I due Marò : un’Odissea che dura da tre anni
Gli eventi che
coinvolgono da tre anni i Sottufficiali della Marina Militare
Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, hanno inzio il 15 febbraio
2012 quando Il 15 febbraio 2012 la Marina Militare emana un comunicato
ufficiale, il numero 04, con il quale annuncia :
“I Fucilieri del Battaglione S. Marco,
imbarcati come nucleo di protezione militare (NPM) su mercantili
italiani sono intervenuti oggi alle 12,30 indiane, sventando un ennesimo
tentativo di abbordaggio. La presenza dei militari della Marina
Militare ha dissuaso cinque predoni del mare che a bordo di un
peschereccio hanno tentato l’arrembaggio della Enrica Lexie a circa 30
miglia ad Ovest della costa meridionale indiana …..”.
Da quel giorno i nostri due militari
sono in ostaggio dell’India ed in regime di libertà provvisoria, senza
che Delhi abbia mai formalizzato nei loro confronti un atto di accusa
suffragato da prove certe ed inconfutabili. L’unica cosa certa è che in
un tratto dell’Oceano indiano sono morti due pescatori indiani uccisi da
colpi d’arma da fuoco di calibro diverso di quelli in dotazione alle
Forze Armate italiane.
Ciò premesso, si cercherà di connotare
la vicenda sulla base di riscontri certi e documentali, senza
pronunciamenti di colpevolezza od innocenza, peraltro allo stato delle
cose irrilevanti in quanto atti di competenza di un Tribunale a seguito
di atti processuali, anche se un’analisi tecnica approfondita e suffraga
da riscontri ufficiali porterebbe ad affermare l‘innocenza dei due
militari italiani, come meglio specificato nella completa analisi
tecnica dell’ing. Luigi Di Stefano consultabile al link
http://www.seeninside.net/piracy/ peraltro depositata presso la Procura
Ordinaria di Roma.
Non intendo, quindi, commentare fatti
peraltro già noti, ma tenterò solo di raccontare in maniera semplice
momenti questi tre anni che hanno segnato punti fermi, “paletti”
significativi e determinanti per l’evoluzione della vicenda. Proporrò il
tutto in forma assolutamente narrativa per offrire ai possibili lettori
spunti di conoscenza per comprendere come l’Italia stia gestendo la
sorte di due propri concittadini in difficoltà pere aver rispettato un
mandato loro dato dal Parlamento italiano : assicurare sicurezza al
naviglio commerciale nazionale minacciato da possibili azioni di
pirateria marittima.
Tratterò, quindi, “i punti cardine”
dell’intera vicenda che si trascina ormai da 36 lunghi mesi (il 19
febbraio prossimo scadrà il terzo anno).
Il comunicato della Marina Militare del
15 febbraio ha dato inizio ad una delle più complesse controversie
internazionali ed ha segnato il principio di un calvario per due nostri
militari coinvolti in eventi tutti da dimostrare e comunque avvenuti
mentre esercitavano le loro funzioni istituzionali nel rispetto di un
compito ricevuto dallo Stato con una legge, la 130 dell’agosto 2011.
Una Legge che prevede la presenza di Nuclei di Protezione Militare (NPM)
con funzioni antipirateria marittima a bordo delle Navi commerciali
italiane, articolata su 5 articoli ma poco chiara almeno per quanto
attiene all’unicità di Comando in caso di attacco di pirati, fissando
all’articolo 1 che il militare più alto in grado, all’emergenza,
assuma il comando del NPM (Nucleo Militare di Protezione)
sovrapponendolo al Comandante. Forse unico esempio di atti legislativi
che prevede una duplicazione di Comando nella gestione di eventi gravi.
Quel giorno, inoltre, qualcuno commise
un grave errore, quello di autorizzare la Erica Lexie a fare rientro
nelle acque territoriali indiane ed attraccare nel porto di Koci. Una
decisione che di fatto ha dato inizio al susseguirsi di fatti che si
trascinano da tre anni.
Una decisione nella quale fu coinvolta
anche la linea di Comando dei due militari, quando l'Armatore si
confrontò con il Comando Navale della Squadra Navale (CINCINAV) da cui
dipendevano i due marò in missione operativa o con il Comando Operativo
Interforze della Difesa (non è dato di saperlo con certezza). Un assenso
probabilmente avallato dallo stesso Ministro della Difesa del momento,
l'Ammiraglio Gianpaolo Di Paola e di cui il Parlamento fu informato solo
dopo 8 mesi dai fatti, il 18 ottobre 2012, quando il Ministro rispose
ad un’interrogazione scritta ammettendo che la Difesa era stata
informata dall’Armatore sulle richieste indiane ed aveva dato il proprio
consenso essendo l’India uno Stato amico.
