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Non smettete mai di protestare; non smettete mai di dissentire, di porvi domande, di mettere in discussione l’autorità, i luoghi comuni, i dogmi. Non esiste la verità assoluta. Non smettete di pensare. Siate voci fuori dal coro. Un uomo che non dissente è un seme che non crescerà mai.

(Bertrand Russell)

21/04/17

“Vi faccio vedere come muore un italiano”, il nostro paese ha bisogno di eroi come Fabrizio Quattrocchi


Chiedimi chi era Fabrizio Quattrocchi. Il 13 aprile del 2004, l’addetto alla sicurezza privata si trovava in Iraq e venne rapito insieme ai colleghi Umberto Cupertino, Maurizio Agliana e Salvatore Stefio. L’Italia quel giorno trattenne il respiro. I quattro furono catturati da un sedicente gruppo denominato Falangi verdi di Maometto. Mentre gli ultimi tre vennero liberati il catanese, che da molti anni si era trasferito in Liguria, andò incontro alla morte. Pronunciando una frase assoluta. Capace di riecheggiare nella mia mente ancora oggi. “Adesso, vi faccio vedere come muore un italiano”. Era il 14 aprile 2004. I sadici terroristi ripresero l’esecuzione. Brutale, violenta, macabra ed insensata. Ma davanti a quella parole, davanti a quella frase tutto si fermò. Solo le pallottole squarciarono un istante lungo l’avvenire. Il 13 marzo 2006, “su proposta del Ministero dell’Interno Giuseppe Pisanu, il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi conferì a Fabrizio Quattrocchi la medaglia d’oro al valor civile. ‘Vittima di un brutale atto terroristico rivolto contro l’Italia, con eccezionale coraggio ed esemplare amor di Patria, affrontava la barbara esecuzione, tenendo alto il prestigio e l’onore del suo Paese'”. Basta affidarsi a Wikipedia per immergersi nelle motivazioni, sacrosante e legittime, di un’onorificenza che dona vita eterna.
Non tutti si sono dimenticati di questo martire. I comuni di Milano, Assisi (PG) e Castellabate (SA) gli hanno dedicato una via. Brugnato (SP) invece ha deciso di intitolargli un ponte. Addirittura Oriana Fallaci, nel volume La forza della ragione, consacrò l’opera a Quattrocchi ed agli “italiani ammazzati dal Dio-Misericordioso-e-Iracondo”. Eppure le nostre memorie sono messe a dura prova. Pochi attimi ed il ricordo vola via, quei colpi di pistola pronti a cancellare un gesto, pronti a cancellare il sangue, pronti ad annebbiarci la vista. Occhio non vede, cuore non duole. E le nostre capacità di sopportazioni cardiache sono ai minimi storici. Eppure dobbiamo sfidare la realtà ammantandoci con il mantello dei servitori dello Stato. Di chi, davanti al boia islamico, ha tentato di strapparsi la kefiah che gli foderava il volto per uscire, un’ultima volta, “a riveder le stelle”. Livio Ghisi, dirigente provinciale genovese di FdI-An, ha pubblicato una lettera in cui lancia un accorato appello: “Dimenticato dalle istituzioni e da una parte dell’Italia politica anche nella sua terra in cui viveva e lavorava non è mai stato ben ricordato, forse per il lavoro che svolgeva o forse per le ideologie troppo patriottiche che ha onorato fino alla fatale esecuzione davanti a vigliacchi aguzzini”. La memoria non è mai troppa, bisogna lottare affinché non si spenga. Per questo Ghisi ha chiesto che a Tigullio di Chiavari, Rapallo e Zoagli venga dedicata una strada a Quattrocchi.
