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Non smettete mai di protestare; non smettete mai di dissentire, di porvi domande, di mettere in discussione l’autorità, i luoghi comuni, i dogmi. Non esiste la verità assoluta. Non smettete di pensare. Siate voci fuori dal coro. Un uomo che non dissente è un seme che non crescerà mai.

(Bertrand Russell)

28/10/17

L’uso ipocrita della parola “crescita”


L’uso ipocrita della parola “crescita”


Mentre in tutti i Paesi normali, quelli cioè nei quali lo Stato funziona bene o piuttosto bene, la cosiddetta crescita ha un senso oggettivamente positivo, da noi non è così. L’incremento del Prodotto interno lordo, infatti, soprattutto se accompagnato da comportamenti virtuosi in campo sociale, amministrativo e produttivo, genera un miglioramento complessivo della qualità della vita della gente.
Cresce l’economia, crescono le risorse disponibili, la redistribuzione e dunque in cascata dall’occupazione ai consumi fino ai servizi, tutto ne trae beneficio. In breve sintesi, in un Paese normale quando sale il Pil e tutta una serie di altri indicatori funzionali al bene collettivo, i cittadini se ne accorgono eccome. Tant’è vero che in questi sistemi assieme alla crescita arrivano più o meno uniformemente benefici tangibili nel livello della qualità della vita sociale. Stiamo parlando però di Paesi normali, quelli cioè dove la giustizia, il fisco, la previdenza, l’assistenza, i servizi ai cittadini, il mondo del lavoro e specialmente il rispetto delle risorse pubbliche primeggiano.
Sia chiaro, il bengodi non esiste in nessuna parte del mondo e particolarmente nei periodi di crisi i limiti, i difetti e le disfunzioni si fanno sentire ovunque. Eppure nonostante le difficoltà nei Paesi normali quando i cicli negativi si invertono e inizia a tornare il sereno gli effetti sono immediati, forti e diffusi sul territorio. La gente sta meglio, il lavoro aumenta, gli investimenti crescono, il volume dei redditi sale, la pressione fiscale si stempera, i servizi migliorano e le infrastrutture si aggiornano. Ecco perché quando la crescita si incrementa altrettanto fa la fiducia, la soddisfazione collettiva, l’affidabilità del sistema, la considerazione dei mercati.
Da noi tutto ciò non vale, da noi al massimo un incremento del Pil può significare un po’ di capacità in più a fronteggiare i debiti. Da noi se cresce il Pil e qualche altro indicatore il Paese non se ne accorge nemmeno. Tant’è vero che in questi mesi, durante i quali in vista delle elezioni il Governo e la maggioranza hanno strombazzato e fatto strombazzare i successi economici, la gente si è indispettita di più. Indispettita ulteriormente perché da noi ovviamente la crescita è quasi sempre solo sulla carta e non si traduce mai in un miglioramento reale dello stato delle cose.
Infatti, nonostante il progresso del Pil in Italia continua a non funzionare nulla, anzi se possibile qualcosa peggiora, vedi previdenza, fiscalità, burocrazia, sicurezza, sanità. Ecco perché l’enfasi con la quale si sbandiera l’aumento del Pil per suggestionarci è un’enfasi “ipocrita” e strumentale. Tanto è vero che all’aumento del Prodotto interno lordo non è corrisposto un aumento di niente nella vita degli italiani. Siamo alle solite della demagogia del centrosinistra, che si appropria come sempre ha fatto di meriti e vittorie che semplicemente non esistono. Infatti, in Italia siamo cresciuti solo per congiuntura e per merito dell’oceano di liquidità che la Bce ha fatto immettere nel mercato. In realtà nel nostro Paese non è migliorato niente, perché niente è stato fatto dal centrosinistra perché migliorasse. Dai servizi pubblici alla fiscalità, dall’accesso al credito alle liberalizzazioni, dalla burocrazia alla mala gestione, nulla è cambiato, dunque un po’ di Pil in più non modifica lo status quo. O meglio come si diceva, modifica la capacità di pagare i debiti che nel frattempo purtroppo sono cresciuti e di molto.
Serve una rivoluzione strutturale del sistema paese, una rivoluzione culturale nell’approccio ai problemi, una rivoluzione sul metodo di crescita e sviluppo. Solo così all’aumento del Pil potrà accompagnarsi l’aumento del benessere e del beneficio per tutti, sia sociale che economico. Per questo serve un’altra politica e un’altra capacità di pensiero e di governo, che il centrosinistra non ha avuto, non può avere e forse difficilmente avrà mai.

