naturale, ma ha il coraggio, in mezzo a tensioni e conflitti, di farsi “casa del pane”, terra di ospitalità. Ce lo ricordava San Giovanni Paolo II: «Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo» Nel Bambino di Betlemme, Dio ci viene incontro per renderci protagonisti della vita che ci circonda. Si offre perché lo prendiamo tra le braccia, perché lo solleviamo e lo abbracciamo. Perché in Lui non abbiamo paura di prendere tra le braccia, sollevare e abbracciare l’assetato, il forestiero, l’ignudo, il malato, il carcerato (cfr Mt 25,35-36). «Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo». In questo Bambino, Dio ci invita a farci carico della speranza. Ci invita a farci sentinelle per molti che hanno ceduto sotto il peso della desolazione che nasce dal trovare tante porte chiuse. In questo Bambino, Dio ci rende protagonisti della sua ospitalità. Commossi dalla gioia del dono, piccolo Bambino di Betlemme, ti chiediamo che il tuo pianto ci svegli dalla nostra indifferenza, apra i nostri occhi davanti a chi soffre. La tua tenerezza risvegli la nostra sensibilità e ci faccia sentire invitati a riconoscerti in tutti coloro che arrivano nelle nostre città, nelle nostre storie, nelle nostre vite. La tua tenerezza rivoluzionaria ci persuada a sentirci invitati a farci carico della speranza e della tenerezza della nostra gente.

In questo discorso, nel quale invano si cercherebbe un sia pur minimo afflato spirituale, un sia pur minimo senso della trascendenza, ma dove si trova sempre e soltanto quella che Antonio Socci ha chiamato “l’ossessione” di Bergoglio per il tema dei migranti, al novanta per cento falsi profughi i quali non sono affatto “costretti”, come dice il (falso) papa, a scappare dai loro Paesi, perché niente e nessuno li insegue e li forza, ma che sono guidati unicamente da ragioni di carattere economico, e in non pochi casi, da ragioni di delinquenza e di terrorismo, in questo discorso, dunque, Bergoglio paragona Gesù Bambino, con sua Madre e il suo padre adottivo, a una famiglia di profughi che vengono da molto lontano e che affrontano in terra straniera, fra mille difficoltà e incomprensioni, vittime di infiniti pregiudizi e di forme si sfruttamento, un destino ignoto, in cerca di una vita migliore. Niente di più falso; niente di più menzognero. Lo stesso Bergoglio ha ricordato, sulla base del racconto evangelico, che Maria e Giuseppe si misero in cammino verso Gerusalemme e Betlemme perché l’imperatore romano aveva indetto un censimento di tutta la popolazione. La coppia dei giovani sposi doveva uscire dalla Galilea, aggirare il territorio dei Samaritani (coi quali gli Ebrei non se la intendevano per niente) e poi salire a Gerusalemme, da cui Betlemme dista pochi chilometri, dopo aver costeggiato la sponda del fiume Giordano. Niente profughi, niente fuga, niente speranza di una vita migliore in un mondo diverso: ma tutto all’interno della Palestina, un Paese molto piccolo (l’odierno Stato d’Israele ha una superficie di 20.000 kmq: poco più del Veneto) e costantemente a contatto con gente della stessa razza, della stessa lingua, della stessa fede religiosa. Altro che migranti, traversate del deserto e del Mar Mediterraneo, barconi, viaggi clandestini a bordo dei Tir, magari nascosti sotto i veicoli, semi-assiderati dal freddo e semi-soffocati dai vapori di scarico. Non si vuol dire, con questo, che quello di Maria e Giuseppe sia stato un viaggio comodissimo; si vuol dire che è stato un viaggio assolutamente non paragonabile, neppure in senso simbolico e figurato, a quelli dei cosiddetti migranti dei nostri giorni. Sapete qual è la distanza fra Nazareth e Gerusalemme, in linea d’aria? Cento chilometri. E, a proposito, Gesù non è nato in una stalla perché i suoi genitori erano poveri, ma perché la città di Gerusalemme era sovraffollata di viandanti a causa del censimento, e tutti gli alberghi erano pieni. Certo, se Giuseppe fosse stato ricco, un letto glielo avrebbero pur trovato; ma non era affatto così povero da dover puntare senz’altro su una capanna di pastori. Quello fu un incidente di percorso: mentre cercava ospitalità presso qualche parente di Betlemme, probabilmente; certo che non credevano, né lui, né Maria, che la nascita del Piccolo fosse così imminente, altrimenti non avrebbero vagato per la campagna, a notte inoltrata. Perché un bambino possa venire al mondo con un minimo di sicurezza, non basta un tetto qualsiasi sopra la testa; ci vuole la presenza di qualcun altro, per ogni eventualità: di donne un po’ esperte, di una levatrice. Giuseppe non era un incosciente, e Maria nemmeno.
Il ricatto morale finale del discorso di Bergoglio, con quella pretesa di far credere ai cattolici che solo aprendo le frontiere dell’Italia a qualsiasi quantità di migranti/invasori islamici, si accoglie degnamente la nascita di Gesù Cristo, si fonda, in gran parte, su questo voluto equivoco. Gesù non era ricco, la sua famiglia non era ricca; ma non erano nemmeno poveri. Suo padre Giuseppe aveva un lavoro regolare e stimato dai paesani: era falegname, o forse carpentiere; il tenore di vita della sua famiglia era del tutto simile a quello medio dell’epoca, in Palestina. Gesù non è cresciuto fra gli stenti, così come non è nato in una mangiatoia per l’estrema miseria dei suoi genitori: questa è una favola, raccontata oltretutto in malafede, a cui non credono neppure i bambini. Ma Bergoglio era troppo ansioso di arruolare Gesù nell’esercito dei rivoluzionari, dei poveri che lottano per la giustizia sociale. Infatti, alla fine del suo comizio, pardon, della sua omelia natalizia, non esita ad adoperare espressioni come “tenerezza rivoluzionaria” per definire i sentimenti che Gesù ci ispira, volendo che noi apriamo le porte ai migranti: un concetto che non ha nulla di cattolico, nulla di religioso, e che piega il Vangelo alle logiche politiche di un pontificato interamente politico. Ma la “tenerezza rivoluzionaria”, non era quella di un certo Ernesto “Che” Guevara? Cosa c’entra una simile espressione per definire i sentimenti che Dio ispira agli uomini? Sembrano presi dal vecchio magazzino dell’ideologia marxista in disarmo: è un linguaggio che, in qualsiasi altra sede, farebbe semplicemente ridere, come già faceva sorridere perfino ai tempi d’oro del ’68 e della Contestazione studentesca; oggi, però, il (falso) papa se lo può permettere, senza che la gente rida, nella santa Messa di Natale, rivolgendosi a un miliardo e passa di cattolici. Complimenti: una mistificazione quasi perfetta, visto che hanno abboccato quasi tutti.
Quasi, però. A un certo numero di persone, il suo discorso non è piaciuto per niente. Non c’era in esso il senso del soprannaturale: si è dimenticato di ricordare che quel bambino era il Bambino; che non era solo un piccolo d’uomo, ma era Dio Incarnato per amore dell’umanità; oh, un’inezia, che volete che sia; un dettaglio da nulla. E i critici, ormai lo si sa, sono i soliti incontentabili, i soliti ultratradizionalisti, sordi e chiusi nel loro sfrenato e xenofobo nazionalismo italiano e nel loro viscerale e scriteriato integralismo cattolico, tipicamente e incorreggibilmente fondamentalista. Perché lo ha detto, il (falso) papa Beroglio, durante il viaggio “apostolico” in Myanmar, che anche noi cattolici abbiamo i nostri integralisti, come gli islamici hanno i loro. Certo, i loro ammazzano e sgozzano un po’ di gente, specialmente preti e cattolici inermi; i nostri, no. Ma che volete? Nessuno è perfetto, e anche questi son dettagli da nulla. Se non altro, ora sappiamo come la pensa su di noi…