Dalle colonne de Il Giornale d’Italia, Francesco Storace, lancia il suo grido di rabbia: “Quanti giovani, di 14-15 anni, conoscono quel sacrificio? Quanti italiani se lo ricordano? E’ un Paese che non ha memoria. Ci si commuove, per alcuni anche giustamente, se un agnellino sta sulle nostre tavole a Pasqua, e poi questo Paese fatica a ricordare Fabrizio con una scuola o una strada. Anche se tutti, noi no: Fabrizio Quattrocchi presente”. Anche se tutti, noi no. Jack London, ne Il vagabondo delle stelle, vergò questa frase: “Se riuscire a dimenticare è segno di sanità mentale, il ricordare senza posa è ossessione e follia”. Allora ossessioniamoci, viviamo ricordando, ma senza torcicollo, senza spasmi. Con la volontà di chi vuole tornare grande, abbracciare il destino conoscendo il proprio passato, riconoscendo gli esempi fieri di italianità. Totem, in contrasto con la società liquida di Zygmunt Bauman, capaci di non farci perdere la bussola nella tempesta più sfrenata. Serve marmo contro la palude di quest’epoca, possiamo esserlo? Dobbiamo, altrimenti periremo senza lasciare alcuna traccia della nostra storia millenaria.
La situazione di questo Paese è raffigurata nella foto, che in questi giorni sta impazzando sulla rete, in cui viene ritratta un’autovettura dei Carabinieri schiacciata da un ponte nel cuneese. Ogni punto di riferimento scacciato, allontanato, mandato in pasto alla bontà di un nazione che pensa solo al futuro dei rifugiati, ma quali rifugiati poi, dimenticandosi del domani degli italiani. Per questo dobbiamo ricordare Quattrocchi, per portare il suo ardore in ogni città. Davanti alla tasse che ci uccidono, davanti all’immigrazione illimitata, che diventerà inesauribile in questi giorni di primavera che ci conducono all’estate, davanti alla burocrazia abbiamo il dovere di non inginocchiarci. Eroi siamo ed eroi saremo, ce lo chiede l’Italia. Come ho avuto modo di scrivere sulla mia pagina di Facebook: “Ci vorrebbero più italiani con gli attributi, che iniziassero a lottare tutti insieme per la propria libertà, per la propria dignità, per la propria Patria e sopratutto per garantire ai propri figli un presente e sopratutto un futuro da uomini liberi”. Svincoliamoci da queste catene, facciamolo con rabbia e con amore. Cercheranno sempre, e per sempre, di metterci i bastoni tra le ruote, di farci cadere togliendoci l’entusiasmo, facendo perire l’estro tricolore. Ma ci troveranno a cantare davanti alla sorte avversa, portando una croce che non ci grava più sulle spalle. Lo faremo per le Forze dell’Ordine costrette a sacrificarsi per un pezzo di pane. Lo faremo per gli operai licenziati. Lo faremo per i padri separati. Lo faremo per le madri perseguitate. Lo faremo per gli italiani, mentre i poteri forti ci vogliono a capo chino, porteremo in cielo la nostra indipendenza. “Libertà che ho nelle vene, libertà che mi appartiene, libertà che è libertà”, esattamente come cantava Franco Califano.


