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Non smettete mai di protestare; non smettete mai di dissentire, di porvi domande, di mettere in discussione l’autorità, i luoghi comuni, i dogmi. Non esiste la verità assoluta. Non smettete di pensare. Siate voci fuori dal coro. Un uomo che non dissente è un seme che non crescerà mai.

(Bertrand Russell)

10/11/17

Marò: dove eravamo rimasti



Marò: dove eravamo rimastiSi riapre dinanzi davanti alla Corte Permanente di Arbitrato dell’Aja la vicenda dei due fucilieri di Marina Massimiliano Latorre e Salvatore Girone che l’India ritiene responsabili della morte di due suoi connazionali imbarcati su un natante dedito a presunte attività di pesca, mentre i Gruppi impegnati in loro difesa sostengono la loro totale estraneità all’evento, in quanto l’abbattimento dei due presunti pescatori si è verificata a distanza di tempo, per ammissione videoregistrata del proprietario e comandante del natante bersagliato, oltre che in luogo diverso da quello dove i due nostri militari in servizio antipirateria sulla petroliera Enrica Lexie aprirono un fuoco di dissuasione, dopo le segnalazioni di rito, contro altro natante, diverso – lo ribadiamo – da quello in cui sono periti i due indiani impegnati in presunte attività di pesca, che si allontanò, desistendo da quella che appariva come una rotta di abbordaggio, forse, come a tal punto si potrebbe anche ipotizzare, funzionale alla macchinazione giudiziaria e mediatica a supporto di interessi, legali, ma non per questo legittimi ed etici, connessi con la pirateria di cui abbiamo parlato in un articolo dell’11 gennaio 2013. La differenza temporale tra i due eventi rende plausibile tale ipotesi.
Di questo aspetto sugli interessi nella pirateria, riportato nel citato articolo, ne avevo fatto menzione in una relazione a un convegno sul tema della sovranità svoltosi a Roma sabato 26 maggio 2012, nella quale riportavo la notizia che la società britannica Convoy Escort Programme Ltd. sostenuta e finanziata dai Jardine Lloyd Thompson Group Plc di Londra era prossima ad allestire la prima flotta privata antipirateria. La notizia venne confermata da un lancio Ansa del 6 gennaio 2013, che riporto integralmente: una “marina privata” per combattere i pirati somali che terrorizzano i cargo al largo delle coste africane. Con tanto di navi armate, motovedette e un piccolo esercito di ex comandanti, ufficiali e marinai.
Ovviamente militari, se non altro per il continui avvicendamenti, al contrario di contrattisti ed avventurieri difficili da “ammorbidire”, peggio coinvolgere in giochi spuri di interesse, erano e sono un ostacolo a certi interessi, quindi eliminarli dalla scena con una finalizzata macchinazione, addirittura con la condanna a morte di due malcapitati alla Sacco e Vanzetti, potrebbe essere un movente; la scelta di una nave italiana con a difesa un nucleo militare potrebbe essere stata dettata dalla nostra debolezza nazionale e dalla inconsistenza dei nostri dirigenti, alcuni persino in conflitto di interessi con l’India, come l’evolversi della vicenda nel tempo ha dimostrato.
Al riguardo commentavamo: “Dobbiamo allora parlare di una pirateria di Stato da parte degli indiani? Assolutamente no, ma di cultura fortemente informata ed influenzata dalla pratica delle pirateria certamente si, alla stregua di come da noi non si può, soprattutto in certe regioni, parlare di mafia di Stato, ma di cultura informata ed influenzata dalla mafia con connessioni e legami in vari ambienti definiti, in gergo, dei colletti bianchi, oltre che in quelli politici o del sottobosco politico, in particolare a livello locale”.
