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Non smettete mai di protestare; non smettete mai di dissentire, di porvi domande, di mettere in discussione l’autorità, i luoghi comuni, i dogmi. Non esiste la verità assoluta. Non smettete di pensare. Siate voci fuori dal coro. Un uomo che non dissente è un seme che non crescerà mai.

(Bertrand Russell)

29/11/14

Dovere di ospitalità non con gli arroganti





 

Papa Francesco ha fatto un magnifico discorso davanti al Parlamento europeo. Dando pure per scontato che parlava anche ai rappresentanti di molti Paesi dell'Europa del Nord di fede protestante e sensibili alla «centralità e sacralità della Persona», resta che, proprio perché magnifico, non si è trattato di un discorso nelle sue corde. 
Il Pontefice ha fatto una sola concessione al proprio terzomondismo: l'invocazione a non fare del Mediterraneo un grande cimitero. Ma chi non farebbe nulla, o troppo poco, per evitare una tale degenerazione? Non certo l'Italia, che, se mai, pecca di eccessiva indulgenza nei confronti dell'immigrazione, compresa quella clandestina. Sorge così il sospetto che il Pontefice abbia recitato un testo non suo, II dubbio Dovere di ospitalità non con di arroganti ma scritto da qualcun altro. Dunque, non mi pare il caso di rilevare che papa Francesco dice quello che gli passa per la testa ogni volta che apre bocca. Le contraddizioni nelle quali incorre — felici contraddizioni, nella circostanza— sono la cifra del suo pontificato.
 Il discorso al Parlamento europeo è caduto nel momento in cui , da noi, trovavano spazio nelle cronache giornalistiche gli insulti di una giovane immigrata a un poliziotto; un brutto segno dei sentimenti con i quali certa immigrazione intenderebbe comportarsi, con ingiustificata arroganza, una volta integrata. Che essa stia mettendo in circolo anche una buona dose di arroganza come se tutto le fosse dovuto, lo dice, ormai, solo Matteo Salvini. Ma, nei confronti del segretario della Lega, il giornalismo maggiore ha incominciato un'opera di demolizione per il solo fatto che dice cose di buon senso che molti pensano. Matteo Renzi, a sua volta pare stia approntando una qualche forma di depenalizzazione dell'abusivismo, sia da parte di certa immigrazione sia dell'occupazione di case. Diciamola, allora, tutta. Se, oltre che furbo, fosse anche intelligente, Renzi sarebbe già Mussolini. Ne ha adottato — lo commenta il Giornale — con la postura, anche un certo linguaggio. Se potesse, ne adotterebbe, probabilmente, anche i metodi, come ha mostrato di voler fare con l'inopportuna eliminazione del Senato; fatta, d'accordo in un altro spirito autoritario, Silvio Berlusconi palesemente non per ridurre le complicazioni del bicameralismo perfetto ma per eliminare un ostacolo legislativo all'autoritarismo strisciante del governo. Tira una brutta aria.
 
di Piero Ostellino - 29 nov 2014

OSTELLINO CONTRO L'ARROGANZA DI CERTI IMMIGRATI




Come ho scritto la settimana scorsa, constatato il favore di tanti lettori del Camerlengo per il pensiero di Piero Ostellino, mi sono ripromesso di fare da eco alla sua rubrica settimanale pubblicata il sabato sul Corriere della Sera, riportandola sul blog. Ostellino, ai miei occhi, ha il pregio di essere un grande liberale e un bravo giornalista, oltretutto buon conoscitore di storia e filosofia contemporanee. 
Ha ormai, a mio avviso, una fissazione ostile all'attuale Premier, che stronca praticamente ogni volta che scrive, e di cui sempre più esplicitamente teme una predisposizione all'autoritarismo.
Non condivido questa posizione, che ormai ha i contorni del pregiudizio. Non credo che Renzi sia uno statista (felice se mi smentirà, visto che l'Italia se ne gioverebbe) , lo reputo un astuto e abile animale politico, ma, come scriveva bene ieri Salvati (un bell'articolo, chi vuole può leggere il post  http://ultimocamerlengo.blogspot.com/2014/11/la-palude-stavolta-minaccia-renzi.html ), non è certo lui il colpevole della condizione italiana, né le sue riforme, tutte da definire, sembrano, da quanto finora si legge, avere un carattere devastante per la democrazia e la nazione in genere. Certo, liscia un po' troppo il pelo al popolo ( e da avvocato sono molto preoccupato per le garanzie e i diritti del processo), si leggono ogni tanto ipotesi legislative sconcertanti (veramente pensa di abolire l'intervento della forza pubblica per liberare le case abusivamente occupate ? e come pensa di restituirle ai legittimi proprietari ??), che però leggi ancora non sono, e quindi bisogna sì vigilare ma anche attendere.
Sul tema dell'immigrazione invece Ostellino ha ragione. Accoglienza non può voler dire né prendersi carico di tutti i disperati della terra (perché non ne abbiamo la possibilità), né tantomeno tollerare atteggiamenti ostili, di chi non pensa affatto ad integrarsi nel paese che li ospita, non adeguandosi a norme ed usanze, anzi cercando di imporre le proprie. Ovviamente per molti non è così, ma per tanti altri sì, e io sto pensando a questi ultimi.
Né è accettabile che, per sensibilità nei confronti di questi stranieri noi si debbano snaturale le nostre tradizioni.
Natale è vicino, a buon intenditor, care maestre e prof....


Dovere di ospitalità,
non con gli arroganti
di Piero Ostellino 


 
Papa Francesco ha fatto un magnifico discorso davanti al Parlamento europeo. Dando pure per scontato che parlava anche ai rappresentanti di molti Paesi dell’Europa del Nord di fede protestante e sensibili alla «centralità e sacralità della Persona», resta che, proprio perché magnifico, non si è trattato di un discorso nelle sue corde. Il Pontefice ha fatto una sola concessione al proprio terzomondismo: l’invocazione a non fare del Mediterraneo un grande cimitero. Ma chi non farebbe nulla, o troppo poco, per evitare una tale degenerazione? Non certo l’Italia, che, se mai, pecca di eccessiva indulgenza nei confronti dell’immigrazione, compresa quella clandestina. Sorge così il sospetto che il Pontefice abbia recitato un testo non suo, ma scritto da qualcun altro. Dunque, non mi pare il caso di rilevare che papa Francesco dice quello che gli passa per la testa ogni volta che apre bocca. Le contraddizioni nelle quali incorre — felici contraddizioni, nella circostanza — sono la cifra del suo pontificato.
   Il discorso al Parlamento europeo è caduto nel momento in cui, da noi, trovavano spazio nelle cronache giornalistiche gli insulti di una giovane immigrata a un poliziotto; un brutto segno dei sentimenti con i quali certa immigrazione intenderebbe comportarsi, con ingiustificata arroganza, una volta integrata. Che essa stia mettendo in circolo anche una buona dose di arroganza come se tutto le fosse dovuto, lo dice, ormai, solo Matteo Salvini. Ma, nei confronti del segretario della Lega, il giornalismo maggiore ha incominciato un’opera di demolizione per il solo fatto che dice cose di buon senso che molti pensano. Matteo Renzi, a sua volta pare stia approntando una qualche forma di depenalizzazione dell’abusivismo, sia da parte di certa immigrazione sia dell’occupazione di case. Diciamola, allora, tutta. Se, oltre che furbo, fosse anche intelligente, Renzi sarebbe già Mussolini. Ne ha adottato — lo commenta il Giornale — con la postura, anche un certo linguaggio. Se potesse, ne adotterebbe, probabilmente, anche i metodi, come ha già mostrato di voler fare con l’inopportuna eliminazione del Senato; fatta, d’accordo con un altro spirito autoritario, Silvio Berlusconi, palesemente non per ridurre le complicazioni del bicameralismo perfetto, ma per eliminare un ostacolo legislativo all’autoritarismo strisciante del governo. Tira una brutta aria.

sabato 29 novembre 2014

Querela Di Pisa, il web si mobilita per Salvatore Borsellino




borsellino-s-c-paolo-bassani-2014 
Raggiunta la quota: stasera la consegna

Quando Salvatore Borsellino aveva appreso che il posto di Procuratore di Marsala, un tempo di suo fratello Paolo, sarebbe stato assegnato a Girolamo Alberto Di Pisa, in una conferenza pubblica aveva manifestato tutto il suo sdegno e sconcerto. E per questo, era stato condannato al pagamento di 6mila euro in quanto il giudice civile del Tribunale di Caltanissetta, Gregorio Balsamo, aveva riconosciuto il danno nei confronti di Di Pisa. Immediatamente, su iniziativa della poetessa palermitana Lina La Mattina, era partita un’iniziativa su Facebook  per raccogliere l’intera cifra. Che in poco tempo è stata effettivamente raggiunta da quanti, come Salvatore, hanno condiviso il suo stato d'animo per la vicenda.
"Conosco Salvatore da vent'anni - ha detto Lina La Mattina - per aprire questo evento abbiamo quasi litigato perché lui non ne voleva sapere, ma oggi più che mai sono contenta di essere andata avanti anche contro il suo parere".  A causa della denuncia Salvatore sarebbe stato costretto ad abbandonare il progetto relativo alla 'Casa di Paolo', per il quale era stato acquistato, in aggiunta ai locali dell'antica farmacia già appartenenti alla famiglia Borsellino, un locale attiguo che avrebbe dovuto rimettere in vendita. Invece, ha continuato la poetessa, "ci sono state offerte anche per la Casa di Paolo. Sto aspettando una donazione dall'America, un'altra è arrivata dalla Francia".
Borsellino era intervenuto ad una manifestazione pubblica nel 2009 a Marsala. In quell'occasione aveva qualificato Di Pisa come una persona “non degna” definendo una “ignominia” la scelta di nominare per quella carica un magistrato che fu sospettato di essere il “Corvo” di Palermo. Per questo Di Pisa – nonostante anche da altre parti fossero stati espressi giudizi negativi sulla sua nomina a procuratore – aveva immediatamente denunciato Borsellino e chiesto 300mila euro di ammenda, richiesta che però è stata rigettata. Il giudice civile nisseno aveva infatti disposto il pagamento di seimila euro. "E' mai possibile che sono sempre le persone migliori a dover pagare? - è la protesta di Lina, alla quale ha fatto seguito quella del movimento delle Agende Rosse, fondata dallo stesso Salvatore - molti di noi condividiamo questo suo pensiero, allora se è condannabile Salvatore siamo condannabili tutti, e tutti pagheremo insieme a lui. Questa è stata la premessa che ha fatto partire l'iniziativa".

