
Barack
 Obama, il beniamino di tutti i progressismi del pianeta, ha affermato 
di essere orgoglioso di avere allargato i “diritti” delle cosiddette 
comunità LGBT (lesbiche, gay, bisessuali e transessuali). In occasione 
della promulgazione della legge sul matrimonio per tutti – così lo 
chiamano, con una pericolosa torsione semantica – affermò che aveva 
“vinto l’amore”. In Italia, Renzi si è detto orgoglioso che il suo 
governo abbia realizzato le unioni civili, ossia il matrimonio 
omosessuale sotto mentite spoglie, dotato di una sorta di nome d’arte 
per chiamare “formazioni sociali” i soggetti uniti civilmente e 
bypassare l’art. 29 della costituzione con la sua antiquata definizione 
di famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. La signorina 
Maria Etruria Boschi e la senatrice Cirinnà, madre surrogata della 
legge, parlano di “avanzamento di civiltà”. Strano davvero che durante 
millenni di culture umane le più diverse non ci avesse pensato nessuno, 
nemmeno Semiramide, e neppure a Sodoma, dove anzi un Dio arcigno e 
reazionario distrusse la città “omofila” (oh, i bei neologismi della 
neomorale aperta e postmoderna!).
 
La verità è, ovviamente, diversa e ben più prosaica: la civiltà in 
viviamo, una delle tante che l’umanità ha costruito nella storia, si 
fonda sulla sacralizzazione della (grande) proprietà privata e 
sull’assolutizzazione dell’individuo definito libero. La società di oggi
 si fonda sulla forma-merce, sul monoteismo del mercato e 
sull’individualismo proprietario ed utilitaristico. Si è quindi data una
 sua nuova religione, frutto della secolarizzazione e della 
manipolazione delle religioni trascendenti: si tratta della religione 
dei Diritti Umani e della Democrazia Rappresentativa. In assenza e 
proibizione di principi condivisi, regnano il soggettivismo erto a unica
 verità indiscutibile ed il più ampio relativismo morale, che vira 
rapidamente in nichilismo. Una somma aritmetica di individui non è una 
comunità, che per natura possiede un’etica condivisa e prescrive 
comportamenti sulla base di un’idea di bene e di male, ma a rigore non è
 neppure una società, che ha bisogno comunque di regole minime 
introiettate, almeno una deontologia, e di un sistema di norme 
codificate che definiscano il perimetro dei patti tra i soggetti 
partecipanti, atomi desideranti interessati esclusivamente all’utile 
individuale. E’ la società liberale, disinteressata a qualunque criterio
 veritativo diverso dalla Proprietà, dal Mercato e dal Consumo.
Le leggi sulla famiglia ed il matrimonio non possono fare eccezione 
alla religione dei Diritti Umani: in fondo,  altro non si tratta che 
registrare, a fini di burocratica distribuzione di talune prestazioni 
pubbliche dette “diritti sociali”, delle volontà soggettive presupposte 
libere (i diritti umani divinizzati) di natura contrattuale, pattizia. 
Sotto questo profilo, appare davvero intollerabile ad un cervello 
progressista che l’istituto matrimoniale sia limitato a questioni 
secondarie o del tutto irrilevanti in termini astratti, come il diverso 
sesso dei contrenti, ma anche eventuali legami di parentela (incesto) e,
 in prospettiva assai vicina, anche il numero dei contraenti. Desta 
addirittura orrore interpretare il matrimonio alla luce dell’apertura a 
nuove vite (nel passato si chiamavano figli) ed alla regolazione della 
paternità e della maternità –  genitorialità in neolingua. Quel che 
conta, l’unico elemento accettato, di cui la legge liberale (positivismo
 giuridico) prende atto senza commenti o valutazioni è “l’amore”, ovvero
 l’esistenza (per la persistenza, l’amore è eterno finché dura), ad 
insindacabile giudizio delle parti, anche di una sola di esse, del più 
indicibile, instabile, non descrivibile né razionalizzabile dei 
sentimenti umani, derubricato a contratto con clausole e diritti di 
recesso. Hanno quindi ottime ragioni i sostenitori del matrimonio 
omosessuale ad esultare perché “vince l’amore”, o la sua versione 
volgarizzata nello spirito del tempo, ma non vi è nulla di più lontano 
dal matrimonio e dalla famiglia della semplice e provvisoria protezione 
giuridica dell’amore basato sull’intesa e la pratica sessuale. Pure, 
omnia vincit amor, et nos cedamus amori, canta Virgilio nelle Bucoliche,
 ma il mantovano era un poeta, non un giurista.
