Di questo aspetto sugli interessi nella pirateria, riportato nel citato articolo, ne avevo fatto menzione in una relazione a un convegno sul tema della sovranità svoltosi a Roma sabato 26 maggio 2012, nella quale riportavo la notizia che la società britannica Convoy Escort Programme Ltd. sostenuta e finanziata dai Jardine Lloyd Thompson Group Plc di Londra era prossima ad allestire la prima flotta privata antipirateria. La notizia venne confermata da un lancio Ansa del 6 gennaio 2013, che riporto integralmente: una “marina privata” per combattere i pirati somali che terrorizzano i cargo al largo delle coste africane. Con tanto di navi armate, motovedette e un piccolo esercito di ex comandanti, ufficiali e marinai.
Ovviamente militari, se non altro per il continui avvicendamenti, al contrario di contrattisti ed avventurieri difficili da “ammorbidire”, peggio coinvolgere in giochi spuri di interesse, erano e sono un ostacolo a certi interessi, quindi eliminarli dalla scena con una finalizzata macchinazione, addirittura con la condanna a morte di due malcapitati alla Sacco e Vanzetti, potrebbe essere un movente; la scelta di una nave italiana con a difesa un nucleo militare potrebbe essere stata dettata dalla nostra debolezza nazionale e dalla inconsistenza dei nostri dirigenti, alcuni persino in conflitto di interessi con l’India, come l’evolversi della vicenda nel tempo ha dimostrato.
Al riguardo commentavamo: “Dobbiamo allora parlare di una pirateria di Stato da parte degli indiani? Assolutamente no, ma di cultura fortemente informata ed influenzata dalla pratica delle pirateria certamente si, alla stregua di come da noi non si può, soprattutto in certe regioni, parlare di mafia di Stato, ma di cultura informata ed influenzata dalla mafia con connessioni e legami in vari ambienti definiti, in gergo, dei colletti bianchi, oltre che in quelli politici o del sottobosco politico, in particolare a livello locale”.
Inoltre, le nostre autorità, sensibili ed aperte verso la malversazione indiana, non si sono fatte scrupolo di violare in tema di estradizione – fattispecie che si configura sino dai preliminari di indagine e ancora di più in una riconsegna in barba a tutti i proclamati principi, tanto da negarla per conclamati terroristi che correvano il rischio di condanna a morte nel Paese di estradizione – principi sacri ed inviolabili, sanciti dalla Convenzione europea sui Diritti dell’Uomo, dalla nostra Costituzione e riaffermati, dalla giurisprudenza in materia.
Molto attivi i gruppi spontanei sorti in Rete, tra cui in prima linea il gruppo Facebook “Riportiamo a casa i due militari prigionieri” con esponenti portanti quali l’ingegnere Luigi Di Stefano, la cui analisi tecnica, che ha smontato il fatuo castello manipolativo indiano, il quale rappresenta l’arma strategica a sostegno e difesa dei due militari, e il generale Fernando Termentini che assistito da legali di sua fiducia ha messo, con finalizzati e ben congegnati esposti, con le spalle al muro la stessa magistratura in genere pervasiva, ma questa volta rinunciataria, tanto da non ravvisare pericolo di fuga quando era noto che i due stavano recandosi in aeroporto per venire riconsegnati agli indiani.
La situazione sembrava avviata a soluzione quando, dopo una audizione del Perito Luigi Di Stefano a Bruxelles nella quale confutava le argomentazioni indiane, veniva disposto su ferma presa di posizione europea il rientro in Italia dei due Fucilieri di Marina in attesa della assegnazione di giurisdizione da parte del Tribunale Arbitrale dell’Aja, che dovrebbe decidere entro il prossimo 2018. Il governo di New Delhi ha sostenuto infatti davanti alla Corte Permanente di Arbitrato dell’Aja che le spetta di poter giudicare i due fucilieri di Marina, che ritiene implicati nella morte di due pescatori indiani al largo delle coste dello stato federato del Kerala.
Una complicazione inattesa; Luigi Di Stefano, come aveva già fatto ottenendo il fascicolo completo da parte di Bruxelles, ha avanzato la stessa richiesta al Tribunale dell’Aja, che ha risposto che i documenti rimarranno secretati sino a dopo la sentenza. Magnifico, un sotterfugio per impedire la difesa dei due militari che sono estranei alla morte dei due indiani deceduti su un natante impegnato in presunte attività di pesca, comunque differente anche a vista e in circostanze di tempo e di luogo non compatibili secondo la documentatissima analisi tecnica di Luigi Di Stefano, che non potrà così confutare l’accusa indiana, con quelle dell’episodio del fuoco di dissuasione da bordo dell’Enrica Lexie.
Il verdetto dovrebbe a tal punto essere che sul caso l’India non può avere giurisdizione alcuna, non solo per motivi giuridici, dove vi è spazio discrezionale, ma perché il fatto non sussiste, come si evince da una lettura critica della documentazione indiana nota perché agli atti a Bruxelles. Solo è che le nostre autorità sono troppo morbide, molto gentili, persino troppo Gentiloni... Sconcertante questo atteggiamento succube e passivo, contro cui i vari gruppi a difesa dei due militari ingiustamente accusati e scaricati dalle nostre autorità, sono già sul piede di guerra. Complessivamente si tratta di alcune centinaia di migliaia di attivisti determinati e motivati.