Del 27 Dicembre 2017

26/12/17

La Boschi recita una parte già in uso Nell’800

La Boschi recita una parte già in uso Nell’800

La Boschi recita una parte già in uso Nell’800Maria Elena Boschi sostiene che “Dopo le audizioni di Vegas, Visco e Ghizzoni, tutti confermano che non c’è stata nessuna pressione... viene integralmente confermato il mio discorso in Parlamento del dicembre 2015... a larga parte delle opposizioni non interessa fare chiarezza sulle banche ma solo attaccarmi”. La Boschi sa bene che ora le conviene recitare la parte della vittima, e la giocherà per tutta la campagna elettorale, forte della sua immagine, del fatto che chiunque l’attacchi “certamente è un sessista” (per usare una metafora cara alla parte del Pd a lei vicina).
Ma le cose stanno in altro modo, di fatto il ministro dell’Economia Padoan è sempre stato molto impegnato su tantissimi fronti, e per questo aveva lasciato ampio spazio alla Boschi sulle vicende bancarie, quasi una delega. Così nel dicastero economico la Boschi conta su validi collaboratori, che l’hanno sempre coadiuvata per fronteggiare gli attacchi mediatici alla sua famiglia ed agli amici del padre, indiscutibilmente coinvolti nei crack bancari. Non si stenta a credere che, piuttosto che intrattenersi in lunghe colazioni di lavoro con Pier Carlo Padoan, i vari Vegas di Consob e banchieri optassero per piacevoli incontri con la Boschi. Incontri che la stessa ha ammesso, come è noto che, il dì seguente puntualmente, i potenti ricevevano la telefonatina di Carrai (potente renziano e amico della Boschi) che chiedeva come fosse andata la cenetta o la colazione. Un costume antico, rammenta avventurieri d’epoca romantica che, dopo aver mandato le ambasce della propria favorita a domicilio del dignitario di turno, erano soliti incontrare il potente al tabarin per chiedere lumi sulla favorita di Francia (in questo caso d’Italia), insomma se fosse stata all’altezza delle aspettative.
Nessuna allusione, certamente la Boschi non è una rediviva Margherita (la signora delle camelie), e si stenta a credere che col servilismo imperante possa saltar fuori un novello Alexandre Dumas disponibile farne un romanzo dell’intera vicenda. Risulterebbe difficile anche trovare un editore, forse sarebbe più facile che un cantautore, ispirato dalla memoria di Verdi, le dedichi una Traviata in salsa rock. «La Boschi metteva bocca su tutto: sulla riforma delle banche popolari e su tutto quello che riguarda il credito - ci rammenta Elio Lanutti dell’Adusbef - non ha nemmeno mai convocato il Cicr, il comitato sul credito e il risparmio che i precedenti governi consultavano spesso, in tempi meno turbolenti”. Insomma l’opera e le sue trame rievocano incontri ottocenteschi, quando uomini d’affari indebitati dicevano a coltissime cortigiane “madama sono nelle vostre mani…non mi resta che il veleno se dal suo incontro col potente amico non sortirà la salvezza per la mia situazione”.
Così la Boschi incontrava il vertice della Consob e Fabio Panetta di Bankitalia. “Le istituzioni sono una cosa seria quando si chiede di incontrare il presidente della Consob o il vice direttore di Bankitalia bisogna essere coscienti che non si fa un scampagnata. Gli incontri tra istituzioni si verbalizzano” sottolinea Lanutti. Di fatto non v’è prova d’altro, solo che la Boschi ha incontrato questa gente, per altro personalità vietate all’uomo di strada. Si è certi che non abbiano mai concesso nulla alla potente ministra renziana. E solo l’Altissimo può sapere fin dove si siano spinte le profferte. Perché nel caso della Banca Etruria (banca della famiglia Boschi) i contorni ancora sfuggono a tutti gli italiani ed a gran parte di quella classe politica che fa passerella tra Parlamento e Commissione sulle banche.
Questi incontri segreti, conditi dall’intrigante fascino della Boschi, incrementano lo sdegno in chi ha investito soldi (e in buona fede) nella banca dell’Etruria. Poi si sarebbe giustificato il pressing per salvare i poveri risparmiatori e non per annacquare le responsabilità d’una banca della famiglia Boschi.

23/12/17

Boschi: basta e avanza


Boschi: basta e avanzaSia chiaro, in un Paese normale, uno qualunque, la sottosegretaria Maria Elena Boschi si sarebbe dovuta dimettere e basta. Insomma, qui non si tratta di accanimento strumentale sull’ex ministro, che pure c’è stato perché la sinistra adora i tribunali, ma si tratta solo di buon senso. Infatti, se la ex ministra si fosse defilata dal Governo Gentiloni tutto avrebbe assunto una dimensione diversa e per certi versi più calzante. Oltretutto, aver trasformato la Commissione d’inchiesta sulle banche in una sorta di collegio inquirente sulla sottosegretaria e sulla famiglia Boschi, francamente è scoraggiante. Del resto, mettere in piedi una bicamerale di questo tipo per concentrarla sul caso “Etruria”, con tutto quello che è successo nel mondo bancario, la dice lunga dei nostri vizi. Non si capisce, infatti, come in chiusura di legislatura un tema tanto delicato possa essere affrontato per dargli la profondità e la compiutezze dovute. In Italia l’argomento sugli scandali bancari, sul sistema della vigilanza, sul mondo del credito e le sue opacità, meriterebbe una commissione da inizio legislatura, prodromica a una riforma del sistema, anziché quel che si è visto adesso. Perché sia chiaro, l’anomalia nostrana non è il pur deprecabile e ingiustificabile caso Etruria, ma il continuo ripetersi da anni e anni di fenomeni truffaldini ai danni dei cittadini. Parliamo di risparmiatori, investitori o semplici contribuenti, che di tasca propria hanno subito abusi, soprusi, inganni e danni, senza né colpa e né peccato.
Basterebbe tornare indietro nel tempo per ripercorrere un elenco lungo di crack bancari, finanziari, strumenti d’investimento da far tremare i polsi. Ecco perché la materia richiederebbe ben altro approccio e ben altre soluzioni che la “ messa in croce” giusta e sbagliata che sia di Maria Elena Boschi. In Italia occorrerebbe una totale riforma di Bankitalia, Consob, delle Authority e di tutto il sistema di vigilanza e controllo sul credito. Da noi dovrebbe cessare la possibilità di utilizzare Bankitalia come riserva di ogni incarico istituzionale, così come l’abitudine di mandare ex politici ai vertici della Consob e delle Autorità.
Per chiudere, l’Italia ha bisogno di essere riportata alla normalità e alla trasparenza nei rapporti fra politica e banche, politica e affari, amministrazione e cittadini, pubblico e privato. È insomma questo un tema da “Costituente”; un tema da assemblea elettiva che riscriva quel tanto che c’è da riscrivere della Carta fondamentale per rilanciare il Paese nel futuro. È questo l’augurio di Natale che porgiamo alla nostra terra e vista la prossimità col voto di marzo 2018 è la raccomandazione che facciamo alla prossima maggioranza, auspicabilmente alternativa a quella attuale.