Da quel momento, secondo un modello
comportamentale usuale e consolidato a livello Istituzionale, è
iniziata la rincorsa per appropriarsi dell’onore di risolvere il caso,
spesso senza coordinamento e soprattutto non lasciando la gestione degli
eventi a chi ne era titolare per mandato istituzionale, il Ministero
Affari Esteri, istituzionalmente deputato ad occuparsi degli italiani in
difficoltà all'estero.
Molti gli esempi di questa rincorsa al
successo che come era immaginabile invece di favorire una soluzione ha
pregiudicato il caso allontanando sempre di più una soluzione dignitosa
per i nostri militari e per l’Italia. Le dichiarazioni personali
dell'inviato Staffan De Mistura che ad una televisione indiana ammetteva
la probabilità che i due marò fossero incappati in un tragico
incidente e quella inaspettata del Ministro della Difesa che con grande
risalto mediatico saldava per conto dell'Italia un congruo compenso alle
famiglie dei due poveri pescatori ed un risarcimento al proprietario
del peschereccio, altrettanto cospicuo. Un'iniziativa spacciata come un
"atto umanitario" ma che di fatto agli occhi degli indiani e del mondo
rappresentava un'ammissione di responsabilità proprio da parte di chi
aveva la responsabilità dei due Fucilieri, il Ministro della Difesa. Una
luce in fondo al tunnel, per usare un'espressione cara al Presidente
del Consiglio del momento, si accese quando la diplomazia italiana
riuscì ad ottenere che ai due militari fosse concesso di rientrare in
Italia per due settimane in occasione del Natale del 2012.
Un successo che, però, non fu sfruttato a
vittoria che, però, non destinata a durare poco perché l'esecutivo dopo
quindici giorni restituì all’India gli ostaggi senza che la
magistratura esercitasse nei loro confronti almeno il divieto di
espatrio essendo inscritti nel registro degli indagati per il reato di
omicidio volontario.
Il 18 gennaio 2013 l’importante sentenza
della Corte Suprema indiana che toglieva la giurisdizione del caso allo
Stato del Kerala ed ammetteva che l’incidente fosse accaduto a 20,4
miglia marine dalla costa indiana, in acque internazionali, seppure
definite contigue ai fini del diritto dello Stato costiero di esercitare
controllo su contrabbando, immigrazione clandestina o altri eventi
simili che potessero compromettere la sicurezza interna. La Corte
decideva, però, che in ogni caso i due Fucilieri di Marina dovevano
essere giudicati da un Tribunale Speciale indiano, disattendendo ogni
contenuto del Diritto Internazionale e della Convenzione sul Mare
(UNCLOS - Montego Bay).
Una sentenza assolutamente impropria,
che dava immediatamente all’Italia la possibilità di adire
all’Arbitrato internazionale affinchè fosse impugnata di fronte ad una
“Collegio giudicante terzo”, ma da parte italiana non fu presa nessuna
decisione.
Di lì a tre mesi un'altra vittoria
diplomatica riportava Massimiliano Latorre e Salvatore Girone in Italia.
In occasione delle elezioni politiche in Italia, infatti, il MAE
riusciva ad ottenere dall’India che ai due militari fosse concesso di
votare in Italia concedendo loro un permesso di quattro settimane.
Quattro settimane di permesso concesso
dall'India e che poteva essere interpretato come un chiaro segnale per
l'Italia : sappiamo che possono votare qui a Delhi, 4 settimane sono ,
comunque n tempo infinito per esercitare il diritto di voto ma ve li
riconsegniamo pere darvi la possibilità di gestire la questione in
maniera onorevole per Roma e Delhi.
L'allora Ministro Terzi tentò invano di
soddisfare l'alleato indiano concordando con tutti i Ministri aventi
causa e sotto l'avallo del Presidente Monti di non rimandarli in India
che, peraltro, aveva disatteso una nota verbale italiana con la quale si
invitava ad un tavolo di trattative bilaterale.