Di Andrea Pasini - 20 aprile 2017
fonte: http://blog.ilgiornale.it

20/04/17

IMMIGRAZIONE “Una regia dietro gli sbarchi di immigrati”. E il governo scoprì l’acqua calda




ong immigrati business scafisti

 
 
Roma, 20 apr – All’inizio erano solo i populisti cattivi a denunciare l’azione criminale delle Ong al largo della Libia. Poi è arrivato il video di Luca Donadel che tracciava le rotte del business dell’immigrazione. Il polverone mediatico ha condotto alle audizioni in Senato per Frontex e alcune Ong, che hanno confermato le connessioni tra scafisti, Ong, barconi di immigrati e Guardia Costiera. E così alla fine, dopo che nel fine settimana pasquale ci siamo ritrovati con 8500 immigrati sbarcati sulle nostre coste in appena tre giorni, adesso si è “svegliato” anche il governo che, con incommensurabile (e colpevole) ritardo, è arrivato a capire che dietro l’ondata di barconi che hanno preso il largo in precisa direzione delle navi umanitarie delle Ong, c’è una “regia”. “Un’azione logistica fuori dal comune, quasi di stampo militare”, sarebbe stato il commento di chi ha visionato il dossier nelle stanze di Palazzo Chigi, secondo quanto riportato dalla Stampa.
 Sarà per le elezioni sempre più vicine o per il fatto che gli 8500 sbarchi di Pasqua hanno messo in ginocchio il nostro sistema di accoglienza, ma sembra che solo adesso Gentiloni e Minniti si siano decisi quantomeno ad indagare sulle rotte dei barconi, porti di partenza e punti di incontro con le navi delle Ong, al fine di scoprire le “eventuali connessioni” tra i diversi attori. Ovvero scoprire l’acqua calda, quello che tutti sanno e che in pochi fino ad alcune settimane fa avevano il coraggio di dire. Come scrive la Stampa l’azione più decisa del governo sarebbe dovuta agli sbarchi di Pasqua individuati come “punto di svolta”: una balla bella e buona, e l’aumento di oltre il 40% degli sbarchi registrato solo nella prima parte del 2017 testimoniano che la regia e l’azione di “stampo militare” dietro i flussi migratori del Mediterraneo siano un fatto noto e precedente. Dietro l’aumento dei flussi potrebbero celarsi anche la grande criminalità organizzata della Libia e le fazioni ostili a Sarraj, che con l’Italia si era impegnato a limitare le partenze e ad arginare gli scafisti.
Ma l’attenzione è concentrata soprattutto sul ruolo delle Ong, vere protagoniste dell’aumento degli sbarchi sulle nostre coste. Basti pensare che nel 2016 la sola Ong spagnola Opena Arms ha trasportato circa 70 mila “migranti” in Italia, ovvero più di un terzo del totale. Senza un accordo con gli scafisti e una connessione diretta con i barconi, è difficile pensare di realizzare certi numeri. Il direttore di Frontex, Fabrice Leggeri, in audizione al Senato la settimana scorsa aveva confermato che gli scafisti dotano di telefonini e numeri delle imbarcazioni delle Ong gli immigrati in partenza sui barconi. Le indagini puntano su queste connessioni, ma anche sul capire chi siano i finanziatori di queste Ong che sono dotate di imbarcazioni tecnologiche, elicotterei, droni etc, attrezzatura piuttosto costosa. Nelle audizioni al Senato viene citato molto spesso il caso della Ong Moas, con base a Malta e fondata dal filantropo statunitense Chris Catrambone nel 2014, che può contare su una barca di 40 metri, un aereo e sull’affitto di due droni per pattugliare il mare, il cui costo ammonta a 400 mila euro al mese. Moas dichiara di aver salvato 33 mila “migranti”.

Anche Renzi, con le elezioni in avvicinamento, ha pensato di fare la voce grossa sulla faccenda: “Noi siamo accoglienti e salviamo vite umane, ma non possiamo essere presi in giro da nessuno, né in Europa, né da Ong che non rispettano le regole. Non è possibile che l’Europa abbia 20 navi che prendono e portano solo in Sicilia“. L’ex premier loda anche il lavoro della Commissione parlamentare che sta conducendo l’indagine: “Si sta gettando una luce sulla vicenda”. Eppure quando il business dell’immigrazione nel Mediterraneo era già ampiamente in piedi lui era Primo Ministro. Ovviamente non ha mosso questo tipo di accuse, né intrapreso alcuna azione come governo. Ma all’ex sindaco di Firenze la faccia di bronzo non è mai mancata. Il problema è per chi ancora lo vota.


Davide Romano -  20 aprile 2017

fonte: http://www.ilprimatonazionale.it

18/04/17

Il grillismo è la nostra storica faciloneria


 

Sottoscrivo in toto la preoccupata analisi del nostro direttore sul Movimento Cinque Stelle, definito correttamente come allucinante paradigma di “Democrazia dei centri di salute mentale”. 