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Alberto Di Pisa fu accusato di essere l’autore delle lettere anonime che rivelavano comportamenti anomali dei magistrati palermitani nella gestione dei pentiti e in una delle lettere venne rinvenuta anche una sua impronta digitale. Condannato in primo grado, il Procuratore di Marsala fu però assolto dall’accusa in secondo grado perchè la prova dell'impronta venne considerata non utilizzabile a causa della “non canonicità” del suo metodo di prelevamento.
“Questa è una cosa che spetta fare solo a noi cittadini - era stato l'appello della poetessa palermitana all'apertura dell'evento - senza bisogno del benestare di Salvatore, tanto lui, generoso ed altruista com’è, non accetterà mai il nostro aiuto… chiediamo l’adesione di tutti gli italiani amici di Salvatore che pensano, crediamo a ragion veduta, come lui”. In breve l'appello è stato condiviso da molti, che si sono voluti stringere attorno al fratello di Paolo. "Questa sera approfitteremo del fatto che Salvatore arriverà a Palermo per un congresso con le Agende Rosse. Quale migliore occasione per la consegna ufficiale della nostra raccolta?", "Io credo - ha concluso Lina La Mattina - che possa essere un gesto significativo perché ancora non tutto è sporco e corrotto. E anche se c'è chi sfrutta la lotta alla mafia per propri interessi questa è la prova che se vogliamo si può trovare l'unione".

di Francesca Mondin e Miriam Cuccu - 29 novembre 2014
fonte: antimafia 

Gli errori che l’Occidente rischia di ripetere in Afghanistan

A tredici anni dall’intervento militare la minaccia dei talebani non è stata eliminata. Obama ci riprova estendendo l’impegno delle sue truppe a tutto il 2015. Ma difficilmente questa strategia gli darà ragione

U.S. soldier takes photo of her comrade during a Thanksgiving meal at a NATO base in Kabul


“La Jihad continuerà fino al ritiro completo dei militari americani dall’Afghanistan”. Il messaggio contenuto in un video diffuso ieri dai talebani, a poche ore dall’attacco sferrato nel quartiere delle ambasciate straniere di Kabul, è chiaro. L’Afghanistan resta una roccaforte dei guerriglieri del Mullah Omar e all’annuncio del prolungamento della missione americana per tutto il 2015 seguiranno altri attentati e stragi.

A tredici anni dall’intervento delle truppe statunitensi in Afghanistan e dall’inizio della missione NATO ISAF (International Security Assistance Force), l’Occidente rimane un ospite indesiderato per questo Paese, e a ribadire il concetto sono state le offensive registrate nelle ultime 24 ore. Prima l’attacco kamikaze a un convoglio dell’ambasciata britannica (6 morti, tra cui due funzionari inglesi, e oltre trenta feriti). Poi il blitz armato nel quartiere Wazir Akbar Khan, dove hanno sede diverse ambasciate straniere (compresa quella britannica), abitazioni di diplomatici e uffici di rappresentanza di società estere. La polizia afghana ha confermato che il commando entrato in azione era formato da tre talebani. Uno dei tre miliziani si è fatto esplodere, mentre gli altri due sono morti nello scontro a fuoco con guardie della sicurezza nepalese.

Le ultime mosse dei talebani

La scelta della giornata di ieri per sferrare attacchi frontali contro il quartier generale della diplomazia estera non è stata casuale. Ieri la maggioranza della Camera alta del parlamento afghano ha infatti approvato la ratifica di due accordi bilaterali tra Kabul, Washington e la NATO. Con questo passaggio viene delineato il quadro giuridico che consente di avviare ufficialmente dal primo gennaio la nuova missione della NATO dopo la conclusione della missione ISAF (prevista in totale la permanenza di 12.500 soldati)e il nuovo impegno militare degli Stati Uniti, che archiviano così la fallimentare Operazione Enduring Freedom per inaugurare l’Operazione Resolute Support.

Le ultime offensive anticipano anche di una settimana la conferenza internazionale sull’Afghanistan, in programma a Londra il 4 dicembre. L’appuntamento servirà per fare il punto sugli sforzi (economici e umanitari) necessari per mettere il nuovo presidente Ashraf Ghani nelle condizioni di poter governare.

Offuscati dall’avanzata dello Stato Islamico in Iraq e Siria, i talebani hanno perciò deciso di tornare a colpire nel momento di massima visibilità mediatica dell’Afghanistan. E per farsi sentire questa volta hanno deciso di alzare il tiro puntando direttamente su obiettivi internazionali. Non accadeva da maggio, quando era toccato al consolato indiano di Herat.

I dubbi sulla strategia americana

In questo scenario, la missione di guidare l’Afghnastin verso la normalizzazione appare sempre più complicata per il presidente Ghani. Al momento i militari e la polizia locali controllano formalmente i 34 capoluoghi di provincia del Paese. Nell’ultimo anno le perdite subite sono però aumentate, soprattutto nella parte orientale e meridionale. Solo nel 2014 sono stati 4.600 gli agenti uccisi, il 6% in più rispetto allo stesso periodo del 2013.

Ghani punta sugli americani per tenere in vita il suo governo. Il suo consigliere per la sicurezza nazionale, Hanif Atmar, ha contatti costanti con il generale statunitense John F. Campbell. Rispetto ai tempi dell’ex presidente Karzai, agli USA sono stati concessi maggiori margini di manovra per contrastare i talebani, la pericolosa rete degli Haqqani e le milizie qaediste. Oltre al mantenimento di 9.800 militari di stanza tra Kabul e Bagram, il cui compito sarà quello di garantire la sicurezza del personale americano, gli USA hanno anche in mente di condurre azioni mirate di terra e raid aerei con caccia F-16, bombardieri B-1B, Predator e droni Reaper.

Nonostante gli scarsi risultati ottenuti in questi anni, gli USA ritengono dunque che non sia ancora arrivato il momento di lasciare l’Afghanistan agli afghani. Una strategia rischiosa di fronte alla quale è certo che una nuova risposta dei talebani non tarderà ad arrivare.

La situazione del contingente italiano

Il rischio di una nuova escalation di violenze chiama direttamente in causa anche il contingente italiano impegnato in Afghanistan nell’ambito della missione ISAF. Negli scorsi mesi i nostri soldati sono stati impegnati nella chiusura di alcuni PRT (Provincial Reconstruction Team) e di diversi avamposti FOB (Forward Operating Base), tra cui la FOB Ice in Gulistan e Dimonios a Farah. L’ultima a essere dismessa a novembre è stata la FOB Tobruk a Bala Baluk, in uno dei distretti in cui l’intensità degli scontri con i talebani si è fatta sentire più che altrove. La chiusura di questa base è stata realizzata grazie a una complessa attività operativa di retrograde (ripiegamento), pianificata e condotta dal Regional Command West (RC-West) di Herat su base brigata meccanizzata Aosta. Gli ultimi convogli sono stati scortati durante il percorso dagli elicotteri d’attacco italiani A129 Mangusta della Task Force Fenice, nonché dagli aerei senza pilota Predator, che hanno consentito il monitoraggio dell’intera operazione. La cessione agli afghani della base Tobruk – l’ultima postazione NATO a essere chiusa nella provincia di Farah – segna anche il rientro in Italia di circa 400 nostri militari, nel piano di ridimensionamento del contingente che scende così sotto le 2mila unità.

28 nov 2014
fonte: http://www.lookoutnews.it

28/11/14

Islam, risposta a Souad Sbai: “Non è più tollerabile tollerare gli intolleranti”


manocchia1


26 nov – [Gli islamici] “Nella stragrande maggioranza dei casi, vengono da noi, risoluti a restare estranei alla nostra umanità, individuale e associata”, “vengono ben decisi a rimanere sostanzialmente diversi, in attesa di farci diventare tutti sostanzialmente come loro”. (Card. Giacomo Biffi)
Cara Souad, mi ha sorpreso leggere il tuo accorato e islamicamente corretto appello all’istituzione di un albo degli imam. Non di meno, il rammentarmi di quella vergognosa consulta per l’islam italiano istituita da Pisanu. Pensavo che fossero errori politici di gioventù (politica), ma evidentemente non è così.

