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Non stiamo a rifare la storia degli ultimi 42 mesi. Conoscete 
perfettamente il guaio in cui il nostro Paese li ha cacciati. Stiamo 
agli ultimi eventi. Il 10 agosto si è aperta la procedura d’arbitrato 
che dovrà stabilire chi, tra l’India e l’Italia, abbia la giurisdizione 
sul loro caso. Il primo tempo della partita si sta giocando ad Amburgo 
davanti al Tribunale internazionale della legge del mare.
Il Governo italiano, dopo anni di assurdo immobilismo, finalmente ha 
trovato il coraggio di ricorrervi per ristabilire quella giustizia di 
cui gli indiani hanno fatto allegramente strame. Il team dei legali che 
patrocina l’Italia è impegnato a chiedere all’Alta Corte tre cose: il 
ritorno in patria di Salvatore Girone; la permanenza a casa di 
Massimiliano Latorre, che è in convalescenza dopo l’ictus che lo ha 
colpito; il divieto alle autorità indiane di proseguire qualsiasi azione
 legale contro i due marò. Gli avvocati della controparte si oppongono 
alle richieste italiane con argomenti a dir poco indecenti. Il più 
offensivo riguarda la presunta inaffidabilità del nostro Paese.
Sostengono gli indiani: se consegniamo all’Italia i due militari non 
ci verranno più restituiti, anche se l’arbitrato dovesse darci ragione. 
Una bella tesi che conferma in pieno i nostri sospetti, esplicitati 
anche dall’ambasciatore Francesco Azzarello, presente ad Amburgo in 
rappresentanza del nostro Governo: i due marò sono ostaggi. Punto. Sono 
trattenuti contro la loro volontà senza che, a distanza di tre anni e 
mezzo dall’incidente, sia stato formalizzato a loro carico alcun capo 
d’accusa. Lo ha spiegato alla Corte Sir Daniel Bethlehem, l’avvocato 
britannico che patrocina i due marò. L’illustre giurista ha accusato 
senza mezzi termini la magistratura di Delhi di violare le regole del 
giusto processo avendo assunto una condotta fondata sul pregiudizio di 
colpevolezza dei due militari. Nel merito, la difesa italiana ha 
sostenuto un’elementare verità: i marò sono considerati autori 
dell’omicidio di due presunti pescatori senza che le prove abbiano 
dimostrato, oltre ogni ragionevole dubbio, che siano stati loro a 
sparare e, soprattutto, che ci sia stato effettivamente contatto in mare
 tra la “Enrica Lexie” e il peschereccio indiano sul quale erano 
imbarcate le vittime. Al momento sappiamo che il 15 febbraio 2012 la 
“Enrica Lexie” navigava in acque internazionali, al largo della costa 
dello Stato indiano del Kerala. Sulla nave era presente un Nucleo 
Operativo di Protezione, composto da fucilieri della Marina Militare, 
disposto da una legge dello Stato del 2011 a sostegno della sicurezza 
della flotta mercantile italiana.
Un’imbarcazione pirata ha tentato di abbordare la petroliera 
italiana. I due marò oggi sotto processo hanno esploso alcuni colpi in 
acqua, a scopi dissuasivi, per costringere l’attaccante ad allontanarsi.
 Non si ha alcuna certezza sull’identità del natante aggressore né del 
suo equipaggio. Ma alle autorità indiane poco interessa la verità. 
Pensano di aver trovato un avversario facile. Non hanno torto. I nostri 
tre ultimi Governi, in questa macabra farsa, hanno preferito vestire i 
panni del debole. E ora se ne pagano le conseguenze, visto che gli 
avvocati indiani hanno addotto come prova di colpevolezza proprio 
l’arrendevole comportamento delle autorità italiane. Non ci resta che 
sperare nella capacità di discernimento dei giudici dell’Alta Corte. Il 
Tribunale ha comunicato che pronuncerà la sua decisione il prossimo 24 
agosto. Se tutti provassimo l’orgoglio di essere italiani dovremmo 
passare queste giornate di attesa col fiato sospeso, idealmente stretti a
 Massimiliano e Salvatore. Dovremmo serrare i ranghi. Dovremmo dire 
loro: non abbiate alcun timore perché il Paese è con voi, anche se chi 
lo rappresenta ha chiuso bottega per ferie e se n’è andato in vacanza.
di Cristofaro Sola
13 agosto 2015
fonte:  http://www.opinione.it
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