 E sebbene Arturo Diaconale coglie appieno la palese contraddizione di un meccanismo che pretende, con qualche migliaio di voti espressi in Rete, di decidere le scelte strategiche che riguardano l’intera collettività nazionale, nondimeno ciò non ha impedito a milioni di elettori di farsi rappresentare da una forza politica che manifesta parecchie anomalie, tanto per usare un eufemismo.
A mio avviso sono molteplici le ragioni che concorrono a veicolare nel non-partito di Beppe Grillo una crescente massa di consensi. Ragioni che sotto alcuni punti di vista vengono da molto lontano e appartengono a quella storica faciloneria che ha troppo spesso caratterizzato, dall’Unità nazionale in poi, un Paese raccogliticcio il quale, in tante sue componenti, ha sempre pensato in grande senza alcun senso delle proporzioni. Un Paese il quale, ritenendo che il mondo si organizzasse intorno ai nostri presunti talenti, ha spesso subìto il fascino di qualche abile demagogo pronto a dispensare miracolistiche ricette per riportare molto in alto le nostre sorti.
E, nel valutare l’impressionante armamentario di sciocche quanto pericolose illusioni partorite in questi ultimi anni dalla democrazia diretta a Cinque Stelle (il cui approdo, come scrive Diaconale, è quello di trasformare l’Italia “in una gigantesca Svizzera dove i cittadini non lavorano e si godono l’ozio latino in attesa dell’assegno di sopravvivenza dell’Inps”), mi viene in mente una cruda citazione di Ferdinando Martini, scrittore e politico che governò con grande abilità l’Eritrea dopo la colossale disfatta di Adua del 1896: “Chi dice che gli italiani non sanno quello che vogliono? Su certi punti, anzi, siamo irremovibili. Vogliamo la grandezza senza spese, le economie senza sacrifici e la guerra senza morti. Il disegno è stupendo: forse è difficile da effettuare”.
Ecco, malgrado sia passato molto tempo, non possiamo non leggere nel messaggio politico dei grillini un’analoga filosofia di fondo, che allo stato attuale si può sintetizzare con la contraddizione in termini di una decrescita felice che porti più benessere per tutti. Da questo punto di vista il disegno non ci appare né stupendo e né minimamente realizzabile.

di Claudio Romiti - 15 aprile 2017
fonte: http://www.opinione.it

Minori non accompagnati: i dati smentiscono la vulgata “ufficiale”


Tra gli immigrati giunti nel Belpaese, secondo dati governativi, i minori stranieri non accompagnati, al 31 dicembre 2016, sarebbero 17.373


È stato recentemente approvato alla Camera dei Deputati, dopo il via libera del Senato del 1° marzo, il Disegno di Legge n. 1658-B contenente le “Disposizioni in materia di misure di protezione dei minori stranieri non accompagnati” che innoverebbe in maniera significativa il diritto dell’immigrazione in materia di minori, prevedendo il divieto di respingimento alla frontiera.

Usiamo il condizionale perché, in realtà, a dispetto del clamore mediatico, la legge sembra scoprire l’acqua calda. La normativa vigente infatti, de facto, non rende una situazione diversa da quella che siffatto disegno di legge appunto disegna. E quindi la domanda è: perché questa legge?

Proviamo a rispondere premettendo che, in tema di immigrazione il politicamente corretto è sempre più ostentato, ogni giorno che passa. Non parliamo poi dell’iper-intoccabilità di cui si ammanta il presepe ideologico costituito da “mamme e bambini sui barconi”, donne e minori che sono in realtà, in proporzione alla massa di immigrati maschili in età da moglie, davvero pochi. Nessun telegiornale, ovviamente, lo evidenzia. È più utile la narrazione lacrimosa della sacra famiglia in mare mosso, ma andiamo con ordine.

La più recente definizione di “minore non accompagnato” è contenuta nell’art. 2 della Direttiva Europea 2001/55EC3, secondo cui sono minori non accompagnati «i cittadini di paesi terzi o gli apolidi di età inferiore ai 18 anni che entrano nel territorio degli Stati membri senza essere accompagnati da una persona adulta responsabile per essi in base alla legge o agli usi, finché non ne assuma effettivamente la custodia una persona per essi responsabile, ovvero i minori che sono lasciati senza accompagnamento una volta entrati del territorio degli Stati membri».

