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Non smettete mai di protestare; non smettete mai di dissentire, di porvi domande, di mettere in discussione l’autorità, i luoghi comuni, i dogmi. Non esiste la verità assoluta. Non smettete di pensare. Siate voci fuori dal coro. Un uomo che non dissente è un seme che non crescerà mai.
Camera e Senato hanno firmato un accordo
riservato per mettere e allo stesso tempo aggirare con un trucco il
tetto da 240 mila euro lordi omnicomprensivi che aveva chiesto Matteo
Renzi. Il premier però è stato beffato dalla stessa vicepresidente
renziana della Camera Marina Sereni che con un tweet lo aveva
tranquillizzato: metteremo quel tetto. Peccato però che oltre ai 240
mila euro andranno aggiunti i contributi previdenziali (70 mila euro
quelli più alti) e perfino una indennità di funzione (60 mila euro
quella più alta) che rendono una burla quei 240 mila euro base. Il
taglietto agli stipendi di palazzo é per altro molto lento: avverrà in 4
anni gradualmente attraverso un contributo straordinario di
solidarietà. Poi se i tempi migliorano si torna tutti a stipendio pieno.
Con questo sistema lo stopendio del segretario generale della Camera
passa il primo anno di "tetto" da 475 a 450 mila euro lordi. Altro che
quota 240! Tutto fra gli applausi di Giorgio Napolitano che aveva
suggerito a Camera e Senato di non esagerare perchè lui sul Colle non ha
alcuna intenzione di mettere quel tetto massimo di 240 mila euro...
L’ultimo comunicato dell’OPCW, l’organizzazione internazionale
che ha l’incarico Onu di eliminare le armi chimiche siriane è di due
giorni fa e non dice nulla su ciò che interessa tutti: quando quelle
benedette armi chimiche spariranno dalla Siria, transiteranno per
l’Italia e andranno al diavolo
L’ultimo comunicato dell’OPCW , l’organizzazione con incarico
Onu di eliminare le armi chimiche siriane è l’esaltazione dell’inutile.
Ripete il già noto e non dice una parole su ciò che tutti, a partire da
Gioia Tauro e in tutta la Calabria tirrenica avrebbero diritto di
sapere: quando quelle benedette armi chimiche spariranno dalla Siria,
transiteranno per l’Italia per andarsene rapidamente al diavolo. Per
fortuna che ora sappiamo che “Il direttore generale ambasciatore Ahmet
Üzümcü ha aggiornato il Consiglio Direttivo sugli sviluppi connessi con
la missione di eliminare le armi chimiche siriane”.
Ebbene? “Ritardi in corso nel trasporto del restante 8% delle
sostanze chimiche”. Insomma, la Siria mancherà la data obiettivo del 30
giugno per la completa distruzione dell’arsenale. Detto in altra
maniera, più vicina agli interessi italiani, manco entro giugno Gioia
Tauro e la costa tirrenica della Calabria potrò liberarsi dell’incubo
del trasbordo del carico micidiale dal cargo scandinavo Ark Futura alla
nave laboratorio della marina statunitense Cape Ray dove tutto dovrebbe
essere reso innocuo, ‘disinnescato’ come arma e -promettono- non essere
scaricato in mare. Proviamo a crederci.
Veniamo a sapere di progressi nella distruzione dei 12 impianti di
produzione di armi chimiche, ma di problemi per quanto riguarda le
strutture sotterranee. Archeologia del terrore. Follia di guerra che
continua ad usare quelle armi di distruzione di massa. Secondo gli
ispettori OPCW-OPAC, sostanze chimiche tossiche, probabilmente agenti
irritanti polmonari come il cloro sarebbero stati utilizzati in Siria.
Più o meno quanto già si sapeva, ma questa volta col timbro delle
Nazioni Unite. Resta il silenzio su quando mai potrà concludersi la
vicenda che tiene in apprensione un pezzo d’ Italia.
In materia fiscale assistiamo sempre al vergognoso balletto
della ipocrisia e della sfrontatezza. Per non dire che la vera ragione
del dissesto dei conti in Italia è figlio degli scandali, delle ruberie,
delle tangenti e della disonestà della politica, si continua ad
accusare l’evasione come motivazione del debito ciclopico.
È certo, che l’evasione esista e vada combattuta severamente, ma
altrettanto certo è che, in un Paese nel quale da sempre si è pensato di
tappare buchi con nuove impensabili tasse gettate a raffica addosso al
contribuente e riscosse con metodi terroristici, sarebbe difficile
immaginare l’assenza di reazioni uguali e contrarie.
È indubitabile che una parte di evasione o sottrazione sia dovuta o
all’impossibilità di farcela, o alla scelta per la sopravvivenza, o
peggio ancora all’antagonismo con una classe politica tra le più
corrotte del mondo. È difficile parlare di fisco amico e comprensivo in
un Paese che inonda di scandali tutti i giorni i media, in un Paese che
ossessiona la proprietà, che offre servizi da terzo mondo facendoli
pagare per diamanti puri.
Come se non bastasse, in Italia, in nome di un federalismo fiscale
vergognoso, si impone ai contribuenti di pagare 3 o 4 volte la stessa
cosa, allo Stato, alle Regioni, ai Comuni e così via, con un sistema di
addizionali a dir poco scandaloso. Il risultato di tutto ciò ha
stratificato negli anni una confusione esasperante, un contenzioso
esplosivo, una vera e propria guerra tra Stato e contribuenti che con la
crisi ha raggiunto oggi livelli inimmaginabili.
Eppure si continua ad aumentare le tasse in modo folle, salvo
dichiarare come fosse presa in giro che le si vorrebbe diminuire. È di
questi giorni la schifezza della Tasi, che non solo costerà molto di più
della vecchia Ici, ma che porterà il livello di imposizione sulla casa a
cifre uniche al mondo. Eppure la casa da noi viene considerata rendita,
dunque tassabile come fosse improduttiva, non considerando
scelleratamente che dietro la casa c’è il settore immobiliare, con il
suo immenso indotto produttivo ed occupazionale, che infatti a forza di
insistere sta letteralmente morendo portandosi dietro un gran pezzo del
Paese. Tutto ciò alla faccia del patrimonio e del risparmio. Beceri,
parassitari, antieconomici.
In questo pericoloso e desolante quadro, il Governo Renzi annuncia in
modo a dir poco ridicolo che la grande novità sarà il modello fiscale
precompilato, omettendo di dire che quel sistema può funzionare solo se
la base di partenza è chiara, definita e, diciamo così, “pulita”.
Esattamente l’opposto che da noi, dove non c’è famiglia che non abbia
contenziosi, dispute, ricorsi (spesso plurimi) con il fisco e l’Agenzia
delle entrate. Immettere in questa situazione un sistema nuovo, che in
quanto tale all’avviamento sconterà errori ed omissioni, significherà
esasperare ancora di più i contribuenti, costringendoli ad ulteriori
azioni nei confronti dell’amministrazione, con i risultati immaginabili.
Ossessione su ossessione, persecuzione, file su file, rabbia su rabbia;
questa con tutta probabilità sarà la conseguenza in mancanza di un
intervento preliminare che non può che essere di sistemazione,
sanatoria, pacificazione che sia, di tutta l’enormità delle liti fiscali
che hanno famiglie ed aziende in questi anni.
O si ha il coraggio di azzerare (seppur in modo ragionevole) tutto il
pregresso, consentendo una grande pacificazione fiscale fra Stato e
contribuenti, o si andrà a sbattere contro il muro della rivolta, vista
la raggiunta linea della sopportabilità fiscale in Italia. Ci auguriamo
che un sussulto di ragionevolezza nei confronti di questa emergenza
sociale spinga il Governo a provvedere, prima di insistere, a risolvere
prima di rompere, l’ultimo filo di seta che sorregge il sistema fiscale.
L’Italia va male e, al contrario delle favolette che raccontano, il
2014 sarà brutto ed il debito sempre più insostenibile. Il punto di non
ritorno è sempre più vicino. Le azioni del Governo, se possibile, hanno
peggiorato il quadro. Solo il coraggio di rimettere vicini ed in buona
pace, cittadini e istituzioni, politica e persone, aziende e
amministrazione, potrà consentire di guardare avanti e riprendere il
giusto cammino. Fiscalità, burocrazia, alleggerimento di ogni
obbligazione dovranno essere le stelle polari della rinascita,
altrimenti sarà sempre più notte fonda.
Oggi ho depositato alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma l’esposto annunciato in conferenza stampa il 3 giugno.
Non si tratta di una denuncia contro nessuno come erroneamente titolato da qualche giornale nei giorni passati, ma unicamente un’esposizione dei fatti al Magistrato perché li analizzi per valutare se nella gestione degli eventi ci siano stati errori o omissioni di rilevanza penale. In particolare per quanto attiene il primo momento dell’accaduto quando la Difesa, come chiarito in Parlamento il 17 ottobre 2012 dall’allora Ministro Di Paola, si espresse favorevolmente perché la Lexie rientrasse sul porto di Koci in India e nel momento che il 22 marzo 2013 i due marò furono riconsegnati al giudizio indebito dell’India, atto seguito da un’inerzia istituzionale tutta da valutare.