Brescia, arrestato l’imprenditore dell’accoglienza. Guadagnava 7mila euro al giorno coi profughi





Brescia, 27 ott – Lo chiamavano l’imprenditore dell’accoglienza e guadagnava fino a 7 mila euro al giorno con i profughi. È stato arrestato. Angelo Scaroni, 43enne imprenditore bresciano di Montichiari attivo nel settore del legno e immobiliare, è finito questa mattina agli arresti domiciliari. Si era inventato il business dei migranti ed è accusato di truffa ai danni dello Stato nell’ambito della gestione dei profughi. Ed è l’ennesima conferma di come dietro al dramma migratorio sia fiorito un vero e proprio giro d’affari che truffa le casse dello Stato.
Di lui si era cominciato a parlare nel giugno scorso, quando la Procura di Brescia aprì un’inchiesta sugli affari di alcune strutture di accoglienza che ospitavano oltre 300 immigrati. Le strutture erano tutte gestite da imprenditori privati, con modalità poco trasparenti. Alcune di loro avevano vinto bandi della Prefettura per l’accoglienza degli immigrati destinati a Brescia e provincia, ma in alcuni casi le strutture indicate erano inesistenti e in altri casi non avevano le carte in regola per ospitare le persone.
L’imprenditore partecipava ai bandi, non e ha perso uno dal 2015, mediante autocertificazioni relative alle varie strutture. Solo all’ultimo bando, del settembre scorso, non ha partecipato perché essendo indagato lo ha ritenuto “non opportuno”.
Scaroni, lui o la sua famiglia, è proprietario di una quarantina tra appartamenti, ristoranti e alberghi. Tutti vennero perquisiti dai carabinieri nel giugno scorso. Per vincere gli appalti Scaroni ammassava i profughi in spazi ristretti, guadagnando con essi cifre da capogiro con i famosi 35 euro al giorno che vengono stanziati per l’accoglienza degli immigrati.
A giugno, quando venne messo sotto inchiesta l’imprenditore diceva: “Ho piena fiducia nella magistratura. Sono sicuro che si chiarirà tutto molto presto” e aggiungeva che in merito alle strutture inesistenti forse si trattava solo di errori di compilazione, perché “solo chi non lavora non sbaglia”. In tutto la truffa che Scaroni ha orchestrato e messo in atto nel confronti dello Stato è di circa 900 mila euro

Anna Pedri -

27/10/17

Cinque anni, una rovina targata Pd


Cinque anni, una rovina targata Pd

Se in questa legislatura al timone della Banca centrale europea non ci fosse stato Mario Draghi la rovina si sarebbe trasformata in catastrofe. Difficile fare peggio di Mario Monti, eppure il Partito Democratico con Enrico Letta, Matteo Renzi e ora Paolo Gentiloni in cinque anni c’è riuscito.

