Boots on the ground: contro lo Stato Islamico serve la fanteria
I bombardamenti aerei non basteranno a distruggere
i jihadisti in Siria e Iraq. È necessario un intervento di terra - e
la ricerca delle truppe potrebbe imporci una radicale svolta
geopolitica.
[Carta di Laura Canali - clicca sulla carta per ingrandirla]
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Per secoli, a partire da quando la cavalleria borgognona di Carlo il Temerario si infranse contro i quadrati dei montanari svizzeri nella seconda metà del Quattrocento, la fanteria è stata l'indiscussa "regina delle battaglie". Nessuno le contestava il ruolo, anche perchè si trattava di un titolo d'onore che la fanteria ha nel tempo meritato su tutti campi di battaglia e che ha ovunque pagato con il proprio sangue.
Pbi (Poor Bloody Infantry) era l'acronimo che designava la fanteria presso gli inglesi delle generazioni imperiali. "Che t'importa il mio nome? Grida al vento: fante d'Italia! E dormirò contento..." sta scritto sul nostro Sacrario di Redipuglia. E il comandante dei fanti svizzeri al servizio dei re di Francia rispondeva orgogliosamente al Re Sole - che gli aveva ricordato come con quanto impiegato nei secoli per pagare i loro servigi si sarebbe potuta lastricare d'oro la strada da Parigi a Versailles - che "con il sangue versato dalla nostra fanteria per Vostra Maestà e i suoi reali predecessori si potrebbe alimentare un canale navigabile da Versailles a Parigi".
La vittoria in battaglia e in guerra, la fanteria e il sangue avevano finito così per essere collegati l'una all'altra come anelli di una catena apparentemente inscindibile. Poi, negli anni Settanta del secolo scorso, almeno in Occidente le cose iniziarono a cambiare.
Da un lato il calo demografico si fece sempre più forte nei nostri paesi, rendendo il reclutamento molto più difficile. Il soldato non era più "merce spendibile" come una volta, quando il numero elevato dei figli consentiva alle famiglie di perderne magari uno o due al servizio di "Monsù Savoia" senza troppi rimpianti. Il figlio unico, divenuto la regola di quasi tutte le famiglie, rappresentava a questo punto qualcosa di prezioso su cui si concentravano ambizioni e speranze di due genitori e quattro nonni. Anche se serviva come soldato non era affatto "merce spendibile " e non si poteva permettere che versasse il suo sangue.
D'altro canto lo sviluppo della tecnologia ha consentito di fare uno straordinario salto di qualità arrivando, grazie principalmente all'informatica e all'elettronica, a fare assumere alla guerra occidentale quegli aspetti da videogame che essa ha attualmente.
In nessun paese la "modernizzazione del conflitto" si è spinta così avanti come negli Stati Uniti. Questi, se potessero, cercherebbero di risolvere ogni situazione di tensione utilizzando unicamente il fuoco gestito a distanza, evitando a ogni costo l'eventuale ricorso ai boots on the ground, cioè all'intervento di terra.
Siamo dunque arrivati alla fine della lunga e gloriosa storia della "Povera sanguinante fanteria"? Certamente no. Anche se gli Stati Uniti e in subordine il resto dell'Occidente non vorrebbero più essere trascinati nell'alea del combattimento a terra, uomo contro uomo, esistono sempre occasioni e teatri in cui se vogliamo vincere qualcuno deve pur farlo.
La cosa ci fa paura. Ricordate l'apprensione con cui durante la guerra del Kosovo ci chiedevamo che cosa avremmo fatto se non fossimo riusciti a piegare Belgrado con i bombardamenti aerei e avessimo dovuto invece affrontare una fanteria serba temprata da ben sei anni di guerre ininterrotte? Il medesimo tipo di apprensione rimane sullo sfondo oggi quando parliamo di Ucraina e condiziona le nostre risposte alle mosse russe.