Un esposto collettivo che è stato sottoscritto da 387 cittadini, che hanno dimostrato di voler essere vicini a Massimiliano Latorre e Salvatore Girone rifuggendo da qualsiasi esposizione mediatica, solo sottoscrivendo un’istanza alla Magistratura perché sia squarciato il velo che ormai è calato sulla vicenda ed individuate responsabilità qualora ce ne siano.
Una dimostrazione di alto senso dello Stato e di assoluta vicinanza ai nostri due militari sottoscritta da un congruo numero di cittadini che ha aderito alla mia iniziativa. Un numero non elevatissimo di persone, ma assolutamente significativo che dimostra che c’è ancora chi crede nello Stato di Diritto e nei valori etici che fanno grande una Nazione. Grazie a tutti.
Questa volta i poliziotti non hanno intenzione di fare sconti. Se il
governo non dovesse fare alcun passo indietro rispetto a quanto previsto
all’interno del nuovo piano di riorganizzazione della Pubblica
amministrazione gli agenti sono pronti a gesti clamorosi. Anche allo
sciopero. Il nuovo disegno del governo prevede ulteriori tagli di
questure e prefetture. Due le ipotesi al vaglio: in ogni caso l’uso
dell’accetta sembra garantito. Una prevede lo smantellamento di 30
questure e 30 prefetture, l’altra opzione lascerebbe in piedi una
questura e una prefettura per capoluogo di regione. In un comunicato
congiunto i sindacati Siulp, Siap-Anfp, Silp Cgil, Consap e Federazione
Uil Polizia denunciano che a saltare nel piano di riordino della Pa
potrebbero essere complessivamente circa 80 questure e prefetture e
altrettanti comandi provinciali dei Vigili del fuoco, dell’Arma dei
carabinieri e della Guardia di finanza oltre a un non meglio specificato
assorbimento della Polizia penitenziaria e della Forestale in altri
corpi di Polizia. Con misure così i sindacati si dicono “pronti ad ogni
forma di protesta con mobilitazione generale permanente per scongiurare
quella che è una vera e propria Caporetto della sicurezza del Paese”.
Numeri che andrebbero a pesare ulteriormente sull’intero comparto e che
si aggiungerebbero ai tagli da brivido sulla Polizia già previsti dal
“piano Marangoni”. Una scure, quella sulla “Madama”, che metterebbe a
rischio 14mila uomini. Le linee guide sono state fissate dal commissario
alla spending review Carlo Cottarelli, mentre il progetto nei dettagli è
stato redatto da una squadra di prefetti. Una vera e propria tagliola. Il nuovo colpo
A far paura della nuova rivoluzione nella pubblica amministrazione è la
reintroduzione del blocco del turnover al 20% delle cessazioni. Una
misura che sommata alla riorganizzazione degli uffici centrali e
periferici della sicurezza non fa dormire sonni tranquilli. Da qui la
decisione dei sindacati di scrivere al ministro dell’Interno Angelino
Alfano e, per conoscenza, anche al capo della Polizia Alessandro Pansa.
Una missiva in cui vengono ricordati anche gli impegni presi nel corso
della festa della Polizia quando il ministro promise di impegnarsi per
lo “sblocco del tetto salariale”. Ma intanto siamo davanti a un
contratto bloccato ormai da cinque anni. “Dopo un buco di organico di
oltre 40mila operatori e di fronte all’escalation dei crimini”, afferma
duramente il segretario del Siap Giuseppe Tiani, “il Governo con
l’approvazione del decreto legge sta per annientare ogni possibilità di
difendere i cittadini e le Istituzioni dall’aggressione criminale”. Troppe scorte
Una situazione per certi versi tragicomica quella in cui si trovano ad
operare i poliziotti italiani. Con gli agenti talvolta costretti ad
anticipare i soldi per la riparazione delle autovetture o per il
rifornimento delle stesse. E non è tutto. Perché denunciano i sindacati
“gli orari si fanno sempre più assurdi fino a raggiungere, nei casi più
estremi, doppi turni di lavoro, come accade, per esempio, con le scorte
ai politici e alle troppe persone che utilizzano questo sistema per mero
status simbolo”. Proprio sulle scorte gli agenti sembrano pronti a dare
battaglia e presto potrebbero iniziare a disdire ogni impegno sindacale
che ha previsto gli orari in deroga che permettevano i doppi turni a
cominciare dalle tutele ai politici. Così i poliziotti sperano di dare
una scossa: “O si raddoppia il personale”, si legge nel comunicato
congiunto dei sindacati, “o si rinuncia alla sicurezza”. Il segnale
lanciato è forte e chiaro. E sul piede di guerra non ci sono soltanto i
poliziotti. L’intero comparto non accetta in alcun modo quei punti della
riforma della Pa che equiparano gli agenti della sicurezza agli altri
lavoratori del pubblico impiego “solo per la parte relativa ai doveri”.
Di promesse finora la politica ne ha fatte tante, anche dopo lo sciopero
del novembre scorso, quando le rassicurazioni permisero di sognare la
svolta. Poi disattesa. Questa volta, però, le forze dell’ordine più che
promesse vocali chiedono fatti concreti per evitare il cortocircuito. Sindacati sul piede di guerra Forze dell’Ordine mortificate di Carmine Gazzanni
Con 261 presidi di Polizia prossimi alla soppressione, un organico
ridotto di circa 14mila unità e interi comparti ridotti all’osso come
quello della Polizia Postale (che passerà da 101 presidi a soli 28) o
quello della Polizia Ferroviaria (da 212 a 155), la questione non poteva
di certo passare inosservata.
E allora, dopo che il nostro giornale ha rivelato nel dettaglio il piano
sulla razionalizzazione del comparto sicurezza del ministero
dell’Interno e redatto sulla base delle linee guida fissate dal
commissario Carlo Cottarelli, non potevano che esserci reazioni vive
alla vicenda.
Quello che sembra è che il progetto – come dicono tutti i sindacati in
coro – sia stato realizzato “in chiave meramente ragioneristica, dal
quale non si rinviene un solo criterio, una sola garanzia per le tante
specifiche professionalità acquisite nel tempo”.
Sulla questione, interpellato da LaNotizia, è intervenuto anche il
segretario del NSP (Nuovo Sindacato di Polizia) Roberto Intotero. “È
tutto frutto di una decisione politica – dice – e purtroppo anche i
sindacati hanno dovuto adeguarsi a obblighi dettatici e decisi a priori
dal governo”. Tagli dettati dall’alto
Il rischio, insomma, è che dinanzi allo spaventoso taglio previsto per
il corpo della Polizia e arrivato, per così dire, “dall’alto”, nulla o
ben poco si possa fare. “Ora – continua Intotero – speriamo solo che
sblocchino i rinnovi contrattuali”. Già, perché il rischio è che non
solo si vada incontro allo spaventoso taglio di presidi, uffici e
sezioni di Polizia, ma che il già pesante “status quo” dei poliziotti
rimanga tale, anzi peggiori.
Bisogna infatti considerare che sono ormai quattro anni che vige il
blocco delle contrattazioni per gli agenti di Polizia, secondo quanto
previsto dall’articolo 9 del dl 78 del 2010 (decreto Brunetta). Un
blocco che sarebbe dovuto durare tre anni. Peccato, però, che l’anno
scorso si è pensato bene di prolungarlo.
Insomma, sono ben quattro anni che i contratti sono fermi, bloccati, come anche gli emolumenti e gli accessori.
Sebbene la legge preveda tutt’altro dato che si riconosce al comparto di
sicurezza una propria specificità che lo distingue dagli altri ambiti
della Pubblica Amministrazione. Ergo: legge vorrebbe che il trattamento
riservato a tutti i rami dell’amministrazione pubblica – a cominciare
dai blocchi contrattuali – non valga per il comparto sicurezza.
“Speriamo che ora, con i soldi che si risparmiano dal piano, almeno si
giunga ad uno sblocco degli emolumenti e degli accessori nell’ambito dei
rinnovi contrattuali, già a partire dal 2015”. Sarebbe in effetti un
toccasana per tutti i poliziotti.
Stando alle indiscrezioni, infatti, il piano messo a punto permetterebbe
un risparmio di 600 milioni di euro per il 2014, 800 milioni di euro
per il 2015 e 1.700 milioni per il 2016.
Non è detto, però, che sia poi così automatico dato che, ad oggi, il blocco è previsto fino al 2018. Staremo a vedere. L’interrogazione M5S
Intanto sulla questione è intervenuta anche la deputata Movimento 5
Stelle Dalila Nesci che ha presentato proprio ieri un’interrogazione
parlamentare per denunciare il pesante taglio dell’organico della
Polizia di Stato, specie per quanto riguarda quella Postale, nonostante
“l’indispensabile apporto contro il crimine informatico, che registra un
crescente aumento di reati”.