Il punto che spesso sfugge anche ai settori critici dei nuovi pseudo 
diritti della modernità terminale è che il matrimonio non fu istituito 
per rendere omaggio all’amore, né ad esso si riferisce la constatazione 
cosmogonica del Genesi “maschio e femmina li creò”, nella cornice 
colpevolmente limitata ai due sessi (oops, generi canonici conosciuti in
 quei tempi primitivi).
L’uomo, una volta uscito dalla primitività, ha dato un senso alla 
propria presenza nel mondo e si è costituito come creatura nel modo che 
Ugo Foscolo, un ateo, sintetizzò nei “Sepolcri” con i grandiosi versi  
“Dal dì che nozze e tribunali ed are/ diero alle umane belve esser 
pietose/di se stesse e d’ altrui, toglieano i vivi/all’ etere maligno ed
 alle fere/i miserandi avanzi che Natura/con veci eterne a sensi altri 
destina.” Il matrimonio nacque per stabilizzare la società attraverso la
 monogamia, regolarizzare e legittimare la filiazione, istituendo doveri
 precisi a carico dei padri e dei mariti, inserire la sessualità e 
l’istinto alla procreazione nel circolo della comunità e della sua 
riproduzione. Contestualmente, gli uomini presero a onorare i propri 
morti, tanto che di molte civiltà ci restano soprattutto le necropoli e 
le vestigia del culto dei defunti. L’uomo si rese conto di possedere un logos,
 una ragione del tutto speciale ed imparagonabile alle altre creature e 
volse lo sguardo in alto, verso la trascendenza e l’infinito. Il suo logos gli
 impose di porre regole collettive di comportamento, munite di efficacia
 etica non meno che di strumenti pratici di applicazione e sanzione.
La civilizzazione postmoderna è ampiamente fuoruscita dal quadro che 
abbiamo tracciato, e viaggia imperterrita verso il nulla. Indifferente 
alla trascendenza ed all’attribuzione di un senso qualsiasi alla vita 
dell’essere umano, ha pressoché abolito non solo il culto, ma il 
rispetto minimo per la morte . Se al tempo di Foscolo, alba della 
modernità borghese e mercantile post 1789, l’editto giacobino di Saint 
Cloud imponeva la sepoltura lontano dai centri abitati, il senso comune 
contemporaneo espelle il cimitero dal panorama urbano e suburbano. 
Meglio bruciare i corpi, disperderli nell’aria o in mare o, per i più 
sentimentali, tenere presso di sé le ceneri dei propri cari. La morte 
non è più il grande mistero, ma una sbrigativa pratica da affidare ad 
“esperti” o operatori specializzati. Eutanasia, testamento biologico, le
 insopportabili campagne per espropriarci persino dei nostri resti, dei 
quali, come per il maiale, “non si butta via niente”, per cui dobbiamo 
“donare” – ma in una società di mercato nulla è dono! – gli organi in 
buona condizione. Forse occorrerebbe un habeas corpus non solo a tutela della libertà personale dei vivi dagli abusi legali, ma a difesa estrema della dignità delle salme .
Desacralizzata la morte, è desacralizzata la vita; non a caso 
l’aborto è banalizzato come intervento di routine che espelle come un 
rottame, un escrescenza ed un fastidio la vita che si sviluppa nel 
ventre materno. Di più: settori importanti del femminismo bollano come 
“ingiustizia” della natura il fatto che la gravidanza si svolga nel modo
 che la Natura o Dio hanno previsto. Un politico omosessuale di sinistra
 come Nichi Vendola, per soddisfare il suo capriccio di paternità ha 
pagato una donna povera, nuova schiava, per essere fecondata 
artificialmente e poi cedere il frutto dell’inseminazione. All’uomo 
moderno, tutto questo sembra normale, anzi si ingegna a trarre profitto 
personale dalle nuove opportunità della tecnica.