Tu parli di ‘islam moderato’ come se vi fossero più islam. Tu sai invece (e  gli islamici sanno) che l’islam è uno solo, uno soltanto, il corano è uno, la shari’a è una. Stop. Il resto è taqiyya, dissimulazione, cibo per la mente dei beoti.
Quello che mi preme far sapere è che: “IN ITALIA LE MOSCHEE SONO ILLEGALI”. In Italia, nessuna Amministrazione locale può consentire la costruzione di una moschea, ergo edificio di culto, di una confessione religiosa (l’islam per me non è neanche una confessione religiosa, ma una ideologia spietata) diversa dalla Cattolica, che non abbia sottoscritto i “Patti di Intesa” con lo Stato italiano. Chi lo fa, e in questo Paese è tutto possibile, è in contrasto con la nostra Costituzione! Ed anche se la nostra legislazione ordinaria è lacunosa, sibillina e a volte monca, vi è sempre il filo conduttore della Costituzione, che supera i pasticci e le incongruenze degli attuali legislatori.
Sostenere che “le moschee sono illegali” non è una presa di posizione dettata dalla rabbia o dall’orgoglio per non voler vedere calpestata la nostra Storia, Cultura, Libertà, Dignità e Identità, tutti valori che si sostanziano nella nostra Civiltà, ma una presa di posizione dettata dalla forza della ragione a causa soprattutto del mancato rispetto della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani e della mancata osservanza della nostra Costituzione, la quale all’Art.8 comma 1 recita testualmente: “Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge”.
E noi non intendiamo in nessun modo e per nessun motivo metterla in discussione.
Peccato che la maggioranza si fermi qui con la lettura, ma sempre l’Art.8, al Comma 2, recita: “Le confessioni religiose diverse dalla Cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano. Questo comma consente il vaglio dello Stato, affinché la fede religiosa professata non sia portatrice di una concezione di vita, recepita dalla maggioranza dei cittadini come disvalore e quindi incompatibile con il nostro ordinamento giuridico.
Tutti sappiamo che l’islam è una ideologia che predica pace amore e tolleranza, ma nell’ambito del corano e della shari’a, che non rispetta il nostro ordinamento giuridico e non riconosce i principi di Libertà e di Dignità della persona.
L’Art 8 Comma 3. invece è ancora più chiaro: “I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze”. La Chiesa Cattolica, ha sottoscritto i “Patti Lateranensi”, altre confessioni religiose hanno fatto altrettanto in conformità all’Art. 8 comma 2 e 3, hanno raggiunto “Patti di Intesa” con lo Stato italiano. L’islam non ha sottoscritto e non può sottoscrivere nessun ‘Patto’. Perchè l’islam è fuori legge, perché l’islam è inconciliabile con i nostri valori, perché è incompatibile con le nostre leggi e l’islam non ha un rappresentante!
Gli islamici, osservano solo e rispettano soltanto la shari’a e se ne fottono della nostra o di qualsiasi altra legge o Costituzione, e da noi è palese perché, pur non avendo raggiunto nessun “Patto di Intesa” con lo Stato italiano, fanno come gli pare e costruiscono moschee a ritmo esponenziale su tutto il territorio italiano.
Cara Souad, la soluzione a tutto è una sola: l’islam in Italia va bandito!

Con amicizia

@Armando Manocchia
fonte: http://www.imolaoggi.it

Le donne italiane in missione all’estero

Afghanistan, Etiopia, Kenya, Libano, Mozambico, Niger, Palestina, Senegal, Kosovo: il ruolo delle nostre concittadine nelle aree di crisi sta diventando sempre più determinante

ITALIAN WOMEN SOLDIERS PAINT THEIR FACES WITH CAMOUFLAGE DURING TRAINING.


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Alle elezioni presidenziali afghane dello scorso aprile, l’affluenza femminile nella regione occidentale di pertinenza italiana – il cui contingente militare partecipa alle operazioni di peace-enforcement con base a Herat – è stata del 44% (contro una media nazionale del 38%). La stessa regione è stata anche quella con il maggior reclutamento di female searcher, le addette alla sicurezza e alla perquisizione delle donne all’ingresso dei seggi. Un indicatore evidente del riuscito coinvolgimento delle donne afghane ai processi elettorali nazionali, nonché uno dei risultati più positivi ottenuti in Afghanistan dall’Italia nell’ambito dell’attuazione delle direttive della Risoluzione ONU 1325.

Donne, pace e sicurezza. Converge su questi tre punti la Risoluzione adottata nel 2000. Essa afferma l’importanza delle donne nella prevenzione e nella risoluzione dei conflitti, ma anche nella fase decisionale delle negoziazioni di pace e nella partecipazione alle attività di ricostruzione post-conflict e di mantenimento della sicurezza. Obiettivo della Risoluzione è ovviamente anche quello di invocare l’adozione di misure speciali contro la violenza sulle donne in situazioni di conflitto armato. Su tali premesse, l’Italia ha adeguato la sua risposta stilando un Piano d’Azione Nazionale che è stato presentato il 25 novembre, in occasione della Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, in un incontro alla Farnesina alla presenza di rappresentanti di governo e parlamento, dei ministeri della Difesa e degli Esteri, di NATO e UE, oltre che di attivisti sul campo e operatori di ong italiane.

Il Piano predispone interventi tanto sul fronte nazionale (il primo obiettivo è quello di valorizzare la presenza delle donne nelle forze armate nazionali e negli organi di polizia statale, rafforzandone il ruolo negli organi decisionali delle missioni di pace), quanto su quello internazionale. Un investimento di oltre 3,5 milioni di euro è previsto per far fronte alle numerose iniziative di cooperazione nell’assistenza alle vittime di violenza di genere principalmente nell’area MENA (Medio Oriente e Nord Africa) e in Africa. Inoltre, con la sottoscrizione della Dichiarazione sulla Prevenzione della Violenza sessuale nei Conflitti al G8 di Londra del 2013, l’Italia si è assunta l’impegno ulteriore di mobilitare nuove risorse finanziarie per l’assistenza alle vittime di stupri in contesti di guerra (impegno che è costato alla Cooperazione Italiana un contributo straordinario di 500 mila euro).

Le iniziative all’estero


Sul fronte delle missioni all’estero e degli incarichi multinazionali che l’Italia gestisce in coordinamento con altri Stati e Agenzie internazionali, il nostro Paese è impegnato su vari fronti per l’implementazione delle direttive ONU relative alla 1325, facendosi promotore di numerose iniziative di cooperazione in materia di empowerment femminile in aree di crisi. In quest’ottica, la Conferenza di Bamako del 2007 ha rilanciato le tematiche di genere consentendo di incrementare gli interventi della Cooperazione per la realizzazione degli Obiettivi del Terzo Millennio.

In Afghanistan, Etiopia, Kenya, Libano, Mozambico, Niger, Palestina e Senegal sono state inviate esperte a supporto delle operazioni italiane in loco (Female Engagement Teams). In particolare in Libano e Palestina sono stati realizzati programmi di sostegno alle associazioni femminili locali per un valore di 30 milioni di euro. La partecipazione alla campagna multilaterale dell’ONU contro le mutilazioni genitali femminili, inoltre, impegna l’Italia per altri 10 milioni di euro.

In Libano e nei Territori Palestinesi, come prima in Kosovo e nella regione balcanica, l’Italia favorisce la partecipazione delle donne alle attività di capacity building delle istituzioni nazionali in fase di ricostruzione post-conflict, anche attraverso la formazione di forze di polizia locali e tramite il prezioso contributo di ong italiane in loco. In Afghanistan, Iraq, Pakistan, Somalia, Congo e Sudan, oltre alle attività di empowerment femminile istituzionale, il nostro Paese predilige anche azioni di mainstreaming in tema di sicurezza alimentare, sanitaria e ambientale, spesso in collaborazione con le agenzie multilaterali come UNFPA, UNICEF, UNDP e UN-Women. Infine, attività di emergenza a favore delle popolazioni vittime di conflitti, con relativa assistenza sanitaria e psicologica femminile, sono state predisposte in Mali, Siria e Darfur.

Ma la strada resta ancora lunga sul piano dell’effettiva implementazione delle direttive internazionali. Un esempio lampante è offerto dall’intervento, nel corso dell’incontro del 25 novembre alla Farnesina, di Jivka Petkova, Focal Point della Task Force europea (SEAE) sulla Risoluzione 1325. Riferendosi agli ultimi negoziati di pace in Mali sostenuti dall’Unione Europea, la Petkova ha riportato il seguente quadro: dei vari gruppi coinvolti nelle trattative a Bamako in quei giorni il governo del Mali era rappresentato da 15 membri (tutti uomini), lo stesso dicasi per i gruppi ribelli filo-governativi (15 membri, nessuna donna), e per i gruppi di mediazione (35 partecipanti, tutti uomini) mentre solo nelle fila dei ribelli antigovernativi comparivano appena 2 donne sui 15 membri della delegazione.

Marta Pranzetti - 28 nov 2014
fonte: http://www.lookoutnews.it
di Marta Pranzetti - 28 nov 2014

Ida Magli: "Politici traditori, vogliono l'annientamento del popolo italiano"




Ida Magli, 89 anni, antropologa italiana dalle brucianti intuizioni, è una studiosa di una freschezza e lungimiranza straordinarie. Ha scritto negli ultimi anni diversi libri in cui ha affermato a gran voce il suo pensiero, di grande libertà intellettuale, contro l'Europa.