Inoltre, le nostre autorità, sensibili ed aperte verso la malversazione indiana, non si sono fatte scrupolo di violare in tema di estradizione – fattispecie che si configura sino dai preliminari di indagine e ancora di più in una riconsegna in barba a tutti i proclamati principi, tanto da negarla per conclamati terroristi che correvano il rischio di condanna a morte nel Paese di estradizione – principi sacri ed inviolabili, sanciti dalla Convenzione europea sui Diritti dell’Uomo, dalla nostra Costituzione e riaffermati, dalla giurisprudenza in materia.
Molto attivi i gruppi spontanei sorti in Rete, tra cui in prima linea il gruppo Facebook “Riportiamo a casa i due militari prigionieri” con esponenti portanti quali l’ingegnere Luigi Di Stefano, la cui analisi tecnica, che ha smontato il fatuo castello manipolativo indiano, il quale rappresenta l’arma strategica a sostegno e difesa dei due militari, e il generale Fernando Termentini che assistito da legali di sua fiducia ha messo, con finalizzati e ben congegnati esposti, con le spalle al muro la stessa magistratura in genere pervasiva, ma questa volta rinunciataria, tanto da non ravvisare pericolo di fuga quando era noto che i due stavano recandosi in aeroporto per venire riconsegnati agli indiani.
La situazione sembrava avviata a soluzione quando, dopo una audizione del Perito Luigi Di Stefano a Bruxelles nella quale confutava le argomentazioni indiane, veniva disposto su ferma presa di posizione europea il rientro in Italia dei due Fucilieri di Marina in attesa della assegnazione di giurisdizione da parte del Tribunale Arbitrale dell’Aja, che dovrebbe decidere entro il prossimo 2018. Il governo di New Delhi ha sostenuto infatti davanti alla Corte Permanente di Arbitrato dell’Aja che le spetta di poter giudicare i due fucilieri di Marina, che ritiene implicati nella morte di due pescatori indiani al largo delle coste dello stato federato del Kerala.
Una complicazione inattesa; Luigi Di Stefano, come aveva già fatto ottenendo il fascicolo completo da parte di Bruxelles, ha avanzato la stessa richiesta al Tribunale dell’Aja, che ha risposto che i documenti rimarranno secretati sino a dopo la sentenza. Magnifico, un sotterfugio per impedire la difesa dei due militari che sono estranei alla morte dei due indiani deceduti su un natante impegnato in presunte attività di pesca, comunque differente anche a vista e in circostanze di tempo e di luogo non compatibili secondo la documentatissima analisi tecnica di Luigi Di Stefano, che non potrà così confutare l’accusa indiana, con quelle dell’episodio del fuoco di dissuasione da bordo dell’Enrica Lexie.
Il verdetto dovrebbe a tal punto essere che sul caso l’India non può avere giurisdizione alcuna, non solo per motivi giuridici, dove vi è spazio discrezionale, ma perché il fatto non sussiste, come si evince da una lettura critica della documentazione indiana nota perché agli atti a Bruxelles. Solo è che le nostre autorità sono troppo morbide, molto gentili, persino troppo Gentiloni... Sconcertante questo atteggiamento succube e passivo, contro cui i vari gruppi a difesa dei due militari ingiustamente accusati e scaricati dalle nostre autorità, sono già sul piede di guerra. Complessivamente si tratta di alcune centinaia di migliaia di attivisti determinati e motivati.

