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Non smettete mai di protestare; non smettete mai di dissentire, di porvi domande, di mettere in discussione l’autorità, i luoghi comuni, i dogmi. Non esiste la verità assoluta. Non smettete di pensare. Siate voci fuori dal coro. Un uomo che non dissente è un seme che non crescerà mai.

(Bertrand Russell)

27/12/14

«Feste e sagre del tartufo con i fondi Pd della regione Lazio»




I 15 ex consiglieri regionali del Partito democratico saranno interrogati dalla Procura di Rieti nelle prossime settimane, prima che il procuratore generale Giuseppe Saieva decida per chi chiedere il rinvio a giudizio e per chi l'archiviazione. E il clamore suscitato dall'inchiesta per peculato che analizza i rimborsi presentati nel triennio che va dal 2010 al 2012 è destinato a farsi sentire ancora di più: nell'elenco degli indagati, compaiono nomi di peso del Pd attuale, come l'ex capo segreteria del sindaco Marino, Enzo Foschi, il sindaco di Fiumicino (allora capogruppo) Esterino Montino, Marco Di Stefano già indagato per corruzione a Roma e altri cinque senatori. In totale, gli indagati sono 41 e gli ammanchi contestati 2,6 milioni.

L'indagine, tra l'altro, può ora contare su una collaborazione che potrebbe rivelarsi utilissima: Batman Fiorito, nei giorni scorsi, è stato ascoltato dal procuratore capo Saieva negli uffici del comando provinciale della Guardia di finanza. E al magistrato avrebbe raccontato nei minimi dettagli come funziona il complesso meccanismo dei rimborsi consiliari.

CACCIA AI MILIONI
Se le indicazioni saranno davvero puntuali come la procura si aspetta, l'inchiesta potrebbe fare un ulteriore salto in avanti. L'indagine reatina infatti non è riuscita a ricostruire tutti i passaggi illegittimi dei finanziamenti non dovuti: le indagini del Nucleo di polizia tributaria della Guardia di finanza sono riuscite a controllare 3,7 milioni di euro di spese consuntivate, dimostrando che il 71% (ovvero 2,6 milioni) apparirebbe illegittimo. Ma nel complesso, per quel solo triennio il Partito democratico della Regione Lazio ha ottenuto rimborsi per 5,8 milioni. Vuol dire che all'appello mancano ancora 1 milione e 7, e forse qualcosa di più.

IL TESORIERE
Le posizioni più pesanti, al momento, sono quelle contestate all'allora capogruppo Esterino Montino e al tesoriere Mario Perilli: 270mila euro per le cariche che ricoprivano, più una cifra che oscilla tra i 150 e i 260mila euro per Mario Perilli e per Montino da 50 a 100mila euro.

Stando alle indagini, Perilli appare particolarmente dedito all'organizzazione di feste e sagre del tartufo che poco hanno a che fare con l'attività politica ma potrebbero aver fatto felici i suoi elettori. Nel 2011, coprendola con una fattura per un dibattito sul settore agricolo nel reatino, Perilli avrebbe fatto pagare al partito l'allestimento di uno stand alla sagra del tartufo di Ascrea in favore del sindaco di Ascrea e presidente della comunità montana del Turano Dante D'angelo.

E sempre Perilli, ha fatto finanziare al Pd locale la sagra del tartufo al lago del Turano con altri 6mila euro. Oltre ad aver ottenuto fatture false per finanziare un circolo del Pd, il tesoriere non si è negato una cena elettorale con tanto di acquisto d'olio extravergine per 6mila euro. Anche se il palmares per la cena più costosa va all'ex consigliere regionale Giuseppe Parroncini: 20mila euro per cenare (in compagnia) al ristorante di Rocca di Papa La Foresta. 
di Sara Menafra - 27 dicembre 2014
fonte: http://www.ilmessaggero.it

Marò:La Mogherini proprio non riesce a stare zitta.

 


 
Una vergognosa Mogherini continua a prendere in giro gli italiani pur non facendo più parte del governo italiano e nonostante le squallide azioni e dichiarazioni fatte, compreso il suo pensiero prioritario verso i due marò ,falso come tutto il resto. 
La ex Ministro degli esteri doveva denunciare l'India al consiglio di sicurezza dell'Onu e mettere in discussione le missioni antipirateria dell'Onu è inutile che giriamo attorno alla questione cosa che non ha fatto perché la Mogherini insieme al governo Renzi , hanno ricevuto un altro mandato. 
Ora invece di parlare di quello che non hanno fatto e di quello che questi inetti vigliacchi dovrebbero fare, continuano all'infinito a prendere in giro a emettere nell'aria una vagonata di chiacchiere a confondere la questione , a produrre un infinita disinformazione e sicuramente stanno guidando tutti gli apparati deviati per creare falsa informazione. Qualche giorno fa la Rai,Mediaset,lasette, e sky lo stesso giorno e tutti insieme appassionatamente hanno detto che dalla Enrica Lexie si è sparato sul San Anthony e che si trattava di vedere se l'incidente era avvenuto in acque internazionali o in acque territoriali indiane , nessuno ha detto niente,  nessuno ha protestato dopo quasi tre anni stiamo ancora a questo punto. 
In America si chiamano guardiani del cancello, quelli predisposti a decidere cosa bisogna o non bisogna dire, la velina miavaldiana arrivata a tutte le tv è preoccupante insieme a questa continua vagonata di chiacchiere. Il Presidente Giorgio Napolitano ha datol'esempio con la lacrimuccia e la voglia di approfondimento e certo lui non sa niente,lui scende dalle stelle e Renzino che deve informarlo, intanto  si sanno i nomi di chi ha dato gli ordini sappiamo che sono quelli della squadra navale,del comando interforze, di Di Paola e Monti come autori delle autorizzazioni, Giulio Terzi è stato informato dopo 5 ore quando la nave era diretta a Kochi e Napolitano ? Qualcuno lo ha contattato? Non è che ha dato lui l'ordine visto che è anche il capo delle forze armate? Se fosse stato lui sarebbe gravissimo un vero alto tradimento nei confronti dell'Italia e degli italiani. 
Ma veniamo alle parole vergognose della Mogherini rilasciate a Repubblica in una intervista un offesa all'intelligenza degli italiani. 
"Il continuo rinvio di una soluzione alla questione dei due marò italiani può anche incidere sulle relazioni Ue-India e sulla lotta globale contro la pirateria in cui l’Ue è fortemente impegnata". 
"Le aspettative finora sono andate deluse - ammette - ma aspettiamo di vedere se vi sono margini perché questa situazione è dolorosissima per i due marò, le loro famiglie e l'Italia" 
 "Come ho sempre detto in parlamento, ho usato i mesi da ministro degli Esteri per completare le procedure preliminari all'arbitrato, che hanno richiesto più tempo e lavoro del previsto - assicura - oggi, nella mia nuova posizione, continuo a seguire da vicino questa vicenda che mi sta molto a cuore, in contatto con il governo italiano". 
 
Ricordiamo tutti che il 24 aprile 2014 la Mogherini annunciò l'apertura di una procedura internazionale con l'India, salvo scoprire poi che si trattava di una letterina alla Totò comprensiva di punti virgola doppio punto e punto e virgola. 
Cara Mogherini si goda l'Europa e non apra più bocca sui marò. 
 
Alfredo d'Ecclesia
 
fonte: http://veraitalia.blogspot.it

Immigrazione: da Mare Nostrum a Triton, che governance ha in mente l’Europa?