Ida Magli, lei ha studiato per anni, da antropologa, il sistema Europa. Uno strumento che si basa sullo studio dell'uomo per penetrare una realtà che è, invece, diametralmente opposta, basata com'è sul trionfo della finanza.
E’ vero che l’unificazione europea si basa sul primato dei finanzieri e dei banchieri, ma questo è avvenuto perché nei circa settant’anni trascorsi da quando il progetto ha cominciato ad essere messo in opera, l’unificazione politica e quella dei popoli si sono rivelate impossibili. In altri termini, il progetto era di per sé sbagliato, data l’assoluta differenza fra le nazioni e fra i popoli d’Europa che si sono sviluppati giungendo al massimo della produzione della civiltà con una propria lingua, una propria letteratura, arte, musica, filosofia. Un popolo esiste soltanto quando possiede una lingua. Quale lingua dovrebbero parlare i cosiddetti cittadini “europei” visto che la lingua “europea” non esiste? L’inglese? E come mai è stato scelto come “Inno” un brano in lingua tedesca e una musica tedesca? Ripeto: un progetto del tutto sbagliato, ma aggiungo consapevolmente sbagliato perché aveva ed ha ancora oggi come scopo la distruzione della civiltà e dei popoli europei.

La vicenda dei due marò altro non è che la fotografia di un'Italia subalterna, che manca di sovranità nazionale, di uno Stato che non dipende mai da se stesso, né dal punto di vista militare, né, tantomeno da quello economico. Come si fa a sperare nella politica, visto che il Pd di Renzi è vincolato a questa dipendenza inizialmente camuffata dall'idea di una rottamazione che si è, poi, dimostrata fasulla?

La distruzione dell’Italia come Stato sovrano e indipendente è cominciata con il trattato di Maastricht e l’adozione della moneta unica. Uno Stato è “sovrano” perché, battendo moneta, può sempre far fronte alle spese. Adesso che dipende dalla Bce, che è una banca privata, ne dipende anche politicamente perché può “fallire” se non obbedisce. Matteo Renzi è il gestore più esplicito di questa dipendenza perché protetto nell’operazione politica ed economica dalle forze nascoste che guidano Bruxelles, ossia le stesse che perseguono la distruzione dell’Europa con il progetto dell’unificazione. Ma tutti i nostri politici sono dei traditori dell’Italia perché collaborano tutti all’unificazione, a cominciare dal presidente della Repubblica (è lui che ha chiamato Monti, Letta, Renzi, e che ha autorizzato la riconsegna dei Marò all’India nella sua qualità di Capo della Magistratura e Capo delle Forze Armate).

Secondo lei, Renzi, che avrebbe dovuto applicare la rivoluzione, non le pare che sia un fotocopia in tutto e per tutto di chi ci ha preceduto?
Come ho già detto, Renzi obbedisce agli ordini dell’Ue, nella “riforma” del lavoro come in tutto il resto, ossia toglie agli italiani ogni indipendenza e libertà e buona parte delle conquiste sociali che avevano raggiunto con i sacrifici e lo spirito innovativo del dopo guerra. Lo fa con una “grinta” che gli altri non avevano proprio perché lo fa in nome dell’Europa e di conseguenza non ha paura di essere sbalzato via.

Chi ci può salvare, e come?
Non vedo nessuno, non dico che possa salvarci, ma che voglia salvarci. Un ‘occasione d’oro come quella delle votazioni europee, è servita a rendere più forte l’Ue attraverso il gruppo dei cosiddetti “euroscettici”, ben felici di sedersi nelle ricchissime poltrone del “parlamento” europeo, fingendo di essere contro, invece che dimostrarne l’illegittimità astenendosi dal voto. Insomma: o si nega l’adesione all’Ue, oppure non ci si salva.

Come mai secondo lei, la moneta unica, non è mai stata, veramente, messa in discussione?
L’ho già detto: sono i politici che non lo vogliono fare. Rinunciare alla moneta unica significa rinunciare all’Ue. Sono loro, tutti loro, a destra come a sinistra, che con l’Ue si sono creati un impero pieno di soldi, di benefici anche d’immagine, di prestigio, e che non vi rinunceranno mai.

In che modo il politicamente corretto influenza, subdolamente, il nostro pensiero, rendendolo “schiavo” della sinistra imperante?
Il “politicamente corretto” è un’invenzione geniale. Non so chi l’abbia ideato, forse, come ho spiegato abbondantemente nei miei ultimi libri, tutti dedicati ai problemi dell’unificazione europea, esiste un Laboratorio, negli Stati Uniti d’America, che si occupa di questi problemi. Influire sul linguaggio, senza usare le armi o le droghe (come si usava nell’Unione Sovietica) è lo strumento più facile e più efficace. Non è il caso, però, di riferirsi alla “sinistra”, visto che in Italia di fatto esiste soltanto la sinistra. La destra fa finta di esistere con alcuni partiti, ma dal punto di vista delle idee è del tutto morta già da molto tempo. E’ morta tanto quanto è morta la Chiesa, che appunto fa anch’essa finta di esistere. Si continua a votare i partiti “di destra” perché non si può fare altro, ma di fatto non sono di “destra” perché hanno votato compatti tutti i decreti di Monti, di Letta e adesso di Renzi.

Non crede che ci si debba ribellare a questo tentativo della politica di renderci succubi di una ideologia che i nostri stessi governanti dimostrano di aver, a loro volta, ereditato altrove e non da se stessi?
Certamente, si dovrebbe. Ma non c’è il modo. In una democrazia partitica i cittadini di per sè non possiedono nessun potere. Visto che non esiste nessun partito che si muova in questa direzione, non c’è niente da fare. Si potrebbe soltanto con una rivoluzione armata.

Quote rosa, la loro introduzione pare una contraddizione, che senso hanno se non quello di puntare il dito ulteriormente sulla differenza tra uomo e donna nella gestione della cosa pubblica?
Purtroppo l’hanno voluto le donne. Ma l’argomento della responsabilità delle donne nella situazione sociale e politica italiana è troppo “arduo” e troppo complesso per poterlo affrontare in poche parole. E’ sufficiente pensare che le donne politiche italiane non si sono accorte, schierandosi a difesa dei cosiddetti diritti dei gay, che si tratta di un movimento contro le donne, o meglio che tende a fare a meno delle donne nel costruire la società.

Unioni civili, Ius soli: che senso hanno in un paese allo sfacelo, in termini di perdita di identità culturale, religiosa, storica, se non quello di dargli il colpo di grazia?
E’ lo strumento principale per la distruzione dell’identità e dell’eredità culturale di un popolo. Torniamo al solito punto: lo vuole l’Ue e i politici italiani, sotto le vesti della generosità, della solidarietà, ubbidiscono. Insomma: tradimento, tradimento, tradimento!

Perché secondo lei ci propinano il latino Ius soli, che pare un modo, altrettanto subdolo, di allontanare il significante dal suo significato italiano, di diritto di cittadinanza? Un'ulteriore conferma della potenza di un linguaggio che cerca di insinuarsi nella nostra forma mentis, privandoci di ogni libertà di pensiero?
Si tratta dell’ennesima prova di quanto il Laboratorio sia astuto nel portarci alla distruzione. E’ stata la signora Kyenge ad appoggiarsi con forza allo jus soli , facendo credere che l’antico jus soli desse il diritto alla cittadinanza, per dare la cittadinanza a tutti gli immigrati. Ma io insisto: la signora Kyenge faceva gli interessi dei suoi confratelli negri; sono stati i politici italiani (Enrico Letta rimarrà alla storia per questo) a tradire i loro confratelli facendo ministro appositamente un africano per favorire gli africani.

Perché ci vogliono impedire di utilizzare termini quale clandestino e immigrato se a questi significanti corrisponde un preciso significato?
L’abbiamo già detto : è una forma di “politicamente corretto”. Costringere con il linguaggio a cancellare, a travisare, i concetti. Alla fine, chi continuerà a pensare a modo suo, si convincerà di avere le allucinazioni.

Cosa nasconde secondo lei quel principio di umanità cui lo Stato si appella concedendo appunto lo Ius Soli e accogliendo, senza freni, le migliaia di immigrati che sbarcano sulla nostre coste?
Cosa nasconde? L’annientamento del popolo italiano. Prima di tutto con la forza del numero. Gli italiani fanno pochissimi figli (proprio perché vengono spinti dai politici verso il suicidio), gli africani, soprattutto musulmani, ne fanno molti (sei, sette contro uno). Nel giro di due generazioni avranno la maggioranza di fatto, anche se non numerica. Imporranno la morte al pensiero, all’intelligenza, alla religione, alla creatività italiana. Nessun africano ha mai prodotto nulla nella lunghissima storia che l’Africa ha alle sue spalle: né scienza, né tecnica, né diritto, né filosofia, né arte, né musica (col tamburo non si creano sinfonie). Il contributo dell’Africa al pensiero umano è pari a zero. Ma è proprio quello che vogliono i politici dell’Ue: l’annientamento della civiltà dell’Europa, fare dell’Europa un “vuoto” da governare e dominare senza il pericolo delle intelligenze. Perché loro lo sanno bene: sono le intelligenze che non possono essere dominate con le armi.

Cosa ne pensa di Laura Boldrini, la paladina dell'umanità e dell'accoglienza che percepisce 90 mila euro esentasse dalle stesse organizzazione umanitarie? Lei ha capito qual è il significato di questi principi tanto osannati dalla presidente della Camera la quale, tra l'altro, per farci sapere quello che pensa, si serve di un sistema di comunicazione che ci costa un milione di euro all'anno?
Delle colpe dei politici abbiamo detto tutto il possibile e non è il caso di ridurre problemi così gravi ad una singola persona, per giunta arrivata da poco, quando il tradimento era già stato completato.

l'intervista
di Silvia Toniolo - 10 luglio 2014
fonte: http://www.lagazzettadilucca.it

Polizia di Stato: nostalgia dei tempi del Generale Pes di Villamarina?




«Occorre vietare con rigore, non pure nelle caserme, ma nei privati domicili, al militare gregario e graduato, qualunque studio, qualunque lettura, anche di argomento militare, sì che un ufficiale scoperto autore di qualche scritto o perde il grado, o vede preclusa ogni via di avanzamento».