Pubblicato da Redazione il 20 giugno 2014
di Antonello di Lella fonte: http://www.lanotiziagiornale.it
QUANDO L’ESTORTORE E’ UN MAFIOSO TI PUOI RIVOLGERE ALLE FORZE DELL’ORDINE, MA QUANDO L’ESTORTORE E’ LO STATO A CHI TI RIVOLGI ?
Oggi ho incontrato una persona disperata … dignitosa, onesta, laboriosa, ma disperata.
Una persona che non avevo mai visto prima ma che mi ha segnato, colpito, commosso, come si trattasse di un mio caro amico.
Sono avvilito, avrei voluto fare qualcosa per aiutarla, ma ho
potuto fare ben poco, solo parlargli del valore della vita,
consigliargli di distinguere un’attività commerciale dalla sua
esistenza, motivarlo a farsi una ragione di un fallimento del quale lui
non è assolutamente responsabile.
Ho
incontrato un piccolo imprenditore che da mesi non riesce a pagare i
suoi pochi dipendenti, sopravvissuti ad un susseguirsi di licenziamenti
causati dalla crisi, un imprenditore che, a causa dei troppi debiti, la
notte non dorme più perché assalito da continue crisi di panico.
Questo eroe Italiano, però, non è vittima della crisi ma è vittima di
uno Stato che si è trasformato nel peggior mafioso e taglieggiatore
degli onesti e dei lavoratori.
La sua crisi non è dovuta alla mancanza di lavoro, la sua crisi è
dovuta, soprattutto a due fattori: quando lavora, per gli enti pubblici,
non riesce ad incassare un euro e oltre al suo lavoro e a quello degli
operai deve anticipare pure il costo dei materiali, indispensabili a
produrre i suoi manufatti; quando lavora per i privati non riesce a
proporre prezzi competitivi perché le varie mazzette,sotto forma di
tasse, che lo Stato gli richiede, incidono in maniera incommensurabile
sul costo del lavoro.
Pensate,
quest’uomo per il solo fatto di aver bisogno di un capannone,
all’interno del quale utilizzare i suoi macchinari, deve versare come
Tasi 12.000 euro, altri 3.000 euro deve pagarli per lo smaltimento dei
rifiuti, a fronte di 1.200 euro che deve dare ad ogni suo dipendente, ne
deve pagare quasi altri 1.000 di contributi.
Una follia, perché se alla fine, un imprenditore, dovesse riuscire,
nonostante tutti questi ostacoli, a produrre qualcosa, dovrà pagare,
ancora, iva, tasse, balzelli sulle norme di sicurezza, visite mediche ai
suoi operai, mantenere in efficienza estintori e sistemi di sicurezza,
pagare tasse su tasse su qualunque mezzo serva alla sua produzione:
energia elettrica, affitto, pubblicità, manutenzione degli impianti.
Poi tutte le sere, anche stasera, accendo la tv e devo ascoltare i
soliti idioti, politici che vivono fuori dalla realtà, che ci spiegano
che bisogna combattere la disoccupazione.
Ma
cosa ne sanno questi politicanti, da quattro soldi, del significato
delle parole, produrre, lavorare, faticare, imprendere, investire.
Perché, ma ripeto perché, abbiamo messo le nostre vite in mano a gente
simile ? perché ci siamo affidati a delinquenti in doppiopetto ?
Quanti imprenditori dovranno ancora perdere la loro dignità, la loro casa, la loro vita, prima che succeda qualcosa ?
Forse dovremmo, in massa, denunciare lo Stato per estorsione aggravata e
continuata, dovremmo intasare i tribunali con richieste di danni,
morali ed esistenziali, contro questo Stato intriso, impregnato,
rappresentato, da farabutti senza cervello e senza coscienza, uno Stato
lontano anni luce dal suo popolo, avaro di comprensione ma ricco di
cinismo e menefreghismo.
Uno
Stato che non mi rappresenta più, uno Stato al servizio di quei pochi
che fa vivere alla grande, sfruttando, schiavizzando e umiliando i più
laboriosi, i più umili, i più onesti.
Aspetto con ansia la primavera Italiana, aspetto l’alba, aspetto la
rinascita, aspetto di vedere tanta gente nel posto dove merita di stare …
IN GALERA !!!
Gent.ma Signora Ministro,
presso il Suo dicastero si sono avvicendati più ministri ed ogni
qualvolta noi cittadini ci siamo trovati dinanzi l’ennesima nomina
abbiamo sempre sperato di trovare nel nuovo ministro una persona più
consapevole e più vicina ai problemi del Paese e degli italiani.
Speranze che purtroppo sono andate regolarmente deluse.
La distanza che Vi separa dal popolo è tale che non può essere
superata in alcun modo. Neppure facendo ricorso ai più moderni mezzi di
comunicazione – come nel caso delle email – il cui indirizzo viene
inutilmente fornito a noi cittadini anche tramite i siti istituzionali.
Inutilmente perché tanto, qualsiasi sia il mezzo usato, la missiva è
destinata a rimanere senza risposta. I precedenti non mancano certamente
e non starò ad elencarli tutti quanti, limitandomi a citare come
esempio l’ex Ministro Emma Bonino che, oltre a non degnare di alcuna
risposta chi la interpellava in merito alla vicenda dei marò Girone e
Latorre, avendo creato una pagina su Facebook affidava gli spazi di
discussione ad uno staff che ne “moderasse” i commenti. Come dichiarò il Generale Termentini
– che alla Signora Ministro aveva scritto direttamente e tramite organi
stampa – si registrò “solo un’uscita diretta del Ministro, disturbata
sicuramente dall’insistenza con cui molti cittadini chiedevano notizie
delle iniziative istituzionali a favore dei due nostri militari in
ostaggio dell’India da 20 mesi. “Emma Bonino ha scritto: “Staff,
Signori, per cortesia, leggete il regolamento di questa pagina, così
come riportato nella sezione informazione “informazioni – attività”.
Questa continua invasione di off topic (fuori argomento) non è utile né a
noi né a voi, né a chi dite di voler difendere …….”.
Alle domande dei cittadini si preferì rispondere con silenzi e
censure. Comprendo bene che a volte è difficile rispondere a noi
semplici cittadini. Richiede tempo e, soprattutto, si dovrebbe avere una
risposta da dare. Seppur consapevole del fatto che questa mia, resterà
lettera morta, alla stessa maniera in cui lo è stata la mail inviata al
Suo indirizzo di posta elettronica, a quello di S.E. Sig. Giandomenico
Magliano, Ambasciatore della Repubblica Italiana a Parigi, e per
conoscenza al Sig. Console Andrea Cavallari, ritengo opportuno tornare
sulla ragione per la quale l’11 giugno scrissi alle SS. LL. II.
Il 10 giugno 2014 mi trovavo presso lo “Istituto Leonardo da Vinci”
di Parigi, in occasione della manifestazione di chiusura dell’anno
scolastico alla quale partecipava il Console Generale Andrea Cavallari.
Premetto di essere un cittadino italiano in possesso di doppia
cittadinanza (italiana e statunitense), aspetto quest’ultimo non
trascurabile e che spiega le ragioni del mio imbarazzo dinanzi ai fatti
che vado ad esporre.
Terminata la manifestazione di chiusura dell’anno scolastico, la
Signora L. P., nostra connazionale residente a Parigi, regolarmente
iscritta AIRE, si avvicinava al Signor Console per porgere i saluti e
nella circostanza lo informava delle difficoltà incontrate nel rinnovare
il proprio passaporto che sarebbe scaduto alla fine del mese.
Occorre a tal proposito fare un breve inciso in merito alle modalità
indicate per il suddetto rinnovo, che prevedono il dover fissare un
appuntamento presso il Consolato di Parigi entro un periodo di due mesi
dal momento della richiesta.
Modalità indicate sul sito web del Consolato Generale sul quale viene
inoltre riportato come “in considerazione del numero particolarmente
elevato delle richieste, si consiglia di verificare con regolarità
l’effettiva disponibilità degli appuntamenti consultando il sito ovvero
contattando il servizio prenotazioni attraverso il centralino.
La
Signora L. P. tentava invano di far presente le difficoltà incontrate
con il servizio prenotazioni attraverso il centralino vista
l’impossibilità di contattare un operatore, nonché quelle ad utilizzare
il servizio “Prenota On Line” a causa di problemi con il server che
indica spesso un errore di pagina. Difficoltà alle quali si aggiungevano
quelle dovute alle operazioni di registrazione al sito, al successivo
non riconoscimento del “codice di verifica” o della password inserite
per il login che, nel secondo caso e dopo più tentativi, inducono
qualsiasi utente a recuperare la password tramite il link “richiedi
nuova password”.
Non poca è la sorpresa dell’utente quando dopo aver tentato anche
questo espediente per accedere al sito web, ottiene in risposta che è
“impossibile resettare la password. Controllare i dati inseriti”
Problemi comuni a molti utenti che si sono imbattuti in una serie di
disservizi che rendono difficoltosa quella che dovrebbe essere una delle
attività più semplici degli Uffici Consolari.
