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Non smettete mai di protestare; non smettete mai di dissentire, di porvi domande, di mettere in discussione l’autorità, i luoghi comuni, i dogmi. Non esiste la verità assoluta. Non smettete di pensare. Siate voci fuori dal coro. Un uomo che non dissente è un seme che non crescerà mai.

(Bertrand Russell)

20/02/16

Renzi non è Cameron, l’Italia in mani Troike


 


“Sei a normativa europea?”, parte in tromba un prontuario in lingua tedesca che istilla nel lettore tremendi dubbi: “Vivo in una casa non a normativa europea, la mia auto non è a normativa europea, la mia bici non è a normativa europea, svolgo un lavoro precario che elude le normative europee, non dialogo con la mia banca tramite smartphone perché non ho i soldi per cambiare telefonino… sono un povero fuorilegge?”.
Ma i dubbi che attanagliano i meno danarosi della zona Euro non turbano certo i sonni dei britannici. Sembra che l’Unione europea abbia poche carte da giocarsi per evitare la fuga del Regno Unito, a patto che tra Strasburgo e Bruxelles non decidano di cancellare una gran mole di normative europee: le stesse che, in tutti questi anni, avrebbero cagionato la moria del 50 per cento delle imprese italiane. È di qualche giorno fa la notizia che, più della metà delle imprese del Nord-Est, si sarebbero estinte perché non più in grado di reggere sul mercato, causa i costi lievitati per le normative europee. Del resto l’Ue è stata fatta sulla carta in forza di regole e moneta. Ma chi ha fabbricato quelle regole era (ed è) all’asciutto sulle diverse peculiarità economiche del Vecchio Continente.
Per farla breve, l’Europa farebbe poco al caso per il popolo britannico. Troppa burocrazia, documenti incomprensibili, soprattutto una congerie di norme che, se applicate in Gran Bretagna, metterebbero l’artigianato dell’isola nelle stesse condizioni in cui versa oggi quello italiano.

“La mia filosofia è diametralmente opposta a quella di David Cameron. Io sono un federalista cresciuto sognando gli Stati Uniti d’Europa”, ripete intanto Matteo Renzi agli altri leader europei, dimenticando quanto l’accettazione supina delle normative europee abbia fatto lievitare la disoccupazione. E non dimentichiamo come le normative europee stiano influenzando negativamente la crescita italiana: nel Belpaese non si produce più nulla, e per il timore d’infrangere le normative. Queste ultime ree della nuova ventata di tasse, come quella su ascensore e aria condizionata: la prima sarà per ogni famiglia d’un importo pari alla vecchia Tasi, mentre la seconda obbligherà i comuni ad indagini sugli eventuali utilizzatori d’aria condizionata domestica. La Gran Bretagna non s’è uniformata che ad uno scarso 10 per cento di tutte le normative europee, mentre l’Italia le sta codificando tutte. Piccolo particolare, il Regno Unito non ha nemmeno una multa Ue sul groppone, invece l’Italia ha totalizzato sanzioni europee per inottemperanza alle varie normative pari ad un quinto del proprio debito pubblico: dall’edilizia alle quote latte, dai rifiuti urbani al mancato adeguamento dei vettori (trasporto pubblico), dalle carceri ai diritti delle più svariate minoranze, dai campi rom inadeguati alle multe per le modalità d’accoglienza dei migranti… Una cifra iperbolica che, al pari del debito pubblico, starebbe sventrando lo stato italiano. Così l’Italia europeista sceglie di affogare, mentre il Regno Unito si difende perché ha ancora una moneta nazionale.
Di fatto l’Italia ha le mani legate, ed il popolo è costretto a rispettare tutte le normative ed a pagare tasse e multe Ue. E chi lavora e risparmia potrebbe non essere nemmeno più padrone dei propri sacrifici. Infatti la gestione e l’uso discrezionale dei risparmi depositati nelle banche italiane sta per passare totalmente in mani straniere (pardon europee): tutto addebitabile alla direttiva europea Brrd, che designa le nuove norme del sistema bancario europeo: stabilendo nuove norme in materia di salvataggi bancari, e con la scusa di tutelare i risparmiatori, finisce per lasciare che i tedeschi decidano che uso fare dei risparmi italiani (ovviamente è una sintesi forzata, potrebbero anche decidere olandesi, belgi, lussemburghesi… mai italiani). Di fatto per Renzi s’avvicina Waterloo, e perché il sommarsi di debito pubblico e mancati pagamenti delle svariate multe Ue stanno facendo tornare in auge lo spettro delle mani della Troika sul sistema italiano. Proprio come nell’estate 2014, quando l’allora direttore del Corriere della Sera (Ferruccio De Bortoli) lasciava la direzione anticipando la discesa della Troika nel Belpaese. Oggi potrebbe serbare lo stesso compito del 2011, ovvero eseguire un prelievo forzoso e patrimoniale da 100 miliardi di euro: per dirla alla Mario Monti “per arrivare a delle ulteriori cessioni di sovranità sono necessarie delle crisi”. Cessione di sovranità significa incremento della povertà: ogni anno già versiamo 50 miliardi alla Bce per essere soci del Club dell’Euro”, altrettanti all’Ue per contribuire alle politiche europee.
La Gran Bretagna fissa i paletti, la Germania si rinforza, l’Italia in camicia viola dice che spezzeremo le reni ai burocrati di Bruxelles. Il solito capitan Fracassa questo Renzi: la storia ci ha regalato camicie in varie sfumature di grigio, nere care ad anarchici e fascisti, rosse da garibaldino e poi da comunista, verde da leghista… Oggi è il turno delle camicie viola, il loro simbolo è il giglio fiorentino, al posto del fez usano come copricapo un cappello goliardico duecentesco, come quello che per la vulgata indossava il Conte Ugolino. Buon appetito signor Renzi, ed alla faccia del popolo sovrano.