Infatti, L’11 marzo del 2013 alle ore
17,53 l’AGI pubblicava una dichiarazione del Vice Ministro De Mistura
che dichiarava testualmente “La decisione di non far rientrare i maro’
in India “e’ stata presa in coordinamento stretto con il presidente del
Consiglio Mario Monti e d’accordo tutti i ministri” coinvolti nella
vicenda, “Esteri, Difesa e Giustizia”. Aggiunge che “siamo tutti nella
stessa posizione, in maniera coesa e con il coordinamento di Monti”.
De Mistura chiariva anche, che “a
questo punto la divergenza di opinioni” tra l’Italia e l’India sulle
questioni della giurisdizione e dell’immunità richiede un arbitrato
internazionale: il ricorso al diritto internazionale o una sentenza di
una corte internazionale” e che non c’e’ stata ancora una reazione
indiana alla nota verbale consegnata dall’ambasciatore italiano a New
Delhi Daniele Mancini. “Le nostre priorità - ha spiegato il
Sottosegretario - sono da un lato l’incolumità’ e il ritorno in patria
dei nostri maro’ e dall’altro mantenere un ottimo rapporto di lavoro e
di collaborazione con le autorità indiane. L’India - ha aggiunto - e’ un
grande Paese con il quale abbiamo tutta intenzione di avere un ottimo
rapporto. E questo - ha concluso - e’ un motivo in più per lasciare le
divergenze nelle mani del diritto internazionale, magari con una
sentenza di una corte internazionale”. Una dichiarazione che però dieci
giorni dopo è stata sconfessata dai fatti i quanto i due Marò sono stati
fatti rientrare invece improvvisamente in India. I motivi sono stati
spiegati in Parlamento e non entro nel merito, esprimo solo tutto il mio
sdegno per una vicenda iniziata male e finita ancora peggio e che
coinvolge direttamente da quasi 15 mesi due militari italiani e le loro
famiglie.
Una dichiarazione a cui seguiva
un’iniziativa giudiziaria di chi scrive che chiedeva formalmente alla
Procura di Roma di applicare ai due militari, inscritti nel registro
degli indagati per omicidio volontario, il divieto di espatrio e
l’obbligo di firma in Italia.
- VIOLAZIONE IMMUNITA' DIPLOMATICHE: La decisione della Corte Suprema
di precludere al nostro Ambasciatore di lasciare il Paese senza il
permesso della stessa Corte costituisce una evidente violazione della
Convenzione di Vienna sulle relazioni diplomatiche che codifica principi
universalmente riconosciuti. Continuiamo a far valere anche formalmente
questo principio, fondamentale per le relazioni tra gli Stati, e
principio-cardine di diritto consuetudinario e pattizio costantemente
ribadito dalla Corte Internazionale di Giustizia.
- PREVALENZA DEL DIRITTO INTERNAZIONALE: L'Italia continua a
ritenere che il caso dei suoi due Fucilieri di Marina debba essere
risolto secondo il diritto internazionale. In questo senso abbiamo
proposto di deferire all’arbitrato o altro meccanismo giurisdizionale la
soluzione del caso.
- FONDAMENTO DELLA NOSTRA DECISIONE: La nostra richiesta alle
Autorità indiane di avviare consultazioni ex art. 100 e art. 283 della
Convenzione sul Diritto del Mare (UNCLOS) non ha sinora ricevuto
riscontro. Tale percorso era stato indicato dalla stessa sentenza della
Corte Suprema indiana del 18 gennaio e più volte in passato proposto
dall'Italia. Diniego indiano abbiamo altresì registrato, nella medesima
occasione, all’ulteriore nostra proposta di consultazioni tra esperti
giuridici.
Tale posizione da parte dell'India ha
con nostra sorpresa e rammarico modificato lo scenario e i presupposti
sulla base dei quali era stato rilasciato l'affidavit. Nelle mutate
condizioni il rientro in India dei Fucilieri sarebbe stato in contrasto
con le nostre norme costituzionali (rispetto del giudice naturale
precostituito per legge, divieto di estradizione dei propri cittadini,
art. 25, 26 e 111 della Costituzione). Le nostre tempestive richieste di
rogatoria per consentire i procedimenti penali aperti in
Italia rimangono tuttora prive di riscontro.
Per questi motivi, il Governo italiano è
giunto alla determinazione, dopo essersi a lungo impegnato per una
soluzione amichevole della questione - nella quale tuttora crediamo
convintamente - di formalizzare l'11 marzo l’apertura di una
controversia internazionale.