A quel punto, il Signor Console reagiva (a mio modesto avviso, in
maniera poco consona al ruolo dello stesso dinanzi le difficoltà di un
proprio connazionale) adducendo la responsabilità delle problematiche
relative al rinnovo dei passaporti ai tanti cittadini che ne fanno
richiesta in occasione dell’approssimarsi del periodo di vacanze e
all’incapacità da parte degli stessi ad organizzarsi.
Inutile
dire che Consolati di altre nazioni (nella fattispecie il Consolato
degli Stati Uniti) effettuano l’operazione di rinnovo passaporti senza
la necessità di fissare due mesi prima un appuntamento.
Il Signor Console nel ribadire le responsabilità dei cittadini che
non consultano il sito web ottemperando a quanto prescritto e che
richiedono il rinnovo del documento per “andare in vacanza” (quasi si
trattasse di un delitto o come se gli stessi avessero responsabilità in
merito al periodo di scadenza del passaporto), preferiva rimarcare come
rispetto al periodo antecedente al suo insediamento a Parigi i tempi di
attesa per un appuntamento per rinnovare un passaporto si fossero
ridotti di due terzi.
Sarebbe interessante a tal proposito conoscere le ragioni per le
quali l’attesa precedentemente fosse di sei mesi e cosa ne pensi al
riguardo l’ex Console italiano a Parigi. Ma poco importa rispetto quello
che accadde dopo. Infatti, il Console Cavallari, quasi a giustificare
un servizio che da più parti è oggetto di critiche, preferiva
sottolineare i presunti altrui disservizi, affermando pubblicamente che
avrebbe “potuto fare un lungo elenco dei difetti degli americani”.
Premesso che il Console era a conoscenza della cittadinanza
statunitense della quale godo per diritto di sangue e di nascita, lo
stesso – con evidente risentimento – narrava la storia di un suo
congiunto, il quale avendo dovuto far ricorso a cure mediche nel periodo
in cui il Cavallari svolgeva la sua funzione negli USA, aveva atteso
circa sei ore prima che il personale medico intervenisse. Risentimento
che appariva manifesto nei riguardi di appartenenti al Corpo Diplomatico
statunitense.
Comprendo bene come talune “esperienze” possano esasperare l’animo
umano, avendole io stesso vissute anni fa per circostanze sulle quali
sorvolo (ma che ho chiarito nella mia lettera in forma privata), quando
ebbi modo di giudicare personalmente il livello e la qualità
dell’assistenza che lo Stato Italiano garantisce ai propri cittadini
all’estero.
La vicenda occorsa al Signor Console in territorio statunitense, più
che un “difetto degli americani”, a mio modesto parere andrebbe fatta
rientrare nella casistica di un’eguaglianza sociale che non fa
discriminazioni tra coloro i quali in Italia vengono spesso definiti
come appartenenti alla “Casta” e i cittadini, ovvero i “comuni mortali”.
Al mio grande rammarico dinanzi la vicenda del rinnovo dei passaporti
che mi ha fatto notare ancora una volta come un cittadino italiano
all’estero possa contare veramente poco sull’assistenza garantita dalla
rete consolare (nonostante all’interno dei Consolati, compreso quello di
Parigi, lavorino anche persone che con grande sacrificio cercano di
andare incontro alle esigenze dei propri connazionali), si aggiunge il
dispiacere e l’imbarazzo di un cittadino statunitense che, in quanto
tale, vede mortificato il proprio paese di nascita dalle parole di un
Console, e che, in quanto cittadino italiano (tale sono, anche se con
doppia cittadinanza), non avrebbe voluto far conoscere la scarsa
considerazione che un diplomatico italiano ha dei colleghi statunitensi,
nei riguardi dei quali si lascia andare ad esprimere pubblicamente
giudizi tanto negativi. Del resto, a ben pensarci, non dovrei neppure
meravigliarmi visti gi illustri precedenti ad opera di un Presidente del
Consiglio che non ha lesinato “apprezzamenti”, certamente poco gradit,i
rispetto al fondo schiena del premier di un altro paese.
E continuano a chiamarla diplomazia…
Gian J. Morici
(Cittadino italiano con doppia nazionalità e doppiamente sconcertato)
Dopo un periodo sabbatico, a seguito della valanga
ellettorale europea di un mesetto or sono, valanga tanto inaspettata
quanto dirompente, ho cercato di riprendere il bandolo della
intricatissima matassa. Lo scopo della pausa è stato ritarare i messaggi
al fine di far comprendere la big picture. Ammetto di ritenere
che, senza una seria presa di posizione contro la Germania al fine di
negare questa dannosissima austerity per i perierici (a vantaggio dei
“partners” tedeschi), l’Europa a termine è tecnicamente finita e con
essa il benessere della cittadinanza italiana (che è quello che più ci
interessa). Uscire dall’euro deve essere un’opzione.
Chiaramente, l’Italia ha due grandi assets: il primo, il
risparmio delle famiglie, enorme. Il secondo, quel che resta del grande
patrimonio imprenditoriale ed industriale costruito nel dopoguerra,
leggasi soprattutto poche ma ottime grandi aziende statali o semi
statali che oggi fanno gola a molti supposti partners europei e non.
Detto questo, sono qui a stigmatizzare quanto sta accadendo in questi
giorni con MPS, Monte dei Paschi di Siena, anche perchè questo rischia
di diventare il simbolo della svendita degli assets italici che ci
aspetta nei prosssimi mesi.
Dunque, aumento di capitale di dimensioni maggiori della
capitalizzazione in cui varie ed importanti banche internazionali
garantiscono l’inoptato, diritti esercitabili dagli azionisti
[principalmente piccoli azionisti] in sole due settimane, battage per
convinceree gli stessi in caso non volessero partecipare all’aumento [e
sono tanti, dopo aver visto il valore del titolo falcidiato negli anni] a
vendere il diritto nella prima settimana – vedasi numerosi articoli in
tale senso -, necessità di rilanciare con l’aumento di capitale
investendo in modo sostanzioso… [214 diritti per ogni 5 azioni
possedute, la massaia di Siena magari si è anche rotta di vedere il
titolo diventare man mano carta straccia, certamente ha anche pensato
che magari è meglio vendere tutto].
Or dunque, la prima settimana “qualcuno” da una parte vendeva il
titolo il borsa con conseguente tracollo del prezzo e dall’altra
qualcuno comprava i diritti, che siano. Mah, a pensar male… (…., ….)
Negli scorsi due giorni, fino a martedì u.s., quando la maggior parte
dei diritti erano stati ormai “spazzolati” dai grandi investitori
[leggasi probabilmente ricomprati dalla lunga manus speculativa/bancaria
mah, ...] il titolo è decollato, +circa 50%. Ieri piccolo assestamento
dopo i grandi guadagni dei due giorni precedenti.
Riusciamo a dare una spiegazione di cosa sia successo? Io ci provo. Si
dice che dopo la conversione dei diritti, che premetto hanno ridotto il
diritto di voto dei piccoli azionisti fino al 97% [ossia è come se si
fosse venduta l'azienda una seconda volta, cercando nuovi soci e
cancellando i vecchi], vedremo emergere a partire dalla prossima
settimana [fine dell'aumento di capitale: questa settimana] un nuovo
socio forte, i bene informati dicono potrebbe essere un americano tipo
ad esempio Blackrock, io dico un europeo tipo ad esempio DB, in ogni
caso mi vien da dire che sarà certamente uno straniero. Molti azzardano
un investitore contiguo ai Bookrunners. In ogni caso si attende un socio
di controllo non italiano per la banca più antica del mondo e da lì,
beh, non mi stupirei se MPS iniziasse anche a fare utili veri….
Vogliamo scommetterci? Segnatevi questo post, magari
scopriremo tra qualche settimana che dopo l’aumento di capitale MPS è
diventata una banca solida in Italia ed anche in Europa in termini di
ratios… Magari sbaglio, ma datemi credito per un mesetto, poi tiriamo le
somme.
Questa sarebbe la dimostrazione che si sta svendendo l’Italia per
quattro soldi nel silenzio generale, spero sinceramente che il tedesco
di turno sia così fesso da venire allo scoperto, magari qualcuno
capirebbe…. Vedremo.
E che dire di Fincantieri? Si privatizza il fiore all’occhiello della
cantieristica italiana ed europea per ricavare, sigh, circa 800 milioni
di miseri EUR per lo Stato…. Certo che così si ripaga davvero il
debito statale, abbiamo 2100 e passa miliardi da pagare, 800 milioni
restituiti cambiano davvero le cose…. Considerando che Fincantieri ha
quasi 9000 impiegati in Italia su circa 21000 nel mondo, beh significa
che la si privatizzerà per un valore pari al numero degli impiegati
italiani moltiplicati per uno stipendio figurativo pro capite di 100k
EUR annui. Ossia, visto che a full cost 100k EUR sembran tanti ma
probabilmente non sono molto lontani dal reale pagato a ciascun
dipendente come stipendio annuo [saranno 50 o 55k EUR/anno, circa] un
acquirente che comprasse tutta l’azienda potrebbe licenziando tutti i
dipendenti italiani recuperare circa quanto pagato per comprarla. Questo
è un paradosso per dire che è regalata, ora si privatizza il 45%, poi
dopo…. Meglio sarebbe stato mettere in forma Fincantieri per poi
venderla da qui a qualche anno! Per lo Stato prendere a prestito 800M
costerebbe a tassi attuali dei BTP circa 30 milioni di euro in 3 anni:
se si utilizzasse tale lasso di tempo si potrebbe triplicare il valore
di futura vendita mettendo prima i conti aziendali a posto nel rispetto
dei dipendenti! Mi sa che qualcuno ci prende tutti per fessi! L’Europa ha una bella faccia tosta: ci dice di privatizzare
ma c’è più che il sospetto che ciò venga richiesto non per far bene ai
nostri conti ma solo per fotterci le aziende [scusate davvero il
francesismo]. E noi siamo così stupidi da non capire.