09/11/17

L’Ungheria in difesa della Fede. Il Governo ungherese si dichiara pronto a trasportare in Ungheria la croce da smontare in Francia!

Ringraziamo il nostro amico Andras Kovacs, che ci ha inviato questa traduzione di un articolo tratto dal sito del Governo ungherese. Come è noto (vedi su Avvenire), il Consiglio di Stato francese ha deciso che la croce che sovrasta il monumento di Giovanni Paolo II che si trova nella città di Ploermel, in Bretagna, va rimossa perché viola la legge del 1905 sulla separazione tra Stato e Chiesa. Il Governo ungherese, per bocca del suo Ministro degli Esteri, ha dichiarato la disponibilità a trasportare questa croce in Ungheria, a proprie spese, e ad esporla in una scuola. Il Ministro non ha mancato di sottolineare che l’Europa non può e non deve rinnegare le sue radici cristiane, la sua stessa identità.
La nostra gratitudine va quindi anche al Governo ungherese, guidato da Viktor Orban, ai suoi ministri e al popolo ungherese, che ancora una volta dimostrano di essere un faro di civiltà in questa Europa che corre verso il suicidio.

Il governo ungherese è disponibile ad assumersi le spese e gli oneri amministrativi necessari per poter trasportare in Ungheria la croce destinata ad essere tolta dalla statua del papa Giovanni Paolo II nella città di Ploermel, se il municipio francese è d’accordo – ha dichiarato Péter Szijjártó, Ministro degli Esteri e Dell’Economia Estera.
Il Ministro ha spiegato che attraverso l’Ambasciata di Parigi hanno contattato l’ente governativo della cittadina di Bretagna, ma che finora non hanno avuto nessuna risposta. Ha aggiunto che la croce sarebbe accolta dalla Scuola Elementare e Secondaria San Benedetto di Budaörs.
Péter Szijjártó non ha voluto commentare la decisione del Consiglio di Stato secondo la quale bisogna togliere la croce, ma ha spiegato che dal punto di vista del futuro dell’Europa ogni decisione che riguarda la soppressione del cristianesimo con riferimento alla tolleranza in modo ipocrita e che ordina la rimozione dei simboli cristiani è “molto dannosa”.
Secondo il Ministro “l’incredibile indulgenza” diretta a sopprimere il cristianesimo è contraria agli interessi dell’Europa. Questi passi – come ha dichiarato – sono da considerare delle misure per annientare la civilizzazione e la cultura del continente. Ha aggiunto: nei nostri giorni si aprono delle questioni che prima non erano neanche ritenute degne di essere aperte perché pochi mettono in dubbio – indipendentemente dall’appartenenza religiosa – che il cristianesimo è una parte determinante della cultura europea. È proprio vero che nel 21° secolo in Europa facciamo togliere un simbolo cristiano? C’è libertà di religione per tutti, tranne per i cristiani? – ha chiesto Péter Szijjártó e ha chiamato queste domande “questioni di destino”.
Il Ministro ha sottolineato che la natura cristiana dell’Europa deve essere preservata e chi viene qua deve accettare e rispettare le leggi locali e le tradizioni degli abitanti.
Secondo Péter Szijjártó l’immigrazione illegale mette in pericolo la natura cristiana dell’Europa perché il diventare un paese di immigrati ha come conseguenza che chi arriva, prima o poi vorrà sovrascrivere le regole locali.
Rispondendo ad una domanda ha fatto sapere che gli ungheresi registrati alla protezione consolare a New York non hanno subito danni nell’atto terroristico di martedì. Come ha spiegato, tanti però non hanno chiesto questo tipo di aiuto, per questo il Ministro ha chiesto a chi deve viaggiare all’estero o a chi vive all’estero di registrarsi per una protezione consolare.
Péter Szijjártó ha sottolineato anche il fatto che il successo dell’azione militare internazionale comporta anche dei pericoli perché una parte dei “terroristi assetati di vendetta” vorrebbe venire in Europa. La prevenzione in parte è una questione dei servizi segreti, in parte la difesa dei confini perché se “non facciamo entrare nessuno illegalmente, allora non facciamo entrare neanche i terroristi” – ha aggiunto.

1- fonte: http://www.kormany.hu/hu/kulgazdasagi-es-kulugyminiszterium/hirek/a-kormany-segit-a-franciaorszagban-lebontando-kereszt-magyarorszagra-szallitasaban

2- fonte: https://www.riscossacristiana.it

Milano kaputt


Meravigliosa gara a chi è più conformista tra radicali (che propongono l’istituzione del “Diversity manager”) e il Comune, orientato a creare la figura del “Gender city manager”. Insomma, il “checche-manager”. Allo squallore non c’è mai fine? Chissà. Quel che è certo, è che Milano è finita. Però dal Vaticano arriva una notizia che ricolma il cuore di speranza…