21/12/17

La capricciosa Maria Elena e le sue liaisons dangereuses



Talvolta i peggiori di nemici di noi stessi siamo proprio noi. E, sempre a noi, sta decidere come procedere nella nostra eventuale discesa verso l’abisso. L’immagine che i due sodali Matteo Renzi e Maria Elena Boschi stanno dando di sé in questi ultimi giorni è a dir poco sconcertante, ma è utile in quanto rivelatrice di quale sia la vera natura della persone, prima ancora che degli esponenti politici in questione.
Un caso da studiare, quello degli enfants prodiges del Granducato: uniti (politicamente, s’intende) nella buona e nella cattiva sorte, simul stabunt simul cadent. Incapaci di una qualsiasi visione politica che non sia la cura del loro orticello e la salvaguardia dei loro interessi, impermeabili ad ogni critica, ostinati e del tutto privi di umiltà, sono riusciti in pochissimi anni a distruggere quanto costruito a sinistra in decenni. La Commissione d’inchiesta sulle banche e la strenua difesa del clan Boschi stanno infatti diventando un calvario non solo per l’ex premier, ma per il Pd intero.
Era inevitabile, del resto, che la hybris, la supponenza e l’ossessione per il potere del duo avrebbero alla lunga arrecato danno al partito. Perché il gradimento nei confronti di un partito è proporzionale gradimento delle persone che in un certo momento ne sono l’immagine, che è altra cosa rispetto al suo progetto. Inutile girarci ancora intorno: se il governatore di Bankitalia Ignazio Visco aveva evitato di consumare una plateale  vendetta, negando ci fossero state pressioni esplicite da parte di Boschi sulla questione di Etruria, pur rivelando un ossessivo interessamento da parte sua e di Renzi in prima persona, l’audizione odierna di Federico Ghizzoni, ex amministratore delegato di Unicredit, non lascia dubbi. «In un incontro avuto il 12 dicembre (2014, ndr) il ministro Boschi mi chiese se era pensabile per Unicredit un intervento su Banca Etruria. Risposi che per acquisizioni non ero grado di dare risposta positiva o negativa ma che avevamo già avuto contatto con la banca e che avremmo dato risposta. Cosa su cui il ministro convenne». Non occorre aggiungere altro. Se non che Ghizzoni, oltre a confermare in toto quanto già svelato dal libro di Ferruccio De Bortoli, tira in ballo anche il terzo componente del Giglio Tragico, quel Marco Carrai che sua Maestà di Rignano avrebbe voluto niente di meno che alla guida della cyber-security italiana. Carrai, svela l’ex Ad di Unicredit, circa un mese dopo l’incontro con Boschi gli spedì la seguente mail: «Solo per dirti che su Etruria mi è stato chiesto nel rispetto dei ruoli di sollecitarti, se possibile».
E’ proprio il caso di dire che il cerchio si chiude. Il sipario è calato, i commedianti possono lasciare il palco. E chi scrive concederebbe volentieri l’onore delle armi agli sconfitti – che infierire non è certo elegante – se non fosse che la Fata Turchina di Laterina, per uscire dal pantano di bugie, conflitti d’interesse ed egocentrismo esasperato che essa stessa ha creato, ha tirato fuori il solito cliché della donna attaccata “inquantodonna”.
La tracotanza di Boschi che ad Otto e mezzo qualche sera fa frigna sul presunto sessismo del suo interlocutore Marco Travaglio, in un escalation di vittimismo pseudo femminista degno della peggior Asia Argento, è quanto di più squallido e disperato si potesse fare. Inizia con un grande classico: «Se fossi stata un uomo non mi avrebbe riservato questo trattamento. Lei mi odia» per poi buttare lì un sibillino «Vegas mi invitò a casa sua alle otto del mattino ma io gli dissi non lì»… In tempi di #metoo c’è da stare in guardia, uomini. Che queste non scherzano. Ma il peggio doveva ancora venire, di lì a qualche giorno Maria Elena avrebbe dichiarato in un’intevista: «Non cancello spesso gli sms. Ne ho quindi molti in memoria, anche con altri esponenti del mondo del credito e del giornalismo. Non solo quelli con Vegas. Dal momento che mi sembrò insolita la richiesta di vederci a casa sua alle 8 del mattino, chiesi che l’ incontro si svolgesse al ministero o in Consob. Non sta a me dire perché Vegas lo propose, certo io non accettai». Qual è il sottotesto implicito di una precisazione del genere su Vegas? E che cosa contengono i messaggini che l’ex ministro dice di conservare? A chi sono rivolte queste insinuazioni, queste illazioni sottili, questi “detto non detto”? Anni e anni di battaglie per la cosiddetta emancipazione femminile buttate nel cesso: per quanto una donna possa essere potente, sedere nei posti di comando e possa aver fatto carriera per le sue capacità, ci sarà sempre un uomo che in un contraddittorio la attaccherà perché donna, le farà sempre avances indesiderate, le manderà messaggini molesti, farà – o mio Dio! – apprezzamenti sul suo aspetto fisico. Questo il messaggio che è passato. Adesso ci manca solo che dica che noi cattivoni vogliamo che si dimetta perché è bionda. Ma sì, quando non si hanno altri appigli è facile buttarla sui cliché. E sulla molestia. Non esplicita, sia ben chiaro, l’importante è instillare il dubbio: lasciamo scivolare con nonchalance un’allusione, una mezza accusa e una scintilla che scateni il sospetto nell’opinione pubblica, da anni sobillata da un femminismo petulante e, in questo momento più che mai, aizzata contro una presunta società fallocentrica. Si tratta del solito astuto utilizzo di un’arma di distrazione di massa associata al tentativo di chiamata alle armi delle pasionarie dell’associazionismo e del femminismo, ampiamente foraggiato dai governi di sinistra da sempre e da Boschi negli ultimi anni. Solitamente pronte a scagliarsi contro gli uomini a prescindere, in questo caso si sono però eclissate. Femministe sì, sceme no. I topi abbandonano la nave che affonda, l’orchestrina potrà pure continuare a suonare ma l’iceberg è sempre più vicino.
Ad ogni modo, diciamolo chiaro: che l’ex ministro fosse un mix di arroganza, arrivismo e cinsimo avevamo già avuto modo di appurarlo ma, che pur di non rinunciare al potere tanto agognato, ai red carpet e alle luci della ribalta, si prestasse a recitare la miserabile parte della povera ragazza perseguitata da maschilisti e sessisti è stato un autogol pazzesco.