Come poteva uscire indenne il matrimonio da una follia tanto potente?
 La vulgata odierna pensa, anzi prescrive che quel che conta è solo la 
volontà immediata e momentanea, postulata libera, di una o più persone. 
Due, tre, quattro, poco conta, tanto è vero che negli Stati Uniti, 
autonominatisi patria della libertà, si cominciano a regolarizzare 
unioni poligamiche: semplice diritto civile privato. Una grande 
conquista di civiltà, le nozze monogamiche come evento pubblico dinanzi 
alla comunità che accoglie la nuova famiglia, viene quindi rovesciata 
nel suo contrario, ristretta nel recinto privato, ma sempre in nome 
della libertà e, naturalmente, dell’amore! Anche per il cognome – il 
nome di  famiglia – tutto deve cambiare: basta con l’antiquata, ingiusta
 ed non egalitaria patrilinearità, ognuno si chiamerà come preferisce, 
due fratelli potranno portare due diversi cognomi. Nel tempo e nel nome 
dei Trottolini amorosi, sembra vicina l’ultima spallata, quella che farà
 superare, con un ultimo salto mortale all’indietro, anche 
l’antichissimo tabù dell’incesto, quello che Claude Lévi Strauss 
individuò come elemento comune di tutte le comunità civili  umane. Ma 
questo è il punto: comunità che si fa civiltà. Quella che viviamo è la 
fase febbrile e convulsiva di una civiltà estenuata, una sorta di 
epilessia collettiva che abbiamo chiamato libertà.
Non ci importa di avere figli e non vogliamo padri, due fastidi 
uguali e contrari, responsabilità e limitazione di diritti e libertà, 
non riconosciamo più il dato naturale che qualunque società, per 
sopravvivere, deve riprodursi e “trasmettersi” attraverso la filiazione e
 l’educazione dei nuovi membri della comunità, non sopportiamo né il 
dolore né la malattia, molto meglio una igienica morte assistita, già 
sperimentata nei disinfettati obitori a cielo aperto degli Stati 
dell’Europa settentrionale ex protestante. Non c’è motivo alcuno per 
credere che il matrimonio, parola che presto sarà sostituita da qualcosa
 come libera unione, unione civile o simili, debba essere limitato ad un
 uomo ed una donna interessati ad un progetto di vita comune, 
tendenzialmente valido per la vita intera, aperto alla nascita ed 
all’educazione dei figli secondo le regole della natura ed i principi di
 una specifica comunità umana. Se la nostra religione è quella dei 
“diritti”, nessuno deve essere escluso da nulla.
Il criterio, peraltro falso ed ingannevole, è l’amore. Nessuna giurisdizione aveva mai preso in considerazione come oggetto di “ius”
 l’amore: era uno di quegli ambiti in cui il diritto scritto si 
dichiarava incompetente, e, in qualche misura, si ritraeva  in un 
discreto non luogo a procedere. Di fatto, le cose non sono cambiate, è 
l’inganno ad essere diventato padrone del campo. Non a caso, anche in 
Italia le unioni civili vengono utilizzate anche da “formazioni sociali”
 (innalziamo pure noi un altare al politicamente corretto!) il cui unico
 interesse è quello, pratico, di ottenere assegni familiari, provvidenze
 sociali originariamente destinate alla famiglia di cui all’art. 29 
della Costituzione-più-bella-del-mondo, pensioni di reversibilità, 
esenzioni da ticket, nessun obbligo di testimonianza “contro” in 
tribunale, e tutto l’armamentario di quel che resta dello Stato sociale 
aggredito dal rampante liberismo.
Che l’argomento-amore sia un inganno ad uso dei gonzi e delle 
sciampiste è dimostrato dal fatto che è in corso anche da noi l’iter 
legislativo che porterà all’abolizione dell’obbligo di fedeltà nei 
matrimoni e nelle unioni civili. Dunque, di che parliamo, da Obama  
all’ultimo militante LGBT, passando per le laiche suorine democratiche, 
liberali e progressiste e per i buoni benpensanti  “moderati” che votano
 a destra per difendere i loro miserabili portafogli e rafforzare le 
questure? Senza l’obbligo giuridico di fedeltà, che resta di un’unione? 