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Che ci volete fare. Io questa Milano, città in cui si vive male, in cui il traffico ti ammazza, l’aria ti intossica, la vita costa troppo, io l’ho sempre amata.
Mi dicono che sto invecchiando, e questo è fuori discussione. Se guardo la mia carta d’identità, alla voce “data di nascita” leggo pessime notizie. Ok, ma proprio perché sto diventando vecchio, ho fatto in tempo a vivere nella città di Sant’Ambrogio, in una città ordinata nonostante il caos (non è una contraddizione, chi è milanese davvero mi darà ragione), in una città cristiana, con un’anima grande, la città della Madonnina e di Sant’Ambrogio, dove davvero – parlo di un po’ di anni fa – chi aveva voglia di lavorare poteva farsi strada, dove davvero esisteva quel “Cuore di Milano” grazie al quale nessuno si sentiva solo.
Ma adesso Milano è morta, l’hanno ammazzata. I colpevoli non saranno mai perseguiti perché sono al tempo stesso esecutori, legislatori e giudici. L’hanno ammazzata arcivescovi dimentichi del loro compito, politici sempre più squallidamente mediocri, preoccupati solo di restare sulla cresta dell’onda. L’hanno ammazzata anche, diciamocelo francamente, l’apatia e l’indifferenza di tanti, troppi milanesi che hanno guardato l’agonia e se ne sono fregati.
Milano ha visto la sua piazza del Duomo oltraggiata dalla preghiera collettiva di centinaia di maomettani, ha visto le sue strade insozzate dagli squallidi “gay-pride”, e altro… E non a caso ha dedicato una delle sue vie centrali, quella che per lunghissimi anni fu “via dell’Arcivescovado”, al signor Carlo Maria Martini. È giusto: avviata sulla strada del suicidio, ha voluto degnamente celebrare un portatore di confusione.
E adesso l’amministrazione comunale, non paga evidentemente di quanto già fatto, non solo candida la ex-città di Sant’Ambrogio a diventare “capitale del turismo gay” (evitiamo facili giochi di parole come “culturismo”…), ma anche, per bocca del presidente della Commissione comunale Pari opportunità e Diritti civili, propone l’istituzione del “Gender city manager”, ovvero una “figura super partes per la raccolta dei dati e il monitoraggio di tutte le azioni dell’amministrazione in tema di discriminazioni di genere”. E ovviamente i radicali rilanciano: no, serve il “Diversity manager”. È una figura “più comprensiva”.
In questa schifezza, una sola voce di buonsenso, peraltro inascoltata: quella di Riccardo De Corato, già vicesindaco, che chiede l’istituzione del “Normality manager”.
Ho letto tutte queste piacevolezze sul Giornale di oggi.
Milano kaputt. Non saprei davvero che altro dire. L’ex città dal cuore grande presenta uno squallido spettacolo di degrado umano a chi arriva in Stazione centrale; lascia nei pasticci i poveri e corre in aiuto degli immigrati, regolari o meno (dettaglio), perché troppo impegnata a dimenticarsi che il “prossimo” è appunto chi è “prossimo”, ovvero vicino. L’ex città di Sant’Ambrogio ha perso l’anima e, come contropartita normale in questi casi, ha trovato la morte.
Sulle macerie di Milano resteranno trionfanti il “manager”, che sia “gender” o “diversity” manager, e qualche brillantino e nastro colorato caduto dalle mutande di qualche partecipante all’ultima festa gay patrocinata dal Comune. In attesa che venga abbattuta la Madonnina, per evitare discriminazioni verso le “altre religioni”…
Addio Milano, sai quanto ti ho amata. E so quanto mi hai amato, come amavi tutti i tuoi cittadini. Ma quando tutto è finito, bisogna rendersene conto. È meglio andarsene…
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PS: ammetto di aver scritto questo articolo con molta tristezza nel cuore, ma ecco una notizia che mi induce al giubilo e alla rinascita della speranza: Bergoglio ha vietato… che cosa? La bestemmia? Le blasfeme “liturgie” interreligiose? I sacrilegi? Ma và, quelle sono robette.
Ha vietato la vendita di sigarette in Vaticano! Leggete su ANSA . La Fede è salva! Ricomincia il cammino della civiltà! Attendiamo il commento di Buttiglione, che ricordiamo dalla giovinezza come fumatore di sigaro.