Permettetimi di dire: così non si va da nessuna parte.
Iraq, Afghanistan, Nord Africa e Medio Oriente e prima ancora
nei Balcani. Sono circa una ventina d’anni che l’Occidente, Stati Uniti
in testa, tenta di applicare nel mondo un modello di democrazia che
molto raramente attecchisce come sperato in casa altrui. Fu la teoria
Clinton della «Interferenza umanitaria» ad aprire la strada. Poi fu l’11
settembre, la sfida portata in casa americana, ha definire un nuovo
modello di relazioni internazionali. Dopo la guerra ai despoti è «Guerra
al terrorismo», ma con declinazioni diverse. Nuovi modi “esportare la
democrazia” anche con l’uso più smaccato dello strumento militare. Un
neocolonialismo ‘politicamente corretto’ che ci ha portato in Asia, in
Medio Oriente e in Africa non solo per abbattere governi complici del
terrorismo, ma anche per destabilizzare in modo spregiudicato regimi non
graditi o comunque considerati non democratici secondo i nostri canoni.
Ora il mondo sta iniziando a raccogliere i frutti avvelenati da quella
semina.
Democrazia imposta e a regole alterne. In Afghanistan i talebani
avevano il sostegno di gran parte della popolazione. In Iraq le regole
del dopo Saddam Hussein non hanno garantito un equilibrio dei poteri tra
la maggioranza sciita e la minoranza sunnita. La democrazia di chi
vince? Tre anni fa l’inizio delle primavere arabe. Applausi corali sul
“sorgere della democrazia”. Che la ‘democrazia’ contro alcuni
indiscutibili despoti fosse portata aventi con la armi da personaggi e
formazioni di ben dubbia radice democratica, poco è contato, allora. In
tre anni gli esperimenti democratici nei Paesi delle primavere sono in
gran parte falliti. ‘Primavera’ è tornata ed essere soltanto una
stagione e non un titolo giornalistico decisamente forzato. L’occidente a
guida Usa s’accontenta di aver rinnovato il despota al governo: volti
più decenti, cultura più internazionale, una maggiore disponibilità a
definire le reciproche convenienze. Al Sisi meglio di Mubarak ma la
jihad non è meglio di Assad.
In quasi tutti i Paesi arabi delle ‘Primavere’ a non funzionare è
stato il concetto steso di maggioranza del chi vince governa. Colpa di
una realtà secolare di maggioranze tribali che impongono regole e
pratiche religiose intolleranti. Il problema della cultura popolare
quando resta ultraconservatrice e illiberale. Prendiamo l’esempio della
Libia da cui giungono segnali che portano a un nuovo regime militare o
comunque autoritario. Errori di analisi e di pratica su troppi fronti.
Analisi invece alta e condivisibile quella su Look Out dove si definisce
quanto accade come conseguenza del fallimento del neocolonialismo degli
anni Duemila. ‘Liberando’ l’Iraq gli Usa hanno innescato una guerra tra
le due anime contrapposte dell’Islam, quella sciita e quella sunnita.
In Libia l’occidente ha eliminato un dittatore brutale lasciando via
libera a conflitti tribali. Con la minaccia dell’intervento in Siria
abbiamo messo in crisi una dinastia dispotica, ma favorito spinte
jihadiste decisamente pericolose.
Paragone efficace e copiato da altri: «Esportare la democrazia non è come obbligare gli indios a indossare le mutande».
C’è un solo fondato motivo per ritoccare
la Costituzione Italiana, nata sulle ceneri del fascismo e nel segno
dell’unità nazionale. E non è quello che si aspettano i restauratori
dell’infausta politica del liberalismo che ha trascinato l’Italia ai
piedi della Germania, nella serie B continentale. La Costituzione va
ritoccata per eliminare la purulenta aggiunta dell’ obbligo del pareggio
di bilancio, una postilla che l’Europa, neanche quella delle banche, ci
aveva chiesto e che i nostri zelanti politicanti, primo fra tutti
quello di maggioranza relativa, si sono affrettati a inserire. Come uno
studente secchione che vuole strafare rispetto al professore. Oggi che
l’inflazione è bassa, l’economia non tira, il Pil è fermo mentre
crescono solo le percentuali della disoccupazione soprattutto giovanile,
ci si rende conto della follia di questa innovazione. Appare chiaro a
tutti, compresi gli economisti più retrivi e, primi fra tutti, nella
parte buona, i keynesiani, che il pareggio di bilancio è un’araba
fenice, un ballon d’essai, un miraggio e che, stante la stagnazione
dell’economia, la tassa fissa di una sottrazione da 50 miliardi di euro
all’anno, tarpa le ali a qualunque progetto di palingenesi. Debito
chiama debito e così solo di interessi passivi l’Italia si trova a
pagare 81 miliardi all’anno. E’ per questo che il debito pubblico si è
innalzato a 2146 miliardi. Invariabilmente cresciuto in una solerte
linea di continuità da Berlusconi a Monti, da Letta come a Renzi. E’ una
piega irreversibile che non muterà traiettoria se non si modificherà la
filosofia del manovratore, cioè dello Stato, cioè del Governo, cioè
della coalizione. La Germania, uscita prostrata e bombardata dalla
seconda guerra mondiale, nel 1953 ridiscusse il debito con gli alleati e
trovò la forza per una poderosa inversione di tendenza che, unita
all’inclinazione virtuosa di governanti e popolo (da loro non c’è mafia,
c’è scarsa corruzione e ancora meno si rintraccia l’evasione
fiscale, queste tre concomitanze costano all’Italia circa 380 miliardi
all’anno) produsse quella resurrezione che ha portato all’attuale
condizione di benessere. Fu una decisione politica ante-Europa unita che
sparigliò l’esistente. Il vincitore capì che doveva essere clemente.
L’Europa attuale ha una politica di equilibri e il suo import export
dipende anche dall’Italia. Dunque il nostro paese, a differenza della
Grecia, anche in forza della propria ricchezza lorda (attualmente le
famiglie italiane detengono valore per 8.3000 miliardi di cui 2.200
cash, 250 peraltro conservati in Svizzera) avrebbe la possibilità di
transare nuove condizioni. Chi può credere oggi che scontando 50
miliardi all’anno per venti anni, l’Italia si troverà nel 2034 ad aver
dimezzato il debito? Perché i nuovi nati già nella culla devono sentirsi
ripetere che “partono” con un deficit pro capite di 36.000 euro? Che
male hanno fatto? Che male hanno prodotto gli italiani se non essere
stati governati (da Craxi in avanti) da una classe politica inetta e non
competente, persino nelle modalità dell’ingaggio in Europa? Ci vorrebbe
una class action per far pagare alla classe dirigente l’attuale stallo
della società italiana, insabbiata nell’immobilismo, affondata nella
disperazione delle piccole tragedie di ogni giorno. Chi ha buona
memoria, anche se non farà la rivoluzione, è d’uopo che se ne ricordi
nei piccoli atti di ogni giorno, compreso il “dovere elettorale”.
By Daniele Poto - 17 giugno 2014 fonte: http://www.agoranewsonline.com
I
nostri governanti si auto eleggono riformatori, innovatori, cambiatori
del mondo e del' Italia, ma in realtà non hanno alcuna intenzione di
cambiare nulla! La prova di ciò che affermo, si può avere nella boutade dell' età pensionabile dei giudici, per esempio.
Infatti da può parti veniva richiesto che i giudici andassero in
pensione cinque anni prima. Per carità, io sono stato il primo a
scagliarsi contro questa stortura, ma solo perché trovo ingiusto
anticipare la pensione a chi nella vita non ha mai fatto nulla, se non
giocare con la vita e la libertà altrui.
Se il pensionamento è voluto solo per un mero obiettivo economico, per
applicare la spending rewieu, basta solo diminuire il loro l'auto
stipendio! Pensate che un giudice arriva a prendere un stipendio medio
di quindicimila euro al mese, e quando vanno in pensione, o in
quiescenza, come amano dire loro, arriva ad un vitalizio di circa
diecimila euro! Alla faccia del povero contadino pensionato che dopo una
vita a schiena a piegata nei campi, percepisce cinquecento euro scarsi! Ma guai a toccare i privilegi della casta. Sopratutto se quella casta protegge gli interessi di coloro che governano! Vero pd?