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La crescita del fenomeno migratorio nel Mediterraneo e le numerose tragedie verificatesi nel Canale di Sicilia e al largo di Lampedusa hanno recentemente condotto l’Unione Europea a tentare di assumere un ruolo di maggiore responsabilità in materia di immigrazione e di controllo delle frontiere. In seguito alle costanti richieste da parte del governo italiano circa un maggiore impegno dell’Europa, lo scorso agosto Frontex, l’agenzia europea creata con il Regolamento 2007/2004 del Consiglio UE con lo scopo di gestire la cooperazione operativa alle frontiere esterne degli Stati membri, ha annunciato la creazione della missione Frontex Plus – poi rinominata Triton – che, operativa dal 1° novembre, e integrando le due missioni già attive nel Mediterraneo (la Enea e la Hermes), dovrebbe sostituire gradualmente l’operazione italiana militare ed umanitaria Mare Nostrum.
Quest’ultima era iniziata il 18 ottobre 2013 con l’obiettivo di potenziare il controllo dei flussi migratori – già in essere nell’ambito della missione Constant Vigilance (2004) – attraverso azioni di Search and Rescue (SaR), nonché quello di contrastare coloro che lucrano sul traffico illegale di migranti. Secondo le stime fornite dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), ad oggi, oltre 165.000 migranti sono giunti in Europa attraverso il Mediterraneo centrale e, a fronte del salvataggio da parte dell’Italia di 140.000 persone, si stima che oltre 3.000 hanno perso la vita durante la traversata. Il bilancio finale di Mare Nostrum, secondo quanto emesso dal governo italiano, è di 558 interventi, 100.250 persone soccorse, 728 scafisti arrestati, 6 navi poste sotto sequestro, 499 morti durante le operazioni, 1.446 presunti dispersi, 192 cadaveri non ancora identificati. Mentre tutta l’operazione è costata 114 milioni di euro.


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Alla base delle richieste italiane di un maggior coinvolgimento dell’Europa, peraltro auspicato anche dalle Nazione Unite tramite il suo portavoce Stephane Dujarric quando ha parlato della necessità di “uno sforzo internazionale”, ci sarebbero i circa 9,5 milioni di euro che l’Italia assegnava mensilmente all’operazione gestita dalla Marina Militare. Gli stanziamenti in favore dell’operazione Triton si aggirano ora intorno ai 3 milioni di euro mensili, all’interno di un budget totale previsto dalla Commissione europea di 92 milioni di euro. Sembra questo il nodo che ha spinto la stessa UNHCR e le maggiori associazioni umanitarie come Amnesty International a premere sul governo italiano affinché non accantoni Mare Nostrum. Appare del tutto logico che se Triton la sostituirà del tutto, il ridimensionamento delle risorse stanziate si tradurrà necessariamente in una diminuzione degli strumenti e dei mezzi a disposizione. Anche perché nella fase iniziale le risorse sono garantite da Frontex e dal Fondo Sicurezza Interna (ISF) ma dovranno poi essere gli Stati coinvolti a garantire il prosieguo dell’operazione [1].


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Il Ministro Alfano ha da subito sottolineato come il risparmio economico per l’Italia sarà enorme; tuttavia, vista l’intensità e la frequenza degli sbarchi sulle coste italiane nell’ultimo anno, la nuova operazione potrebbe verosimilmente configurarsi come inadeguata nelle operazioni di salvataggio. Infatti, oltre alla diminuzione numerica dei mezzi e degli strumenti, Triton opererà non oltre le frontiere Schengen, mentre Mare Nostrum si spingeva fino alle acque internazionali (passando dunque da 175 a 30 miglia oltre le coste italiane). Un dettaglio non di poco conto se si considera che un simile campo d’azione ha permesso un elevato numero di salvataggi. Anche se il Ministro della Difesa Pinotti, in occasione della conferenza stampa per illustrare le caratteristiche di Triton e per archiviare Mare Nostrum, ha ribadito l’impegno dello Stato italiano a continuare a soccorrere i migranti in mare, appaiono sempre più fondate le perplessità operative e politiche rispetto al nuovo modo di affrontare un fenomeno che da tempo ha abbandonato il carattere dell’emergenza per diventare sempre più un fenomeno ordinario.

Fonte: Repubblica.it
Fonte: Repubblica.it
Dall’operazione Triton emerge un problema politico evidente, riconducibile al desiderio di Bruxelles di rinchiudersi dentro i confini della cosiddetta “Fortezza Europa”, non in ragione di una reale minaccia, ma da coloro che fuggono da condizioni di vita inaccettabili, da guerre persecuzioni e regimi dittatoriali. È chiaro che Triton, essendo un’operazione di Frontex e quindi del sistema Schengen, non avrebbe potuto garantire quello che Mare Nostrum ha svolto fino ad ottobre; il problema è piuttosto quello di un’Europa che non ha fornito gli strumenti – politici ed economici – necessari affinché uno Stato membro come l’Italia potesse portare avanti un’operazione umanitaria di queste proporzioni. Più volte Bruxelles ha chiarito che l’Italia sarebbe stata libera di proseguire o concludere Mare Nostrum: un assist che il Ministro Alfano ha opportunamente raccolto, chiudendo l’operazione. La debolezza di Bruxelles quando parliamo di immigrazione è ancora troppo evidente.
La decisione di sostituire del tutto Mare Nostrum con una operazione oggettivamente inferiore dal punto di vista delle risorse e degli obiettivi ma di “respiro europeo”, sembra confermare le politiche programmatiche in tema immigrazione espresse in quest’ultimo periodo sia dai maggiori Paesi del vecchio continente che da Bruxelles. Fino a questo momento non si è vista una reale politica europea del Mediterraneo per i diritti umani, per la soluzione dei conflitti in essere, per un sistema integrato sulla protezione internazionale, né tanto meno una politica migratoria e per una gestione dei flussi di ingresso europea.
Quando parliamo di operazioni come Mare Nostrum e Triton occorre considerare non solamente i mezzi, gli strumenti, gli Stati coinvolti, i budget o le finalità mirate a colpire la criminalità organizzata transnazionale che lucra sul traffico di migranti, ma soprattutto le migliaia di richiedenti asilo che necessitano di accoglienza. Se su quest’ultimo punto le proposte non mancano, ciò che spesso manca è una reale volontà degli Stati membri ad abbandonare la propria sovranità su un tema così delicato.  Ad esempio, mai come adesso appare complicato effettuare una profonda riforma del Regolamento Dublino III [2] introducendo ad esempio lo status comune europeo di rifugiato; la creazione di un sistema di accoglienza europeo capace di introdurre una ripartizione equa dei rifugiati all’interno degli Stati membri, magari in base ad indici economici e demografici; l’introduzione del riconoscimento reciproco dello status di rifugiato da parte di tutti gli Stati membri o addirittura la creazione di un’Agenzia europea per l’asilo e l’immigrazione operante anche al di fuori dei confini europei [3]. Le difficoltà di riformare il sistema di accoglienza collocandolo parallelamente a quello della sicurezza e, più in generale, di operare una effettiva comunitarizzazione del settore immigrazione risiedono principalmente in una particolare condizione socio-politica del vecchio Continente.
Occorre innanzitutto considerare che dal punto di vista sociale, in un momento di crisi di consenso nei confronti delle istituzioni europee, si sta consolidando tra i cittadini europei una relazione sempre più intensa tra paura e fenomeno migratorio. La recente operazione europea di polizia denominata “Mos Maiorum” ha riposto proprio a questa esigenza: terminata lo scorso 26 ottobre, questa ha avuto l’obiettivo di identificare gli immigrati irregolari all’interno dello spazio Schengen e di contrastare i gruppi criminali che lucrano proprio sui traffici irregolari di migranti. Mos Maiorum è stata coordinata dal Ministero degli Interni italiano, ma si è realizzata con la collaborazione di tutte le polizie degli Stati membri. Secondo molte associazioni umanitarie e ONG come Statewatch e Amnesty International si sarebbe trattato di una vera e propria schedatura forzata; dall’Europarlamento, Barbara Spinelli ha parlato addirittura di una vera e propria retata su scala europea dove è stato consentito «l’uso della violenza nei casi ove fosse necessario». Si tratta dell’ultima di una lunga serie di operazioni simili che periodicamente si svolgono all’interno dei confini europei (come ad esempio Perkunas, Aphrodite, Aerodromus). Questa volta si è giunti a tale decisione in seguito alle proteste da parte degli Stati aderenti a Schengen nei confronti dell’Italia, colpevole di non applicare in modo capillare e rigoroso le norme previste da Dublino III, lasciando che numerosi immigrati irregolari valicassero i confini italiani per farsi identificare altrove. E la situazione politica interna degli Stati? È immune dall’immagine dell’immigrato come spauracchio sociale che ne insidia la sicurezza? Assolutamente no. E non potrebbe essere altrimenti.
In Germania, il numero crescente di salafiti e simpatizzanti del nuovo Stato Islamico sta riconducendo il Paese nelle paure post-11 settembre, quando Amburgo era il centro direzionale degli attentati alle Torri Gemelle. Nel Regno Unito David Cameron ha già lanciato la proposta di introdurre un limite agli ingressi per i lavoratori europei non qualificati, toccando uno dei capisaldi dell’Unione Europea, ovvero la libera circolazione dei lavoratori, tanto che Barroso in una recente intervista alla BBC ha replicato affermando che «la libertà di movimento è un principio molto importante nel mercato interno e il mio consiglio al Regno Unito è di non porre neanche in dubbio quel principio». Paure e diffidenze che stanno aumentando il consenso non solo dell’UKIP di Nigel Farage, ma anche del Front National di Marine le Pen, divenuto primo partito in Francia dopo le elezioni europee dello scorso maggio, e dell’Afd in Germania, che affronta il tema immigrazione con la stessa intransigenza degli altri partiti euroscettici. Sembra proprio che la crescita di questi partiti stia condizionando, sia pur ancora in maniera marginale, le scelte programmatiche sia di Bruxelles che dei Paesi membri.
In conclusione, sembra evidente che se l’Europa continuerà ad affrontare il tema immigrazione esclusivamente dal punto di vista della sicurezza forse riuscirà ad ottenere qualche consenso in più nel breve periodo e forse anche a controllare le pulsioni euroscettiche, ma certamente in futuro si troverà ad affrontare gli effetti controproducenti di una politica miope.