di Paolo Deotto - 9 novenbre 2017

fonte: https://www.riscossacristiana.it/milano-kaputt-di-paolo-deotto/


Ius Soli: è la cultura che ci rende Italiani


Ius Soli: è la cultura che ci rende Italiani In Italia lo Ius Soli già esiste. All’età di 18 anni colui che nasce e cresce in Italia ha il diritto alla cittadinanza, adesso la sinistra senza anima e storia vuole cederlo per diritto di nascita, non comprendendo che essere cittadini italiani e occidentali è legato alla nostra storia e alla storia delle nostre terre. Marx ci ha informato che la storia umana è storia di sangue e di potere, cosa che molti cittadini occidentali, figli del benessere, dimenticano nel comprendere i fenomeni che stiamo vivendo. Purtroppo la storia la si studia male, o da essa non apprendiamo gli insegnamenti. In Italia dal materialismo storico siamo passati al pietismo universale di matrice cattocomunista o terzomondista.
Queste sono le concezioni che si sono veicolate nella mente di molti italiani: noi occidentali siamo responsabili dei mali del mondo, le cause della povertà, del sottosviluppo del mondo sono colpa nostra. Tale teoria è simile, se non eguale, a quella visione apocalittica dell’ecologia secondo cui il mondo muore a causa nostra. In queste visioni manichee, c’è la grande bufala che era meglio il mondo antico di ieri rispetto a quello di oggi. Essa è fondamentalmente una visione etica del comportamento umano che, mediante una concezione rieducativa del nostro comportamento (ma anche del linguaggio), vorrebbe strutturarci ad essere tutti eguali e buoni, sia per noi, che per il mondo. Questi epigoni non riescono ad accettare la diversità insita nell’essere umano, con i suoi limiti e stravaganze: la libertà, anche quella di sbagliare, è vista con orrore.
Nel confronto geopolitico che la globalizzazione ci obbliga ad affrontare, l’Occidente è per loro solo lo sfruttatore del Terzo Mondo. Certamente c’è del vero, ma non è la verità. La prima distinzione è che non sanno valutare che le regole che l’Occidente democratico si è dato, non sono valide per molti Paesi del mondo i quali vivono in regimi più o meno dittatoriali, e visto che la democrazia non si esporta con le armi, bisogna prenderne atto. Secondo, le colonie appartengono a un periodo storico in cui l’Occidente ha dominato questi Paesi, come storicamente hanno fatto nella storia dell’uomo tutti i popoli che hanno vinto delle guerre, portando desolazioni, ma anche scambi, per quanto imposti, di cultura e tecnica. Terzo, le religioni, che secondo Marx sono l’oppio dei popoli, hanno svolto anche funzioni culturali all’interno di essi, ma il più delle volte sono state strumento di potere e di impedimento alla conoscenza; alcune, però, si sono sapute evolvere e secolarizzare, altre no. E non dimentichiamoci che il Nord Africa era tutto cristiano e con la scimitarra furono sottomessi i popoli cristiani, come i cattolici con le armi colonizzarono l’America latina. L’Islam è certamente, per sue problematiche intrinseche, l’unica religione monoteistica che non si è evoluta e questo dipende sia dal potere che ne deriva agli imam, che ai vari dittatori, ma anche dalla accondiscendenza della maggioranza dei loro credenti. Il nostro benessere non deriva dal nulla, ma è forgiato dal sangue di Giordano Bruno, di Giuseppe Mazzini, dalla Resistenza al Nazismo e dei tanti eretici condannati dalla chiesa e dai vari signorotti del tempo.
L’affermazione culturale dell’Illuminismo, come anche il Rinascimento, e stata possibile solo grazie al sangue dei tanti martiri per la libertà. Se l’Occidente sfrutta i Paesi del Terzo Mondo, è perché esiste una classe politica in questi Paesi che lo permette, che non ama il suo popolo, che non distribuisce la ricchezza ma se ne appropria. Anche la vendita delle armi che l’Occidente, e non solo, fa a questi Paesi, è un falso problema se non esiste un disarmo totale, e pensare a un mondo senza armi rientra in questa folle visione dell’uomo buono in assoluto.
Certo oggi l’Occidente ha altre sfide da affrontare che possono far perire la democrazia, come la finanza globale che sfugge alle regole della democrazia ed è a volte la promotrice di un nuovo modo di realizzare guerre in modo post moderno alle nazioni. I popoli dell’Islam, fuggendo dai loro Paesi alla ricerca di un benessere consumistico, pongono un problema serio all’Occidente sulla possibilità della loro capacità di integrazione nei valori dell’Occidente. Per questo lo Ius Soli che il Partito Democratico vuole approvare è il segno di una decadenza culturale di una parte della classe dirigente del Paese, perché non si è italiani o di altri Paesi per nascita, ma per cultura.