Meb red carProprio lei che dello storytelling sulla parità di genere ha fatto un suo vanto, lo ha svilito nel peggior modo possibile tirando in ballo sessismo e allusioni per pararsi il sedere. E avallando inconsapevolmente la tesi di chi insinua che le donne per fare carriera, specialmente se avvenenti, debbano necessariamente ricorre all’arte della seduzione, per usare un eufemismo. Chi scrive crede che la regina dei red carpet Boschi le liaisons dangereuses più che con gli uomini – quelle francamente sono affari suoi – le abbia con il potere. Mai del tutto affrancata da un provincialismo goffo e terribilmente prevedibile, per Meb distaccarsi dal potere e dai lustrini deve essere terribile. Del resto, come scrive Ezra Pound «Il provincialismo è qualcosa di più dell’ignoranza. È ignoranza più una volontà di uniformità. È una malevolenza latente, spesso una malevolenza attiva»

da "l'insolente" il blog di Laura Tecce

di Laura Tecce - 20 dicembre 2017

19/12/17

L’eterna lotta dei grillini con i numeri


L’eterna lotta dei grillini con i numeriIntervistato da Lucia Annunziata su Rai 3, Luigi Di Maio, ha ribadito due punti cardine del suo fantascientifico programma, peraltro, ancora tutto in divenire: sull’Euro, ribadendo quanto detto a suo tempo dalla sua collega Castelli, egli non ha la più pallida idea se uscire o restare; mentre in merito alle pensioni resta ferma la sua idea di tagliare quelle superiori a 5mila euro netti onde recuperare ben 12 miliardi di risparmi.
Ovviamente, come spesso accade a questi campioni del volo a dorso di equini, la testaccia dura dei numeri provoca l’immediata caduta del fatidico asino. Scrive infatti l’amico Enrico Zanetti, segretario di Scelta Civica nonché ex viceministro dell’Economia, su Facebook: “Numeri alla mano, per recuperare 12 miliardi dai pensionati che prendono più di 5mila euro netti al mese, bisognerebbe azzerargli la pensione per 8 anni oppure dimezzargliela per 16 anni oppure tagliargliela del 20 per cento per 40 anni. In ogni caso, risulta evidente che Di Maio su questo tema parla perché ha la bocca e prende in giro gli italiani in un modo indecoroso”.
Dunque, ancora una volta la logica insuperabile della matematica elementare sembra trovarsi agli antipodi rispetto alla sempre più confusa, pasticciata e, troppo spesso, incoerente linea politica di un Movimento Cinque Stelle il quale, evidentemente, una volta raggiunta la stanza dei bottoni, avrebbe tutte le carte in regola per mandare per aria il Paese. E sebbene occorra riconoscere che questa insopportabile propensione a raccontare frottole elettorali abbia contagiato buona parte dell’attuale offerta politica, chi ha già avuto esperienze di Governo – come ha correttamente rilevato Eugenio Scalfari nel salotto di Giovanni Floris – sa ben distinguere tra la propaganda e la realtà, come dimostra il sostanziale continuismo che, nel bene e nel male, ha caratterizzato gli oltre vent’anni della cosiddetta Seconda Repubblica.
Ciò, al contrario, non sembra valere per il M5S, soprattutto per un eccessivo scollamento dalla realtà e dai vincoli obbligatori che questa impone, unito a un irresponsabile dilettantismo da far tremare i polsi agli individui più responsabili. Eppure, malgrado la preoccupante faciloneria con cui Di Maio e soci sparacchiano le loro irrealizzabili promesse, il consenso del M5S continua a crescere. Evidentemente il fatto di essere nuovi e “diversi” rispetto alla cosiddetta vecchia classe politica continua a prevalere nell’immaginario collettivo di buona parte di questo disgraziato Paese.
Un Paese che stenta ancora a comprendere, nonostante le recenti crisi, che il sentiero per restare nel mondo economicamente avanzato è per noi assai più stretto di quanto si possa immaginare e che, pertanto, l’effettivo spazio di manovra di un futuro Governo è molto, ma molto limitato. Niente a che vedere coi sogni irrealizzabili dei dilettanti a Cinque Stelle.

18/12/17

Padoan scarica la Boschi: “Non ho autorizzato altri ministri a occuparsi di banche”

Padoan scarica la Boschi: “Non ho autorizzato altri ministri a occuparsi di banche”


Boschi

Si fanno sempre più nere le nuvole che si addensano intorno a Maria Elena Boschi. Che oggi è stata scaricata anche dal ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, sul caso Banca Etruria. Davanti alla commissione d’inchiesta sulle banche il ministro del Tesoro ha risposto in relazione ai colloqui tenuti dai ministri Boschi e Delrio sulla vicenda banche: “Io non ho autorizzato nessuno e nessuno mi ha chiesto un’autorizzazione”, ha chiarito Padoan, “la responsabilità del settore bancario è in capo al Ministro delle finanze che d’abitudine ne parla con il Presidente del Consiglio”.
Padoan, inoltre, ha spiegato di aver appreso degli incontri soltanto dalla stampa. “Non ho mai autorizzato nessuno a parlare con altri di questioni bancarie né ho richiesto che persone o membri del governo che avessero contatti con esponenti del mondo bancario, venissero a riferire a me”, ha aggiunto precisando di non aver mai incontrato né Pier Luigi Boschi, né l’ex dominus patron di Veneto banca, Vincenzo Consoli. Non è tutto. Padoan ha negato ogni tipo di contatto con l’amministratore delegato di Unicredit, Federico Ghizzoni, sulla possibile integrazione tra la banca milanese ed Etruria.

di Redazione - 18 dicembre 2017 

17/12/17

I comunisti e i fan del politicamente corretto sono sostenitori morali anche del terrorismo