Non si guardi, infatti, a quel minimo di crescita e di numeri positivi che in queste ultime settimane sono strombazzati per confondere e suggestionare ad hoc. Con quello che ha fatto e dato Draghi e con una maggioranza capace, in cinque anni l’Italia sarebbe stata un’altra. Invece ci ritroviamo con il Paese invaso da un’immigrazione incontrollata, destabilizzante e i problemi di sempre stanno tutti lì. Il fisco è più avido che mai e la rottamazione è stata solo una cartina tornasole per fare cassa e non certo per risolvere la guerra tra amministrazione e contribuenti. Ben altro sarebbe stato necessario per riportare la fiscalità nel quadro di un rapporto amico, semplice, giusto e collaborativo con la gente. Per non parlare dell’apparato pubblico e della qualità dei servizi offerti, che sono precipitati a un livello vergognoso. Tra scandali, nullafacenti, furbetti, finti malati e uffici inutili, abbiamo toccato il fondo dello statalismo deteriore. Oltretutto, in questo settore anziché disboscare e riequilibrare, il Pd per cercare voti continua ad assumere e premiare. Roba da non credere. Siamo il Paese con la macchina statale più grande, costosa e inefficiente, eppure continuiamo a espanderla invece di metterla in riga. Ecco perché la revisione della spesa non c’è stata, perché per il Pd lo statalismo è funzionale al consenso elettorale. Stendiamo poi un velo pietoso sulla previdenza, fra Letta, Renzi e Gentiloni il massimo è stato provvedere a quella scriteriatezza dell’Ape che “serve solo a chi non serve”.
Sulle pensioni un Governo serio avrebbe messo mano all’indecenza dei diritti acquisiti per favorire chi non ce la fa e le generazioni future. Perché sia chiaro, i conti dell’Inps sono in crisi non per l’allungamento della vita, ma per lo schifo di leggi ingiuste emanate nel tempo e volute da Dc e Pci, che non si ha il coraggio di correggere. Fa ridere, infatti, il tentativo attuale della maggioranza di lavarsi l’anima proponendo di respingere l’innalzamento dell’età pensionabile. Lo sanno anche i bambini che il problema previdenziale non sta lì, eppure il centrosinistra fa il finto tonto. Così come in questi cinque anni si è fatto finta di non capire che tutto il sistema del credito, Bankitalia in testa, andava riformato e aggiornato, altro che prendersela con Ignazio Visco.
Per non dire poi della burocrazia sulla quale nulla è stato fatto, a partire da una delegificazione e dalla chiusura di tanti uffici inutili e costosi. Sulla giustizia stendiamo poi un velo pietoso, non si contano gli ammonimenti dell’Unione europea sul malfunzionamento, ma anche qui anziché riformarla la si è assecondata supinamente per ipocrisia intellettuale. Tanto è vero che non solo da noi la giustizia è lenta e ingiusta, ma continua a essere sempre più invisa ai cittadini che non si sentono garantiti.
Insomma, in Italia in cinque anni di centrosinistra si è pensato solo al potere, alle poltrone, al clientelismo anziché risolvere i problemi della gente, degli artigiani, degli autonomi e dei piccoli imprenditori. Dulcis in fundo, giovani e occupazione, un buco nero sul quale il Jobs Act ha messo solo un po’ di cipria tanto è vero che i laureati espatriano e il lavoro stabile latita. Non è questione di essere disfattisti, ci stiamo limitando in tutti i sensi, a riportare una realtà che è sotto gli occhi di tutti tranne che del centrosinistra.
Ecco perché bisogna cambiare pagina, passo e politica di Governo, ecco perché Letta, Renzi e Gentiloni hanno fallito. Del resto basta leggere le cronache quotidiane, girare per le strade, guardare qualche trasmissione in tivù (privata), per rendersene conto. A poco serve tentare di condizionare il giudizio con qualche risultato sulla crescita e sulla ripresa, panna montata rispetto al necessario e rispetto al resto d’Europa. Il tempo è scaduto e anche se Gentiloni e la sua maggioranza tenteranno un colpo di coda, il giudizio non può cambiare: bocciati senza appello.

"Perequazione dei trattamenti pensionistici" - La Consulta cede alla “ragion di Stato” e salva il decreto Renzi-Poletti


La Consulta cede alla “ragion di Stato” e salva il decreto Renzi-Poletti


Perequazione dei trattamenti pensionistici - La Corte costituzionale ha respinto le censure di incostituzionalità del decreto-legge n. 65 del 2015 in tema di perequazione delle pensioni, che ha inteso dare attuazione ai principi enunciati nella sentenza della Corte costituzionale n. 70 del 2015. La Corte ha ritenuto che – diversamente dalle disposizioni del ‘Salva Italia’ annullate nel 2015 con tale sentenza – la nuova e temporanea disciplina prevista dal decreto-legge n. 65 del 2015 realizzi un bilanciamento non irragionevole tra i diritti dei pensionati e le esigenze della finanza pubblica”.