Il Testo Unico sull’immigrazione (d.lgs. n. 286/1998) prevede che, quando ricorrano i presupposti per l’espulsione di un minore straniero, il provvedimento possa essere adottato, su richiesta del questore, dal tribunale per i minori «a condizione comunque che il provvedimento stesso non comporti un rischio di danni gravi per il minore».

L’espulsione è dunque ridotta a quei casi in cui non ci sarebbero pregiudizi di sorta per il minore nel momento in cui faccia ritorno nel paese d’origine. Quanti sono questi casi?

La geografia dei conflitti, o meglio, la narrazione della geografia dei conflitti ci mette dinanzi ad uno scenario “continentale” pan-bellico e dovunque ci sia una guerra, lì non si può tornare.

Gli stessi sostenitori dell’accoglienza tout court, quelli espertissimi nel cogliere le sottili differenze tra clandestino, rifugiato e profugo, sembrano tra l’altro essersi messi tutti d’accordo sulla bontà di un’unica definizione, quella di migrante, il portatore cioè di un diritto fondamentale a mettere radici dove voglia e sempre. Li imiteremo, limitandoci però, senza essere troppo originali, a chiamare chi entra nel nostro territorio ‘immigrato’.

Tra gli immigrati giunti nel Belpaese, secondo dati governativi, il numero di minori stranieri non accompagnati al 31 dicembre 2016 ammonterebbe a 17.373, il 45,7% in più rispetto al 31 dicembre 2015 e il 25,3% rispetto al 31 agosto 2016. Sono maschi il 93,3% del totale. Le bambine? Al 31 dicembre 2016, i minori non accompagnati presenti in Italia che risultano irreperibili – principalmente egiziani, eritrei, somali – sono 6.561. Dove sono? Bel problema, ma non il solo.

È preponderante la questione dell’età. Secondo l’Associazione Diritti e Frontiere la presunzione di maggiore età viene «applicata con larga discrezionalità dalle forze di polizia, senza le adeguate competenze professionali, con il risultato che spesso minorenni anche di sesso femminile e spesso vittime di tratta vengono dichiarate maggiorenni» e quindi espulsi. Allo stesso modo, siffatto meccanismo potrebbe però operare anche in difetto, portando a considerare erroneamente minori soggetti ultra-diciottenni.

Invero, secondo il Quadro di riferimento normativo e diritto all’identità del Ministero della Giustizia, che fa riferimento ad una Conferenza di servizi indetta dal Ministero degli Interni nel 2008, l’età dovrebbe essere accertata mediante un approccio multidisciplinare e multidimensionale consistente in esami medici da effettuarsi in strutture pubbliche e nell’ascolto del minore al fine di ricostruire la sua storia anagrafica. L’emergenza sembra avere reso ostica l’applicazione a tappetto di queste regole, le quali restano di per sé non adatte a “scovare” l’eccezione.

È stato poi il senatore Lucio Malan ad introdurre in Parlamento un tema nuovo, ossia la possibilità che l’età non faccia dei minori non accompagnati “dei santarellini”.

«Tra coloro che sono venuti in Italia come minori non accompagnati, argomenta il senatore spiegando gli emendamenti al ddl in questione, ci sono colpevoli accertati di 32 omicidi volontari solo nell’anno 2015: queste, probabilmente, non sono persone che venivano in Italia benintenzionate; credo che sarebbe stato meglio se fossero ritornati nei loro Paesi, anche se veramente avevano sedici o diciassette anni. Ci sono stati poi 54 tentati omicidi, che non sono andati a buon segno ma che verosimilmente hanno lasciato il segno sulle persone vittime di questi tentativi; 1.560 lesioni personali volontarie perpetrate da stranieri minorenni; 10.000 reati contro il patrimonio e l’incolumità pubblica e 268 violenze sessuali perpetrate da minori stranieri».