Esiste un confine, netto, tra l’umana paura ed il sostegno morale al terrorismo. Oggi quel confine è stato varcato da migliaia di persone. In ogni canale mediatico, in centinaia di discussioni ed in milioni di coscienze è sbocciato un nuovo fiore del male. È il loto che erode la percezione. Cancella la memoria, annebbia i fatti. Ci suggerisce che la soluzione migliore sia arrendersi. Dialogare. Ci dice che queste cose sono inevitabili, che qualsiasi cosa facciamo è inutile. E fa guardare a chi lotta, a chi non si arrende, a chi chiama le cose col proprio nome come ad un molesto provocatore. Una voce da soffocare nella diffamazione. Negli anni ’70 le Brigate Rosse divennero un mostro perché nessuno ebbe il coraggio di riconoscerle. Decide di morti sulla loro scia, nel silenzio e l’assenso dei molti, della porporata intellighenzia di sinistra. Oggi viviamo la stessa fase di rimozione. In tanti cominciano con i distinguo e le profonde analisi politologiche. Tutto pur di non affrontare la realtà.
Riecheggiano le auliche parole. I grandi ragionamenti si sprecano. Con il sangue ancora caldo ci dicono che chi ha sparato, chi si è fatto esplodere o chi con un camion ha investito e ucciso decine e decine di persone sono un caso isolato. Un pazzo senza matrice razziale. Rifiutano il fatto che il terrorismo sia, in diversi di questi casi, di matrice islamica. Un terrorismo figlio dell’odio religioso. No. Basta, è ora di cominciare a dire la verità. Urlarla per le strade. Dalle finestre. Sui social network. I morti in Francia, Belgio, Spagna e Regno Unito sono vittime del terrorismo islamico. Chi ha sparato era devoto all’Islam. Non satanisti sotto mentite spoglie. Non sono alieni, ma nuovi barbari. Sono uomini con un passato ed un presente forgiato nei nostri Paesi. Figli dell’oblio culturale frutto del tramonto dell’Occidente, per dirla citando Oswald Spengler. Alcuni di loro sono stati nostri vicini di casa. Frutto di quel melting pot culturale che riecheggia fin dagli anni ’80 ed è esploso, in questi giorni, con la generazione Erasmus. Erano assistiti dallo Stato, che li imboccava, sparsi per l’Europa, con sussidi, ma non nutriva la loro anima lasciandoli, per dirla questa volta alla Massimo Fini, allo scoperto del nostro vizio oscuro dell’Occidente. Erano tra noi. Come lo erano gli attentatori di Charlie Hebdo. Come lo erano i terroristi di Londra. Ammetterlo è il primo passo. Serve per rendere onore ai morti, seppellendoli senza bugie e false parole. Raccontare ai loro cari la realtà, sono morti per le negligenze di questa società, complice di chi è armato dalla fede islamica. È rendere un servizio ai vivi. Indicando il nemico e dando ad ognuno la possibilità di difendersi. Questo aspetto ad alcuni fa paura. Ma come, si domandano questi soloni, come possiamo permettere che la gente sappia e si tuteli? La violenza potrebbe diffondersi. Il razzismo rinascere. Per questo dobbiamo negare. Dobbiamo distinguere. Spiegare. Catechizzare all’amore incondizionato verso il diverso. Ma soprattutto sradicare, eliminare e tacitare di razzismo chiunque denunci questo malcostume. La gente, libera di vedere, diverrebbe una belva. Questo pensano i buonisti. Questo pensano i complici. Ora basta, guardiamo in faccia la realtà. Chi difende i terroristi per elevare la radicazione di una cultura informe rispetto alla nostra non è un libero pensatore, ma semplicemente un venduto. Sulle sue mani c’è il sangue dei caduti. Dei nostri fratelli. Parliamo di un vile Caino.
L’odio contro di noi come occidentali, come cristiani, come europei e come uomini e donne liberi esiste. Fatevene una ragione. Se vogliamo che questo odio non ci conduca nell’abisso non arrenderci è la soluzione. Dobbiamo combattere. Putin, nei giorni scorsi, a mezzo stampa dopo essere stato in Siria ha dichiarato: “Abbiamo sconfitto Isis, ora ritiro truppe”, ma dobbiamo ricordarci che siamo un bersaglio. Siamo il bersaglio di chi vuole mettere in ginocchio il nostro stile di vita. Dobbiamo con coraggio e lealtà reagire per non farci sottomettere e conquistare. Questo tipo di Islam non è nostro amico. Non resta che tenere la guardia alta, lo sguardo concentrato per non cadere nella trappola del nemico che ci vuole gambizzati. Caduti nell’oblio del nulla.
 
da "AVANTI Senza PAURA"  il blog di Andrea Pasini
 
di Andrea Pasini - 16 dicembre 2017
 

16/12/17

I 5 anni terribili di un’Italia verso un non domani

Un Parlamento incostituzionale in fase terminale e sotto accanimento terapeutico (in cauda venenum) ha prodotto una legge mortifera sull’eutanasia pensando con ciò di tirare a campare. Atto finale di una legislatura disgustosa e di un governo nato moribondo in forma di fotocopia. Questo atto legislativo in extremis conclude un quinquennio terribile, tanto più terribile quanto condotto da governi sedicenti tecnici o di emergenzao di transizione o del presidente. 

Sono stati i governi di Monti, Le tta, Renzi e Gentiloni, governi dei competenti e dei moderati, a darci le leggi più estremistiche della vita repubblicana che alla fine del 2011, quando Berlusconi fu costretto a gettare la spugna, non erano nemmeno minimamente all’orizzonte. Non sono stati i rivoluzionari con la bandiera rossa ma i rassicuranti funzionari in doppio petto. I governi post-ideologici ci hanno dato il peggior frutto che le ideologie politiche ci possano dare: la decisione a maggioranza di cosa sia uomo e donna, di cosa sia famiglia, di cosa voglia dire procreare e, ora, di cosa sia la vita e cosa la morte.

Avesse il governo posto almeno la fiducia, la posizione delle coscienze sarebbe rimasta nascosta sotto il dovere di scuderia. Ma il voto “in coscienza” ha dimostrato che non solo la prassi politica bensì anche la coscienza politica di molti parlamentari è profondamente corrotta. Avesse il governo almeno posto la fiducia, la legge non avrebbe avuto i voti dei 5 Stelle, che fondano la loro demolizione della morale naturale proprio sul richiamo alla morale, la demoliscono senza avere il progetto di farlo. Il che è il massimo del tranello politico delle ideologie post-ideologiche.

In questi cinque torbidi anni di legislatura, con governi pilotati a tavolino dall’alto e sorretti da frange mutevoli dell’opposizione, l’Italia non ha diminuito il debito pubblico, si è riusciti a fatica a spostare l’8 per cento delle macerie del terremoto, si è esultato per un aumento del pil dell’1 per cento quando questa misura è il possibile errore statistico fisiologico in previsioni di questo genere, si è voluto cambiare la Costituzione tramite un parlamento incostituzionale e si è stati clamorosamente bocciati, si sono finanziate con denaro pubblico le associazioni di compravendita del sesso omosex e la Sottosegretaria alla Presidenza del Consiglio che ne era politicamente responsabile è ancora al suo posto, si è aperto ad una irresponsabile politica migratoria subendo il ricatto di ONG conniventi con la criminalità degli scafisti, si è approvata una legge, detta maldestramente della buona scuola, che ha intasato le aule-insegnanti di docenti inutilizzati, sono state salvate banche che prestavano ad amici più soldi di quelli che avevano senza spiegare i rapporti politici intessuti con quelle banche stesse.