Salvatore Denaro - 27 novembre 2014
fonte: http://www.bloglobal.net


* Salvatore Denaro è Dottore in Scienze Internazionali (Università di Siena)
[1] L’operazione Triton avrà a disposizione ogni mese due navi d’altura, due navi di pattuglia costiera, due motovedette, due aerei ed un elicottero. L’Italia, come Paese ospitante dell’operazione, metterà a disposizione un aereo, un pattugliatore d’altura e due pattugliatori costieri. Il centro di coordinamento internazionale ha luogo nella sede del Comando aeronavale della Guardia di Finanza a Pratica di Mare.
[2] Regolamento (UE) n. 604/2013 che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un Paese terzo o da un apolide.
[3] Proposte presentate in Camera dei Deputati per la riforma del Regolamento Dublino III –

"Marò sacrificati a interessi economici. Ora ci pensi l'Onu"



 




Roma, 27 dicembre 2014 - «L’Italia evita le vie maestre del diritto e sceglie invece i sentieri della giungla. Questa è la mia sintesi sulla questione dei marò». Giulio Terzi di Sant’Agata, già ambasciatore a Washington, ha lasciato la carica di ministro degli Esteri il 26 marzo dell’anno scorso quando si decise di rimandare Massimiliano Latorre e Salvatore Girone in India. L’ex titolare della Farnesina ripete ancora oggi che quella decisione fu presa sulla spinta di interessi economici. «Lo disse chiaramente il presidente del consiglio Mario Monti nel suo intervento del 27 marzo. Cambiammo una posizione enunciata a tutto il mondo con i comunicati dell’11 e del 18 marzo 2013. Furono infatti gli indiani a violare gli affidavit. La Corte Suprema di Nuova Delhi aveva detto che i due paesi dovevano avviare consultazioni sulla base della Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto Marittimo, in sigla Unclos, articolo 100. Noi eravamo disponibili. L’India disse che non se ne discuteva neppure».
L’ex ministro degli Esteri ed ex ambasciatore italiano negli Stati Uniti, Giulio Terzi (Ansa)
Invece?
«Il 21 marzo la posizione del governo italiano fu ribaltata nel giro di poche ore».
Come mai non sono state coinvolte le Nazioni Unite?
«Ho informato il segretario generale del Palazzo di Vetro Ban Ki moon a Londra a margine della conferenza sulla Somalia, 8 o 9 giorni dopo il sequestro dei nostri fucilieri. Fu una trappola nella quale caddero la squadra navale e il comando operativo interforze che autorizzarono la Lexie ad andare a Kochi. Fui informato dalla difesa solo 5 o 6 ore dopo».
Come mai?
«Non si è mai capito il motivo del ritardo».
In ogni caso quale fu la risposta di Ban Ki moon a Londra?
«Mi disse: la questione deve essere risolta secondo il diritto internazionale. Me lo ha ripetuto almeno venti volte».
Quindi l’arbitrato internazionale, che l’Italia invece ha lasciato cadere.
«Torniamo all’Unclos, prevede una procedura di 30 giorni per avere misure cautelari, ossia l’affidamento dei marò a un Paese terzo, fino alla decisione della corte di Amburgo sul merito, in due o tre mesi. Su questa base a metà marzo avevamo deciso di trattenere Latorre e Girone in Italia. Invece poi per un anno e mezzo non si è fatto nulla».
Perché?
«Per non smentire l’operato di Monti. La cosa si è trascinata fino al governo di Renzi. È un motivo politico. Il progetto di internazionalizzazione è finito. L’unica volta nella quale Renzi dice di aver parlato dei marò è stato al G 20 di Brisbane in un corridoio con Modi durante una pausa caffè, senza un incontro bilaterale. Avremmo una potenzialità enorme di risolvere il pasticcio».
Come?
«Sollevando la questione al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. La lotta alla pirateria è all’ordine del giorno almeno ogni due o tre mesi. In ogni caso l’Italia potrebbe chiedere una discussione dopo un’azione preparatoria con i paesi nostri amici, gli Usa per esempio. Come si fa la lotta alla pirateria senza l’immunità funzionale ai militari che vi partecipano?».
Altre vie?
«Mi risulta che durante il governo Letta sia stata sondata a Ginevra la ex alta Commissaria dell’Onu Navi Pillay. Mi consta che la porta fosse aperta, ma non è stato fatto nulla. Infine c’era un terza possibilità».
Quale?
«L’8 luglio scorso il presidente della Croce Rossa Internazionale Peter Maurer ha inviato una lettera alla presidenza del consiglio e ai ministeri interessati sul caso dei fucilieri di marina. Citava considerazioni umanitarie. Offriva i suoi buoni uffici. Non c’è stata nessuna risposta. Latorre è stato male, si sa di sofferenze psicologiche di Girone. Pensi con quale maggior peso sarebbe sollevata la questione».
Si torna agli interessi.
«Vorrei che qualcuno dichiarasse pubblicamente i motivi per i quali un anno e mezzo fa c’è stata quella decisione».

di LORENZO BIANCHI 
http://www.quotidiano.net/maro-india-1.526968

tramite: http://alfredodecclesia.blogspot.it

Fabbri denuncia Laura Boldrini



"Le case popolari verranno assegnate prima agli immigrati con famiglie a carico"
“Le case popolari verranno assegnate prima agli immigrati con famiglie a carico”

Fabbri denuncia Laura Boldrini

Ecco la nuova perla della Boldrini che continua a discriminare gli italiani.A Ravenna mette i rom in testa alle liste di assegnazione delle case!Denunciata.

Laura Boldrini ormai è la paladina di profughi, clandestini…e rom. Adesso la presidente della Camera ha trovato negli zingari un nuovo cavallo di battaglia, al punto da voler dare loro la precedenza per ottenere un alloggio popolare. A contestare la scelta della Boldrini è Davide Fabbri, rappresentante del “Movimento lavoro e rispetto”. Fabbri è una furia contro miss Montecitorio. Dopo aver intuito l’orientamento della presidente della Camera, Fabbri l’ha denunciata perchè “discrimina gli italiani violando la Costituzione”.