di Ruggiero Capone -20 febbraio 2016

18/02/16

Dopo 4 anni la sorte dei Maro’ in mano alla Corte dell’Aja


Rientro in Italia dei marò Salvatore Girone e Massimiliano Latorre
di Maurizio Salvi – ANSA

Giunta al traguardo del suo quarto anno la vicenda dei Fucilieri di Marina Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, cominciata al largo delle coste indiane del Kerala il 15 febbraio 2012, appare sempre lontana dalla conclusione, anche se il suo scenario è radicalmente mutato negli ultimi mesi, trasferendosi da New Delhi alla Corte permanente di arbitrato (Cpa) dell’Aja. Dopo 1.461 giorni di battaglie legali riguardanti la giurisdizione sull’incidente in cui morirono due pescatori indiani che l’India ha rivendicato per se’, trovando opposizione da parte dell’Italia, la questione è stata posta per iniziativa di Roma il 22 giugno 2015 all’attenzione della Cpa.
Questo quarto anniversario dell’incidente trova i due marò in situazioni completamente diverse. Latorre, infatti, dopo l’ictus che lo ha colpito il 31 agosto 2014 e’ andato in Italia per seguire le terapie riabilitative che ancora continuano. Ed il governo italiano ha chiaramente fatto capire che il militare resterà a casa sua fino alla fine dell’esame del contenzioso all’Aja.

 

Comunque la Corte Suprema indiana ha chiesto nell’ultima udienza sul caso al suo governo di informarla sui tempi previsti dalla Cpa per esaminare il caso della giurisdizione, prorogando provvisoriamente la licenza in Italia per Latorre al 30 aprile e fissando una nuova udienza per il 13 aprile prossimo. Girone, invece, continua nella sua routine indiana, dopo che il 16 dicembre 2014 la Corte Suprema di Delhi respinse una sua richiesta di licenza per trascorrere un nuovo periodo con la propria famiglia in Puglia.
Da allora il militare, che risiede nell’ambasciata italiana, si reca settimanalmente al Commissariato di zona per firmare un registro di presenze.  Chi gli sta vicino sa della preoccupazione per il distacco dalla sua famiglia che lo visita regolarmente nei periodi di festività, ma che ovviamente non potrà sopportare molto più a lungo questa emergenza che pesa su di lui, sulla moglie Vania e sui figli Michele e Martina.