- DIALOGO: L'Italia ribadisce la propria convinta volontà di pervenire
a una soluzione della vicenda, avviando ogni utile consultazione. Ciò
nello spirito delle amichevoli relazioni che desidera mantenere con
l'India, nella consapevolezza della importanza dell'India, sia sotto
il profilo bilaterale sia sul piano delle sfide e delle responsabilità
globali che ci accomunano”.
Un Comunicato inequivocabile nei
contenuti e sicuramente secondo prassi consolidata vistato dal Premier
in carica, in considerazione che la Farnesina titolava “Marò: Comunicato
del Governo”.
Una decisione governativa, però,
immediatamente sconfessata dallo stesso Premier che stabilì, invece, di
dare corso ad una vera e propria estradizione passiva, riconsegnando
due militari a Delhi che per il reato loro attribuito prevedeva la pena
di morte. Un atto che negava ai due militari anche il diritto
dell'immunità funzionale prevista dal Diritto pattizio, dovuta al
personale militare in missione operativa fuori dal territorio nazionale
decisa dal Parlamento italiano nel rispetto di una risoluzione delle
Nazioni Unite per il contrasto della pirateria marittima.
I due Fucilieri di Marina da ottimi
militari quali sono pronunciarono in quel momento una parola che si
sarebbe poi dimostrata fatale per loro : “obbedisco”, anche perché fu
data loro l’assicurazione che il tutto si sarebbe risolto nell’arco di
qualche settimana. Un atto di subordinazione compiuto quella sera del 22
marzo 2013 che stanno pagando a caro prezzo, Latorre, anche con la
compromissione della propria salute, Girone lontano dai suoi affetti
famigliari.
Da quel momento un sipario impenetrabile
cade sulla vicenda. Il Governo Monti termina il proprio mandato
sostituito dal Governo Letta che fin da subito affronta con distacco la
vicenda delegando in toto il proprio Ministro degli Esteri , la
dottoressa Emma Bonino, che, però, non dava segnali incoraggianti con
iniziative significative. Preferiva, invece, dichiarare in un’intervista
rilasciata al quotidiano Repubblica nel settembre 2013 “Non è provata
l‘innocenza dei due Marò”, dissacrando i principi fondamentali dello
Stato di diritto.
La vicenda continua, dunque, a
trascinarsi ed i mesi passano proteggendo "verità nascoste" che trovano
origine dalle decisioni prese dal Governo Monti quel vergognoso 22
marzo 2013, quando lo Stato - unico esempio nella storia del mondo -
consegnò due propri militari in mani “palesemente ostili”.
Una decisione in assoluto contrasto con
la cultura giuridica ed etica italiana e presa senza rispettare la
Costituzione e l’articolo 698 del Codice di Procedura Penale che vieta
l’estradizione di chiunque, italiano o non, che rischi di essere
oggetto di un procedimento penale senza la garanzia dei diritti
fondamentali della difesa ed in assenza prove certe.
Una decisione istituzionale di dubbia
congruità legale ed all’epoca giustificata dall’assicurazione
formale dell’India sulla non applicazione della pena capitale.
Documento, però, privo di consistenza giuridica, come espressamente
sancito da una sentenza della Corte Costituzionale (n. 223 del 27 giugno
1996) con cui la Suprema Corte ha ritenuto la semplice garanzia
formale della non applicazione della pena di morte, atto
insufficiente alla concessione di un’estradizione seppure “passiva” .
Una decisione abnorme per un Paese come
il nostro, tradizionalmente in prima linea nel combattere la pena di
morte. In quel triste giorno, invece, l'Italia ha palesemente voluto
tutelare interessi di dubbia natura considerati prevalenti rispetto
alla certezza della difesa del diritto alla vita, solennemente
proclamato in tutti gli atti internazionali sui diritti della persona, a
cominciare dalla Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo del 10
dicembre 1984.
Un’Italia che in quella occasione, a
distanza di più di due secoli, ha dimenticato che la “pena di morte non
è un diritto, ma è guerra di una nazione contro un cittadino”, come
scriveva Cesare Beccaria in “Dei delitti e delle pene”.
Un vero e proprio arbitro i cui motivi
non sono chiari e per questo, chi scrive ed altri 380 cittadini, il 20
giugno 2014 hanno depositato un esposto presso la Procura della
Repubblica di Roma, perché fossero accertate eventuali responsabilità.
La Procura nonostante chiesto formalmente non ha ancora notiziato sugli
esiti.