Questo il testo del comunicato stampa con cui la Consulta l’altro ieri ha comunicato la decisione di respingere il ricorso contro il blocco della perequazione. In attesa di leggere la sentenza e di conoscerne le motivazioni, mi limiterò ad alcune considerazioni “a caldo”. Ma prima provo a ripercorrere brevemente le principali tappe della vicenda.
Con sentenza n. 70 del 2015, la cosiddetta “Sentenza Sciarra”, la Consulta dichiara l’illegittimità del blocco della rivalutazione delle pensioni superiori la tre volte il trattamento minimo Inps (1443 euro lordi nel 2015) previsto dalla Legge Fornero del 2011. Tale blocco, infatti, comportando una perdita definitiva del potere d’acquisto dei pensionati, sacrifica in modo irragionevole il Diritto costituzionale a una prestazione adeguata, per di più nel nome di generiche esigenze finanziarie.
A seguito di quella decisione l’Inps avrebbe dovuto rimettere nelle tasche dei pensionati la rivalutazione maturata e adeguare gli assegni pensionistici futuri, con un esborso stimato di circa 17,5 miliardi di euro nel 2015 e di oltre 4,4 nel 2016 e per ogni anno successivo. Il Governo decide quindi di correre ai ripari confezionando in fretta e furia un decreto, il n. 65/2015 (Renzi-Poletti), con cui restituisce ad una parte dei pensionati una minima parte degli arretrati per il 2012-2015: poco più di 2 miliardi di euro, rispetto ai 17,5 dovuti. È dunque evidente che il Governo ha fatto finta di dare attuazione ai principi enunciati nella sentenza della Corte ma in realtà ne ha aggirato il dispositivo. Ma veniamo ad oggi.
Per il momento non è possibile sapere in base a quale “acrobazia argomentativa” i giudici abbiano deciso di salvare integralmente il decreto Renzi-Poletti: nel comunicato si accenna solo a “un bilanciamento non irragionevole tra i diritti dei pensionati e le esigenze della finanza pubblica”.
Sarà. Una cosa però è certa: assieme alle legittime aspettative di oltre 5 milioni di pensionati, sotto il rullo compressore della Corte finiscono per essere schiacciati numerosi, importanti e (fino ad oggi) consolidati principi e si apre una pericolosa breccia nel sistema. La Corte infatti non solo contraddice se stessa, a distanza di appena due anni, ma assolve anche un legislatore che, in aperto contrasto con l’articolo 136 della Costituzione, si è volutamente sottratto all’attuazione di una sentenza inequivocabile, confezionando una norma che nella sostanza riproduce gli effetti di quella dichiarata incostituzionale. E, quel che è peggio, la Consulta per la prima volta riconosce la possibilità, per una legge successiva, di travolgere “diritti quesiti”, anche “fondamentali”, in nome dell’equilibrio di bilancio. Con buona pace della certezza del diritto e dell’affidamento che ogni cittadino dovrebbe poter riporre nello Stato e nelle istituzioni.
Ma in fondo, vien dare, l’esito era tutt’altro che imprevedibile. Se è vero, infatti, che nel 2015 sei membri del collegio erano a favore dei pensionati e sei contrari, e la sentenza Sciarra è stata emanata perché tra i favorevoli figurava il presidente (Criscuolo), è bene ricordare che due dei tre giudici che mancavano, nominati nel dicembre 2015, si erano espressi apertamente contro la sentenza Sciarra. Augusto Barbera infatti, è autore di un articolo dal titolo eloquente: “La sentenza relativa al blocco pensionistico: una brutta pagina per la corte”; e Giulio Prosperetti, anch’egli commentando la sentenza 70/2015, scriveva che dagli articoli 36 e 38 Cost. non si può “evincere il principio della immodificabilità del potere d’acquisto” delle pensioni. Sarà stato un caso?