 

Ogni decisione su cosa fare per risolvere questo problema è però sospesa in attesa che il 30 e 31 marzo prossimi la Cpa esamini la richiesta italiana per un trasferimento di Girone in Italia in attesa della sentenza della stessa Corte che, secondo il calendario pubblicato nelle scorse settimane, non dovrebbe arrivare prima di agosto 2018.

Al riguardo vale ricordare una dichiarazione di Girone all’ANSA alla vigilia dello scorso Natale: “Finalmente ci siamo affidati ad una Corte internazionale super partes”. “Sono molto fiducioso – aveva ancora detto – che sia fatta giustizia e questo soprattutto con i criteri del buon senso e nel rispetto del diritto internazionale. Sono ormai quattro anni che vivo con la mia libertà oppressa”.

Foto Ansa e Lapresse

di Redazione 17 febbraio 2016
fonte: http://www.analisidifesa.it

17/02/16

MARO’: QUATTRO ANNI DI CALVARIO CHE OFFENDE L’ITALIA

marocalvario



Al primo anniversario dell’arresto di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone non pensavamo che ne avremmo vissuti altri tre con i Marò in attesa di un capo d’imputazione. E chissà se ne vedremo altri. Dal 15 febbraio 2012 ad oggi sono passati quattro anni. Quel giorno l’India ha deciso di attribuire la responsabilità della morte di due pescatori ai militari italiani.
Eppure, a quattro anni di distanza non si sa ancora l’esatta data e ora della morte di Ajesh Binki e Valentine Jelestine, le due vittime.
Non si sa neppure se il fatto sia avvenuto in acque internazionali oppure italiane, quindi di chi sia la giurisdizione e dove con esattezza debbano essere processati i due Marò.
Non si sa, soprattutto, di cosa siano accusati.

Né, particolare tutt’altro che banale e trascurabile, se rischino la pena di morte in caso di condanna.
Insomma, ogni anno dobbiamo scrivere le stesse cose, ma quattro anni di nulla cominciano ad essere tanti, troppi.
E dire che in tutto questo tempo di cose ne sono successe: in Italia sono stati cambiati tre governi, in India ci sono state elezioni, un ministro degli esteri (il diplomatico Giulio Terzi di Sant’Agata) italiano si è dimesso in polemica con il suo governo proprio sulla questione Marò, uno dei due militari, Massimiliano Latorre, ha avuto un malore in India ed è stato costretto a tornare in Italia per motivi di salute. L’altro, Salvatore Girone, è sempre “ostaggio” in India.
Persino la figlia di Latorre, Giulia, ha fatto recentemente parlare di sé a causa di un suo presunto outing. Insomma, dei Marò si parla eccome. Eppure, in quattro anni siamo ancora al punto di partenza.
Cambiamo i presidenti del consiglio, i ministri degli esteri e della difesa, ma non i risultati. Promesse tante, fatti pochi.
Ad oggi, l’opinione pubblica non è in grado di dire se i Marò siano innocenti o colpevoli, l’Italia è divisa più per ideologia che per analisi del merito della vicenda. Questo semplicemente perché le indagini non sono state in grado di stabilire alcunché.
Qualunque sia o sarà la verità giudiziaria, resta l’amaro in bocca per due servitori dello Stato pressoché abbandonati, costretti ad una situazione di incertezza e sospensione perché l’Italia è semplicemente diventata sempre più marginale in politica estera.


L’abbiamo detto sin da subito. Ripetuto ad ogni anniversario dell’arresto dei due Marò. Ed oggi siamo costretti a ribadirlo ancora, per la quarta volta.
A uscirne male è sicuramente l’Italia, perché due militari proprio non meritano questo trattamento.