La casa ai rom – Così Fabbri e altri cittadini di Ravenna hanno raccontato i motivi del loro esposto contro la Boldrini: “Laura Boldrini,a domanda di un giornalista che le chiedeva testualmente: ‘Con quale criterio saranno assegnate le case popolari’, rispose: ‘Saranno date prima ai rom e agli extracomunitari con figli a carico‘. Sulla base di questo, Davide Fabbri, assieme ad altri cittadini, si è sentito profondamente discriminato e ha proceduto assieme ad altri a formalizzare una denuncia per discriminazione verso il popolo Italiano nei confronti della Boldrini. Insomma miss Montecitorio non è nuova a sparate del genere. Ma questa volta, a quanto pare è stata presa in parola. Infatti secondo quanto racconta Fabbri il comune di Ravenna ha recepito il “diktat della Boldrini”.
Precedenza agli immigrati – ”Se si sfoglia la lista della graduatoria comunale, salterà facilmente agli occhi di chiunque, che nei primi 100 possibili assegnatari il 70% è costituito da stranieri, relegando di fatto, numerosi concittadini in fondo alla lista. Questa non è integrazione, ma è dimostrazione di incapacità di gestione del fenomeno immigratorio, che si ripercuote sui nostri connazionali e Ravenna, purtroppo, ne è un classico esempio”, aggiunge Fabbri. Ma per la Boldrini è tutto normale. Per lei l’emergenza immigrazione non esiste e allora bisogna dare una casa anche ai rom e agli extracomunitari, in barba al diritto acquisito dagli italiani che con la crisi restano senza un tetto: 

L’immigrazione non va gestita con logiche di difesa. Costituisce un pericoloso anacronismo che una legge sulla cittadinanza non prenda atto che in Italia vivono quattro milioni di immigrati ai quali sono preclusi diritti civili. Ciò crea animosità. Gli allarmismi e la sindrome d’assedio danneggiano la coesione sociale. C’è un vittimismo non giustificato dai numeri. Non sono clandestini, sono rifugiati. L’emergenza clandestini non esiste. È solo un’invenzione”, aveva detto la Boldrini. Un’invenzione che a quanto pare è nella testa di milioni di Italiani e l’unica a far finta di niente è proprio lei che è la terza carica dello Stato.

By inquisitore dicembre 26, 2014  
fonte: http://inquisitore.org

Caccia al boss degli scafisti: così porta candestini in Italia


Si chiama Ahmed Mohamed Farrag Hanafi, ha 32 anni e dall'Egitto organizza, coordina e assiste i maxi sbarchi che riversano in Italia migliaia di clandestini


È 13 settembre del 2013. Uno scafista riceve una chiamata dall’Egitto subito dopo essere stato beccato dalla Marina italiana mentre cercava di far sbarcare centinaia di clandestini sulle coste siciliane




"Quando ti hanno fermato che cosa ti hanno detto?", chiede dall'Egitto il capo scafista. "Hanno detto che volevano vedere i documenti", gli risponde.

"Ma voi siete scappati?", lo incalza. E l'altro subito lo rassicura: "Non abbiamo fatto niente per farli insospettire...". Per poi passare alle richieste: "Se qualcuno ha testimoniato non ci lasciano andar. Vedi per un avvocato e sistema tutto". Il capo dall'Egitto, però, lo rassicura: "L’avvocato ti arriverà direttamente, gli sto mandando dei soldi". E, infatti, un paio d'ore più tardi arriva una seconda telefonata per assicurare che è tutto sistemato: "Vi possono far fare il confronto, ti prego fai attenzione... Ti scongiuro, tu e i ragazzi non li conoscete... Voi siete venuti con il coso dalla Siria...". E ancora: "Dovete negare che li conoscete, così non succederà un grosso problema per voi e per loro". La terza telefonata (e ultima telefonata) arriva quando l'avvocato è già al porto per assistere i clandestini egiziani e fare in modo che passino per profughi siriani. "Gli ho trasferito i soldi da due ore", assicura il capo.

Il superboss degli scafisti

A riportare queste telefonate choc è il Corriere della Sera che, in un articolo di Giovanni Bianconi, ricostruisce l'attento lavoro della procura di Catania per dare un volto e un nome all'organizzatore delle traversate che da Alessandria portano a Siracusa o a Catania.
Si tratta del 32enne Ahmed Mohamed Farrag Hanafi. "Da pochi giorni è ricercato in Egitto e altrove per i reati di associazione per delinquere finalizzata all’ingresso illegale in Italia di profughi siriani ed egiziani - spiega Bianconi sul Corsera - per gli inquirenti italiani e per quelli della sua nazione di appartenenza è il principale trafficante di uomini sulla direttrice alternativa a quella che dalla Libia porta a Lampedusa". Solo nel 2013 ha organizzato tre maxi sbarchi che hanno portato oltre 360 clandestini. Come scrive il giudice nell'ordine di arresto trasmesso per rogatoria in Egitto, la procura di Catania crede che "nemmeno i reiterati arresti di scafisti, i sequestri di ben due 'navi madri' e l’arresto del relativo equipaggio e di alcuni basisti operanti in territorio nazionale abbiano impedito alla stessa associazione di continuare a lucrare, ignominiosamente, sui cosiddetti 'viaggi della speranza'".

Le modalità operative

"Nei loro Paesi di origine - spiegano gli inquirenti - i migranti contattano il cosiddetto 'mediatore' a cui versano un anticipo del totale del costo del viaggio". Un biglietto di sola andata che arriva a costare tra i tremila e i quattromila euro. "Il saldo della somma pattuita - continuano gli investigatori - viene versato all’arrivo nel luogo di destinazione da familiari o conoscenti; le persone intenzionate a espatriare illegalmente vengono poi raggruppate nei punti di raccolta sulle coste egiziane da dove, a piccoli nuclei, vengono imbarcate su natanti di più ridotte dimensioni manovrati da 'scafisti' che, raggiunto il mare aperto, incrociano altre imbarcazioni più grandi (pescherecci) ove vengono trasbordati". La "nave madre" traina la piccola imbarcazione di origine detta anche "barchino" o "nave figlia". "Giunti in alto mare - spiegano - a tot miglia marine in direzione delle coste siracusane o delle province limitrofe, ma comunque sempre in acque internazionali, i migranti vengono nuovamente trasbordati sull’imbarcazione trainata dove ai comandi si rimettono gli scafisti che, utilizzando il Gps e inserendo le coordinate fornite, tramite un telefono satellitare, da complici sulla terra ferma, puntano verso le coste siracusane, ove avviene lo sbarco". Una volta sbarcati, gli scafisti non rintracciati dalle forze dell’ordine vengono assistiti in luoghi sicuri e fatti ripartire dopo qualche giorno dai referenti dell’organizzazione. "Qualora rintracciati dalle forze di polizia - concludono gli investigatori - l’organizzazione tramite le proprie “sentinelle” si occupa di assicurarne l’assistenza legale".

- Sab, 27/12/2014
fonte: http://www.ilgiornale.it/ 

26/12/14

CASO MARO' " IL SEQUESTRO DEI FUCILIERI DI MARINA LATORRE E GIRONE - "






PERCHE' HO DI RECENTE NUOVAMENTE SOTTOLINEATO CHE LA CARTA DELL'ARBITRATO INTERNAZIONALE E' STATA USATA COME UN'ARMA DI DISTRAZIONE DI MASSA


26 Dicembre 2014
Stefano Tronconi

Utilizzo la tregua negli eventi indotta da questi giorni di festività per una riflessione su un tema che in questa vicenda è stato più volte dibattuto e continua ad essere in primo piano.
Lo faccio senza ovviamente alcuno spirito polemico nei confronti di coloro che continuano a pensarla diversamente.
Mi sembra comunque doveroso provare brevemente a spiegare perché ritengo che quella dell'arbitrato internazionale (cosa ben distinta dalla cosiddetta 'internazionalizzazione') sia una strada che ha perso da tempo la sua validità. Le principali ragioni sono le seguenti:

1) Quella dell'arbitrato internazionale avrebbe ovviamente dovuto essere la strada maestra da intraprendere da subito nei giorni in cui i marò vennero bloccati nel porto di Kochi (prima di esser fatti scendere a terra rimasero per ben quattro giorni a bordo dell'Enrica Lexie).
Purtroppo, non solo rientrando in porto ma ancor di più dando ai marò l'ordine di scendere dalla nave, l'Italia ha nei fatti da subito sciaguratamente accettato la giurisdizione indiana, scelta rafforzata nei mesi successivi decidendo di ricorrere prima all'Alta Corte del Kerala e poi alla Corte Suprema indiana, e da ultimo dalla doppia decisione di far rientrare i marò in India al termine delle licenze concesse.
Senza dimenticare poi i lunghi mesi in cui i politici italiani hanno continuato a 'dilettarci' con le aberranti dichiarazioni secondo cui la soluzione del caso avrebbe dovuto passare attraverso un processo veloce e giusto da tenersi in India (questo anche successivamente a che avevamo già dimostrato la completa manipolazione delle indagini svolte).