08/11/17

The real cazzaro


renzi_ansa_no750.jpg_982521881Questa sera, di martedì, Matteo Renzi ci ha aperto la porta del suo cuore. Orfano di Luigi Di Maio, eppure benvoluto nel salotto di Giovanni Floris, l’ex premier ha confessato che dopo la bruciante sconfitta del referendum costituzionale, coerentemente con quanto promesso, voleva andarsene. Lasciare la politica. Il suo proposito era fermo, solido come la quercia della sua parola. Poi arrivò una mail. Sì, una mail, che lo supplicava di restare. Quindi un’altra. E un’altra ancora. Ventiseimila mail che lo imploravano di non mollare. Così ha ceduto. Ha capito che voler mantenere la parola data contro i desideri dei cittadini sarebbe stata una dimostrazione di protervia, un gelido formalismo sordo al richiamo della gente. E si è risolto ad ascoltare. Calpestando il suo orgoglio è rimasto, per il bene dell’Italia. Ma l’Italia non è forse stanca e delusa come ha sottolineato Pietro Grasso?, domanda Floris. «Io vedo tanta bella gente», la profonda e accorata risposta del fiorentino. Se fossi un meschino demagogo suggerirei al segretario di leggere anche le mail che lo invitano a levarsi dai coglioni e poi far di conto, ma non sottilizziamo, l’eroico gesto di abnegazione rimane. Passiamo piuttosto a un tema meno struggente: Monte dei Paschi. Un pestifero Massimo Giannini pungola il Segretario: «Lei aveva detto che MPS era un affare». «Non è vero, non faccia delle fake news», la presta risposta del leader. Allora andiamo a cercare la dichiarazione di Renzi del 22 gennaio 2016 e troviamo una testata che di affari se ne intende, il Sole 24 Ore:
«Oggi la banca è risanata, e investire è un affare. Su Mps si è abbattuta la speculazione ma è un bell’affare, ha attraversato vicissitudini pazzesche ma oggi è risanata, è un bel brand. Forse in questo processo che durerà qualche mese deve trovare dei partner perché deve stare insieme ad altri».

Bella gente, bel brand… vabé, poi avrà cambiato mood, avrà mutato sentiment. Sì e no. Riportiamo dal Fatto Quotidiano del 6 novembre, che a sua volta raccontava l’intervista rilasciata da Renzi a Minoli:
«Il 22 gennaio lei diceva che la banca era risanata e che investire era un affare», fa notare al presidente del Consiglio il conduttore Giovanni Minoli. «Lo penso tutt’ora – risponde senza esitazione il premier – e credo che se ci sia un investitore italiano o straniero che voglia investire nella banca sia un affare».

Persuasi dalla cogenza trionfalistica della verità, ascoltiamo l’ultimo vaticinio del suo glorioso messo:
«Scommetto che alla fine della fiera, dopo le elezioni, il Pd sarà il primo gruppo parlamentare e che il centrodestra si spaccherà il giorno dopo». […] Dovendo scegliere tra Berlusconi e Grillo, gli italiani sceglieranno tutta la vita il Pd. Ecco perché credo che prenderemo il 40%».

da Colpi bassi, il blog di Augusto Bassi - 8 novembre 2017

05/11/17

I conti delle coop sui migranti nascosti dai siti del governo


Sui siti delle prefetture lacune sulle rendicontazioni dei costi dell'accoglienza ai migranti: dati mancanti o presentati in confusione





La parola magica è “Amministrazione trasparente”. O almeno dovrebbe esserlo. In tanti l’hanno invocata, ma in pochi sembrano praticarla. Soprattutto in tema di immigrazione.