Roma, 17 febbraio 2016
Redazione


16/02/16

Questione Marò: 4 anni di disonore



 


La storia di Salvatore Girone e Massimiliano Latorre, i marò accusati senza prove di essere i responsabili dell’omicidio in mare di due presunti pescatori indiani, ha spento quattro candeline. Era il 15 febbraio del 2012 quando nelle acque internazionali al largo della costa del Kerala veniva intercettata e costretta a rientrare nel porto indiano di Kochi la petroliera italiana Enrica Lexie.
La vicenda è arcinota e non occorre ripercorrerla nei dettagli. Basti ricordare che al momento dello scoppio della crisi a Palazzo Chigi c’era il peggiore Presidente del Consiglio della storia d’Italia: Mario Monti e al Quirinale signoreggiava il pessimo Giorgio Napolitano. Questa coppia di scartine, sostenuta da un codazzo di patetici comprimari, si rese protagonista di tutte le scelte sbagliate che hanno precipitato i nostri marò in una vicenda surreale: accusati di un crimine mai commesso, trattenuti contro la loro volontà da un paese straniero che ha fatto strame delle elementari norme del diritto internazionale e che li ha sfacciatamente usati come capri espiatori di una torbida vicenda di criminalità locale.
Per lungo tempo il governo italiano ha girato a vuoto nel tentativo di elemosinare dalla controparte una soluzione bonaria che consentisse, con il rimpatrio dei marò, di chiudere un caso inesistente. I governanti indiani hanno fatto spallucce. Peggio: hanno goduto nell’umiliare un paese dell’occidente ex-coloniale giudicato troppo piccolo per reagire e troppo grande per passare inosservato. La loro arroganza è stata tale da costringere un pur riottoso Matteo Renzi, stretto all’angolo, a scegliere la via dell’arbitrato internazionale almeno per strappare il diritto a processare in patria i due militari.
Nel 2015, il Tribunale internazionale per il diritto del mare di Amburgo, Itlos, pur non pronunciandosi sulla concessione della libertà agli indagati, ha intimato alle parti in causa di congelare tutte le iniziative giudiziarie in corso. Ciò comportava che Girone non avrebbe potuto lasciare l’India senza il consenso del governo indiano mentre Latorre, che attualmente è in Italia per curarsi dai postumi di un ictus, non avrebbe avuto l’obbligo di rientrare a New Delhi. Invece, a riprova che gli indiani se ne fregano dell’Italia e dei tribunali internazionali, la Corte suprema di New Delhi si è ugualmente pronunciata sul prolungamento del permesso a Latorre. Come se niente fosse accaduto.
Ora tocca al Tribunale arbitrale de l’Aja esprimersi sull’attribuzione di giurisdizione, ma il verdetto non arriverà prima del 2018. Più rapida invece dovrebbe essere la decisione sulla sospensione della misura cautelare a carico di Salvatore Girone: si dovrebbe sapere qualcosa entro la fine del prossimo mese di marzo. Sia chiaro: il Tribunale de L’Aja non dirà se Latorre e Girone sono innocenti o colpevoli ma solo in quale Paese dovranno essere giudicati, se in India o in Italia. È probabile che si dovrà attendere il prossimo decennio per vedere i nostri marò scagionati da un’accusa che non sta in cielo né in terra. Vi sembra giusto?
Intanto, il nostro governo sta timidamente imboccando l’unica strada extragiudiziale che abbia senso: la ritorsione diplomatica. Gli indiani evidentemente non comprendono altro linguaggio che quello degli atti di forza, allora ben venga che l’Italia impartisca loro una lezione. Se Matteo Renzi vuole dimostrare di avere quel fegato che finora gli è mancato prenda un solenne impegno con il Paese: sia irremovibile nel boicottaggio degli interessi indiani ovunque se ne crei l’occasione, fin quando a Latorre e a Girone non sarà restituita la piena libertà. Le chiacchiere non bastano, occorrono i fatti. Con i due fucilieri è stato sequestrato l’onore del nostro paese e ciò non è tollerabile. La si faccia finita con i salamelecchi ai politici inturbantati e gli si mostri il volto severo di una grande nazione civile. L’Italia.

di Cristofaro Sola -16 febbraio 2016

15/02/16

VICENDA MARO'/ENRICA LEXIE - INDIA "Speranze, promesse e figuracce «mondiali» Così l’Italia ha rinunciato ai suoi fucilieri "


Dal 2012 ci sono stati 3 governi, 5 ministri degli Esteri e 3 della Difesa. Ma non è cambiato nulla


