Mentre in tutti i Paesi normali, quelli cioè nei quali lo Stato funziona bene o piuttosto bene, la cosiddetta crescita ha un senso oggettivamente positivo, da noi non è così. L’incremento del Prodotto interno lordo, infatti, soprattutto se accompagnato da comportamenti virtuosi in campo sociale, amministrativo e produttivo, genera un miglioramento complessivo della qualità della vita della gente.
Cresce l’economia, crescono le risorse disponibili, la redistribuzione e dunque in cascata dall’occupazione ai consumi fino ai servizi, tutto ne trae beneficio. In breve sintesi, in un Paese normale quando sale il Pil e tutta una serie di altri indicatori funzionali al bene collettivo, i cittadini se ne accorgono eccome. Tant’è vero che in questi sistemi assieme alla crescita arrivano più o meno uniformemente benefici tangibili nel livello della qualità della vita sociale. Stiamo parlando però di Paesi normali, quelli cioè dove la giustizia, il fisco, la previdenza, l’assistenza, i servizi ai cittadini, il mondo del lavoro e specialmente il rispetto delle risorse pubbliche primeggiano.
Sia chiaro, il bengodi non esiste in nessuna parte del mondo e particolarmente nei periodi di crisi i limiti, i difetti e le disfunzioni si fanno sentire ovunque. Eppure nonostante le difficoltà nei Paesi normali quando i cicli negativi si invertono e inizia a tornare il sereno gli effetti sono immediati, forti e diffusi sul territorio. La gente sta meglio, il lavoro aumenta, gli investimenti crescono, il volume dei redditi sale, la pressione fiscale si stempera, i servizi migliorano e le infrastrutture si aggiornano. Ecco perché quando la crescita si incrementa altrettanto fa la fiducia, la soddisfazione collettiva, l’affidabilità del sistema, la considerazione dei mercati.
Da noi tutto ciò non vale, da noi al massimo un incremento del Pil può significare un po’ di capacità in più a fronteggiare i debiti. Da noi se cresce il Pil e qualche altro indicatore il Paese non se ne accorge nemmeno. Tant’è vero che in questi mesi, durante i quali in vista delle elezioni il Governo e la maggioranza hanno strombazzato e fatto strombazzare i successi economici, la gente si è indispettita di più. Indispettita ulteriormente perché da noi ovviamente la crescita è quasi sempre solo sulla carta e non si traduce mai in un miglioramento reale dello stato delle cose.
Infatti, nonostante il progresso del Pil in Italia continua a non funzionare nulla, anzi se possibile qualcosa peggiora, vedi previdenza, fiscalità, burocrazia, sicurezza, sanità. Ecco perché l’enfasi con la quale si sbandiera l’aumento del Pil per suggestionarci è un’enfasi “ipocrita” e strumentale. Tanto è vero che all’aumento del Prodotto interno lordo non è corrisposto un aumento di niente nella vita degli italiani. Siamo alle solite della demagogia del centrosinistra, che si appropria come sempre ha fatto di meriti e vittorie che semplicemente non esistono. Infatti, in Italia siamo cresciuti solo per congiuntura e per merito dell’oceano di liquidità che la Bce ha fatto immettere nel mercato. In realtà nel nostro Paese non è migliorato niente, perché niente è stato fatto dal centrosinistra perché migliorasse. Dai servizi pubblici alla fiscalità, dall’accesso al credito alle liberalizzazioni, dalla burocrazia alla mala gestione, nulla è cambiato, dunque un po’ di Pil in più non modifica lo status quo. O meglio come si diceva, modifica la capacità di pagare i debiti che nel frattempo purtroppo sono cresciuti e di molto.
Serve una rivoluzione strutturale del sistema paese, una rivoluzione culturale nell’approccio ai problemi, una rivoluzione sul metodo di crescita e sviluppo. Solo così all’aumento del Pil potrà accompagnarsi l’aumento del benessere e del beneficio per tutti, sia sociale che economico. Per questo serve un’altra politica e un’altra capacità di pensiero e di governo, che il centrosinistra non ha avuto, non può avere e forse difficilmente avrà mai.