Questo bilancio pessimo comunque è pressoché nulla rispetto alla legge Cirinnà che riconosce la unioni civili omosessuali, l’ondata istituzionale di educazione omosessualista e genderista nelle scuole pubbliche, il divorzio via sms ed ora l’eutanasia. E’ una politica necrofila e in giro si sente una gran puzza. L’Italia va verso un non-domani. Governi sostanzialmente di sinistra durati cinque anni si sono distinti non per le politiche del lavoro o di lotta alla povertà, ma solo per la politica neoborghese dei “nuovi diritti” e ne hanno fatto la propria bandiera col teschio e le quattro ossa attorno.

Le gerarchie della Chiesa italiana hanno lasciato fare, hanno dialogato, hanno sostenuto, hanno confortato, hanno invitato i rappresentanti del governo a parlare nelle istituzioni ecclesiali, si sono trovate con loro a cena, hanno pattuito, hanno premuto con grande determinazione per avere da questo governo amico la legge sullo jus soli, il quotidiano Avvenire ha dedicato uno spazio mille volte maggiore al tema immigrati che a quello della famiglia o dell’eutanasia, sono andati in tv ma per parlare dei centri di accoglienza o del clima, hanno intimidito chi era sceso in piazza, si sono dissociati da comportamenti sbagliati nel metodo perché non dialoganti, non hanno pubblicato nemmeno uno straccio di documento ufficiale e collegiale, non hanno chiamato a raccolta, non hanno gridato al pericolo, non si sono messi alla guida di nulla. Non ricordatemi che nel Catechismo c’è scritto quello che c’è scritto e che talvolta il Papa o il cardinale Bassetti hanno detto una parola … questo lo so.

Ma la leaderschip dei pastori non c’è stata, la chiarezza degli educatori nemmeno, e men che meno la forza dei profeti. Non c’è stato appello alle coscienze né mobilitazione di popolo. Nessuna supercopertina su Avvenire, nessun presidio davanti al Parlamento. Abbiamo l’eutanasia e non ce ne siamo nemmeno accorti. Abbiamo l’eutanasia e chi doveva tenerci svegli si è addormentato. E ci consoleremo presto perché tanto alla prossima omelia ci ricorderanno che Dio ci ama così come siamo.

In questi cinque anni la Chiesa italiana sembra aver messo da parte la legge morale naturale. Come se Dio avesse messo il mondo da Lui creato nelle nostre mani a tal punto da volere che lo costruiamo contro di Lui che lo ha creato. Il “come” del dialogo, del rispetto umano e del discernimento in coscienza ha avuto il sopravvento sul “cosa” della verità e del bene. Tutte le prassi politiche dei cattolici sono state accettate e convalidate. Non solo nessuna indicazione ex ante di fronte alle grandi sfide, ma anche nessun richiamo ex post. Il quarto, il quinto, i sesto, il nono comandamento esistono ancora in politica? Nessuno ce lo dice più. Con l’eutanasia tuttalpiù si pecca contro la solidarietà, non contro l’uomo e la legge divina.

Cattolica e Gemelli hanno emesso una dichiarazione, il Livatino ha fatto la sua parte, altre associazioni si sono pronunciate, ma tante altre hanno taciuto. Nel 1974, davanti al referendum sul divorzio, molti cattolici ei erano pronunciati per il no (ossia per il sì al divorzio) “per una scelta di libertà”. Quella scelta di libertà era in realtà una scelta per l’autodeterminazione che dopo di allora ha guidato molti deputati cattolici a votare per l’aborto, per la legge 40, per la Cirinnà ed ora, si suppone, per l’eutanasia. Nel 1974 c’erano Scoppola e Pratesi, Zizola e Masina, La Valle e Carniti … ora ce ne sono altri.

Che fare? Il quadro si fa desolante. Non c’è quasi più niente da dare per scontato. Bisogna solo ricominciare. Da zero o quasi.


di Stefano Fontana 16 dicembr 2017

fonte: -  Nuova Bussola  
          -  https://www.riscossacristiana.it

11/12/17

Renzi trascina a fondo il PD in un vortice di fake news

C'era da aspettarselo e non mi si venga a dire che quello che sta accadendo non era prevedibile se non addirittura scontato. L'uomo che nell'immaginario collettivo è ritenuto, a mio parere a buon titolo, il più bugiardo del mondo e mi riferisco ovviamente a Matteo Renzi sopranominato il "bomba", sta pilotando la picchiata del PD verso lo schianto delle prossime elezioni politiche a primavera.