Così scriveva il Generale Pes di Villamarina1(Cagliari 1777 - Torino 1852).

Quelli, evidentemente, erano altri tempi. A quei tempi le forze armate e di polizia erano concepite principalmente "per sorreggere il trono"; lo prevedevano gli stessi regolamenti militari2. Ed ogni istanza democratica che si poneva in conflitto con il potere assoluto del sovrano veniva ferocemente repressa. I cittadini vivevano in uno stato di sudditanza e i militari erano addirittura sudditi di serie B, privi di qualsiasi diritto e delle più elementari libertà.

Sempre a quei tempi, ORGANI INVESTIGATIVI controllavano l’orientamento politico dei militari e INFORMAVANO la gerarchia nel caso qualcuno mostrasse interesse per ideologie "disallineate". I controlli erano particolarmente rigorosi verso coloro che manifestavano un qualche interesse per la lettura o per lo studio in generale. Si riteneva, infatti, che un militare istruito, di norma, fosse più resistente alle logiche militari di allora, ossia sorreggere il trono, anche con l’uso della forza.

Nel nostro tempo, invece, le forze armate e di polizia rispondono ad altre logiche. Esse sono concepite per servire le istituzioni democratiche ma soprattutto per garantire il libero articolarsi della dialettica democratica all’interno del Paese3.

Ma siamo sicuri che i tempi siano veramente cambiati? Di seguito un fatto dei giorni nostri che offre alcuni spunti per una riflessione a più ampio raggio.

Il Fatto

Si svolge in Porto Tolle, un piccolo Comune situato nel mezzo dell’area del delta del fiume Po, un’oasi di flora e di fauna quasi incontaminata.

Il protagonista della vicenda è un assistente Capo della Polizia di Stato. Il poliziotto fa anche parte della Comunità del Parco come rappresentante della Canottieri Adria, ma, soprattutto, realizza la sua vocazione ambientalista come presidente di un’associazione ecologista denominata "Amici del Parco del Delta del Po". Si tratta di una organizzazione che raggruppa le sezioni locali delle più importanti associazioni di protezione ambientale nazionale: WWF, Italia Nostra, Legambiente e LIPU.

Le elezioni comunali del 25 e 26 maggio 2003 sono ormai alle porte e la coalizione di centro destra in Comune ha la maggioranza. Il poliziotto invia un suo scritto al Gazzettino di Rovigo. La lettera viene subito pubblicata sulle pagine dedicate alle notizie locali. L’autore - firmandosi come presidente dell’associazione "Amici del Parco" - prende pubblicamente le parti dello schieramento di centro sinistra in lizza per le elezioni il cui programma è ritenuto in linea con gli scopi dell’associazione da lui presieduta.

Nello scritto - dal titolo "Parco, dov’è finita la coerenza" - si duole della presenza di alcune contraddizioni nello schieramento di centro destra, che, in difformità dall’impegno preso negli anni precedenti da esponenti politici regionali e nazionali, ha inserito nel suo schieramento alcuni candidati ostili ai vincoli urbanistici e venatori imposti al Parco da una precedente legge regionale. La lettera si conclude nel seguente modo: "Il centro sinistra finalmente pare pensare, giustamente, al futuro del Paese in termini più moderni [....] E’ ora che i cittadini di Porto Tolle [....] salgano pure loro sul treno dello sviluppo che passa anche dalla Stazione Parco e la smettano di farsi ammaliare dalle avvizzite Sirene Antiparco".

Da quel momento inizia per lui una lunga ed estenuante odissea giudiziaria, che si è conclusa solo qualche mese fa.

I suoi superiori gli infliggono una sanzione pecuniaria pari a 2/30 degli emolumenti mensili per "inosservanza delle norme di comportamento politico fissate per gli appartenenti ai ruoli dell’Amministrazione della Polizia di Stato4".

Per evitare le pesanti conseguenze della sanzione, il poliziotto presenta un ricorso gerarchico. Come noto, una sanzione disciplinare, pesando negativamente sui giudizi caratteristici, preclude, o comunque limita, le vie di avanzamento.

Non andato a buon fine il rimedio interno, il poliziotto-ambientalista si rivolge alla giustizia amministrativa. Con sentenza n. 519/2006 il TAR Veneto, nell’annullare la sanzione disciplinare, ribadisce un principio basilare e assolutamente condivisibile: "l’interpretazione dell’art. 81 della legge n. 121/1981, deve avvenire in senso conforme alle norme costituzionali sui diritti fondamentali previsti dagli artt. 18 e 21 della Costituzione". Il TAR aggiunge che "non si poteva rimproverare al ricorrente di avere preso parte ad una competizione politica né può ritenersi che avere stilato l’articolo in discussione ne abbia compromesso le funzioni (di funzionario di P.S.). Né, infine, nella specie trattasi di una manifestazione di un’organizzazione o associazione politica. Semplicemente l’associazione nel cui nome egli ha sottoscritto l’articolo è non strettamente politica, ma latu sensu socio-culturale, e più specificamente, al più, ambientalista, che, in quanto tale, non prende parte alla competizione elettorale, ma è interessata a che la parte politica vincitrice inserisca nel programma la realizzazione dell’ente che è ragione e ispirazione della fondazione della associazione stessa. In tale quadro deve ritenersi che la pubblicazione dello scritto de quo costituisca manifestazione di pensiero e di espressione di tale libertà nell’ambito di una formazione sociale di cui all’art. 2 della Carta Costituzionale".

L’amministrazione, però, non si dà per vinta e si appella al Consiglio di Stato per ottenere la riforma della sentenza, limitatamente al disposto annullamento della sanzione pecuniaria.

Il massimo Organo della giustizia amministrativa, contrariamente a quanto deciso dal TAR Veneto, stabilisce che la sanzione è legittima perché il poliziotto ha violato le norme di comportamento politico fissate per gli appartenenti ai ruoli dell’Amministrazione della polizia. Il Consiglio di Stato con sent. nr. 4259 del 14 agosto 2014 sancisce che in prossimità di una tornata elettorale il fatto di inviare una lettera ad un quotidiano locale, distribuito nel Comune ove presta servizio l’agente, nella quale ci si duole della presenza di alcune contraddizioni in uno schieramento politico in materia ambientale e si esprime l’auspicio che gli elettori si schierino per il fronte politico opposto, "lungi dal costituire una manifestazione di pensiero e di espressione di tale libertà nell’ambito di una formazione sociale di cui all’art. 2 della Carta costituzionale", integra "un chiaro sostegno allo schieramento elettorale [....] ed una implicita, ma univoca, propaganda nello stesso senso",come tale sanzionabile disciplinarmente.

L’analisi

La sentenza del Consiglio di Stato ed, in generale, tutta la vicenda suscita forti perplessità.

Se la Costituzione fosse un edificio - la casa di tutti gli italiani - i primi 12 articoli sarebbero gli architravi5; gli altri articoli, le mura perimetrali; le leggi di rango costituzionale, invece, rappresenterebbero la distribuzione degli spazi interni. Ebbene, la sentenza del Consiglio di Stato fa pensare ad un architetto che, per effettuare una diversa distribuzione di spazi interni di una casa, taglia ed elimina un pilastro compromettendone definitivamente la stabilità. Quella casa è destinata certamente a crollare.

Anche il filosofo Norberto Bobbio, riferendosi ai primi articoli della Costituzione, ha affermato: "Diritto dell’uomo, democrazia e pace sono tre momenti successivi dello stesso movimento storico: senza il riconoscimento dei diritti dell’uomo non c’è democrazia, senza democrazia mancano le condizioni minime per assicurare la pace...".

Indubbiamente è necessario che le Forze armate e di polizia rimangano estranee alle competizioni politiche. Ma fino a che punto si può comprimere l’esercizio di un diritto fondamentale, sancito dall’art. 2 della Carta Costituzionale6, in nome della loro apoliticità?

Quando si parla di apoliticità dei corpi armati dello Stato ci si riferisce ad essi intesi come istituzione e non certo ai singoli appartenenti7. Intendo dire che esiste un’autonomia concettuale e giuridica tra le Forze di polizia e gli uomini che le compongono.

Fatta questa premessa, ci si deve chiedere: in quali occasioni il poliziotto rappresenta la polizia? Ossia, quando i comportamenti dei singoli sono in grado di "impegnare", o possono risultare rappresentativi di un orientamento dell’Istituzione cui appartengono?

In ambito militare - e non penso che la smilitarizzata polizia goda di minor diritti e libertà - gli unici divieti legittimi promanano dall'art. 1483 del C.O.M.8che vieta ai militari di partecipare a manifestazioni politiche e di svolgere propaganda politica quando si trovino nelle condizioni di cui all’art. 1350 del C.O.M., cioè quando:

    a. svolgono attività di servizio;
    b. sono in luoghi militari o comunque destinati al servizio;
    c. indossano l’uniforme;
    d. si qualificano, in relazione a compiti di servizio, come militari o si rivolgono ad altri militari in            divisa o che si qualificano come tali.  

Chi non si trovi nelle su elencate (tassative) situazioni d’impiego ben può partecipare a riunioni e manifestazioni di partiti, associazioni e organizzazioni politiche, nonché … svolgere propaganda a favore o contro partiti, associazioni, organizzazioni politiche o candidati ad elezioni politiche ed amministrative (per un approfondimento sul punto si veda anche : http://www.grnet.it/lopinione/99-lopinione/3676-il-militare-e-la-politica-scelta-damore-oppure-matrimonio-combinato

Si ricorda che il protagonista dei fatti esposti, quando ha scritto la lettera, era certamente libero dal servizio; sicuramente al di fuori dei luoghi destinati al servizio; probabilmente si trovava nella propria abitazione oppure presso la sede dell’associazione; di sicuro non indossava l’uniforme. Infine, ma non meno importante, la lettera è stata scritta in nome e per conto dell’associazione; su carta recante l’intestazione dell’associazione socio-culturale e firmata dal suo presidente.