Ancora un aspetto. Nel 2003, il Comitato per i minori stranieri si trovò ad affrontare la questione se fossero da considerare ‘non accompagnati’ i minori abitanti con parenti entro il quarto grado, quindi “affidati di fatto”, ma non interessati da alcun provvedimento formale. Il Comitato optò per considerarli accompagnati e nessuno parlò in ogni caso degli abusi potenziali conseguenti alla difficoltà di documentare in modo chiaro la sussistenza reale del rapporto parentale, complici casi frequentissimi di omonimia e procedure identificative dei Paesi d’origine non sofisticatissime, diciamo così.
Infine proteggere i minori costa. Il Documento Programmatico di Bilancio 2016 inserisce la problematica dei minori non accompagnati nel novero delle spese per l’immigrazione, computando un costo pro capite medio oscillante tra i 35 e i 45 euro al giorno circa. I dati riportati non comprendono, come si legge nella dicitura di uno dei grafici riportati, «la spesa relativa all’emergenza del Nord Africa, aperta nel 2011».

Quanto spendiamo davvero? L’Italia è dell’Europa contribuente netto, versa ad essa cioè più di quanto riceve. A buon intenditor…
La legge che fa dei minori non accompagnati soggetti da accogliere sempre, non solo non rappresenta alcuna novità sostanziale in considerazione dei tanti escamotage più o meno percorribili per evitare il rimpatrio da parte degli stessi, ma può essere considerata una sorta di distrattore tematico, che affrontando demagogicamente e parzialmente il tema, finisce per offuscare gli aspetti che, nell’interesse in primis dei minori e della patria ospitante, dovrebbero invece affrontarsi, quelle priorità cioè ribadite dalle Convenzioni internazionali di difesa dei diritti dell’infanzia purtroppo sempre più spesso usate impropriamente, diciamo anche questo.

Questa legge sembra avere come unica funzione quella di tacitare ogni dubbio altro o ulteriore, placandolo a monte. Eppure, la sacrosanta protezione del debole, quale valore, mai dovrebbe passare per il disvalore della menzogna delle narrazioni a metà.

17/04/17

L'attacco con il gas a Idlib " Non è stato Assad "




craterIL PROF. POSTOL
Theodore Postol è uno scienziato del MIT di Boston.
In quella che è una delle più importanti Istituzioni di Ricerca del mondo, Postol insegna Tecnologia e Sicurezza Internazionale; ha lavorato per anni con il Pentagono, è stato consulente della Cia ed ha ricevuto innumerevoli premi scientifici per la sua attività di ricerca nel settore tecno-militare.
Già nel 2013, le sue analisi contribuirono a confutare la teoria dell’Amministrazione Obama secondo cui l’attacco chimico di Goutha alla periferia di Damasco, che produsse centinaia di morti, era stato causato dall’artiglieria siriana di Assad. Attacco che, ricordiamolo, aveva spinto Obama a dichiarare “superata la linea rossa” che apriva all’intervento militare Usa contro la Siria.
Ma proprio le contraddizioni delle informazioni e la non certezza dell’inchiesta, spinsero il Presidente americano a retrocedere e, con l’aiuto della Russia, limitarsi ad imporre al regime di Assad la distruzione del proprio arsenale chimico; distruzione completamente avvenuta, secondo il monitoraggio delle organizzazioni internazionali.
Ora il prof. Postol interviene a confutare nuovamente la Casa Bianca, sul “presunto” attacco chimico a Khan Shaykun, nel nord della Siria nella provincia di Idlib.
Facciamo un passo indietro.