++ Mar�: le mogli dei due fucilieri arrivano a Sanremo ++

Quattro anni di speranze e promesse mal riposte. Quattro anni di annunci e rassicurazioni finiti nel nulla. Quattro anni di impegni e giuramenti andati in fumo. E loro, i nostri due marò, vivono ancora il loro calvario. Massimiliano Latorre è in Italia per via di un ictus che lo ha colpito un anno e mezzo fa ma avendo sulla testa, in attesa dell’arbitrato pendente davanti al Tribunale arbitrale dell’Aja, una spada di Damocle. Salvatore Girone vive ancora nell’ambasciata italiana di New Delhi, in India, là dove tutto è iniziato. Da quel 15 febbraio 2012, infatti, giorno in cui due pescatori indiani sono stati ammazzati al largo delle coste del Kerala e i due fucilieri accusati dell’omicidio, dai tre governi, cinque ministri degli Esteri e tre della Difesa (più un commissario straordinario, Staffan de Mistura) che si sono succeduti sono giunte un’infinità di parole e ben pochi fatti. Quasi nessuno.

L’INIZIO

Quando tutto comincia in carica c’è il governo di Mario Monti. Si parte con l’idea di risolvere il caso pagando 300mila euro alle famiglie dei due pescatori uccisi. Esito: la vicenda si complica ancora di più.

LA BEFFA

Nel febbraio 2013 l’Alta Corte del Kerala concede a Latorre e Girone il rientro in Italia per le elezioni politiche. Il governo italiano prima annuncia che non li rimanderà indietro, poi cambia idea, provocando le dimissioni del ministro degli Esterni Giulio Terzi. Quando arriva il nuovo premier, Enrico Letta, la strategia cambia e si va verso l’internazionalizzazione della vicenda. Tutto si fa molto riservato, soprattutto per volontà di de Mistura. Il silenzio sembra prodigo di risultati, ma non è così. I marò restano in India.

IL GOVERNO RENZI

Nel febbraio del 2014 al governo arriva Matteo Renzi, che subito twitta: «Faremo di tutto per farli tornare a casa il più rapidamente possibile. Sono una priorità». Stessa posizione da parte del ministro della Difesa Roberta Pinotti: «È la nostra prima preoccupazione, il nostro primo pensiero». Nel novembre dello stesso anno ministro degli Esteri diventa Paolo Gentiloni, che esordisce così: «I due marò sono in cima alla nostra agenda». Passano solo pochi giorni e lo stesso Gentiloni assicura: «Credo che il canale di comunicazione con l’India si sia rafforzato, c’è stato un significativo cambio di passo. Il dialogo è ai massimi livelli. Ora soluzione rapida». Nel dicembre 2014 l’inquilino della Farnesina conferma: «Passi avanti», subito smentito dalla Corte Suprema indiana che dice «no» alla libertà provvisoria per i fucilieri. Gentiloni reagisce: «L’Italia si riserva tutti i passi necessari» verso l’India, senza escludere il «pratico avvio dell’arbitrato», ma ammettendo: «Finora il raccolto è stato molto deludente». Due giorni prima di Natale interviene Renzi: «Il governo indiano ha espresso il desiderio di una soluzione condivisa e concertata sui marò». Gentiloni si accoda: «Ora ci aspettiamo risultati rapidi e tangibili». Ma tutto resta fermo al punto di partenza.

L’ARBITRATO

Il 2015 inizia con una nuova ondata di ottimismo da parte dei ministri degli Esteri e della Difesa: «Lavoriamo a una soluzione definitiva». Il 21 gennaio il titolare della Farnesina primo parla di «una via d’uscita» con l’India, ma non accade nulla. Passano due mesi e lo stesso ministro accenna a una «soluzione da trovare a breve», pena la rinuncia dell’Italia alle missioni antipirateria. Il 5 maggio il governo sceglie, senza più tentennamenti, la via dell’arbitrato internazionale. A luglio la Farnesina emana una nota: «L’Italia attiva le misure necessarie per il rientro di Girone», e il Capo dello Stato, Sergio Mattarella, assicura: «L’Italia continua a battersi con determinazione». Ma ad agosto il Tribunale del Mare di Amburgo gela il nostro Paese decidendo di non accogliere la richiesta sul rientro di Girone in attesa dell’arbitrato. Pochi giorni dopo arriva l’altra doccia fredda, quando più di un esperto di diritto internazionale spiega che per la sentenza del Tribunale dell’Aja occorreranno almeno due anni. È il 24 agosto quando Gentiloni ribadisce: «Il governo italiano resta impegnato sull'obiettivo, nel corso della vicenda arbitrale, di garantire la libertà ai due fucilieri», mentre Pinotti ripete: «In attesa di quello che sarà il giudizio del Tribunale arbitrale, noi chiediamo che Girone possa tornare in patria». Niente da fare: Salvatore resta in India.