2) L'India, che purtroppo ha nelle sue mani ancora oggi Salvatore, non ha alcuna intenzione di accettare un arbitrato internazionale e lo ha sempre dichiarato apertamente. Un arbitrato per definizione richiede che entrambe le parti accettino di sottoporvisi affinché il verdetto sia esigibile (possa cioè trovare applicazione).
E' vero che l'UNCLOS prevede la possibilità di avviare un arbitrato anche unilateralmente (aspetto di per sé abbastanza singolare), ma inutile dire che nell'eventualità di una decisione non gradita l'India deciderebbe semplicemente di non riconoscerla e non ci sarebbe niente e nessuno che potrebbero imporre il rispetto della decisione.

3) Un arbitrato internazionale, che riguarderebbe ancora una volta solo la titolarità della giurisdizione, richiederebbe verosimilmente tempi molto lunghi (in ogni caso si parla di anni prima di una sua conclusione) e purtroppo se si partisse adesso …... povero Salvatore!!
Gli unici felici sarebbero ancora una volta gli avvocati e gli esperti vari che già tanto hanno lucrato sulla vicenda.

4) L'esito di un arbitrato sarebbe tutt'altro che scontato.
Per quanto riguarda la famosa immunità funzionale questa sappiamo che non è codificata nei trattati internazionale, ma esiste solo a livello di costruzione dottrinale e prassi abitudinaria.
Per quanto riguarda l'immunità chiamiamola 'territoriale' derivante dalle norme UNCLOS nel caso specifico vi sono interpretazioni possibili sia a favore della giurisdizione italiana che della giurisdizione indiana (non posso ora illustrarle tutte in questa sede per motivi di compattezza dello scritto).
Vi sarebbero quindi concrete possibilità che al termine di altri anni di lunga attesa sia poi un tribunale internazionale a riconoscere magari definitivamente la giurisdizione all'India. 

5) Considerazione finale e forse la più importante di tutte dal punto di vista degli effetti pratici.
Poiché Salvatore e Massimiliano sono INNOCENTI non hanno proprio alcun bisogno di percorrere l'ulteriore estenuante, tortuosa ed incerta strada dell'arbitrato internazionale.
Certo, se i pescatori li avessero uccisi loro quella dell'arbitrato internazionale sarebbe stata l'unica alternativa possibile per provare a strapparli all'ingiustizia indiana. Ma poiché NON li hanno uccisi loro, la questione non dovrebbe proprio porsi.
Continuare da parte dell'Italia a percorrere la strada della titolarità della giurisdizione anziché quella dell'innocenza significa in pratica negare agli occhi di un miliardo e duecento milioni indiani (come più volte spiegato, oggi il vero ostacolo oggettivo alla soluzione del caso) la loro innocenza.
Perché la reazione più naturale di chi è male informato in quanto vittima di una delle più vergognose campagne mediatiche mai viste, non può essere che quella che 'se i marò fossero innocenti non avrebbero certo bisogno di continuare a ritornare sulla questione della giurisdizione' …...
In conclusione, la strada del'arbitrato internazionale al punto in cui siamo proprio non servirebbe a tutelare Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, ma solo a continuare a coprire i responsabili del loro sequestro ed a nascondere al mondo il fatto che sono innocenti!
L'unico modo per riportare a casa con onore i due fucilieri di marina innocenti come ripato da un anno e mezzo è quello di sposarne a tutti i livelli (in primo luogo quello politico) l'innocenza.
Se finalmente verranno intrapresi i passi necessario per portare le prove della lora innocenza in primo piano sarà l'opinione pubblica indiana ingannata fin dall'inizio della vicenda a volerli rimandare subito in Italia con tante scuse ed a pretendere che i colpevoli di questa indegna farsa siano consegnati alla giustizia!

Che ci fa l’Italia in Libano?

La missione UNIFIL a guida italiana avrebbe bisogno di essere ripensata per andare incontro al nuovo scenario della guerra in Medio Oriente

Lebanese soldier waves as Italian armoured personnel carriers, part of UNIFIL, arrive in southern Lebanese port city of Tyre


“Una terra dagli equilibri fragili”. Così il ministro della Difesa italiano, Roberta Pinotti, aveva definito il Libano in occasione dell’avvicendamento del comando UNIFIL lo scorso luglio, quando il Generale Paolo Serra passava il testimone al Generale Luciano Portolano, in un raro ma fiero caso di passaggio di consegne tra italiani. In quell’occasione, il ministro aveva elogiato la “lunga e delicata” missione di pace nella Terra dei Cedri – dove l’Italia è impegnata ininterrottamente dal 1978 – definendola un “modello operativo” per imparzialità nella mediazione, capacità di cooperazione tra le forze armate e il governo libanese e, ancora, per sensibilità umana e ricerca di dialogo.

Caratteristiche che indiscutibilmente si potrebbero applicare al nostro impegno militare in Libano, se non fosse che uno dei suoi obiettivi fondamentali – monitorare l’attività di Hezbollah (il “Partito di Dio” e movimento armato sciita libanese) e impedirne il riarmo – lasci alquanto a desiderare. Un dubbio sull’efficacia della missione sorge, infatti, quando si viene a sapere che cellule di Hezbollah operano da tempo ben oltre i confini nazionali. Dal 2013 è noto il coinvolgimento delle milizie sciite del Partito di Dio in terra siriana e, più di recente, anche in Iraq contro lo spauracchio dello Stato Islamico, organizzazione sunnita che minaccia l’espansione nel Levante. Una jihad nella jihad, dunque, che evidenzia sin troppo bene come l’operatività di Hezbollah sia tutto fuorché contenuta. Ovviamente, non solo a causa delle inefficienze dei no- stri soldati.

Se a questo si sommano le minacce che il leader del Partito, Hassan Nasrallah, non ha smesso di lanciare contro Israele – l’ultima durante un raduno sciita a Beirut in novembre, in occasione della festività dell’Ashura, quando ha dichiarato di essere in possesso di altri razzi che facilmente potrebbero colpire la “Palestina occupata” (leggasi Israele, ndr) – questo la dice lunga sui risultati effettivi di una missione che pure sarebbe il fiore all’occhiello italiano, insieme all’Afghanistan.

Il ruolo dell’Italia

La Forza di Interposizione in Libano delle Nazioni Unite (UNIFIL) nasce con le Risoluzioni ONU 425 e 426, in risposta all’intervento armato israeliano in Libano del 1978. Il mandato viene rivisto a più riprese (nel 1982 e nel 2000) e infine ampliato con la Risoluzione 1701 del 2006, a seguito dell’intervento militare israeliano in territorio libanese. La missione, a guida italiana, consta attualmente di un contingente militare internazionale di 10.319 unità, di cui 1.100 italiani, e quasi un migliaio di civili. Le vittime tra il personale sinora sono state 306.

“Per quanto riguarda il Libano – spiega a Lookout News Vincenzo Camporini, Generale dell’aeronautica Militare e già Capo di stato Maggiore della difesa – UNIFIL è certamente una missione di grande peso e prestigio che l’Italia ha sempre guidato in maniera efficace. Se la situazione in questo Paese sinora non è implosa è certamente anche per merito dei caschi blu guidati dall’Italia”.

 http://www.lookoutnews.it - 24 dicembre 2014


La missione UNIFIL a guida italiana constadi 10.319 unità. 
I nostri soldati sono 1.100…..

 Tra gli obiettivi del mandato UNIFIL è esplicitamente citato che il riarmo debba essere monitorato “tra il fiume Litani e la Blue Line” (la linea di confine con Israele) il che, se inteso letteralmente, esula la missione dei caschi blu da ogni responsabilità relativamente alla rinnovata attività di Hezbollah.

“L’Italia – sottolinea però Paolo Messa, giornalista e fondatore della testata Formiche - si conferma un partner importante della comunità internazionale sia nell’ambito delle missioni della NATO che nel quadro delle iniziative realizzate sotto l’egida delle Nazioni Unite. Lo dimostra il ruolo di primo piano svolto in Libano. Non sempre però il nostro Paese è promotore di interventi in grado di favorire maggiormente i nostri interessi geopolitici e strategici”.

Il riferimento di Messa rimanda principalmente a quanto sta accadendo in Libia. Considerato quello che sta accadendo a poche centinaia di chilometri dalle nostre coste, non sarebbe forse il caso di rivedere nel 2015 (per l’ennesima volta, ma con più cognizione di causa) il mandato della missione UNIFIL, vista la fragilità di contesti che interessano in maniera molto più diretta l’Italia?

di Marta Pranzetti
Dal magazine Lookout News n. 13 – novembre 2014

#‎iostoconimarò‬ Stavolta vorrei che l'Italia si unisse!!!