Ad eccezione di alcuni solitari e quasi eroici illuminati, stampa e media nazionali, che per anni lo hanno celebrato come un prodigio politico se non addirittura l'uomo della provvidenza, stanno disperatamente cercando di ammortizzarne la picchiata verso il basso, sparando cazzate a livello industriale. Si proprio "cazzate", termine che rende molto meglio di balle o fake news, il senso di quello che sta avvenendo. Dopo la topica "fake" partita dal New York Times su una congiura ordita da siti complottisti pro Lega e M5S per colpire il PD, facilmente smontata quando si è scoperto che a confezionarla era stato tale Andrea Stroppa riconducibile proprio all'entourage dello stesso Renzi, adesso assistiamo a quella partita da Joe Biden, ex vicepresidente di Obama. Come dire "una balla al giorno toglie il medico di torno ", ove per medico si sottintende una terapia collettiva contro gli effetti della propaganda di distrazione di massa. Secondo questo signore sarebbe in atto un "Russiagate "(l'ennesimo) per danneggiare il PD di Matteo Renzi a favore di Lega e M5S. Insomma la Russia di Putin, dopo avere pesantemente condizionato le ultime elezioni americane che hanno proclamato vincitore Trump, si appresterebbero a fare lo stesso giochino in casa nostra.
Adesso se già è poco credibile per chi ha un pò di sale in zucca la vicenda che riguarda Trump, per molti autorevoli osservatori confezionata proprio dai vari Clinton e Obama che non hanno mai digerito la sconfitta, pensare che la Russia si spenda per condizionare le elezioni politiche in una nazione del tutto insignificante sullo scacchiere internazionale come la nostra, dovrebbe far ridere se non piangere. Se non altro per l'umiliazione di una presunta creduloneria che certi politici nostrani ed internazionali ritengono possa essere affibbiata agli eletttori italiani. Grillo e Salvini pilotati da Putin dovrebbe fare sganasciare, scompisciare, ribaltare dalle risate anche il più citrullo assorbiballe di questo mondo, invece no. Il governo Gentiloni, secondo quanto riferisce RAI news stamani nel suo notiziario o "velinario" secondo un sempre più ampio convincimento su quello che ci passa quotidianamente il convento dell'informazione nazionale, prende la cosa sul serio. Insomma, sempre secondo quanto ci riferisce mamma (o matrigna) RAI, Paolo Gentiloni, evidentemente non avendo di meglio da fare, avrebbe ordinato una indagine nel merito. Siccome è presumibile che l'indagine non sarà affidata all'attuale ministro degli esteri Angelino Alfano, che renderebbe ancora più improbabile la vicenda, essendo tra l'altro il medesimo in fase di abbandono della politica, il compito verrà probabilmente affidato a Minniti, l'ercolino sempre in piedi del PD. 
Fake news, balle, ricostruzioni fantasiose, analisi politiche improbabili che dovrebbero indignare i destinatari, ovvero gli italiani chiamati alle urne. A partire dai famosi sondaggi, praticamente uno al giorno e quasi sempre smentiti nei fatti. Quello odierno ha per fonte Ipsos - Corriere della Sera, secondo il quale il PD oggi si attesterebbe al 24,4%, mentre il M5S al 29,1%, la destra unita ( Berlusconi + Salvini + Meloni + frattaglie) al 36% ed il neonato partito di Pietro Grasso ( Bersani, Speranza, Civati e Fratoianni.. ) si attesterebbe attorno al 6,6%.
Sono strasicuro che questi più che sondaggi sono speranze, auspici o esorcizzazioni per scongiurare il dato che, fatti salvi miracoli dell'ultima ora magari dopo esiti favorevoli a Renzi della Commissione di inchiesta sulle banche affidata a Pierferdinando Casini (un nome una garanzia) ed il probabile massiccio bombardamento mediatico cui saranno sottoposti gli elettori a partire dal gennaio prossimo. Tuttavia ritengo che, malgrado la massiccia campagna d'inverno, il risultato ci consegnerà la totale disfatta del PD e la scomparsa, in senso politico ovviamente, del suo attuale segretario Matteo Renzi che forse dovrà, ma in questo paese tutto è possibile, finalmente trovarsi un lavoro lontano dalla politica. Ma anche i suoi pasdaran non avranno vita facile e per loro sarà alquanto difficile riciclarsi politicamente. A meno che non ci pensi papà Silvio. Se Berlusconi riuscirà a ricoagulare un elettorato ampio attorno alla sua proposta politica, fatta di promesse che poi si riveleranno fasulle ma al peggio non c'è mai fine, allora questi pseudo sinistroidi ex democristiani alla Franceschini troveranno una sponda sicura. Molto peggio andrà per i vari Fassino o Finocchiaro e tutti quei residuali discendenti del vecchio PC, che verranno sfanculati da tutti. Per i Cuperlo, gli Orlando e tutti i tentenna alla Pisapia ci sono ancora un paio di mesi per riposizionarsi, magari nella nuova formazione di Grasso, se non vorranno affondare con la nave renziana.
Magari sarà anche questo un auspicio ma perché rinunciarci.

di paolo -  sabato 9 dicembre 2017 

10/12/17

Il pericolo farsista





Siamo alla paranoia ideologica virale. Una bandiera del Secondo Reich, che era una monarchia costituzionale ottocentesca, tenuta in caserma da un ragazzo carabiniere di vent’anni, diventa il pretesto del giorno per gridare al Nazismo risorgente, che non c’entra un tubo con la bandiera e con la storia del secondo Reich.
L’uso fake della storia sconfina nel delirio persecutorio.

Ma non basta. In pieno autunno del 2017, un benemerito compagno ha scoperto una cosa tremenda: il 20 maggio del 1924, la città di Crema conferì su proposta della giunta locale la cittadinanza onoraria a Benito Mussolini.

L’orrenda scoperta ha subito compattato il valoroso popolo de sinistra – enti, associazioni, partiti e sindaca, oltre l’ineffabile Anpi – che ha intimato di provvedere subito a ritirare l’atto osceno in luogo pubblico.

Togliendo la cittadinanza onoraria di Crema a Mussolini avremo finalmente un Duce scremato. Tempestivo, non c’è che dire, se ne sentiva l’urgenza, 93 anni dopo.

Ma come dice un proverbio politicamente corretto, Chi va piano va Fiano e va lontano. E’ tutta una gara in Italia per scoprire e revocare la cittadinanza onoraria al Duce in un sacco di comuni.

Pensavo a questo eroico atto di ribellione al fascismo da parte della città cremosa mentre leggevo per il terzo giorno consecutivo commenti, anatemi e mobilitazioni contro il pericolo fascista dopo la sconcertante “azione squadrista” compiuta a pochi chilometri da Crema, a Como.

La Repubblica, per esempio, ha schierato il suo episcopato per condannare il fascismo risorgente e chiamare a raccolta l’antifascismo eterno. Sui tg c’è stato un tripudio di demenza militante a reti unificate. Non avevo intenzione di scriverne, mi pareva immeritevole d’attenzione, ma la paranoia mediatico-politica non accenna a scemare.

1) Ora, per cominciare, quell’irruzione in un’assemblea pro-migranti non è di stampo squadrista semmai di stampo sessantottino. Gli squadristi, come i loro dirimpettai rossi, non irrompevano per leggere comunicati e andarsene senza sfiorare nessuno.

L’abitudine di interrompere lezioni, assemblee, lavori è invece tipicamente sessantottina e poi entrò negli usi degli anarco-situazionisti, della sinistra rivoluzionaria, dei centri sociali, ecc. Gli “skin” in questione ne sono la copia tardiva, l’imitazione grottesca.

2) Secondo, i comunicati. Trovate pure demente e mal recitato, quel comunicato che gli impavidi neofascisti hanno letto interrompendo la riunione filo-migranti. A me fa sorridere, se penso ai comunicati degli anni di piombo.

Vi ricordate? Davano notizie o annunci di assassini, accompagnavano attentati ed erano a firma Br, Primalinea e gruppi affini. Quando penso a quei comunicati, deliranti ma corrispondenti ad azioni deliranti e sanguinose, trovo farsesco il remake a viso aperto di quattro fasci e l’allarme mediatico che ne è seguito.

3) Terzo, la violenza di irrompere e interrompere. Succede ancora, nelle università, in luoghi pubblici, verso chi non piace ai movimenti di sinistra radicale, lgbt, centri sociali o affini. È capitato anche a me, girando l’Italia, di trovare aule universitarie e luoghi pubblici in cui non riesci a parlare o parli sotto scorta, tra interruzioni, proclami e incursioni.

Di questo teppismo i giornali e i tg non ne parlano mai. E nessuna di queste anime belle che gridano indignate al pericolo fascista, ha mai espresso una parola di solidarietà e di condanna.