(*) Professore di Diritto del lavoro nell’Università di Modena e Reggio Emilia

24/10/17

Il grande bluff dei sauditi





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Sono mesi frenetici in Arabia Saudita. È di qualche settimana fa la notizia che, finalmente, anche le donne del regno potranno guidare. Una svolta epocale, hanno detto tutti. Peccato che in Siria, per esempio, questo accada da decenni, così come in molti Paesi mediorientali e che l’Arabia Saudita fosse l’unico Stato al mondo a proibirlo. Il divieto, inoltre, come scrive il quotidiano Okaz, rimarrà in vigore fino al 23 giugno del 2018. Chi violerà questa norma, “rassicurano” da Riad, non andrà in prigione, ma dovrà pagare solamente una sanzione che va dai 133 ai 239 dollari.
Ma c’è di più. Recentemente, le autorità saudite hanno annunciato l’istituzione del The King Salman Complex con sede a Medina. Come riporta La Stampa, il complesso ospiterà “un consiglio di studiosi d’élite provenienti da tutto il mondo, con il compito di sradicare false ed estremiste interpretazioni attraverso la stessa lettura dei hadith del profeta Muhammad”. Insomma, nota giustamente il quotidiano di Torino, l’iniziativa suona “un po’ come una vera ammissione del problema e la volontà ancora più concreta rispetto al passato di combatterlo dalla radice. Quello della divulgazione estremista e violenta pericolosamente tollerata e incoraggiata dal wahhabismo, è sempre più evidente come sia diventata una minaccia interna per lo stesso Regno. Ma queste iniziative sono anche la prova di nuovi posizionamenti tra il nuovo potere in ascesa con il giovane Mohammad bin Salman e i clerici”. È un’ipotesi, certamente. Il problema è che proprio il giovane Mohammad bin Salman ha usato gli islamici radicale per combattere in Siria. Ma c’è di più. Secondo quanto scritto da Yahya Ababneh in un reportage su Mintpress, furono proprio i servizi segreti sauditi, guidati all’epoca dal principe Bandar, a fornire le armi chimiche ai ribelli della Ghouta orientale. E ci sarebbe sempre Mohammad bin Salman dietro la pianificazione della guerra in Yemen. L’obiettivo del principe – ben espresso in Vision 2030 – è  infatti l’egemonia dell’Arabia Saudita in tutto il Medio Oriente. Ed è disposto a tutto per raggiungerla.
Come ha scritto Davide Malacaria su queste pagine, “il piccolo principe saudita ha aperto tanti, troppi fronti. Tutta questa conflittualità può risultare ingestibile. E procurare tanti danni. Anche a lui”. Per questo, le recenti aperture del regno sono solamente un’operazione di restyling. In Arabia Saudita, molto probabilmente, cambierà poco o nulla. Ma lo Stato sunnita potrà mostrarsi più aperto agli occhi dell’Occidente. Quasi nuovo. Un grande bluff che rischia di travolgere il Medio Oriente. E non solo.

di - 23 ottobre 2017

22/10/17

Renzi, il rottamatore che si autorottama



Renzi, il rottamatore che si autorottama

C’è una nuova chiave di lettura della vicenda Visco. Quella secondo cui il siluro lanciato da Matteo Renzi contro l’ipotesi della riconferma a via Nazionale del Governatore della Banca d’Italia sarebbe semplicemente l’ultimo capitolo del gigantesco libro della guerra intestina della sinistra italiana. Ad avallare questa chiave di lettura è stato lo stesso segretario del Partito Democratico, che ha di fatto accusato Ignazio Visco di aver coperto le vicende del Monte dei Paschi di Siena e della Banca 121, quelle che vengono addossate al vecchio gruppo dirigente del Pci-Pds-Pd e in particolare a Massimo D’Alema, e di non aver frenato la bagarre scoppiata su Banca Etruria, istituto minuscolo rispetto al colosso “rosso” di Siena.
Nessuno dubita che al fondo del caso Visco ci sia anche (e magari soprattutto) la voglia del rottamatore della vecchia guardia post-comunista di chiudere i conti con chi ha sostenuto e avallato il potere dei rottamati oggi ribelli riottosi e coriacei. Insomma è più che probabile che la testa dell’attuale Governatore della Banca d’Italia salti come effetto collaterale della guerra fratricida in atto all’interno della sinistra italiana. Ma Renzi s’illude se pensa che l’effetto collaterale della scelta di allargare la guerra al terreno bancario sia solo quello della liquidazione di Visco.
Per troppi anni la sinistra italiana prima ha cercato con ogni mezzo di conquistare il potere bancario italiano un tempo egemonizzato dal mondo cattolico e dalla finanza laica e, una volta marginalizzati cattolici e laici, ha talmente occupato il settore bancario e finanziario arrivando addirittura ad identificarsi con esso. Renzi pensa che facendo rotolare la testa di Visco, accusato di essere complice dei suoi nemici della vecchia guardia, il Pd possa affrancarsi dall’accusa di essere il partito delle banche e della finanza e tornare ad essere, nella prossima campagna elettorale, il partito degli interessi del popolo. Ma è facile prevedere che la sua azione sia destinata a far saltare l’identificazione tra sinistra e poteri forti con effetti liberatori nei confronti di questi ultimi e devastanti nei confronti della sinistra stessa.
Il rischio di Renzi, in sostanza, è che il rottamatore si autorottami senza neppure rendersene conto!