Affermare che il poliziotto ha violato le norme di comportamento politico equivale ad estendere il divieto di attività politica anche a tutti gli altri luoghi dove si svolge la personalità del cittadino-poliziotto. In questo caso la limitazione del diritto, si trasformerebbe in una vera e propria elisione del diritto stesso.

Pertanto si impone un ripensamento del principio di apoliticità del personale di pubblica sicurezza, sia civile che militare. Nonché la revisione del sistema sanzionatorio e premiale, delle assegnazioni degli incarichi, dei trasferimenti d’autorità, ecc; (per un approfondimento su questo punto si veda:http://www.grnet.it/lopinione/99-lopinione/5739-la-specificita-militare-alla-qprova-di-laboratorioq

Conclusioni

Se la sentenza del Consiglio di Stato, con cui si è conclusa la vicenda, suscita perplessità, il suo inizio - ossia le modalità con cui il fatto è stato portato a conoscenza dei superiori - desta addirittura preoccupazione.

1 - Pès Emanuele, marchese di Villamarina, nacque a Cagliari nel 1777 - figlio del nobile Salvatore, Marchese di Villamarina, e di una nobildonna piemontese - intrapresa la carriera militare, partecipò sia alle guerre della prima coalizione antinapoleonica (dal 1795) che a quelle della seconda (dal 1799 al 1801) combattendo in aiuto dell'esercito regio francese. Dopo che Napoleone calò in Piemonte, rimase in servizio e venne integrato nel nuovo esercito col grado di Capitano dal 24 luglio 1808. Con la restaurazione della monarchia venne nominato Maggiore (17 luglio 1814) e, in quello stesso giorno, re Vittorio Emanuele I di Savoia lo volle proprio aiutante di campo. L'anno successivo venne nominato Regio commissario presso l'esercito austriaco durante le ultime campagne napoleoniche e venne promosso al grado di Luogotenente Colonnello. Godendo della fiducia del re Carlo Felice di Savoia, venne promosso Colonnello. Ritiratosi a vita privata nel 1851 con il grado di Generale di Corpo d'Armata, morì a Torino nel 1852.

2 - Si consideri che il Regolamento di disciplina militare, entrato in vigore l’1 gennaio 1860 (approvato con R.D. 30 ottobre 1859) contiene una premessa introduttiva, in cui si afferma che l’esercito è istituito prima "per sorreggere il trono" e poi per "tutelare le leggi e le istituzioni nazionali". Una copia dell’edizione originale è reperibile presso la biblioteca dell’istituto geografico militare di Firenze.

3 - Così recita l’art. 24 della legge 121 del 1981: "...la Polizia di Stato esercita le proprie funzioni al servizio delle istituzioni democratiche e dei cittadini, sollecitandone la collaborazione. Essa tutela l’esercizio delle libertà e dei diritti dei cittadini; vigila sull’osservanza delle leggi...; tutela l’ordine e la sicurezza pubblica...".

4 - Ai sensi dell’art. 4, n.14, del DPR n. 737/1981, in relazione alla legge n. 121/1981, art. 81, che punisce "l'inosservanza delle norme di comportamento politico fissate per gli appartenenti ai ruoli della Amministrazione della pubblica sicurezza". L’art. 81 della legge 121/1982 stabilisce che gli appartenenti alle forze di polizia debbono in ogni circostanza mantenersi al di fuori delle competizioni politiche e non possono assumere comportamenti che compromettano l'assoluta imparzialità delle loro funzioni. Agli appartenenti alle forze di polizia è fatto divieto di partecipare in uniforme, anche se fuori servizio, a riunioni e manifestazioni di partiti, associazioni e organizzazioni politiche o sindacali. E' fatto altresì divieto di svolgere propaganda a favore o contro partiti, associazioni, organizzazioni politiche o candidati ad elezioni.

5- La stessa Corte Costituzionale ha affermato che la Costituzione contiene alcuni principi supremi che non possono essere sovvertiti o modificati nel loro contenuto essenziale neppure da leggi si rango costituzionale, essi costituiscono l’essenza dei valori supremi sui quali si fonda la Costituzione italiana (Sent. 1146/1988).

6 - All’assemblea costituente Aldo Moro precisò che le formazioni sociali sono quelle dove “si esprime e si svolge la dignità e la libertà dell’uomo … Facendo riferimento all’uomo come titolare di un diritto che trova la sua espressione nella formazione sociale, (si può) chiarire nettamente il carattere umanistico che essenzialmente spetta alle formazioni sociali che si vogliono vedere garantite nella Costituzione … e la tutela accordata a queste formazioni è nient’altro che una ulteriore esplicazione, uno svolgimento dei diritti di autonomia, di dignità e di libertà che sono stati riconosciuti e garantiti all’uomo come tale” (Moro, Ass. cost., 24 marzo 1947).

7- Quando il costituente ha inteso riferirsi ai singolari “funzionari ed agenti di polizia”, quali persone fisiche, l’ha fatto espressamente, così come accaduto nell’art. 98 della Costituzione.

8- Codice dell'Ordinamento Militare - Decreto Legislativo 15 marzo 2010, n. 66.

http://www.grnet.it - 28 nov 2014

27/11/14

BARNARD, CHIESA, GALLINO, LANNES, MALANGA: SE UNITI IMBATTIBILI!


----Messaggio originale----
Da: alby1286@hotmail.it
Data: 26-nov-2014 19.51
A: <giuliettochiesa@gmail.com>, <luciano.gallino@unito.it>, <dpbarnard@libero.it>, <malanga@dcci.unipi.it>, <sulatestaitalia@libero.it>
Ogg: Uniti nella consapevolezza
Gentili Paolo Barnard, Giulietto Chiesa, Gianni Lannes, Corrado Malanga, Luciano Gallino,
scrivo questa mail perché ho capito grazie al vostro lavoro e a quello di numerosi, ma comunque pochi, altri studiosi che il tempo a disposizione per salvarci e per difenderci è ormai agli sgoccioli. Questa penso sarà l’ultima mail che scriverò a voi studiosi . Voi “studiosi della realtà” avete migliaia di pregi e siete stimabili e stimati per questo, ma avete un grave difetto: siete divisi. Ognuno di voi porta avanti un lavoro che cerca di custodire per sé, per il quale si impegna a mantenerne la proprietà e i diritti. Ognuno di voi, senza esclusione, si impegna nell’organizzare o partecipare a conferenze nel quale esprime il proprio pensiero e cerca di “aumentare o far nascere la consapevolezza della realtà” nelle persone. Ognuno di voi scrive o ha scritto libri, saggi, nel tentativo di diffondere i propri pensieri. 
Sono d’accordo con voi sul fatto che l’UNICA POSSIBILITA’ DI SALVEZZA è far nascere quella consapevolezza, quella coscienza nella popolazione, con la quale possa difendersi. Finora la cosa non è andata molto bene, inutile fingersi ottimisti, il 99% della gente non sa neanche di cosa state parlando, perché purtroppo, come ovviamente sapete benissimo, al “potere” bastano 2 minuti di televisione per cancellare completamente ore di conferenze e pagine su pagine dei vostri libri. Vi apprezzo tantissimo e riconosco in voi i veri valori dell’essere umano, non è un modo di dire, lo penso davvero, in quanto: avete coraggio, affrontate minacce e intimidazioni, molti di voi hanno rinunciato alla propria carriera, molti di voi rinunciano alla propria serenità, siete fondamentalmente umili pur a volte mostrando una certa arroganza, anche a ragione. Ho letto molti dei vostri saggi, Invece della catastrofe, Il più grande crimine, Terra muta ecc. ecc., ho partecipato ad alcune conferenze, avrò visto centinaia di ore dei video delle vostre conferenze, e credo di aver raggiunto un elevato livello di consapevolezza della realtà, perché ho messo insieme tutte le vostre idee ed è nata in me un’anima indistruttibile, una roccia di consapevolezza, immune al consumismo, alla tecnologia spazzatura, alla pubblicità, alla propaganda dei politici marionette, ai talk-show, ai social network ecc.; credo insomma che le vostre idee e le vostre fatiche abbiano fatto nascere o risvegliare in me l’essere umano ideale, quello che il “potere” detesta. Mi sento oserei dire quasi perfetto in tal senso.
Tenendo presente che ho iniziato a “studiarvi” a 22-23 anni e ora ne ho quasi 28, potete immaginare cosa significa in questa società e a questa età avere questi ideali e credere in ciò a cui voi credete. Significa soffrire, poco da aggiungere. Bene, detto questo, fatta eccezione per mio fratello, la quasi totalità dei miei amici, parenti, colleghi e conoscenti non sa o non crede a NIENTE di ciò di cui parlate, perché non vi conoscono nemmeno. Allora secondo me l’unica possibilità, l’unico tentativo che possiamo fare (potete fare in realtà, perché io non sono nessuno), è di UNIRCI, UNIAMOCI, UNITEVI. Discutiamo e discutete, litighiamo e litigate, prendetevi anche a parolacce, ma FORMATE UN’ALLEANZA. Avrete dei punti in cui la pensate diversamente, ma non è certo questo il momento di dividersi. La cosa importante è che TUTTI, senza esclusione alcuna, avete in comune le cose fondamentali: sapete che il “potere” dietro le quinte manovra come marionette i politici, che gli Stati-Nazione stanno rapidamente scomparendo, che i Parlamenti stanno perdendo completamente la sovranità, che la finanza internazionale, il mercato, stanno mettendo in ginocchio i popoli, che tutto il sistema mediatico occidentale è in mano al “potere”. 
Poi avrete magari visioni diverse sul terrorismo, l’11 settembre, le scie chimiche, la Cina, la terza guerra mondiale; ma la cosa importante è UNIRSI. Questo è il mio modesto invito, unirsi, unirsi in un partito, in un’organizzazione, in qualcosa. Potrebbe nascere un partito, che magari nei media sarebbe considerato il partito dei pazzi, ma pensate quale grande cambiamento sarebbe la presenza di un partito con le vostre idee, insomma Grillo che è un comico è entrato in Parlamento, perché non dovreste riuscirci voi? Provate almeno a fare questo passo, l’unione, poi succeda quel che succeda. Se lo farete io avrò ancora un barlume di speranza, mi metterò a disposizione e sarò uno dei vostri militanti, altrimenti, se rimarrete separati, questo è il mio umile e insignificante parere: abbiamo perso, voi sarete ricordati in futuro, forse, come quelli che ci avevano azzeccato e io continuerò ad essere uno di quei pochi esseri umani coscienti, leali, ma senza speranza e intrappolati in un mondo falso.
Con stima e rispetto,
Alberto


Buonasera Alberto!