 

 



E' giunta l'ora del cambio di marcia. Abbiamo l'obbligo morale e politico di dare un segnale chiaro all'India e a tutto il mondo. Sono ormai tre anni che subiamo contraccolpi da uno Stato, quello Indiano, che ha preso di mira la nostra debolezza diplomatica, giocando con la nostra Sovranità e peggio ancora con la vita di due nostri connazionali sempre più provati e messi alla prova dal limite dell'umana pazienza.
Ogni volta che li abbiamo visti in televisione o in video messaggi, o letto loro interviste o dichiarazioni, ci siamo meravigliati, stupiti e compiaciuti per la dignità e l'orgoglio che sempre hanno manifestato. Non è un buon motivo questo per metterli dinnanzi ad ulteriori prove. 
Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, hanno bisogno ora di vedere che anche il Governo sia dalla loro parte. Non attraverso promesse, telefonate o visite, ma attraverso una PRIMA PRESA DI POSIZIONE FERMA, che è mancata sin dal 15 Febbraio 2012.
L'ultima doccia fredda arrivata poche ora fa da New Dheli attraverso il portavoce del Governo Indiano parla chiaro "si deve capire che questa non e' una discussione solo fra due governi, ma coinvolge la giustizia indiana che e' libera, trasparente e imparziale e che si formera' una opinione indipendente su quanto e' avvenuto". Solo qualche giorno fa la nostra stampa che prende spunti ovviamente dagli indirizzi del nostro Governo, sbandierava quasi come una vittoria, il fatto che i due esecutivi stessero dialogando e che quello indiano stava prendendo in considerazione le richieste italiane.
Anche un bambino sa leggere tra le righe l'ultima Ansa..... prima saranno condannati e poi si potrà parlare di accordi. Ancora la stragrande maggioranza dell'opinione pubblica li da per colpevoli. Mai abbiamo sentito parlare qualcuno dei nostri Ministri di questi tre Governi delle Prove dell'Innocenza che non solo dimostrano che l'intero impianto accusatorio è viziato, ma che le prove raccolte scagionano i nostri due Fucilieri di Marina del Battaglione San Marco, dimostrando addirittura la loro estraneità ai fatti imputati.
E' giunto il momento quindi di unirci a tutto il nostro Governo e chiedere con fermezza il ritiro immediato delle Missioni Anti Pirateria, almeno fino a che non vengano riconusciuti i diritti violati di due militari italiani ingiustamente trattenuti in una Nazione che tutta si è dimostrata tranne che amica.
Non credo che i rapporti commerciali saranno compromessi, anzi sono convinto che abbiamo la possibilità in questo modo di dare un segnale non solo all'India ma a tutto il mondo che l'Italia è finalmente pronta a non farsi violare la propria Sovranità.
SIAMO IN DEBITO CON I MARO'!!!!
Nicola Marenzi
Fonte:https://www.facebook.com/events/1609329319290775/?ref=29&ref_notif_type=event_mall_comment&source=1

Ringraziate Renzi: darà la cittadinanza ai clandestini

Innanzitutto tanti auguri a tutti. E auguri all’Italia, temo ne abbia sempre più bisogno. Come sapete non appartengo alla schiera degli adulatori di Matteo Renzi e più il tempo passa, più la mia diffidenza aumenta.
E’ un leader politico che ha una doppia agenda, quella pubblica, retorica, ammiccante e bombastica su cui ha costruito la sua popolarità, e quella reale che si misura in due modi: da un lato analizzando attentamente, in profondità progetti e riforme del suo governo, dall’altro cogliendo attentamente i rapporti che Matteo Renzi ha o tenta di di sviluppare con le élite più alte, che non sono certo italiane e che governano davvero l’Europa e che promuovono i progetti globalisti.
In questo senso c’è ancora, purtroppo molto da scoprire. E non saranno novità liete per gli italiani. Ad esempio, l’altra sera, intervistato dall’ossequioso Fazio a Che Tempo che Fa, il premier ha annunciato una riforma dalle implicazioni colossali ma presentata in modo tale da non suscitare reazioni, mascherata da un tecnicismo.
Renzi ha annunciato che in primavera, tra le riforme istituzionali, ci sarà anche quella dello ius soli. Ora, provate a chiedere all’italiano medio cos^è lo ius soli: il 95% non saprà rispondere. E a una cosa che non si conosce non si reagisce.
Ma se Renzi avesse detto che vuole concedere la cittadinanza a tutti gli stranieri che nascono in Italia, ribaltando il principio, valido nella stragrande maggioranza dei Paesi europei, per cui la cittadinanza si trasmette di padre in figlio ovvero chi nasce assume la cittadinanza dei genitori non del Paese dove è nato.

Lo ius soli è una riforma di grave irresponsabilità sociale per ragioni che chiunque può facilmente intuire: trasformerà l’Italia in un polo di attrazione irresistibile per gli immigrati clandestini, che faranno di tutto per far nascere qui i propri figli. L’immigrazione clandestina rischia di assumere dimensioni colossali e di cambiare fisionomia: oggi molti immigrati una volta sbarcati tentano di trasferirsi verso i Paesi del nord, domani, soprattutto i giovani, avranno un incentivo fenomenale a fermarsi in Italia.
Ma l’Italia di oggi – e purtroppo ancheggi domani – non riesce più a dar lavoro nemmeno agli italiani, non può reggere un altro flusso migratorio stanziale. Significherebbe incentivare l’odio sociale, l’ingiustizia, il razzismo, la guerra fra i poveri.
E’ una riforma irresponsabile e grave, quasi delinquenziale: è quel che NON BISOGNA FARE.
Ma è voluta e sollecitata dalle élite transnazionali, che tentano di promuoverla non solo in Italia. E Renzi, ma non è una sorpresa, si adegua, dissimulando, da abile comunicatore, le proprie intenzioni.
Tanto il prezzo lo pagheranno i cittadini. Egli ha altri obiettivi, altre ambizioni. altri referenti, quelli che contano molto di più del popolo italiano.

Marcello Foa

Marcello Foa, a lungo firma de Il Giornale, ora dirige il gruppo editoriale svizzero TImedia ed è docente di Comunicazione e Giornalismo. Il Cuore del mondo è diventato un blog indipendente ospitato da ilgiornale.it

25 dicembre 2014
http://blog.ilgiornale.it/foa






25/12/14

L’Africa si arma invece di nutrirsi

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È noto che i governi africani tendono spesso a trascurare i loro compiti istituzionali: a mezzo secolo dalla fine del dominio coloniale europeo, infrastrutture e servizi essenziali quali istruzione e sanità continuano, ad esempio, a essere estremamente carenti anche nei paesi più ricchi di materie prime e di altre risorse naturali. Molto di quel che c’è, e che funziona, dipende da finanziamenti, assistenza e interventi stranieri realizzati nell’ambito della cooperazione internazionale allo sviluppo e di accordi con paesi e imprese che, in cambio di contratti di sfruttamento di miniere, giacimenti e terre coltivabili, realizzano strade, centrali elettriche, edifici pubblici, strutture sanitarie e molto altro ancora.





Ma c’è almeno un compito che invece, a quanto pare, sta molto a cuore ai leader africani: la difesa del territorio nazionale. Almeno così sembrerebbe a giudicare da quanto crescono le spese militari in tutto il continente.
Nel 2013, secondo il Sipri, Stockholm International Peace Research Institute, si è avuto un consistente incremento dell’8.3% che ha portato l’ammontare annuo complessivo degli investimenti nel settore a quasi 45 miliardi di dollari.
Un aumento nettamente superiore a quello del Prodotto interno lordo continentale che, nello stesso anno, è stato del 5,4% circa (in linea con la media annuale degli ultimi 13 anni, sempre superiore al 5%, ad eccezione del 2009 quando è scesa all’1,7%, in gran parte per il contraccolpo della crisi finanziaria internazionale).