Qualcuno grida, o cambiamo l' Italia, o andiamo a casa! Ma come si fa a
cambiare l' Italia, se siamo unico paese al mondo, dove per aprire una
qualsiasi attività si devono passare circa venti giorni a preparare ben
trentacinque chilogrammi di carta! E non sempre dopo aver sprecato una parte della propria vita a fare gli scribacchini, si riesce ad aprire una attività! Pensate ad un cittadino che, per passione, abbia voglia di aprire una officina meccanica.
Inpensabile!!! Se questo fantomatico cittadino dovesse essere un
autodidatta, che ha consumato la vista e la schiena ad apprendere il
mestiere di cui è appassionato, non può aprire la sua attività
indipendente! Deve dimostrare che negli ultimi cinque anni ha svolto
tale attività alle dipendenze di una autofficina terza, oppure deve
essere in possesso di un diploma, o di una laurea, o, in alternativa
deve nominare un responsabile tecnico esterno, laureato! Però, se
frequenta un corso tenuto da espertoni, al costo di cinquecento/seicento
euro, dove il cittadino impara che bisogna emettere fattura, che per
scrivere una fattura con il computer, esso va acceso prima, che dopo
aver lavorato, bisogna lavarsi le mani, che l' olio esausto non può
essere buttato nella fognatura....! Ora voglio porre una domanda
semplice semplice a quel genio che ha partorito questa ideona geniale.
Ma deficiente, credi che un laureato, o un diplomato, si mette una tuta e
si sporca le mani di olio di grasso?
E se invece il cittadino vorrebbe aprire un ristorante? O Dio....!
Meglio se prende una borsetta con il panino e va a raccogliere
cicoria....
Prima cosa deve frequentare un corso HACCP, a pagamento, dove l'
aspirante ristoratore impara che il latte può andare a male, che la
carne può essere tenuta in frigo, che il pavimento della cucina va
lavato, che i piatti vanno lavati, che bisogna usare piani d' acciaio,
perché quelli in marmo non vanno bene....! Dopo di che frequenta un
altro corso dove l' aspirante ristoratore impara a fare il
commercialista....! Anchequesto a pagamento ovviamente....! E anche qui
bisogna preparare almeno trenta chili di carte....! Ovvio. L' Italia è
una repubblica fondata sulla carta....!
Ma per fortuna che ora arriva il nuovo.....! Corrado Passera ha rotto
gli indugi e si lancia a capofitto nel " cantiere" come lo chiama
lui....Ora abbiamo anche Italia Unica....!
Come? A che serve? Ma come vi permettete? Lo sapete che il Passera è
colui che ha contribuito allo sfascio della repubblica italiana, e come
tale ha il diritto/dovere di garantirsi ulteriormente un ridente futuro
da grande parassita?
Non importa che lui è stato ritenuto colpevole e condannato per
evasione fiscale! Pena patteggiata quando era a.d. Di intesa Sanpaolo!
Non importa che lui è quello che è andato da o napulitan a porgere il
suo studio per rilanciare l' economia italiana, quando al governo c' era
Berlusconi. Studio che poi è sfociato in quella macelleria sociale che
ha messo in atto il governo monti!
Ma perché in Italia ora c' è bisogno anche di Passera? Semplice! Perché
i suoi veri padroni, Draghi, Soros, EU, e Rotschild hanno notato
l'avanzare dei dissensi di coloro che volevano sottomettere. Si sono
accorti che la loro arma, chiamata euro, non è più gradita ai popoli, e
che il fronte anti euro è in avanzata inarrestabile, ed ecco che
aggiungono un mattoncino, al loro muro composto da criminali, da
parassiti, da incapaci e da ladri!
Ovviamente il nuovo che avanza ha già pronto un altro studio.....! Non
importa che il nuovo che avanza sia già vecchio. L' importante è che lo
studio che ha preparato, sia a tutela della macelleria sociale, sia teso
a salvaguardare l'oro euro e le banche, e che sia ampiamente
distruttivo per il popolo!
E volete scommettere che o napulitan, non appena Renzi sarà estromesso,
stai sereno Matteo, nominerà il passera solitario premier! E così che Davide (pochi ladri nominati dai banchieri) mangio Golia il popolo italiano dormiente.....! Giovanni Verrecchia - 17 giugno 2014 fonte: http://www.agoranewsonline.com
PONZIO PILATO........E I SOLITI ANNUNCI
( Cambiano gli attori ... ma il copione è sempre lo stesso !! )
_________
Il governo prende posizione sui Marò
Nella
speranza che sia la volta buona, anche il governo Renzi tramite il
Ministro della Difesa, ha deciso di imporre una svolta alla trattativa
con il governo indiano
“Dobbiamo
trovare un’intesa con l’India. Se ci sarà, bene; altrimenti andremo
all’arbitrato internazionale”. Parole che sembra ferme finalmente per
una faccenda che si trascina in modo imbarazzante per il nostro paese da due anni e mezzo, quella dei due Marò trattenuti nel grande paese asiatico.
E’ stata ill ministro della Difesa Roberta Pinotti, intervistata da Radio 24,
a dire che la vicenda deve trovare una soluzione in tempi brevi.
Trattativa con l’India finora prudente, per non compromettere le
commesse con Finmeccanica? «Io non ci voglio credere», risponde Pinotti.
Nel merito della questione giuridica, il ministro della Difesa
ribadisce che «l’immunità funzionale è il punto sul quale il governo
italiano ha puntato la sua nuova strategia. L’Italia non accetta che ci
sia una giurisdizione indiana e porrà la questione a livello
internazionale. Ma, visto che la procedura dell’arbitrato è lunga, io
spero sempre che i due nuovi governi che ora si sono insediati a Roma e a
New Delhi trovino l’intesa».
Quanto alla restituzione dei nostri marò tornati in Italia nel Natale 2012,
decisa dall’allora governo Monti, Pinotti preferisce non rispondere
«perché – spiega – sono responsabilità di un governo precedente e
sarebbe scorretto commentare da parte del governo successivo». Non vuol
dire, dunque, se Monti ha tradito i marò? «No, non lo voglio dire»,
replica seccamente.
di Direzione - 17 giugno 2014
fonte: http://www.iljournal.it/
Un
esposto alla magistratura che ripercorre i fatti che hanno portato i
due fucilieri di Marina Massimiliano Latorre e Salvatore Girone ad
essere detenuti in India da oltre 2 anni. L’esposto annunciato in conferenza stampa il 3 giugno è pressoché pronto (Bozza finale visionabile in www.webalice.it/termentini.fernando/appoggiofile).Non
si tratta di una denuncia contro nessuno come erroneamente titolato da
qualche giornale ma solo un’esposizione dei fatti al Magistrato affinchè
li analizzi per valutare se nella gestione degli eventi ci siano stati
errori o omissioni di rilevanza penale, in particolare per quanto
attiene il primo momento dell’accaduto quando venne dato l’ok alla Lexie
di rientrare a Koci e dal 22 marzo 2013 in poi, quando i due marò
furono riconsegnati al giudizio indebito dell’India.Un
esposto collettivo che il Generale Fernando Termentini sottoscriverà e
depositerà personalmente a nome di tutti coloro che intendono aderire
all’iniziativa i quali dovranno solo fornire i propri dati anagrafici
compreso luogo e data di nascita, residenza e CF, e consenso di adesione
(“Aderisco all’esposto del Gen. Termentini”) inviandoli all’indirizzo ftermentini@gmail.com
Non è a colpi di pubblicità che aiuteremo i nostri giovani a trovare un
lavoro, ma dimostrando loro che qualcosa si può fare. Inghilterra e
Germania si stanno muovendo. Noi, invece, cosa stiamo aspettando?
L’apprendistato
come canale privilegiato di accesso al mercato del lavoro per i
giovani. Un obiettivo formalmente e frequentemente condiviso da chiunque
detenga un ruolo di responsabilità nel mondo dell’occupazione. Un
obiettivo, tuttavia, ancora lontano, come testimoniano le ultime rilevazioni
Isfol e Inps sul numero di contratti di apprendistato attivati ogni
anno: meno 22.635 nel 2012 rispetto all’anno precedente. Ma non è
tutto. Chiunque avesse riposto fiducia nell’attuazione del piano
Garanzia Giovani come ultima occasione per vedere aumentare gli incontri
tra i giovani in cerca di lavoro e l’apprendistato, sarà
inevitabilmente costretto a ricredersi. Tra i nove strumenti presenti
nel “menù” a disposizione delle Regioni per l’implementazione del
programma, infatti, l’apprendistato si è aggiudicato l’ultimo posto
nella classifica delle ripartizione delle risorse finanziarie (il 4 per
cento su un totale di 1,4 miliardi di euro, come sottolineato da
Francesca Barbieri sul Sole 24 Ore). PUNTIAMO SOLO SUGLI STAGE. La motivazione addotta è
alquanto contraddittoria: tolto l’apprendistato professionalizzante
(escluso direttamente al tavolo con il ministero), gli apprendisti in
primo e in terzo livello in Italia sono uno sparuto gruppo. Tanto vale
lasciar perdere. Sono i tirocini, invece, a vedersi assegnate la maggior
parte delle risorse. Si aggiunga pure la fresca notizia della firma
presso il Mibac del decreto col quale sono stati stanziati fondi per 150
tirocini pagati 1000 euro al mese in importanti siti strategici e si
otterrà un sufficiente catalogo di segnali che suonano come una
programmatica rinuncia della politica, a tutti i livelli, nel promuovere
lo scambio di qualità tra formazione e lavoro per un’occupazione di
qualità. Ma puntare sui tirocini non significa altro che fotografare lo status quo del
mercato del lavoro italiano, trascurando l’incidenza della qualità
della formazione e riconciliandosi con i malumori dell’opinione pubblica
semplicemente intervenendo sul versante economico. Peraltro, con
criteri alquanto evanescenti. Molto più lungimirante sarebbe, invece,
puntare su quelle tipologie di contratto con le quali il diritto del
lavoro assicura un legame tra investimenti in capitale umano da parte
delle imprese e l’occupazione. Come dimostrano, per esempio, i
casi della Germania e della Scozia.