Che dire, hai semplicemente ragione, e noi non abbiamo attenuanti! Sono pronto a stringere la mano a Chiesa, Barnard, Malanga, Gallino, che però non ho mai incontrato in vita mia. Non vanto alcuna proprietà e non possiedo diritti. Su la testa!

Gianni Lannes
 Grazie, se ci uniamo siamo imbattibili, se restiamo separati siamo consapevoli e sconfitti.
http://sulatestagiannilannes.blogspot.it/2014/11/barnard-chiesa-gallino-lannes-malangase.html#comment-form




tramite: http://alfredodecclesia.blogspot.it/

Crisi libica, un affare italiano

Gli sforzi diplomatici dell’occidente sinora non sono serviti a frenare l’avanzata delle milizie islamiste a Tripoli e Bengasi. Per l’Italia potrebbe essere l’ultima occasione per marcare la propria presenza nell’area del Mediterraneo

A member of the Libyan army is seen at the Mellitah Oil and Gas complex, west of Tripoli


Prima la conferenza internazionale di Madrid tra i rappresentanti dei Paesi del Mediterraneo e del Nord Africa del 17 settembre. Poi, tra il 29 settembre e l’11 ottobre, i negoziati separati tra i rappresentanti dei due parlamenti di Tobruk e Tripoli, organizzati a Ghadames e Tripoli con la supervisione della missione UNSMIL (United Nations Support Mission in Libya). Infine, la dichiarazione congiunta attraverso cui il 18 ottobre Francia, Italia, Germania, Regno Unito e Stati Uniti hanno chiesto la cessazione delle ostilità, minacciando di applicare sanzioni individuali contro chiunque “tenti di sabotare il processo di riconciliazione nazionale”.

Riavvolto il nastro delle trattative e dei proclami, non è rimasto granché degli sforzi dell’Occidente se non la consapevolezza che per evitare il fallimento dello Stato libico serviranno operazioni militari più incisive. Altro che diplomazia. Settimane fa, prima che la Corte Suprema libica invalidasse le elezioni legislative del 25 giugno sciogliendo il parlamento e il governo laico scelto dal popolo, se ne era reso conto anche l’ex premier Abdullah Al Thinni, il quale dopo le titubanze degli ultimi mesi, per fermare l’avanzata delle milizie islamiste a Bengasi e Tripoli si era visto costretto a metà ottobre a concedere carta bianca a un alleato scomodo come il generale Khalifa Haftar, pur dubitando della sua lealtà.

A parlare in Libia è dunque ancora il linguaggio delle armi, mai realmente deposte dalla guerra civile che nel 2011 ha portato all’uccisione del Colonnello Gheddafi. L’immagine della Libia odierna mostra che i tempi per la democrazia non sono affatto maturi, e forse non lo saranno ancora per molto. Lo dicono le profonde spaccature politiche e l’instabilità istituzionale, con doppi parlamenti e doppi governi a contendersi il potere per mesi: uno legittimamente eletto alle elezioni del 25 giugno scorso, a maggioranza laica e guidato da Al Thinni, confinato a Tobruk, vicino al confine egiziano, prima di essere esautorato; l’altro nella capitale Tripoli, espressione delle fazioni islamiste e il cui premier è Omar al-Hassi.

A questa frammentazione politica corrisponde una fragilità militare manifesta, per rimediare alla quale sinora non sono bastati né la campagna antiterrorismo “Operazione Dignità” lanciata a maggio da Haftar, né i raid aerei condotti dai caccia delle aviazioni di Egitto ed Emirati Arabi Uniti sulle postazioni degli islamisti.

Mentre i morti aumentano e i focolai di tensione si estendono dalla Cirenaica alla Tripolitania con la complicità ormai certa di governi e finanziatori esteri (leggi Sudan e Qatar), la missione volta a sradicare dalla Libia il terrorismo di matrice islamista diventa sempre più proibitiva. Ansar Al Sharia a Bengasi e la coalizione Alba Libica a Tripoli hanno ormai stretto in una morsa il governo, forti del patto di alleanza con lo Stato Islamico annunciato a inizio ottobre a Derna. Lo stesso Califfo siro-iracheno Al Baghdadi ha fatto sentire la sua vicinanza agli jihadisti, invitando centinaia di miliziani da Tunisia e Algeria a raggiungere il Paese e ottenendo l’appoggio di un numero consistente di uomini delle tribù berbere che controllano la regione meridionale del Fezzan.

Perché l’Italia deve intervenire in Libia

Sono almeno due i motivi che dovrebbero spingere le potenze euro-atlantiche a non abbandonare questa causa. Il primo rimanda agli interessi energetici e al controllo di larga parte dei giacimenti e dei terminal degli idrocarburi presenti in territorio libico. Il secondo – che riguarda principalmente l’Unione Europea – riconduce all’annoso problema dei migranti che dall’Africa subsahariana risalgono fino alle coste libiche per poi affrontare la traversata del Mediterraneo.
Stati Uniti, Francia e Regno Unito, registi della caduta del Colonnello, hanno deciso di voltare le spalle a Tripoli e dirottare i loro interessi strategici nella grande guerra contro lo Stato Islamico. L’Italia si è accodata, ma è ancora in tempo per colmare questo vuoto.

Lo ha detto chiaramente il premier Matteo Renzi, lo ha sottolineato l’Alto rappresentante UE Federica Mogherini e, il primo novembre, lo ha annunciato anche il ministro della Difesa, Roberta Pinotti, durante una visita al Cairo, dove ha incontrato il presidente egiziano Abdel Fattah Al Sisi e il ministro della Difesa, Sedki Sobhi. Al momento, la missione militare italiana in Libia – rimodulata nell’ottobre del 2013 – prevede il monitoraggio e l’organizzazione delle attività addestrative delle forze armate libiche. In totale, sono stati formati 1.345 militare ed è stata supportata la fase di screening del primo contingente libico (254 militari) arrivato in Italia nel gennaio del 2014. Nell’immediato futuro, l’impegno del nostro Paese potrebbe però aumentare in maniera sensibile. “Siamo disponibili a dare una mano a costituire delle forze armate in grado di tenere in sicurezza la Libia – ha affermato dal Cairo il ministro Pinotti – a condizione di avere un interlocutore credibile. Certamente, ci sarà bisogno di fornire anche delle armi”.

Oggi invece è stata la volta del nuovo ministro degli Esteri Paolo Gentiloni. “Non dobbiamo ripetere l’errore di mettere gli stivali sul terreno prima di avere una soluzione politica da sostenere – ha affermato a Repubblica -. Ma certo un intervento di peacekeeping, rigorosamente sotto l’egida ONU, vedrebbe l’Italia impegnata in prima fila. Purché preceduto dall’avvio di un percorso negoziale verso nuove elezioni garantito da un governo di saggi. In assenza del quale mostrare le divise rischia solo di peggiorare la situazione. Ci stiamo lavorando, con i Paesi dell’area e con le Nazioni Unite. Di certo non ci rassegniamo alla dissoluzione della Libia”.

Il momento dell’Italia potrebbe dunque arrivare a breve. La Libia, in ogni caso, non può aspettare ancora a lungo.


di Rocco Bellanton - 26 nov 2014
http://www.lookoutnews.it

"La terza guerra mondiale non ci spaventa", Poroshenko. Intanto la Nato dispiegherà carri armati in Europa Orientale

La terza guerra mondiale non ci spaventa, Poroshenko. Intanto la Nato dispiegherà carri armati in Europa Orientale

"La pressione della Russia sull'Ucraina sta crescendo molto, un'altra guerra è imminente". Vice presidente del Parlamento Ue



La questione in Ucraina sembra subire una nuova escalation, i cui scenari finali sembrano essere di difficile previsione. Questa mattina il vice-presidente del Parlamento europeo Saryusz-Wolski ha lanciato un monito preciso che la maggior parte dei media non ha colto: "la pressione della Russia sull'Ucraina sta crescendo molto, un'altra guerra è imminente". Eventualità per la quale il presidente ucraino Poroshenko ha risposto (via Twitter) piuttosto sinistramente che una " terza guerra mondiale non ci spaventa", avendo ribadito in precedenza la necessità per il suo paese di ottenere l'adesione alla NATO.