Schermata 2017-04-14 alle 08.56.08IL REPORT DELLA CASA BIANCA
Tre giorni fa l’amministrazione Trump ha reso pubblico un documento di quattro pagine “declassificato” con le “valutazioni inequivocabili” dell’intelligence Usa, secondo cui sarebbe stata l’aviazione siriana ad usare le armi chimiche che hanno causato circa 80 morti e centinaia di feriti. Le immagini dei bambini morti o agonizzanti colpiti dal gas Sarin, hanno scosso l’opinione pubblica mondiale e spinto gli Usa ad attaccare Assad senza alcuna autorizzazione internazionale.
In realtà il documento americano, riportato con enfasi impressionante da tutti i media occidentali, non prova minimamente che l’attacco chimico è stato opera del regime siriano. Lo dice, ma non lo prova.
Nei giorni scorsi persino a noi che non siamo tecnici, quelle quattro pagine sono apparse quantomeno superficiali e dubbie.
Le prove raccolte dagli americani si basano su fotografie satellitari ed intercettazioni (che però non sono mostrate), più una serie di (testuale): “report di social media pro-opposizione” e video open-source”, cioè praticamente filmati presi da internet e materiale fotografico, prodotti ovviamente da chi era sul terreno e aveva agibilità nella zona colpita dal bombardamento.
Bisogna ricordare che la zona interessata non è sotto il controllo di romantici “ribelli moderati”, ma sotto le formazioni mercenarie di Al Qaeda; sono loro ad aver girato i video e fatto circolare immagini che la Cia e i media occidentali hanno preso come base di conclusione.
E noi stessi, avevamo sollevato il dubbio che forse, nessuna Commissione d’Inchiesta internazionale avrebbe preso il documento americano come prova per confermare l’accusa al regime siriano e legittimare un intervento armato.
Ed è esattamente quello che scrive Postol: il documento non fornisce la benché minima prova che il governo siriano sia stata la fonte dell’attacco chimico in Khan Shaykhun. L’unico fatto indiscutibile riportato nel dossier della Casa Bianca è l’affermazione che un attacco chimico di gas nervino si è verificato”.
Postol è categorico: il rapporto della Casa Bianca “non contiene assolutamente alcuna prova che possa indicare chi è stato l’autore di questa atrocità”.
Non solo, ma lo scienziato del MIT va ben oltre e analizza l’immagine che gli americani hanno individuato come prova del bombardamento chimico da parte di un aereo siriano: il famoso “cratere nella strada a nord di Khan Shaykun” con all’interno il presunto resto di bomba che avrebbe rilasciato il Sarin.
Questa immagine riprodotta più volte sulla rete e ripresa sul mainstream, sarebbe per l’intelligence Usa la pistola fumante che inchioda Assad e il suo regime al crimine.
Secondo il documento Usa, “i resti di munizione osservati presso il cratere e la colorazione attorno al punto di impatto sono coerenti con una munizione che si è attivata, ma le strutture più vicine al cratere non hanno subito danni che ci si aspetterebbe da un normale carico ad alto potenziale. Al contrario, hanno subito un danno più coerente con una munizione chimica”.

Schermata 2017-04-14 alle 15.02.24LA BOMBA NON È UNA BOMBA
Secondo il prof. Postol è esattamente il contrario; questa immagine dimostrerebbe che “il rapporto della Casa Bianca contiene conclusioni false e fuorvianti”.
Perché?
Innanzitutto il munizionamento è un tubo apparentemente di 122 mm simile a quelli usati in artiglieria. Nel 2013 furono questi razzi modificati ad essere utilizzati per l’attacco chimico di Goutha. Di certo questo oggetto non ha nulla a che vedere con un bomba d’aereo.
“Il tubo originariamente sigillato nelle due estremità si presenta schiacciato e con un taglio longitudinale (…) Ma la deformazione del manufatto indica che non è stato lanciato dal cielo”.
Se il cratere e la carcassa contenente il Sarin “non sono una messa in scena” ma vere “come ipotizzato nella relazione della Casa Bianca”, allora secondo Postol la munizione è stata quasi certamente messa a terra con un esplosivo detonante esterno su di essa che ha schiacciato il contenitore in modo da disperdere il carico di Sarin”.