Negli ultimi dieci anni, dal 2004 al 2013, la spesa continentale è aumentata del 65%: più che negli altri continenti, con incrementi consistenti in due paesi su tre. Il primato spetta all’Algeria, l’unico stato africano con un bilancio per la difesa superiore a dieci miliardi di dollari: il governo ha stanziato nel 2013 il 170% in più rispetto al 2004, a fronte di una crescita del Pil nello stesso arco di tempo del 31%.
Altri otto paesi hanno più che raddoppiato le spese militari nel decennio: il Ghana, dove si è avuto addirittura un incremento del 306%, il più elevato di tutto il continente, rispetto a una crescita del Pil del 95%, il Ciad, la Libia, la Liberia, il Malawi, lo Swaziland, la Namibia e l’Angola, che nel solo 2013 ha aumentato gli stanziamenti militari di due terzi raggiungendo i sei miliardi di dollari e superando per la prima volta il Sudafrica.





Persino lo Zimbabwe, nonostante l’embargo sulle armi imposto a partire dal 2002 da Stati Uniti e Unione Europea, ha quasi raddoppiato il proprio bilancio per la difesa: con la notevole differenza che l’Angola tra il 2004 e il 2013 ha registrato un aumento del Pil vicino al 150% mentre lo Zimbabwe nello stesso periodo ha attraversato una delle peggiori crisi economiche del continente, con un dimezzamento del Pil, passato dagli oltre 24 miliardi di dollari nel 2004 a poco più di 12 miliardi nel 2013.
45 miliardi di dollari sono una somma del tutto esigua se confrontata con i bilanci della difesa dei paesi industrializzati: li spende da sola la Germania, secondo il Global Firepower, e l’Italia ne stanzia ogni anno 34.
Ma non lo sono affatto rispetto al contesto africano: equivalgono infatti a più di tutte le rimesse degli africani all’estero – quasi 40 miliardi di dollari nel 2013 – e degli investimenti stranieri diretti, che nel 2011 ammontavano a 42,7 miliardi di dollari. Inoltre la somma è di poco inferiore a quella dei fondi forniti dalla cooperazione internazionale allo sviluppo all’Africa nel 2012, in tutto 51.3 miliardi di dollari.





Può sorprendere che moltiplichino le spese militari fino a raddoppiarle e triplicarle stati come, ad esempio, la Liberia che ha 1,4 medici e 80 posti letto ogni 100.000 abitanti, un tasso di mortalità materna di 770 ogni 100.000 bambini nati vivi e il 40% della popolazione adulta analfabeta; o come il Ghana, con soltanto 9 medici e 90 posti letto ogni 100.000 abitanti. Proprio la Liberia è lo stato più colpito dall’epidemia di Ebola, con 4.181 morti.
In parte si capisce come mai. I paesi del Sahel e l’intera fascia sottostante, da un oceano all’altro, temono la minaccia jihadista, di mese in mese più grave. Molti governi devono fare i conti con gruppi armati antigovernativi e secessionisti. Per diversi stati costieri si pone il problema della pirateria, aggravatosi di recente sulle coste atlantiche, specialmente nel Golfo di Guinea, e, per i paesi che posseggono giacimenti di petrolio e di gas offshore, la necessità di rendere sicure le attività estrattive. Le nuove spese servono ad acquistare armi, ad aumentare gli organici e ad addestrare il personale militare all’uso di armi più sofisticate.





Ma ogni giorno dall’Africa ormai giungono notizie di attentati terroristici e stragi, di militari e agenti di polizia che non rispondono alle richieste di aiuto e lasciano villaggi e intere città cadere nelle mani dei miliziani, che fuggono o rifiutano di combattere perché, così dicono, dotati di armi e mezzi inadeguati rispetto a quelli di cui dispongono gli avversari o, ancora, che addirittura infieriscono a loro volta sui connazionali inermi, taglieggiandoli per integrare i salari insufficienti e magari per mesi non percepiti.
Da anni inoltre crescono i territori del tutto fuori controllo – in Nigeria, Repubblica Democratica del Congo, Kenya, Mali… – in cui i gruppi armati uccidono, riscuotono tributi, si appropriano delle risorse esistenti indisturbati, tessendo reti transnazionali che includono jihadisti, bande di trafficanti di droga, armi ed esseri umani, milizie ribelli e bracconieri e creando corridoi attraverso i quali si spostano armi e combattenti.




Il caso della Nigeria è rivelatore. Uno degli eserciti più grandi del continente, circa 130.000 unità, non riesce ad aver ragione di Boko Haram, in tutto alcune migliaia di terroristi (e i miliziani del Lord Resistance Army che seminano il terrore da dieci anni in Congo, Centrafrica e Sud Sudan sono solo poche centinaia).
Tutti pensano in Nigeria, e alcuni hanno il coraggio di dire pubblicamente, che le risorse stanziate quest’anno per rinnovare l’arsenale e addestrare le truppe – un miliardo di dollari – hanno fatto e faranno la solita fine: il denaro in parte stornato da ministri e parlamentari, le armi effettivamente acquistate rubate in quantità da ufficiali e altro personale militare per rivenderle a chiunque disponga di denaro: civili, criminali, persino gli stessi terroristi.
I militari invece non arretrano quando si tratta di reprimere le proteste popolari o fermare gli operai in sciopero, dal Sud Africa all’Etiopia disposti anche a sparare ad altezza d’uomo: ma allora la funzione delle spese militari diventa garantire il potere ai leader più che difendere il territorio nazionale e i suoi abitanti.
Foto: AP, Defence web, Reuters, Esercito Nigeriano, Getty Images

di Redazione24 dicembre 2014
Anna Bono da Nuova Bussola Quotidiana

fonte: http://www.analisidifesa.it

Latorre e Girone, appello alla liberazione della Sinagoga di Roma



Latorre e Girone, appello alla liberazione della Sinagoga di Roma



La Comunità ebraica si mobilita. Un modo semplice, ma efficace di far sentire la propria vicinanza al dramma umano dei nostri marò. Una gigantografia dei fucilieri di Marina Massimiliano Latorre e Salvatore Girone campeggia sulla cancellata della sinagoga di Roma. E contestualmente viene lanciata anche la campagna #bringbackourmarò (riportiamo a casa i marò), per accrescere l’attenzione sulla vicenda. Le immagini davanti al Tempio Maggiore sono  accanto a quella di un soldato israeliano rapito da Hezbollah in Libano.

“Noi continueremo a pregare”

È la prima volta che vengono esposte immagini di persone non di religione ebraica davanti alla sinagoga di Roma. «La sorte dei due marò è oggi una questione umanitaria che ha bisogno del sostegno di tutti – ha commentato il presidente della Comunità Ebraica di Roma, Riccardo Pacifici – Riteniamo necessario compiere ogni iniziativa possibile per riportarli a casa dalle loro famiglie. Latorre e Girone non possono e non devono essere lasciati soli. Ci stiamo mobilitando sui social network», ha aggiunto Pacifici – sensibilizzando quante più persone e organismi possibili, anche in campo internazionale. Il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, e i suoi ministri, in queste ore stanno lavorando al meglio per trovare una soluzione e riportarli tutti e due in Italia. Speriamo che questa lunga attesa finisca al più presto. Noi continueremo a pregare e a mobilitarci».

Il terzo Natale amaro

Le preghiere, il sostegno e la mobilitazione della Comuità ebraica di Roma sono un conforto importate in un momento in cui nonostante le promesse del governo, il regalo più atteso, la serenità, non arriverà neanche quest’anno nelle case dei due fucilieri. I militari della Brigata San Marco vivranno il terzo Natale consecutivo con l’inquietudine di non conoscere le sorti di una incredibile vicenda giudiziaria che li vede coinvoltidal  febbraio del 2012.


VICENDA MARO' - INDIA / QUESTO NATALE ABDICHIAMO ALLA NOSTRA SOVRANITA'…?