Solo i “diritti”, solo e sempre loro. Del resto, è assai difficile 
definire in che consista la fedeltà: è un fatto esclusivamente fisico, 
che comporta l’astenersi da rapporti sessuali con persone diverse da 
quelle con cui si è stipulato un contratto, ovvero si estende al campo 
dei desideri, nel qual caso rientrerebbe dalla finestra la religione 
cacciata dalla porta (“Ho molto peccato in pensieri, parole, opere ed 
omissioni”), oppure è qualcosa di diverso ed ulteriore? La religione dei
 diritti non può riconoscere alcuna fedeltà, tutt’al più può stabilire 
obblighi e divieti di natura consensuale, ergo individuale.
Torniamo al punto di partenza: la religione dei diritti individuali 
non solo è elastica ed estensibile all’infinito, ma è tendenzialmente 
totalitaria e assolutamente intollerante. Qualunque cosa vi si opponga 
lede un diritto, o una pretesa, o un capriccio rivendicato da qualcuno 
con il codice alla mano. Per questo, a poco vale, dovere morale a parte,
 opporsi al matrimonio omosessuale, all’aborto generalizzato, alla 
deriva eugenetica e zootecnica della procreazione assistita ed a carico 
della mutua, esattamente come ha poco senso lottare esclusivamente per 
riconquistare la sovranità popolare e nazionale, per l’identità ed i 
diritti sociali. Il mondo in cui siamo precipitati pretende di 
presentarsi come qualcosa di dato ed immutabile, scientificamente 
provato una volta per tutte. L’economia politica travestita da formula 
matematica in cui hanno ristretto il mondo è, al contrario, un’ideologia
 come tante, purtroppo oggi fortissima ed apparentemente invincibile. Ma
 non c’è nulla di oggettivo o di neutrale: ha vari pilastri che devono 
essere aggrediti, il sensismo, lo scetticismo generalizzato e, su tutto,
 l’utilitarismo fondato sul primato della tecnica.
Per questo, non è sufficiente combattere battaglie settoriali, per 
quanto meritorie e sacrosante, come quella per la vita e la famiglia 
naturale. Questa non è una lotta, purtroppo, in cui basti separare il 
bambino dall’acqua sporca. L’acqua sporca ed avvelenata sono gli esiti 
dell’individualismo liberale progressista, ma il bambino, che 
disgraziatamente è un gigante, è la dittatura dell’ideologia del mercato
 e dei diritti umani, vestita da democrazia falsamente rappresentativa 
ogni giorno meno disposta ad accettare le idee non conformi.  Tutto è 
“privato”, tutto è contratto, nulla è comunità, nulla è principio 
condiviso, non siamo che frammenti, individui trasformati in monadi. E 
non è certo, come immaginava Leibniz, il migliore dei mondi possibili. 
Solo restituendo l’uomo a se stesso, vita, famiglia, comunità, identità,
 rispetto del creato e apertura alla trascendenza si può sconfiggere 
questo disgustoso ermafrodito, “Dio” di se stesso generato 
dall’Illuminismo e portato a compimento dai materialismi che hanno 
dominato e preso in ostaggio l’Occidente, terra del Tramonto.
L’idra ha infinite spire, ciascuno cerchi di recidere quella che 
sente più minacciosa per il suo animo, a partire dalla dilagante 
immoralità delle legislazioni relative alla famiglia, ma non 
sconfiggeremo mai il mostro se non arriveremo alla testa, che è e resta 
la cupola di chi ha privatizzato il pianeta a fini di dominio. Hanno 
nomi e cognomi, luoghi di elezione,  centri di direzione strategica e 
operativa, intellettuali a contratto, un clero regolare ed uno secolare,
 come ogni religione rivelata, un potere enorme, ma di loro cominciamo 
ad averne abbastanza.
Come sapeva Dante, non siamo stati fatti per vivere come bruti, 
guardare sempre più in basso, un’esistenza ridotta a contratti da 
rispettare e stracciare, eccessi, sballi e sodomie da consumare di corsa
 e poi, via, un’iniezione letale, antisettica, antibatterica con ticket 
prepagato.
di 
Roberto Pecchioli - 21 gennaio 2017
fonte: http://www.riscossacristiana.it