Nel corso degli ultimi venti anni gli americani sembravano aver trovato una soluzione al problema elaborando un modo di combattere che prevedeva da parte loro la gestione del fuoco a distanza ed eventualmente l'impiego di piccoli nuclei di forze speciali in appoggio a un'azione massiccia di fanterie locali.
Così è stato in Croazia, ove la controffensiva a terra fu croata ma preparata e accompagnata dal fuoco aereo Nato contro i serbi. Così è stato in Kosovo, ove a terra agivano i guerriglieri dell'Uck mentre noi tempestavamo dall'alto. Così è stato in Afghanistan, ove gli americani bombardavano ma a terra a dare il sangue necessario per la vittoria vi era la fanteria della Alleanza del Nord. Così è stato in tempi più recenti in Iraq e Kurdistan, con bombardamenti americani sullo Stato Islamico (Is) impegnato dai soldati dell'esercito iracheno e dai peshmerga curdi.
Nelle Divisioni Corazzate di un tempo si usava ricordare come "il carro fosse il peggior nemico del carro posto in crisi da elementi di arresto". Il che indicava come, perchè il carro fosse in crisi, l'elemento di arresto dovesse esserci. La stessa regola vale ora per i bombardamenti, specie per i bombardamenti contro forze mobili come quelle dell'Is che fondano la loro forza su improvvisi concentramenti di pick-up armati con mitragliere che spuntano dal nulla e nel nulla rapidamente spariscono se non hanno di fronte una solida fanteria - l'elemento d'arresto - capace di mantenerli inchiodati e costringerli a subire il fuoco che viene dall'alto.
Evviva i boots on the ground, dunque... anche se a volte si tratta di una merce estremamente difficile da reperire nei mercati locali!
È proprio questo il problema che gli americani e tutti i membri della tanto numerosa quanto inefficace coalizione che essi hanno messo in piedi contro l'Is si trovano di fronte sia in Siria sia in Iraq. In quest'ultimo il problema è relativamente più semplice, almeno sino a quando il fuoco della coalizione servirà a fermare ulteriori avanzate verso l'area curda e quella sciita del paese. Ma quando si tratterà dell'area sunnita da quale cappello di prestigiatore dovranno uscire i fanti necessari? Ai suoi tempi Petraeus era riuscito a convincere le tribù sunnite irachene ad appoggiare l'azione americana. Ma i miracoli avvengono solo una volta, e se non li si usa bene anche i miracoli durano lo spazio di un mattino!
In Siria la situazione è anche peggiore, al punto che nella sua disperazione Washington ventila due soluzioni - una più assurda dell'altra. La prima consisterebbe nell'armare e rinforzare i "movimenti islamici sunniti più moderati", idea che ricorda molto anche nell'uso dei termini l'affannosa ricerca dei "talibani moderati" che avrebbero dovuto appoggiare il nuovo corso afghano e che non sono mai stai reperiti. La seconda vagheggia di un esercito di esuli e rifugiati, come se fossimo all'epoca della Rivoluzione francese, con tutte le difficoltà di reclutamento e i tempi lunghi di addestramento che ciò comporterebbe.
Soluzioni che non sono soluzioni, dunque, ma solo fantasie!
L'unico discorso serio che si potrebbe e dovrebbe fare a questo punto è quello di accettare una svolta radicale dei nostri orientamenti politici e cercare le fanterie tra chi nell'area le possiede, cioè gli sciiti. Anche se ciò vorrebbe dire riabilitare l'Iran e far comprendere agli alawiti di Siria che saremmo ansiosi di aprire un dialogo con ogni eventuale successore del presidente Assad.
È troppo? Beh, allora di fanteria mandiamo la nostra. Combatterà e morirà, ma permetterà all'azione di fuoco della coalizione di essere efficace. E forse col tempo di distruggere l'Is. Poor Bloody Infantry!
Giuseppe Cucchi - 24 settembre 2014
fonte: http://temi.repubblica.it