di Arturo Diaconale - 21 ottobre 2017

CANCELLARE TRACCE DI STORIA ITALIANA…? ANCHE NO!



Originariamente era conosciuta come la 7^ strada, poi questa via di #Chicago fu ribattezzata nel 1933 - con una risoluzione del Consiglio Comunale di Chicago - “Balbo Drive”, per onorare le imprese del Generale Italo #Balbo, in relazione alla celebre trasvolata transatlantica Italia-USA-Italia di un intero squadrone di 25 aerei, in volo dalla nostra penisola alla Chicago Century Progress World's Fair, per festeggiare il decennale della fondazione della #RegiaAeronautica, aerei dei quali uno andò tragicamente perso in un mortale incidente al largo delle Isole Azzorre. Quell'attraversamento transatlantico è stato giustamente riconosciuto come uno dei risultati più importanti realizzati nei cieli di quel tempo, avendo apportato un prezioso e pionieristico contributo alla futura realizzazione del viaggio aereo intercontinentale e al progresso tecnologico in generale. Balbo rappresenta inoltre una pagina importante della grande storia di visioni, coraggio e conquiste tecnologiche delle "nuove frontiere" che il sapere e la cultura italiani avevano conquistato nei primi anni '30 a livello mondiale. 
A seguito di alcune pruriginose prese di posizione oltreoceano, da parte di persone che vorrebbero rinominare quella via *cancellando* il riferimento a Balbo, una recente petizione lanciata on-line chiede: “Si può cancellare l'impresa di Balbo, o quella di #Marconi, cui pure è stata dedicata la Casa Italiana di #NewYork acquistata grazie a una sottoscrizione degli italoamericani per la sua visita in #America, o la miriade di altri radici che rinsaldano la democrazia americana, da #Garibaldi, a #Mazzini, sino a #Colombo…?”. Ebbene, la mia posizione di censura *non negoziabile* verso i crimini del nazi-fascismo – specie verso gli #ebrei, ma anche verso tutte le altre minoranza oppresse in quel periodo - è notissima: ma questa triste proposta di “revisione storica” si collega a quella di quanti vorrebbero cancellare le celebrazioni del #ColumbusDay in nome dell'"anti-colonialismo", quasi che tutti i valori positivi e gli straordinari progressi umani che pur si sono realizzati NONOSTANTE quei periodi, anche nei loro passaggi più bui - periodi durati per il colonialismo secoli e per il #fascismo vent'anni - dovessero essere radicalmente spazzati via dalla cultura dell'intero Occidente e dalla storia dell'umanità; stesso dicasi, per contro, riguardo a chi volesse cancellare dai libri di storia e dai simboli della memoria collettiva le affermazioni della scienza o della tecnologia spaziale #Sovietica solo perché realizzati durante la dittatura comunista, o condannare l'intero progresso scientifico e tecnologico americano perchè da esso è stato originato anche l'orrore – imperdonabile - delle atomiche contro il Giappone... L'#Italia fa della cultura un elemento *centrale* della propria politica estera a livello globale: la nostra forza identitaria nel rapporto con un partner essenziale come
l'America, e con le comunità italoamericane che trovano alimento e motivazione nella nostra capacità di affermarla e difenderla, dovrebbe convincere il Governo #Gentiloni e il #Parlamento a esprimersi *chiaramente* sulle deprecabili vicende che rischiano di offuscare la memoria di quanto gli italiani hanno saputo realizzare in America e nel mondo. Se vogliamo garantire una "rete di sicurezza" ai cittadini italiani all'estero, la consapevolezza che il valore di quanto essi rappresentano é un bene prezioso che viene difeso e sostenuto dalle Istituzioni italiane risulta a mio avviso *centrale*, e la storia di Italo Balbo e della sua Trasvolata atlantica dovrebbe quindi essere ricordata *a testa alta*, e senza timidezze: PERCHE’ INVECE LE NOSTRE ISTITUZIONI TACCIONO...? Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale Originariamente era conosciuta come la 7^ strada, poi questa via di #Chicago fu ribattezzata nel 1933 - con una risoluzione del Consiglio Comunale di Chicago - “Balbo Drive”, per onorare le imprese del Generale Italo #Balbo, in relazione alla celebre trasvolata transatlantica Italia-USA-Italia di un intero squadrone di 25 aerei, in volo dalla nostra penisola alla Chicago Century Progress World's Fair, per festeggiare il decennale della fondazione della #RegiaAeronautica, aerei dei quali uno andò tragicamente perso in un mortale incidente al largo delle Isole Azzorre. Quell'attraversamento transatlantico è stato giustamente riconosciuto come uno dei risultati più importanti realizzati nei cieli di quel tempo, avendo apportato un prezioso e pionieristico contributo alla futura realizzazione del viaggio aereo intercontinentale e al progresso tecnologico in generale. Balbo rappresenta inoltre una pagina importante della grande storia di visioni, coraggio e conquiste tecnologiche delle "nuove frontiere" che il sapere e la cultura italiani avevano conquistato nei primi anni '30 a livello mondiale. A seguito di alcune pruriginose prese di posizione oltreoceano, da parte di persone che vorrebbero rinominare quella via *cancellando* il riferimento a Balbo, una recente petizione lanciata on-line chiede: “Si può cancellare l'impresa di Balbo, o quella di #Marconi, cui pure è stata dedicata la Casa Italiana di #NewYork acquistata grazie a una sottoscrizione degli italoamericani per la sua visita in #America, o la miriade di altri radici che rinsaldano la democrazia americana, da #Garibaldi, a #Mazzini, sino a #Colombo…?”. Ebbene, la mia posizione di censura *non negoziabile* verso i crimini del nazi-fascismo – specie verso gli #ebrei, ma anche verso tutte le altre minoranza oppresse in quel periodo - è notissima: ma questa triste proposta di “revisione storica” si collega a quella di quanti vorrebbero cancellare le celebrazioni del #ColumbusDay in nome dell'"anti-colonialismo", quasi che tutti i valori positivi e gli straordinari progressi umani che pur si sono realizzati NONOSTANTE quei periodi, anche nei loro passaggi più bui - periodi durati per il colonialismo secoli e per il #fascismo vent'anni - dovessero essere radicalmente spazzati via dalla cultura dell'intero Occidente e dalla storia dell'umanità; stesso dicasi, per contro, riguardo a chi volesse cancellare dai libri di storia e dai simboli della memoria collettiva le affermazioni della scienza o della tecnologia spaziale #Sovietica solo perché realizzati durante la dittatura comunista, o condannare l'intero progresso scientifico e tecnologico americano perchè da esso è stato originato anche l'orrore – imperdonabile - delle atomiche contro il Giappone... L'#Italia fa della cultura un elemento *centrale* della propria politica estera a livello globale: la nostra forza identitaria nel rapporto con un partner essenziale come l'America, e con le comunità italoamericane che trovano alimento e motivazione nella nostra capacità di affermarla e difenderla, dovrebbe convincere il Governo #Gentiloni e il #Parlamento a esprimersi *chiaramente* sulle deprecabili vicende che rischiano di offuscare la memoria di quanto gli italiani hanno saputo realizzare in America e nel mondo. Se vogliamo garantire una "rete di sicurezza" ai cittadini italiani all'estero, la consapevolezza che il valore di quanto essi rappresentano é un bene prezioso che viene difeso e sostenuto dalle Istituzioni italiane risulta a mio avviso *centrale*, e la storia di Italo Balbo e della sua Trasvolata atlantica dovrebbe quindi essere ricordata *a testa alta*, e senza timidezze: PERCHE’ INVECE LE NOSTRE ISTITUZIONI TACCIONO...?
Giulio Terzi - 20 ottobre 2017