Il vice-presidente del Parlamento europeo Jacek Saryusz-Wolski ha twittato:




Russia's pressure on Ukraine mounting high, further war imminent.
A questo il presidente ucraino ha rincarato:
La traduzione è più o meno: “Una terza guerra mondiale non ci spaventa... per la verità, nessuno la sta per iniziare”, ha poi aggiunto.


Infine, il comandante militare della Nato Philip Breedlove, riporta Al-Jazeera, si è dichiarato "molto preoccupato" del fatto che il rafforzamento militare della Russia nella regione di Crimea potrebbe essere utilizzato come piattaforma di lancio per attacchi su tutta la regione del Mar nero. Il generale ha lasciato aperta la pista che la NATO potrebbe schierare carri armati in Europa orientale. “Le capacità che sono state istallate in Crimea sono in grado di esercitare influenza sull'intero Mar Nero”, ha dichiarato.


Per concludere il quadro, il ministro della Difesa russo aveva dichiarato martedì di aver dispiegato 14 jet militari in Crimea come parte di una flotta di 30 che stazioneranno perennemente nella penisola. Gli Stati Uniti stanno spingendo l'Ucraina nell'abisso di una guerra civile che ha già portato via migliaia di vite, ha sottolineato il vice-ministro alla Difesa Anatoly Antonov in un summit con altri colleghi asiatici nello Sri Lanka. “Le forze militari americane e della Nato si stanno avvicinando alla soglia della Russia e gli Usa hanno intensificato la loro attività nelle ex repubbliche sovietiche”.
http://www.lantidiplomatico.it - 27 nov 2014

Attenta Italia, guai a fidarsi del metodo Juncker

Per mesi gli Stati dell’Eurozona hanno fatto affidamento sul piano ultramiliardario d’investimenti del presidente della Commissione senza però riuscire a superare la crisi. Ecco come può ripartire il nostro Paese

Italian Prime Minister Matteo Renzi talks with European Commission President Luxembourg Jean-Claude Juncker before the arrival of Pope Francis at the European Parliament in Strasbourg


Il Documento di Economia e Finanza per l’anno 2015 ha ottenuto la sospensione di giudizio della Commissione Europea, almeno fino alla prossima primavera. Può dunque continuare il suo iter parlamentare in Commissione Bilancio, dove ancora nei giorni scorsi sono stati presentati nuovi emendamenti (quota 96 della scuola, lavoratori precoci, revisione tassazione fondi pensione integrativi, etc.). Resta quindi in piedi l’impianto della Legge di Stabilità voluta dal premier Matteo Renzi, che cerca di riavviare la crescita puntando su una ripresa dei consumi interni e degli investimenti privati sostenendoli direttamente e indirettamente attraverso trasferimenti (80 euro), riduzione di tasse e oneri fiscali, (riduzione del costo del lavoro) e riforma del mercato del lavoro (Jobs Act).

I dati che però giungono dall’Eurozona sono tutt’altro che incoraggianti. Pur in presenza di un record dell’attivo del bilancio delle partite correnti di 75,7 miliardi di euro nel terzo trimestre del 2014 (7,8 miliardi per l’UE), che per l’Italia si è tradotto in un attivo di oltre 26 miliardi (Germania +138 miliardi, Olanda +38 miliardi, mentre hanno fatto registrare un deficit la Francia -49 miliardi e la Spagna “dei miracoli” -17 miliardi), la crescita media nel terzo trimestre è stata dello 0,2% (0,3% nell’UE), con un misero +0,1% per la Germania e un desolante -0,1% per il nostro Paese.

Purtroppo i dati sulle vendite al dettaglio nell’UE hanno registrato in settembre una caduta dell’1,3% rispetto ad agosto, la riduzione maggiore dal 2012, mentre i dati destagionalizzati nel settore delle costruzioni, considerato un buon rivelatore della ripresa economica, indicano una riduzione della produzione dell’1,8% con un picco negativo del -10,6% in Italia. In queste condizioni, aggravate da un tasso medio d’inflazione intorno allo 0,4%, che quando non diventa negativo come in Spagna e Grecia (deflazione) approssima lo 0 come in Italia, non c’è molto da sperare da una manovra che concentra i propri interventi sul rilancio della domanda privata in un Paese che affronta il terzo anno consecutivo di recessione e si avvia a precipitare nella deflazione.

Come ogni manuale di economia insegna, e come la storia ricorda, in queste condizioni ci sarebbe bisogno di una crescita della domanda aggregata sostenuta da una spesa pubblica in investimenti, anche in deficit, ma il Trattato di Stabilità e Sviluppo non consente di perseguire questa strategia. Per mesi si è quindi fatto affidamento sul mitico piano ultra miliardario d’investimenti del presidente della Commissione Jean-Claude Juncker. Purtroppo la realtà è ben diversa dai sogni e il favoloso piano per gli investimenti strategici di Juncker si è rivelato il classico topolino partorito dalla montagna.

Il Fondo per gli Investimenti Strategici avrà un capitale di soli 21 miliardi (in tre anni e per 28 paesi) di cui 6 provenienti dalla Banca Europea degli Investimenti (BEI) e 15 dal bilancio comunitario. Il piano conta di superare i 300 miliardi sulla base di un effetto di leva sugli investimenti dei singoli Paesi. La Commissione si è riservata infatti il diritto di decidere quali tra i progetti presentati dai singoli Stati possano essere finanziati in deficit senza però essere contabilizzati. L’incertezza delle regole decisionali e la non chiarezza dei criteri di selezione dei progetti, indeterminatezze volute per non rischiare la bocciatura preventiva dei tedeschi e dei loro alleati rigoristi, rendono gli effetti del piano Juncker assolutamente aleatori. Soprattutto sorgono molti dubbi sulla possibilità che il pacchetto italiano di oltre 2.000 progetti per un valore di 40 miliardi pronto da mesi – e che ha al suo interno gli investimenti per la Banda Larga, la TAV, progetti autostradali e per l’energia – sia approvato. Senza lo scorporo dal deficit, la cui decisione spetta però alla Commissione Europea, l’Italia, il cui deficit è stimato al 2,6% dal governo ma al 3% dall’OCSE, non ha alcuna possibilità di attivare investimenti pubblici e il piano Juncker lascerebbe un Paese condannato alla cura spagnola, ovvero al decino industriale e sociale.

Come però più volte ricordato e riaffermato recentemente anche dal presidente della Cassa Depositi e Prestiti (CDP) Franco Bassanini, l’Italia ha alcune istituzioni con una grande quantità di risparmio (fondi pensione, casse previdenziali e assicurazioni) che può essere mobilizzato per l’approntamento di un’arma non convenzionale di protezione di massa: la cartolarizzazione di parte del patrimonio pubblico non strategico in un fondo garantito da CDP e allocato ai grandi collettori di risparmio privato. Cosa si aspetta?

http://www.lookoutnews.it - 27 nov 2014

Per i ciechi è sempre più buio: tagliati i fondi Alle associazioni di categoria solo 1,5 milioni. Fino all’anno scorso il budget era 4 volte tanto







La scorsa settimana il governo ha annunciato l’aumento, nella legge di stabilità, del fondo per disabili non autosufficienti e Sla portandolo da 250 a 400 milioni, un gesto propagandistico e nulla più visto che tanti disabili continueranno a non beneficiare di consistenti aiuti. A cominciare dai ciechi che, se non dovessero arrivare modifiche all’impianto attuale della norma, si troveranno ancora di più al buio. La questione è abbastanza semplice: la legge che regolerà le entrate e le uscite per il 2015 prevede una sensibile riduzione dei fondi concessi all’Unione italiana ciechi, anche perché tutti gli emendamenti presentati in Commissione per confermare quelli dello scorso anno sono stati bocciati. Una situazione che sta ovviamente allarmando il settore, con la Uici che ha annunciato l’agitazione della categoria ricordando che a rischio ci sono servizi di cui hanno bisogno circa un milione di persone. Dal dopoguerra ad oggi, infatti, tramite la legge 1047 del 1947, lo Stato ha delegato a questo ente la tutela e la gestione della categoria.

STANZIAMENTO FALCIDIATO
Il problema attuale è figlio di una legge del 1993 in base alla quale i fondi destinati all’Uici dovevano essere tagliati del 90%. Tale norma, però, fino ad oggi è stata sempre aggirata mediante alcune misure straordinarie che hanno permesso uno stanziamento quasi costante, anche se lievemente calato negli ultimi anni. Se ora però il Senato non dovesse modificare il testo, il denaro concesso sarà ridotto ad appena un milione e mezzo di euro, con una riduzione di circa i tre quarti rispetto allo scorso anno. Dodici mesi fa, infatti, il governo Letta aveva assegnato all’Uici poco più di 6 milioni di euro per la gestione delle sue attività facendo riferimento alla legge che finanzia la formazione, a quella che prevede la realizzazione di libri parlati e qualla che disciplina le cooperative sociali. Grazie a queste norme i contributi erano stati erogati anche a tutta una serie di realtà collegate.

SENZA RISPOSTA
Tramite una nota l’associazione ha lanciato un ultimo appello al governo affinché torni sui propri passi. Il presidente Mario Barbuto ha anche riferito di aver più volte chiesto, in modo ufficiale, di incontrare il Sottosegretario alla presidenza Graziano Delrio senza però ricevere risposta. Qualora l’esecutivo non cambiasse rotta, non sarebbe a rischio solo l’esistenza dell’associazione ma anche l’autonomia e la crescita di molti disabili.

di Fabrizio Di Ernesto - 27 nov 2014
fonte: http://www.lanotiziagiornale.it