L'eventualità che l'India potrebbe
applicare la pena capitale nei confronti di Latorre e Girone, peraltro,
non è ancora scongiurata se si analizzano recenti agenzie di stampa
sulla vicenda. Un' AGI da New Delhi del 30 agosto riporta tra l’altro
“… La polizia antiterrorismo Nia, che ha istruito il caso dei maro'
accusati dell'uccisione di due pescatori indiani nel febbraio 2012, lo
ha affidato al tribunale speciale , nonostante l'opposizione della
difesa che sostiene che la Nia non avesse più competenza….e su cui si
e' in attesa delle controdeduzioni del governo di New Delhi”.
Controdeduzioni che non risulta siano
ancora arrivate per cui rimane “pending” la competenza della NIA e
quindi l’applicazione della Sua Act (legge antiterrorismo) e,
conseguentemente, il rischio della pena capitale non è ancora
cancellato.
Tre anni, giorni rotti solo da
dichiarazioni di intenti e da nessun risultato, che offendono l’Italia,
le sue tradizioni e la sua cultura. Trentasei mesi durante i quali la
sovranità italiana è stata cancellata per proteggere interessi economici
di lobby e personali non meglio connotabili.
Una storia senza fine, inaccettabile ed
in cui le parole dominanti sono state sempre “riservatezza e profilo
basso". Tre anni caratterizzati da un’indifferenza totale e quasi
generalizzata a livello politico, incomprensibile da parte di chi invece
avrebbe dovuto far sentire la propria voce in maniera incisiva. Primo
fra tutti il Presidente della Repubblica Napolitano, custode della
Costituzione ed al quale la Carta Costituzionale all’articolo 87 assegna
l’alto Onore di Capo delle Forze Armate, il quale ha persino
dimenticato di nominare i due Fucilieri di Marina nel suo discorso di
commiato all’atto delle dimissioni.
Tre lunghi anni in cui si sono succeduti
tre Governi che sembra si siano passati “il testimone” su come gestire
il caso. Quello del Presidente Monti che ha deciso di rispedire in
India i due Fucilieri di Marina con un Ministro della Difesa attento a
non abbandonare una nave ormai alla deriva e prossima all’approdo, pur
di non rischiare posizioni di privilegio future.
Quello Letta, piuttosto disattento alla
vicenda con un Vice Ministro degli Esteri Lapo Pistelli pronto a
dichiarare di aver concordato con l’India “regole di ingaggio” avanzando
anche l’ipotesi di una disponibilità italiana di accettare una mite
condanna indiana a seguito della quale far rientrare i due militari in
Italia nel quadro dello scambio di condannati, cos’ come previsto da un
accordo bilaterale sottoscritto nell’agosto 2012.
Un terzo Governo, l’attuale, con il
Presidente del Consiglio pronto a dichiarare agli italiani la sua
vicinanza ai due Marò con telefonate ed altre azioni di facciata, ma
poco concreto nei risultati.
Un Primo Ministro che in base alle sue
consolidate esperienze in tema di politica estera preferisce ricorrere
ad una "Diplomazia Tranquilla" , sinonimo in questo caso di "Diplomazia
Dormiente", visti i risultati fino ad ora raggiunti. Un Premier pronto
ad ostentare ottimismo dopo quattro parole scambiate con il Premier
indiano Modi in occasione dell’ultimo G20, ma altrettanto “timido” nel
portare avanti iniziative internazionali, nonostante che lo stesso
Premier indiano avesse qualche giorno prima del G20 che di fronte alla
pirateria marittima doveva applicarsi il Diritto Internazionale.
Un Esecutivo caratterizzato forse più
del precedente da sole dichiarazioni di intenti che a nulla hanno
portato e che ha anche disatteso anche una proposta della Croce Rossa
Internazionale di occuparsi della vicenda.
Le Onorevoli Pinotti e Mogherini,
rappresentanti della Difesa e degli Esteri, assolutamente in sintonia
nel rivendicare a parole il diritto italiano a giudicare, incisive nel
dichiarare di essere pronte ad internazionalizzare il caso, ma pronte il
giorno dopo a dichiarare l’intenzione di portare avanti contatti
bilaterali basati su approcci di "secret diplomacy" ereditati forse
dalla dottoressa Bonino.
Ora un nuovo Ministro degli Esteri
italiano, l’Onorevole Paolo Gentiloni che si affaccia alla ribalta
internazionale dichiarando, anche lui appena nominato, di aver
telefonato a Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, per poi tacere.