Le notizie che pervengono da New Delhi alla vigilia del Natale paiono confermare l'intenzione del Governo di abdicare ancora una volta alla nostra Sovranità nazionale. Il nostro Governo pare volersi "scusare" con chi ci ha preso in ostaggio i nostri due Militari con un trucco, riconoscere formalmente e nella sostanza che l'incidente oggetto di disputa è avvenuto come lo descrivono gli indiani, pur in assenza di qualunque prova e di anche un solo capo d'imputazione, e ignorare volutamente la violazione dei trattati internazionali da parte di New Delhi e quella - gravissima - della Convenzione di Vienna, concretizzata a marzo 2013 con il blocco in India del nostro Ambasciatore Mancini. La proposta di "sistemazione" del dossier Marò, se confermata, affonda ancor più la credibilità del nostro Paese. Noi siamo CONTRARI a qualunque ipotesi di "trattativa al ribasso" che possa costituire un precedente pericoloso per la sicurezza di tutti i nostri Militari in missione all'estero e che metta in ridicolo le Forze Armate, e nostra Diplomazia, che - come ho detto nel mio discorso in Parlamento, quando mi dimisi proprio per protesta a seguito della decisione dell'allora Governo Monti di rimandarli in India - fa enormi scacrifici ed è apprezzata nel Mondo… IN QUESTO VIDEO per chi fosse interessato LE MIE RECENTI DICHIARAZIONI A TG COM 24 SUL DOSSIER MARO'   (Vd.video) …un pensiero affettuoso di BUON NATALE a Salvatore e Massimiliano, che trascorreranno un ennesimo natale tutt'altro che sereno, due Uomini simbolo di TUTTI i nostri connazionali ingiustamente privati della propria libertà all'estero!






Dopo ANNI di ingiustizia e clamorosa violazione del diritto internazionale, l'Italia ancora latita nella tutela del nostro interesse nazionale..




Giulio Terzi - 24 dicembre 2014
fonte: https://www.facebook.com/ambasciatoregiulioterzi?sk=wiki&rf=305482606139496&filter=2

24/12/14

CASO MARO' - ROMA CAMBIA POSIZIONE CON L’INDIA: DA IN GINOCCHIO A SDRAIATA



Lo schiaffo della Corte Suprema indiana che ha respinto il prolungamento della convalescenza in Italia di Massimiliano Latorre e la richiesta di rimpatrio natalizio per Salvatore Girone ha proprio fatto arrabbiare il governo italiano. Rispetto alle valutazioni espresse la scorsa settimana in un editoriale, Analisi Difesa torna sull’argomento (spinoso e imbarazzante per ogni italiano) in seguito alle notizie apparse sul quotidiano indiano The Economic Times che cita “fonti governative indiane del massimo livello” in base alle quali il governo Renzi avrebbe offerto un “pacchetto” di proposte per risolvere amichevolmente dopo quasi tre anni la vicenda dei marò.
Le proposte italiane includerebbero la disponibilità a presentare pubbliche scuse da parte dell’ambasciatore italiano per l’uccisione dei due pescatori indiani, un importante risarcimento per le loro famiglie e il processo in Italia per i due marò.


 


Fonti del ministero degli Esteri indiano – si legge sul quotidiano – hanno ammesso che l’Italia ha presentato “alcuni elementi” per una soluzione amichevole della questione attraverso un negoziato fra i due governi.
Una fonte ministeriale ha commentato che “i più autorevoli consiglieri legali del governo ed il ministero dell’Interno debbono esprimere un parere sulla compatibilità della proposta con il sistema legale indiano. Il negoziato potrebbe cominciare solo quando vi fosse un via libera da parte degli esperti giuridici, dato che la questione è all’esame della Corte Suprema”.
I vertici di polizia indiani hanno però fatto sapere di essere contrari alla proposta, insistendo che i due militari riconoscano le loro responsabilità in India e poi, una volta condannati, siano inviati in Italia in base al Trattato bilaterale esistente per permettere ai condannati di scontare la pena nel proprio Paese.


 


Da Roma non è giunta nessuna smentita al documentato articolo dell’Economic Times  mentre l’ambasciata italiana a Nuova Delhi, interpellata dall’ANSA, ha detto di non avere commenti da fare sul tenore dell’articolo pubblicato all’indomani dell’ammissione da parte del governo indiano di avere allo studio una proposta italiana confermando implicitamente quanto riportato da The Economic Times e dimostrando un concreto cambiamento nell’atteggiamento nei confronti dell’India.
Se finora i tre governi italiani coinvolti nella vicenda (Monti, Letta e Renzi) sono stati in ginocchio di fonte alle pretese e alle angherie indiane ora l’attuale esecutivo pare pronto a un “salto di quali” sdraiandosi letteralmente ai piedi degli indiani, quasi chiedendo “pietà”.
E’ vergognoso presentare scuse per colpe inesistenti, negate dagli stessi Fucilieri di Marina (la cui parola vale per noi più delle chiacchiere dei politici, quelli nostri e quelli indiani) e in ogni caso non provate dal momento che Nuova Delhi non è mai stata neppure in grado di imbastire un processo.
Al tempo stesso è ridicolo promettere indennizzi ai famigliari dei due pescatori uccisi anche perché già il governo Monti aveva pagato cifre cospicue (per gli standard indiani) ai parenti e al proprietario del peschereccio Saint Anthony, risarcimenti definiti all’epoca non ammissioni di colpa ma “gesti di buona volontà”.


 


A completare l’ennesima figura penosa dei nostri governanti c’è poi la pretesa di Renzi che sulla questione cali il silenzio. Strategia (per così dire) non nuova e applicata dai precedenti governi fin dall’inizio della vicenda dei marò con effetti catastrofici. Nelle prime 72 ore dal blocco nel porto indiano della “Enrica Lexie” da Roma non venne pronunciata una sola parola mentre l’India inondava i media del mondo intero con il ritornello degli “italian marines” assassini.
Sul caso marò “tutto quello che dobbiamo dire lo abbiamo già detto. Ora è il momento di non aprire la bocca”  ha detto ieri Matteo Renzi a Rtl 102.5. Ma che senso ha tacere se i giornali indiani hanno già rivelato il nostro “ardito piano”?
Non è una novità purtroppo, siamo governati da dilettanti allo sbaraglio. Pensate che solo nelle ultime settimane per motivi incomprensibili il Ministero della Difesa ha cercato di non rendere note le caratteristiche della missione italiana in Kurdistan iracheno (che impegnerà anche forze speciali ed elicotteri), ha nascosto l’addestramento curato dai nostri incursori del 9° reggimento Col Moschin a militari somali e persino il comando italiano della Pattuglia Aerea Baltica della NATO in Lituania dove l’Aeronautica sta inviando 4 caccia Typhoon.


 


Molte di queste notizie sono state rivelate o anticipate da Analisi Difesa ma quello che dimostra l’estrema pochezza dei nostri governanti è il fatto che la loro visione del mondo si ferma al Grande Raccordo Anulare romano. Cercano di nascondere ai media italiani (troppo spesso compiacenti con i politici) notizie che il mondo intero conosce e così si coprono di ridicolo facendosi sorprendere da un giornale indiano che svela la “proposta oscena” dell’Italia per portare a casa i marò.
Il governo italiano è impegnato “in un clima di rispetto istituzionale” con quello indiano perché “possano tornare a casa tutti e due i marò ha aggiunto il premier ammettendo quindi che Roma continua a supplicare gli indiani rinunciando al più volte annunciato ricorso all’arbitrato internazionale suggerito dai nostri migliori giuristi .


 


Che dire poi del ministro degli Esteri  Paolo Gentiloni che in visita a Baghdad e Erbil in concomitanza con l’arrivo nel capoluogo curdo dei primi 34 consiglieri militari italiani (dei 200 che verranno schierati in Kurdistan più altri 80 a Baghdad)  ha specificato che per i nostri militari in Iraq «non saranno necessarie regole di ingaggio» perché non verranno coinvolti nei combattimenti.
Una bestialità perché le regole d’ingaggio le hanno persino i soldati impegnati nell’operazione “Strade Sicure” sul territorio nazionale e perché anche in Kurdistan i nostri soldati dovranno provvedere all’autodifesa se necessario e a proteggersi da azioni terroristiche e sempre possibili attacchi delle milizie dello Stato Islamico.
Il ministro Gentiloni vuole farci credere l’impossibile e cioè che il contingente in Iraq non ha ricevuto indicazioni circa l’uso delle armi?  Come può un governo inviare militari in zona di guerra senza regole d’ingaggio?
Come può un ministro che vuole esprimersi su questioni militari (che peraltro non gli competono)  non avere la più pallida idea di ciò di cui parla ?
Perdoniamoli perché non sanno quello che fanno e neppure quello che dicono.
Buon Natale a tutti.

Foto: Ansa, AGI, Lapresse, Andreja Restek APR

di Gianandrea Gaiani - 24 dicembre 2014
fonte: http://www.analisidifesa.it