Lo dico anche al pinocchietto fiorentino che esorta la comunità nazionale a indignarsi tutta e non solo la sua parte politica, per l’episodio di Como, anzi per la strage virtuale: lui non ha mai speso una parola per stigmatizzare episodi di segno opposto, assai più numerosi e più violenti e pretende che l’Italia insorga compatta per una robetta del genere?
Diamine, ci sono ogni giorno storie di violenza e di morti, aggressioni in casa, e la comunità nazionale intera deve mobilitarsi unita di fronte a un episodio verbale così irrilevante?

In realtà, voi informazione pubblica, voi governativi, voi giornaloni e associati, siete i primi spacciatori di bufale o fake news. Perché prendete una minchiata qualsiasi e la fate diventare La Notizia della Settimana, ci imbastite teoremi, prediche, rieducazioni ideologiche, campagne e mobilitazioni antifasciste.

Se il pericolo che corrono le nostre istituzioni ha tratti così farseschi, allora il primo pericolo è la ridicolizzazione della storia e della democrazia da voi operata quando sostenete che sono messe a repentaglio da episodi così fatui e marginali.
Non sapete distinguere tra una bomba e una pernacchia. E finirete spernacchiati.

MV, Il Tempo 3 dicembre 2017

di Marcello Veneziani

Uranio Impoverito – Dodici lunghissimi anni di silenzi


Dodici lunghissimi anni, di silenzi ed attesa; dodici interminabili anni, di richieste e indifferenza. 

Col Carlo Calcagni
È il 20 gennaio 2005 quando, il Colonnello Carlo Calcagni, ammalatosi tre anni prima, a causa della massiccia contaminazione da nanoparticelle di metalli pesanti derivanti dall’impiego in zone bombardate con munizionamento contenente uranio impoverito e contratta nel 1996 in corso di missione internazionale di pace in Bosnia, chiede al Ministero della Difesa un risarcimento del danno biologico in via bonaria con atto stragiudiziale. 
Calcagni confidava in una transazione che potesse avvenire in tempi brevi, poiché il nesso causale tra la ragione di servizio e la sua malattia era già stato dimostrato, accertato dalle commissioni Medico-Ospedaliere Militari, probabilmente l’unico in possesso di un verbale della CMO di Bari sul quale è riportato: “nel 96 il paziente ha operato in regioni belliche e verosimilmente esposto a uranio impoverito”, poi riconosciuto dal Comitato di Verifica del Ministero dell’Economia e delle Finanze, e successivamente attestato con decreto di riconoscimento della dipendenza da causa e fatti di servizio dallo stesso Ministero della Difesa.
E invece – afferma Calcagni – ha prevalso il silenzio ed io sto ancora attendendo; io assieme a tanti altri colleghi che hanno riportato danni permanenti, e a coloro che ci hanno già lasciato senza vedere la conclusione delle pratiche in corso, condannando all’attesa di risarcimento i propri familiari. 
Dal 2005 ad oggi ho presentato una valanga di solleciti senza ricevere alcuna risposta: soltanto totale indifferenza!
Stessa indifferenza da parte dei Presidenti della Repubblica, dei Ministri della Difesa e dei Presidenti del Consiglio, che nel tempo si sono succeduti, fino all’ultima lettera aperta inviata al Presidente della Repubblica Mattarella ed al Ministro della Difesa Pinotti in data 13 marzo 2017.
In questa indifferenza delle Istituzioni sono trascorsi dodici lunghissimi anni, durante i quali la mia condizione di salute è inesorabilmente e drasticamente peggiorata. Un lungo periodo quello trascorso, in cui ho avvertito la vita affievolirsi, giorno dopo giorno, e durante il quale ho dovuto assistere alla morte di tanti colleghi per la stessa causa… e all’esordio di malattia di tanti altri.”
La vicenda dell’uranio impoverito, dopo anni di silenzi e di smentite riguardo i rischi ai quali sono stati esposti i nostri soldati, è al vaglio della Commissione d’inchiesta che nei giorni scorsi, dopo aver sentito il Generale Fernando Termentini, che ha partecipato a operazioni all’estero, ha fornito un’importante testimonianza che ha portato al deferimento alla Procura del Generale Covato.
Io – continua il Colonnello Calcagni – sono tra i pochi fortunati: potrei anche non essere qui a continuare a lottare per me e per gli altri, spesso contro un sistema che professa di tutelarci e non perde occasione di affermare che non ci abbandona… mentre tutta questa assurda e pericolosa attesa scatena in me… in noi… soltanto un’indicibile rabbia. 
Pochissimi sono ancora coloro che hanno ottenuto, con transazione bonaria o per esito di cause giudiziarie contro il Ministero, il giusto risarcimento per i danni subiti. Ma queste pratiche dovrebbero essere trattate con un iter d’urgenza, proprio perché coinvolgono vite umane, Uomini dello Stato che hanno reso un giuramento e lo hanno rispettato fino all’estremo sacrificio, e  che invece spesso muoiono ancor prima di vedere la definizione della propria richiesta.
Sebbene la mia richiesta di transazione bonaria è datata 20.01.2005, non è stata presa in considerazione… mai!
In alcune interrogazioni parlamentari sull’argomento il Ministero della Difesa ha sempre dichiarato che non si effettuano transazioni”.
Ma le cose stanno realmente così? Stando a quanto dichiarato dal Colonnello la verità è ben diversa. Calcagni infatti afferma di essere in possesso di un elenco di numerose richieste di risarcimento, tutte successive alla sua richiesta, “le transazioni esistono: queste sono soltanto quelle in corso e definite dal Ministero della Difesa fino al 2010”.
Dopo tutto questo – prosegue il Colonnello – a giugno di quest’anno, dopo ‘appena’ 12 anni e mezzo dalla mia richiesta risarcitoria, transazione bonaria, ho ricevuto la lettera dallo Stato Maggiore della Difesa, Ispettorato Generale della Sanità Militare, con la quale, in appena 4 righe, mi è stato notificato che: la richiesta risarcitoria non può essere oggetto di accoglimento”.
Per questo ancora oggi, come da tredici anni ormai… e mai mi stancherò di farlo finché avrò voce… chiedo per me e per chi mi è accanto in questa battaglia, per tutti i colleghi che rappresento… che il nostro Stato smetta di mostrare indifferenza e finalmente ci rivolga il rispetto, la considerazione e la tutela che ci sono dovuti… come Uomini e come Servitori della Patria… di quella Patria che abbiamo Giurato di Onorarefino alla fine…”
Gjm

PRATICA 24 DEL 2005 RISARCIMENTO
PRATICA 24 DEL 2005 RISARCIMENTO


URGENTE URANIO
RISPOSTA NEGATIVA ALLA RICHIESTA DI TRANSAZIONE

RISPOSTA NEGATIVA ALLA RICHIESTA DI TRANSAZIONE