QUANTE OCCASIONI PERSE. La ragione del mancato
decollo dell’apprendistato non si trova nella densità degli adempimenti
burocratici richiesti. Né la maggiore onerosità è una spiegazione di per
sé sufficiente. Le cause fondamentali sono, piuttosto, di natura
culturale. Che l’apprendistato per la qualifica e il diploma e quelli di
alta formazione e di ricerca siano sostanzialmente sconosciuti ai
ragazzi come alle imprese, nonché misconosciuti dalla maggior parte dei
contratti collettivi, è noto. Tuttavia, proprio quella della Garanzia Giovani
avrebbe potuto essere un’importante opportunità per dare un primo vero
impulso alla promozione dell’apprendistato, a tutti i livelli,
sfruttando la razionalizzazione prevista dei servizi per l’impiego per
ottenere una maggiore capillarità nella comunicazione dei vantaggi di
questa forma di contratto. La comunicazione dell’apprendistato in
Italia, invece, si è composta finora soltanto di pochi episodi isolati:
uno spot voluto dall’ex Ministro Fornero con Fiorello a fare da
testimonial, circolato in radio e tv durante i primi mesi dello scorso
anno ma dagli effetti tanto deludenti da essere stato descritto
recentemente dallo stesso Ministro come “rimasto nel cassetto”;
un sito istituzionale, anch’esso ormai dimenticato, privo di
interattività e che impallidisce al confronto con le migliori esperienze
internazionali (si veda, su tutti, il portale del Apprenticeship National Service inglese e si avrà un eccellente esempio di cosa la comunicazione dell’apprendistato possa essere);
un video tutorial istituzionale (1750 visualizzazioni) destinato ai
giovani, che illustra il funzionamento della Garanzia Giovani
affiancando come fossero indistinti tirocinio e apprendistato e
rischiando quindi di alimentare la confusione che già regna a riguardo;
un video istituzionale destinato alle aziende (4302
visualizzazioni), dove, oltre la figura quasi caricaturale
dell’imprenditore, è da rilevare lo stridore tra la così descritta
“occasione per le imprese per formare professionisti ed essere più
competitive” e la scelta delle regioni di privilegiare i tirocini.
RACCONTIAMO STORIE. Quale che sia la fortuna che
incontreranno i messaggi sinora lanciati, chi si occupa di piani di
comunicazione istituzionali dovrebbe operare con la consapevolezza che
la cultura non si cambia a suon di spot, né con agognate campagne di
marketing virale, ma con la relazione e lo scambio di buone prassi.
Insomma, la comunicazione dell’apprendistato ha bisogno di relazione e
storie, storie che semplicemente raccontino che “si può fare” e come.
L’apprendistato non è un prodotto da pubblicità, è un’esperienza di
vita. Funziona se qualcuno ce la racconta e la testimonia. Un’operazione
fatta di piccoli tasselli, forse quasi ininfluente nel brevissimo
periodo sull’opinione pubblica, ma al contempo capace nell’immediato di
ispirare e orientare la ricerca di identità individuale, sia quella di
un imprenditore con la passione per il talento, sia quella di un giovane
alle prese con la prima ricerca del lavoro. Si tratterebbe di un
incentivo persuasorio che alla lunga potrebbe offrire un irrinunciabile
sostegno alle riforme basate su sgravi, incentivazioni e
deregolamentazione. Una visione di politica comunicativa di lungo raggio
che punti a costruire progressivamente e pazientemente una cultura
imprenditoriale e sindacale favorevole all’incontro sinergico tra
formazione e lavoro, invece, è ancora da attendere. Sino a quando?
Narendra Modi, capo del nazionalista liberista Partito del Popolo Indiano (BJP) ha conseguito una schiacciante vittoria elettorale.
Potrà attuare le profonde riforme previste nel suo programma liberista e
di apertura dell’India all’economia mondiale. Ha la maggioranza
assoluta dei seggi nella Camera Bassa (282 deputati su 543, che
divengono 336 con l’aggiunta di quelli vinti dai partiti alleati
nell’Alleanza Democratica Nazionale). E’ un evento che non inciderà solo
sul futuro dell’India, ma anche su quello del mondo. Il rivale Partito
del Congresso, socialisteggiante, dinastico e dominato dalla famiglia
Nehru-Gandhi, ha subito un tracollo: solo 44 deputati.
LE RIFORME PROMESSE L’attuazione delle riforme promesse
da Modi avrà un profondo impatto. L’India, denominata ora “ufficio del
mondo”, per la prevalenza nella sua economia del terziario avanzato,
competerà con la Cina – “officina del mondo” – nel
settore manifatturiero. Modi propone un’accelerata industrializzazione e
infrastrutturazione del paese. Un aspetto folcloristico consiste nel
progetto di purificazione delle acque del Gange. L’economia indiana da
chiusa si aprirà al mercato globale. Gli investimenti esteri verranno
favoriti. Riprenderà la crescita, penalizzata dai
sussidi e dai programmi sociali del Partito del Congresso. Milioni di
persone si sposteranno dall’agricoltura all’industria. L’economia
mondiale conoscerà uno shock simile a quello prodotto dall’entrata della
Cina nella globalizzazione. Verrà rivoluzionato il mercato delle commodities, per l’aumento dei consumi energetici e di materie prime da parte indiana.
IL POTENZIALE INDIANO L’India ha un enorme potenziale
di sviluppo. Modi si propone di attivarlo. Vi sono le premesse per
farlo. Il governo sarà molto più stabile dei precedenti. Non sarà più in
balia dei partiti e interessi localistici e castali. Potrà impostare e
gestire un programma di sviluppo nazionale, se necessario imponendolo
alle variegate e litigiose componenti della società indiana, divisa in
28 Stati e varie aree metropolitane, gelosi tutti della loro autonomia.
Modi potrebbe essere per l’India quello che Deng Xiaoping
è stato per la Cina. Rispetto a quest’ultima, l’India ha un grande
vantaggio: il “dividendo demografico”. La sua popolazione è giovane e
cresce rapidamente. Nel 2100, secondo l’ONU, avrà 1,5 miliardi di abitanti,
rispetto ai “soli” e molto più vecchi 900 milioni della Cina. La
forza-lavoro dell’India sarà doppia di quella cinese. Il suo sistema
bancario è poi molto più efficiente di quello cinese. Le tensioni con la
Cina aumenteranno la già consistente presenza giapponese. Ottime
prospettive esistono anche per la collaborazione economica con l’Europa. La principale sfida che dovrà affrontare Modi è la lotta alla corruzione. Se la vincerà, un nuovo colosso industriale entrerà in pochi anni sulla scena mondiale.
LE CONSEGUENZE GEOPOLITICHE Più incerte, anche se certamente molto rilevanti, sono le conseguenze geopolitiche della crescita del secondo gigante asiatico. Il sistema Asia-Pacifico
s’integrerà con quello dell’Oceano Indiano. La penisola indocinese,
teatro storico della competizione fra l’India e la Cina – come
suggerisce il suo stesso nome – vedrà una lotta per l’influenza fra New
Delhi e Pechino. Il confronto con la Cina si estenderà all’ASEAN, al Medio Oriente e all’Africa.
Interesserà anche l’America Latina. India e Brasile fanno parte con il
Sudafrica dell’IBSA, associazione che coordina le politiche dei tre
paesi nel gruppo dei BRICS e del G-20. Si accentuerà la politica del
“Look East”, adottata dall’India dopo la fine della guerra fredda, data
la perdita d’importanza del Gruppo dei Paesi Non Allineati, di cui
l’India era a capo sin dalla sua creazione a metà degli anni cinquanta.