TUTTO RIMANDATO AL 2018

Trascorrono altri quattro mesi, siamo ormai a novembre del 2015, ed è ancora il ministro della Difesa ad assicurare che, essendosi insediato il Tribunale internazionale, «alla prima udienza faremo con forza la nostra richiesta che anche Girone possa tornare in Italia». E così avviene, formalmente, un mese dopo. Risultati? Nessuno! Il 19 dicembre lo stesso ministro torna sul caso: «Una vicenda davvero lunga che ci auguriamo internazionalmente possa chiudersi quanto prima». Speranza vana, visto che il 20 gennaio scorso, dal calendario fissato proprio dal Tribunale arbitrale, si evince che la fine del processo non ci sarà prima dell’agosto 2018, quando dall’inizio dell’agonia saranno trascorsi sei anni e mezzo. Un’eternità.

Luca Rocca - 15 febbraio 2016

MARO' IN INDIA " IL SEQUESTRO DEI FUCILIERI DI MARINA LATORRE E GIRONE - QUARTO ANNIVERSARIO "






15 Febbraio 2016
Stefano Tronconi


Si potrebbero indicare innumerevoli ragioni, innumerevoli errori ed innumerevoli colpevoli per spiegare perché, a distanza di quattro anni, un uomo innocente come Salvatore Girone sia ancora costretto a vivere da detenuto in India.
Salvatore sta ancora pagando per l'enorme ipocrisia italiana di non aver voluto mettere l'innocenza subito al centro del dibattito sulla vicenda non appena, nel Maggio 2013, tale innocenza risultò evidente oltre ogni ragionevole dubbio.
Ma ormai così è, gli errori commessi non si possono cancellare, e quindi in questa settimana del quarto anniversario preferisco astenermi dal ritornare su specifici aspetti già più volte messi in luce per guardare invece positivamente al fatto che anche la lunga ed ingiusta detenzione di Salvatore non può che essere vicina al capolinea.
Sono quasi tre anni che i vertici indiani sanno che abbiamo le prove dell'innocenza dei fucilieri di marina. Sono quasi tre anni che i vertici indiani sanno di non essere nelle condizioni per celebrare alcun processo.

Da quasi un anno a questa parte poi, grazie al ricorso all'arbitrato sulla giurisdizione, i vertici indiani sono anche riusciti a porre le condizioni per far formalmente ricadere sull'Italia in un consesso internazionale molte delle colpe per la gestione patologica dell'intera vicenda.
Certo, l'India continua ad avere in mano le carte per far sì che tempi e modi del rientro di Salvatore non confliggano con convenienze interne della politica indiana.
Certo, l'India può contare su un Tribunale Arbitrale all'Aja che ne ha assecondato e ne asseconderà i tempi di gestione per uscire dal pantano.
Tuttavia il prossimo passo in avanti in questa vicenda non potrà che essere la scelta indiana di consentire il rientro in Italia anche di Salvatore Girone.
Ed è questo l'unico messaggio di fiducia che ho voglia di ricordare in questa amara settimana del quarto anniversario.

fonte: https://www.facebook.com/stefano.tronconi.79?fref=ts

MARO' IN INDIA - Il calvario di due italiani tra depistaggi, bugie e prove cancellate

RIPORTIAMOLI A CASA

Rotte manipolate, tracce cancellate, proiettili incompatibili. Nemmeno un indizio è in grado di inchiodare i nostri marò

 

India, i maro' escono dal carcere di Trivandrum per incontrare le loro famiglie

Rotte manipolate, tracce cancellate, proiettili incompatibili. Nemmeno un indizio è in grado di inchiodare i nostri marò, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, alle loro responsabilità. Non c’è nessuna prova che siano stati loro, il 15 febbraio del 2012, a sparare contro i due pescatori imbarcati sul peschereccio Saint Antony, al largo delle coste del Kerala. Eppure i due fucilieri sono ancora accusati di aver fatto fuoco quel maledetto giorno di quattro anni fa, quando i fatti finora analizzati vanno in tutt’altra direzione e scagionano Salvatore e Massimiliano, lasciando pochi dubbi sulla loro innocenza.