Schermata 2017-04-14 alle 08.56.35COME UN TUBO DI DENTIFRICIO
Un’ipotesi, secondo il professore, è che “una lastra di esplosivo ad alto potenziale” sia stata posta “sopra una delle estremità del tubo riempito di sarin e fatta detonare (…) Poiché il Sarin è un gas incomprimibile” con la pressione “ha agito sulle pareti e sull’estremità del tubo causando una fessura lungo la lunghezza e  il cedimento del tappo” Per capire questo meccanismo immaginiamo “di colpire un tubo di dentifricio con un grande maglio.
La relazione di Postol è poi suffragata da ulteriori prove fotografiche ed un’attenta analisi delle condizioni metereologiche la mattina del presunto attacco chimico. Sorprende che questo report non abbia avuto il benché minimo risalto sui media.
Postol non raggiunge conclusioni politiche. Da scienziato si limita a confutare le “presunte prove” poste da Washington; ma afferma che “nessun analista competente avrebbe omesso che il presunto contenitore di Sarin è stato con forza schiacciato dall’alto, e non è esploso dall’interno”.

NO SIRIANI, NO INCIDENTE. QUINDI?
Se la sua analisi è giusta, quello che si deduce è ancora più sconvolgente.
La versione americana dice che i siriani hanno effettuato un bombardamento chimico. I siriani dicono che loro hanno bombardato con armi convenzionali e che la strage chimica potrebbe essere determinata da gas che i ribelli nascondevano nei magazzini colpiti dalle bombe.
Qui ci troviamo di fronte ad una versione ancora più sconvolgente: non sono stati i siriani e non si è trattato di un incidente. Qualcuno da terra ha volutamente fatto esplodere un contenitore di Sarin, perché colpisse la popolazione civile. 
Questo inoltre spiegherebbe il sostanziale numero limitato di vittime che nel caso di un bombardamento chimico aereo sarebbero state di gran lunga maggiore.
Ma chi può aver fatto questo? Innanzitutto qualcuno che ha completa agibilità della zona. E chi detiene il controllo della zona?

Schermata 2017-04-14 alle 15.23.25IL FRONTE CEDEVA…
Quest’ultima immagine è una cartina operativa del fronte di Hama, risalente al 31 marzo scorso (qualche giorno prima del bombardamento) pubblicata sull’account twitter @PetoLucem.
Come si vede l’offensiva scatenata dai ribelli nelle settimane precedenti era stata neutralizzata e l’esercito siriano non solo aveva riacquistato le posizioni ma stava premendo sulla linea difensiva del nemico in procinto di collassare. La provincia di Idlib, dove è avvenuto la strage chimica, è a circa 100 km più a nord di questo fronte ed è sotto il controllo totale dei gruppi legati ad Al Qaeda.
Perché i siriani, in un momento in cui stavano chiudendo in una sacca i ribelli sfondando le loro linee di difesa, dovevano fare una strage chimica sulla propria popolazione, in un posto sperduto senza alcuna ricaduta militare sul fronte operativo?
O meglio, stante questa situazione, chi aveva interesse a bloccare con qualsiasi mezzo possibile, l’offensiva di Assad scatenando una strage che avrebbe messo sotto accusa il regime e comportato l’intervento internazionale?
E infatti, come avevamo anticipato prima dell’intervento Usa, questo strano bombardamento chimico è servito proprio a colpire Assad e salvare i ribelli di Al Qaeda.
Se le analisi del Prof. Postol sono vere, e non è stata una bomba aerea a sprigionare il gas che ha ammazzato gli innocenti, ci troveremmo di fronte ad una clamorosa false flag.
E questo spiegherebbe perché i russi fin dal primo giorno hanno chiesto l’istituzione di una Commissione indipendente che indagasse su ciò che è realmente accaduto; commissione che americani ed europei si sono rifiutati di creare, convinti, come sempre, che la sola verità possibile sia quella dell’Occidente.
Vogliamo sperare che tutto questa ipotesi sia falsa e che la narrazione occidentale sia quella vera: Assad è un crudele dittatore che non si fa scrupoli di gasare il proprio popolo e noi siamo i buoni che corrono a salvare le vittime.
Ma dall’Iraq all’Afghanistan, dalla Libia allo Yemen, ci siamo resi conto che le nobili democrazie sanno mentire più e meglio dei peggiori regimi dittatoriali.

di Giampaolo Rossi - 14 aprile 2017