Tale politica ha portato alla collaborazione dell’India con il Giappone,
la Corea del Sud e con l’Australia, pur non dando luogo a una vera e
propria alleanza. Si attenuerà il timore indiano di farla percepire come
una politica di contenimento della Cina. L’India, comunque, ha
sviluppato già accordi con i paesi dell’ASEAN, specie con il Vietnam e
le Filippine. Effettua esplorazioni sottomarine nel Mar Cinese
Meridionale – che significativamente viene chiamato in India “Oceano
Indiano Orientale” – in aree su cui la Cina rivendica piena sovranità.
LE TENSIONI FRA USA E PAKISTAN Le tensioni esistenti fra gli USA e il Pakistan, avversario tradizionale dell’India,
e il ritiro americano dall’Afghanistan conferiranno un nuovo dinamismo
alla politica estera indiana. Modi è fautore di un potenziamento
militare, soprattutto navale. Non per nulla, uno dei suoi primi atti da
capo del governo è significativamente consistito nell’imbarco sulla
nuova portaerei indiana. Ha affermato di voler dotare la Marina, entro
10 anni, di ben sei gruppi portaerei, con cui dominare
l’Oceano Indiano, dall’Indocina all’Africa, contrastando la strategia
cinese denominata “collana di perle”. Essa consiste nella costruzione da
parte di Pechino di una catena di porti, estesa dal Golfo del Bengala
alle Maldive. Essi potrebbero rapidamente essere trasformati in basi
militari.
IL SOSTEGNO DI MOSCA L’India, sin dalla sua indipendenza,
si è appoggiata a Mosca, anche perché gli USA erano alleati del
Pakistan, che costituiva anello della catena di alleanze (METO e SEATO),
volte a contenere l’URSS. Importa dalla Russia gran parte dei suoi
armamenti, anche se ha cercato ultimamente di importarli anche
dall’Occidente. Purtroppo, lo scandalo delle “mazzette” di
Agusta-Westland sembra aver chiuso, almeno temporaneamente, il mercato
per l’Italia. Forse nuove possibilità di collaborazione si presenteranno
per l’intenzione di Modi di potenziare l’industria degli armamenti
nazionale, trascurata dai precedenti governi, eccezion fatta per le sue
componenti nucleare e missilistica. Modi non condivide la diffidenza
verso i militari del Partito del Congresso, che li considerava troppo
legati all’Occidente e simpatizzanti con il partito nazionalista indù.
Ha già affidato il Consiglio Nazionale della Sicurezza a ex-capi dello
Stato Maggiore Generale e dei Servizi d’Intelligence. Sa, comunque che,
per vari decenni, l’India non sarà in condizioni di bilanciare la
potenza militare cinese e che gli equilibri di potenza in Asia
dipenderanno dagli USA. A Modi “brucia” ancora, la sconfitta inflitta
all’India da Pechino nella guerra himalayana del 1962.
Prima di sfidare apertamente la Cina, dovrà aspettare anni. Darà
priorità alla crescita economica, facilitata dalla stabilità strategica.
In questo senso ha mosso i primi passi in politica estera, cercando si
attenuare il contenzioso con il Pakistan, convocando una riunione
dell’Associazione degli Stati dell’Asia Meridionale e promuovendo
contatti con Pechino.
IL GIOCO DELLE POTENZE L’equazione strategica mondiale
sarà influenzata dal come l’India si collocherà nel gioco delle grandi
potenze, che determinerà il futuro ordine mondiale. Si legherà
maggiormente agli USA? Rafforzerà i suoi rapporti con la Russia?
Parteciperà più attivamente alla SCO (Shanghai Cooperation
Organization)? Manterrà i piedi in due staffe: quella
degli USA e quella del blocco continentale Russia-Cina, che contesta
l’attuale ordine mondiale unipolare, centrato sugli USA? Cercherà di
costituire un nuovo gruppo di Stati non-allineati fra i due? Sono
interrogativi a cui per ora non è possibile dare risposta. Molto
dipenderà dai rapporti con il Pakistan e da che cosa avverrà in Afghanistan,
paese su cui l’India intende esercitare un’influenza, forse assieme
all’Iran e alla Russia. Tale politica potrebbe metterla in rotta di
collisione con la Cina, legatissima al Pakistan.
L’ORGOGLIO NAZIONALE Una costante della politica estera
indiana è stata sin dall’indipendenza del 1947 uno spiccato orgoglio
nazionale. La questione riguarda direttamente l’Italia, per l’incredibile vicenda dei due Marò,
trattenuti ormai da oltre due anni, senza neppure che sia stato
iniziato il loro processo. Dopo gli altrettanto incredibili pasticci
combinati dai passati Governi italiani sembra che ci sia messi sulla
buona strada: quella di appellarsi alla giustizia internazionale.
L’avvento di Modi, che non può essere attaccato “da destra”, potrebbe
aprire la strada a una soluzione a tale vicenda mortificante per il
nostro Paese. Un’intesa potrebbe migliorare i rapporti con l’Italia che
ha avuto sempre ottime relazioni con l’India.
Carlo Jean 18 - 06 - 2014
fonte: http://www.formiche.net
Salvare dalla morte in mare è un conto, accogliere
stabilmente nel proprio Paese un altro. Il primo è un obbligo assoluto per ogni
collettività civile, la seconda è una scelta politica. L’operazione «Mare
nostrum» implica invece la contraddittoria sovrapposizione/identità delle due
cose. In tal modo infatti viene percepita dall’opinione pubblica, e proprio
perciò essa rischia alla lunga di divenire insostenibile.
Finora le autorità italiane hanno cercato di eludere la contraddizione ora
detta ricorrendo a un escamotage . In pratica, salviamo dal naufragio gli
immigrati ma, contravvenendo alle disposizioni europee, spesso evitiamo di
identificarli nel solo modo possibile, cioè prendendo le loro impronte digitali
e depositando queste in una banca dati europea. In tal modo è loro possibile
cercare di andare (e restare) in qualche altro Paese dell’Unione Europea perché
da esso, anche se scoperti, non potranno mai essere rinviati nel Paese di prima
accoglienza che li ha identificati — come prescrivono sempre le norme europee —
semplicemente perché un tale Paese non è mai esistito.
È in questo modo che l’Italia, alla quale sotto questo riguardo fa buona
compagnia tutta l’Europa, evita di affrontare la questione cruciale: quanti
immigrati possiamo (può l’Unione) assorbire? Nessuno lo sa e/o lo dice: dieci
milioni, venti milioni? I numeri che premono dall’Africa e dall’Asia sono di
quest’ordine, ma nessuno se ne cura. Sembra che neppure sia lecito porsi la
domanda.
Che tuttavia resta la domanda. Anche se preferiamo aggirarla definendo
«operazione umanitaria» di salvataggio qualcosa che è senz’altro questo, sì, ma
che, per le ragioni dette sopra, è pure una decisione politica di accoglienza.
Una decisione che appartiene peraltro a quel genere di decisioni che hanno due
caratteristiche che dovrebbero far tremare le vene ai polsi di qualunque
politico si appresti a prenderle, dal momento che: a) una volta adottata è
terribilmente difficile revocarla, e, b), una volta adottata, il ruolo di chi
la adotta non può che essere di totale passività.
E infatti è questo il nostro caso. L’Italia e il suo governo, una volta deciso
di affrontare l’immigrazione transmarina con l’operazione «Mare nostrum», di
fatto non sono più in grado di esprimere alcun punto di vista o di sostenere
alcun interesse proprio con una minima possibilità di far valere concretamente
l’uno o l’altro. Anche perché privi di reali interlocutori. Essi svolgono più o
meno il ruolo che svolge un centralino dei Vigili del fuoco nel rispondere alle
chiamate di soccorso. Punto e basta.
Ma anche se non riceve risposta, la domanda decisiva resta in tutta la sua
crucialità: quanti immigrati può accogliere l’Italia? Quanti l’Europa? Un
numero illimitato? Può essere, ma allora sarebbe bene dirlo.Invece le classi
politiche italiane ed europee hanno preferito finora far finta di nulla, e nei
fatti conformarsi ai due comandamenti etici e/o ideologici che sembrano
prevalere presso le loro opinioni pubbliche. Quello del cosmopolitismo
multiculturale da un lato, e quello della sollecitudine cristiana per i
derelitti dall’altro.
Entrambi ottimi principi i quali, però, non solo non servono
a governare il fenomeno migratorio, ma contribuiscono non poco a dare
l’impressione — pregna ahimè di contenuti politici — di un Paese e di un
continente che di fronte all’immigrazione non sanno fare altro che tenere la
porta aperta e lasciare entrare chiunque voglia. Alimentando così il richiamo
che esercitano sull’elettorato europeo (non sempre di destra!) i partiti che si
ispirano a un radicalismo identitario fortemente xenofobo; i quali sono ben
lieti di approfittare della politica dello struzzo adottata da troppe forze
democratiche, della loro troppo frequente rinuncia suicida a dare voce alle
ragioni dell’interesse e dell’identità nazionali.
Pensare che dal bene non possa che nascere il bene è da ingenui o da
sprovveduti. Soprattutto nelle democrazie è spesso dal bene che può nascere il
male: e in genere quando ci se n’accorge è regolarmente troppo tardi.