LE ROTTE

Primo punto. Prendendo in considerazione le rotte dei due natanti (331 gradi la Lexie e 186 indicati dall’India per il Saint Antony) e la loro reale velocità (rispettivamente 14 e 8 nodi), le due imbarcazioni sarebbero passate a ben 920 metri di distanza l’una dall’altra, e non, come annotato sulla «Scena del crimine» depositata agli atti, a circa 50. È evidente che, se le cose stanno così, sarà difficile continuare a sostenere che i due marò abbiano sparato e colpito i due pescatori.

I PROIETTILI

Ma a legittimare i dubbi sulla loro colpevolezza ci sono soprattutto i proiettili. Dall’autopsia effettuata dalle autorità indiane sui corpi delle vittime emerge che quelli usati da chi ha sparato non erano affatto gli stessi in dotazione ai due fucilieri. La conclusione sarebbe contenuta nei documenti allegati alle «osservazioni scritte» depositate dall'India al Tribunale sul diritto del mare di Amburgo. In quelle pagine, come riportato dal Quotidiano nazionale, si legge che il proiettile estratto dalla testa di uno dei pescatori «è una pallottola molto più grande delle munizioni calibro 5 e 56 Nato in dotazione ai marò». L’anatomopatologo indiano, infatti, ha misurato un'ogiva lunga 31 millimetri, mentre il proiettile italiano è lungo appena 23. Insomma, quello esploso proviene da un’arma del tutto diversa dai mitra Minimi e Beretta Ar 70/90 di Latorre e Girone. Toni Capuozzo, nel libro «Il segreto dei marò», mette una dietro l’altra proprio queste incongruenze e non solo.

LE ARMI

E ancora. Sulla base degli stessi documenti presentati dall'India al Tribunale di Amburgo, l'ogiva recuperata nel corso dell’autopsia sui corpi dei pescatori, come rivelato dal Mattino di Napoli, potrebbe essere compatibile con un kalashnikov, le mitragliatrice Pk o Pkm di fabbricazione russa, jugoslava e cinese. Dunque un’arma che non è in dotazione dei fucilieri italiani, ma di altri paesi sì. Ad esempio lo Sri Lanka o la stessa India, che, guarda caso, si fanno la «guerra» per accaparrarsi le zone della pesca. E il confronto non avviene a suon di gentili parole, ma anche con forzosi respingimenti in mare.

GLI ORARI

Ad allontanare le ombre dai nostri marò ci sono anche gli orari in cui i fatti sarebbero avvenuti. Ufficialmente l'assalto sventato alla Lexie (quello che ha indotto i nostri fucilieri a sparare per difendersi) è avvenuto alle 16,30 del 15 febbraio, mentre, stando alla stessa ricostruzione del comandante del peschereccio Saint Antony, la sparatoria che ha causato la morte dei due pescatori sarebbe avvenuta addirittura cinque ore più tardi, alle 21.30. C’è di più. Un ulteriore elemento a discolpa di Massimiliano e Salvatore lo si trova, infatti, nelle parole pronunciate, circa un anno dopo i fatti, da Carlo Noviello, ex comandante in seconda della Enrica Lexie, secondo il quale i marò, vedendo arrivare un’imbarcazione verso la petroliera sulla quale erano imbarcati, «hanno sparato in acqua». Lo stesso Noviello ha riferito di «essere sicurissimo» che il natante visto arrivare dal ponte della nave non era il peschereccio Sant Antony, perché «non corrispondono i colori rispetto a una foto mostratami dal Dipartimento indiano della Marina mercantile».

Lu. Ro. - 15 febbraio 2016
fonte: http://www.iltempo.it