di

Giuseppe De Lorenzo
Il Giornale.it


Già, perché per quanto nel lontano 2014 Matteo Renzi avesse promesso di mettere online “ogni singolo centesimo di spesa pubblica”, in realtà i buoni intenti sono rimasti lettera morta. E dove servirebbe chiarezza, come nella gestione delle ingenti risorse destinate ai migranti, in realtà regna il grigiore.
Ad aprile (dati del Ministero dell'Interno) sui 177.505 stranieri presenti sul territorio nazionale, ben 137.599 vivevano nelle strutture temporanee (Cas) gestiti dalle Prefetture e solo 23.867 nei posti "d'eccellenza" Sprar coordinati dai Comuni. Poi ci sono altri 2.204 migranti sistemati negli Hotspot e 13.835 negli hub di primo soccorso. Tradotto in percentuali, significa che l'80% degli stranieri (e delle risorse economiche) finisce nelle mani di imprenditori che hanno fatto dell'immigrazione una nuova attività economica. Un po' di chiarezza su come vengono spesi i soldi sarebbe necessaria, no?
Speranza vana. I dati dei pagamenti risultano occultati, presentati in confusione o nascosti nei luoghi più improbabili dei siti internet delle Prefetture. Il risultato? Per un normale cittadino diventa impossibile sapere quanti milioni di euro delle sue tasse finiscono a questa o a quell’altra cooperativa. Un governo “trasparente” dovrebbe fornire in maniera semplice e rapida alcune delucidazioni ai contribuenti: quali sono i centri di accoglienza in ogni provincia, quali le associazioni impegnate coi profughi e quanto incassano ogni anno. Ma nessuno di questi dati è facilmente accessibile online.
E pensare che la legge sull’anti corruzione prevede che le “stazioni appaltanti” siano tenute a pubblicare nei loro siti web istituzionali le informazioni base sulle procedure di tutte le gare, comprese quelle sull’accoglienza. Una tabella ordinata dovrebbe indicare la struttura proponente, l’oggetto del bando, l’elenco degli operatori invitati a presentare le offerte, l’aggiudicatario, l’importo complessivo e pure le somme liquidate alle singole coop.
Le prefetture in effetti mettono a disposizione un’apposita sezione chiamata - appunto - “Amministrazione trasparente”. All’interno ci si aspetta di trovare l’Eldorado dei documenti, ma spesso si rimane delusi. La prefettura di Ragusa ha la pubblicazione delle gare (secondo la L. 190/2012) ferma al 2013. Un po’ in ritardo, non pensate? Roma fa un po’ meglio, ma non va oltre il 2015. Siena? Idem. Salerno invece ha rendicontato 720 euro per la manutenzione dell'impianto elettrico della Polstrada, ma non le spese per i migranti. Vibo Valentia lo stesso, eppure l’appalto l’anno scorso è stato vinto da qualcuno: l’associazione “Da donna a donna” qualche somma l’avrà pure incassata, no? Frosinone invece fornisce solo il dato aggregato: accordo quadro da oltre 28 milioni di euro e poi giù una sfilza di vincitori. Ma le singole coop, quanto si beccano?
Per carità: ci sono anche esempi lodevoli, amministrazioni che divulgano l’elenco completo delle procedure d’appalto. Ma in generale regna il caos. Soprattutto quando si cerca di ricostruire il processo di assegnazione dei milionari bandi dell’accoglienza. Dei contratti dettagliati tra Stato e cooperative, neppure a parlarne. La lista delle strutture con il numero di immigrati presenti? Solo Napoli, Aosta, Cosenza e poche altre. La maggioranza delle prefetture non la fornisce. Latitano pure i verbali delle commissioni, gli avvisi di post-informazione e le aggiudicazioni definitive.
E pensare che la legge parla chiaro: “La trasparenza è intesa come accessibilità totale alle informazioni” della Pa, così da permettere il controllo “sull'utilizzo delle risorse pubbliche” da parte del cittadino. Solo parole: fatta la legge, trovato il cavillo. Quando a fine 2015 la campagna “InCAStrati” fece ufficiale istanza di accesso civico per conoscere il numero complessivo dei centri profughi, la loro ubicazione e chi fossero gli enti gestori, Ministero e prefetture risposero picche. Affermando che le “informazioni richieste non sono soggette ad obbligo di pubblicazione”.
Viene da chiedersi allora per quale motivo alcuni enti territoriali del governo abbiano i documenti completi e visibili (per esempio: Torino e Firenze), mentre molti preferiscano divulgare dati incompleti o del tutto inutili. A Udine l’albo dei fornitori è fermo al 2014. A Oristano se si cercano dettagli sui “contratti” si trova solo una cartella vuota. A Cesena la sezione degli “avvisi di aggiudicazione” è “in corso di aggiornamento”. E chissà da quanto.
Una cosa è certa: tutta questa confusione, se non è serve ad occultare i costi dell’accoglienza, di certo non aiuta a sollevare il velo di mistero che li avvolge. Alla faccia della trasparenza.