Gli italiani, invece, continuano ad
attendere che due concittadini rientrino in Italia liberi ed a testa
alta e le Forze Armate aspettano un segnale che garantisca loro la
tutela dello Stato quando impiegate in operazioni fuori dal territorio
nazionale.
Gli italiani che ancora credono nello
Stato sono stanchi e non meritiamo ancora una volta le dichiarazioni di
speranza come quelle del Presidente della Commissione Affari Esteri e
Comunitari della Camera dei Deputati, Onorevole Cicchitto che
recentemente ha auspicato che: "................. i due marò
Massimiliano Latorre e Salvatore Girone possano contare anche sulla
solidarietà europea e della comunità internazionale per una rapida e
definitiva risoluzione della loro vicenda" (ANSA 6 nov).
Un’ulteriore dimostrazione, se ce ne
fosse bisogno, che parte della politica piuttosto che agire
concretamente preferisce affidare l’affidabilità dello Stato alla
solidarietà degli altri.
Un'Italia, infine, stanca di essere
irrisa all'estero quando il neo Ministro degli Esteri auspica , a quasi
sei mesi dall’elezione del Presidente MODI, che il mutato quadro
politico in India "produca risultati" sul caso dei due marò e che
ancora due giorni orsono intervistato dalla TV di Stato ha espresso
ancora speranza ma non certezza.
Il Ministro Gentiloni invece di sperare
dovrebbe far leva su quanto stabilito dal diritto internazionale e dalla
Convenzione UNCLOS, avviando l'arbitrato tanto promesso dall'Onorevole
Mogherini, ma che forse dimenticato in qualche cassetto della
Farnesina.
L'Italia, infatti, ha tutte le carte in
regola per avere riconosciuti i propri diritti da “un arbitro
internazionale” così come previsto dalla Convenzione del mare. Non
esistono giustificazioni perché ancora non sia stata avviata questa
procedura, soprattutto perchjè proprio lo stesso Presidente Modi abbia
espresso la convinzione che l’India in tutte le controversie sul
Diritto del Mare deve richiamarsi alla Convenzioni delle Nazioni Unite
sul diritto del mare (UNCLOS).
L'Onorevole Gentiloni, quindi, se vuole
confermarci la sua fiducia nella nuova politica di Modi, deve avviare
immediatamente gli atti internazionali previsti ed in un certo senso
indicati dal Presidente indiano come la strada da seguire.
Non procedere in questa direzione
rappresenterebbe una specifica responsabilità della politica italiana di
cui qualcuno dovrà renderne conto.
Il Premier Renzi ammonisce a non
alimentare polemica con l'India. Quale sia lo scopo del suo invito non è
chiaro. Cosa intenda con le parole “alimentare polemica” non è semplice
ad essere compreso. Se voglia dire essere prostrati all’arroganza
dell’India non credo che sia un consiglio accettabile. Se, invece,
intende che si debba tacere, con il massimo rispetto per la Sua persona,
il Suo suggerimento non può essere accettato almeno fin quando l'Italia
non abbia attuato le azioni internazionali previste dal Diritto e dalle
Convenzioni ONU.
Peraltro tenere alta l'attenzione non
significa a mio modesto avviso polemizzare con l'India, piuttosto
dimostrare dissenso su come l'Italia garantisce ai propri cittadini
tutela e protezione di fronte alla protervia di uno Stato Terzo.
Forse questo è il motivo che induce il
Premier ad auspicare una moderazione dei toni, ma se così fosse - pur
nel massimo rispetto delle Sue aspettative - è un invito che tutti
coloro che amano il proprio Paese ed hanno alto il senso dello Stato non
possono accogliere.
Un invito che non ha accolto nemmeno il
neo eletto Presidente della Repubblica Mattarella che a differenza del
Suo predecessore ha fatto Suo l’onore concessogli dalla Costituzione ed
ha ricordato, durante il suo discorso di insediamento, il problema di
Massimiliano Latorre e Salvatore Girone.
Questa volta Signor Presidente non è il
Ministro Gentiloni che spera in azioni costruttive da parte indiana, ma
siamo noi italiani che auspichiamo fortemente che il loro Presidente
della Repubblica si occupi immediatamente della sorte di tre militari
italiani in ostaggio di uno Stato terzo da tre anni, rifiutando ogni
compromesso politico, ma pretendendo che sia l’Italia a giudicare i
propri uomini come prevede il Diritto Internazionale.
Aspettiamo fiduciosi Presidente Mattarella. !!!
Fernando Termentini, 8 febbraio 2015
fonte: http://www.stefanomontanari.net