Il Sudan ospita 1,2 milioni di rifugiati e richiedenti asilo
provenienti quasi tutti da altri stati africani, dalla Siria e dallo
Yemen. Molti aspirano a trasferirsi altrove, per lo più in un paese
occidentale. Ma sono pochi ogni anno quelli che ottengono
l’autorizzazione a partire. Per accelerare le procedure di registrazione
e riallocazione molti sono disposti a pagare e nello staff dell’Acnur
c’è chi ne approfitta. I profughi a Khartum dicono che accelerare la
pratica costa circa 15.000 dollari a persona. Riallocare un’intera
famiglia costa da 35.000 a 40.000 dollari, denaro che di solito viene
fornito da parenti residenti in Europa o altrove. La mazzetta va a una
organizzazione che comprende mediatori e personale Acnur. “La chiamiamo
mafia – dicono i profughi – quei dipendenti dell’Acnur dovrebbero
prendersi cura di noi e invece pensano solo a se stessi”. Soprattutto
dovrebbero essere imparziali e invece favoriscono chi è disposto a
pagare a scapito di chi non ne ha i mezzi. Non succede solo in Sudan.
L’Ispettorato generale dell’Acnur nel 2017 ha ricevuto complessivamente
quasi 400 denunce di frodi, oltre che di abusi e sfruttamento sessuale,
che nella metà dei casi sono risultate fondate. Tuttavia molte delle
persone accusate di corruzione in Sudan risultavano ancora dipendenti
dell’Acnur nel febbraio del 2018. Il fenomeno non è neanche recente.
Analoghe accuse di corruzione ricorrono nel tempo. In Kenya, ad esempio,
nel 2001 era stato scoperto un racket che estorceva denaro ai profughi e
guadagnava milioni di dollari: dai 25 dollari per entrare in un campo
Acnur locale fino a una cifra che andava da 1.000 a 4.000 dollari per la
pratica di riallocazione. Secondo un ispettore Acnur, Frank Montil,
tutti sanno di queste pratiche, ma nessuno ne parla.
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Non smettete mai di protestare; non smettete mai di dissentire, di porvi domande, di mettere in discussione l’autorità, i luoghi comuni, i dogmi. Non esiste la verità assoluta. Non smettete di pensare. Siate voci fuori dal coro. Un uomo che non dissente è un seme che non crescerà mai.
(Bertrand Russell)
19/05/18
17/05/18
Ue a gamba tesa sul negoziato di governo
E
poi dicono che gli “eurocrati” dell’Unione europea non diano una mano
ai governi nazionali degli Stati membri. Nascenti o in carica che siano.
È accaduto ieri che, nel pieno di una crisi da impasse della trattativa
Lega-Cinque Stelle sul “contratto di governo”, quando sembrava che
tutto dovesse naufragare in nulla di fatto, giunge da Bruxelles
l’impulso provvidenziale a infondere il giusto entusiasmo nei diretti
interessati nostrani affinché intensifichino il confronto in vista di
una soluzione positiva alla crisi.
È bastato che, quasi all’unisono, ben tre Commissari europei
dicessero la loro sulla situazione italiana, con tanto di toni
ammonitori e moralistici, che sia Matteo Salvini sia Luigi Di Maio,
ricordassero a se stessi perché sono lì e chi ce li ha messi. E per fare
cosa. Nell’ordine, da Bruxelles hanno parlato: Valdis Dombrovskis, vice
presidente della Commissione Ue, l’altro vicepresidente della
Commissione europea Jyrki Katainen e, infine, Dimitris Avramopoulos,
commissario europeo per gli Affari interni, Migrazioni, e Cittadinanza.
Un lettone, un finlandese e un greco. Come l’incipit di una barzelletta:
la sai quella del...? Il trio però non scherzava ma era laconicamente
serio quando in perfetta sequenza ha dichiarato, il primo, che
l’approccio del nuovo Esecutivo italiano deve riguardare la riduzione
del debito; il secondo, che le regole del patto di stabilità e crescita
si applicano a tutti gli Stati membri dell’Ue e non risulta che vi siano
richieste di modifiche della normativa vigente; il terzo, che col nuovo
governo da Roma non vi siano cambiamenti sulla linea della politica
migratoria. Una tripletta di diktat che non poteva non mandare su tutte
le furie i leader impegnati nella trattativa e, con loro, un’ampia parte
di italiani i quali si saranno sentiti ancor più confortati nella
scelta fatta di votare partiti che mostrino di non voler calare le
brache davanti alle intromissioni indebite degli “eurocrati”.
Servivano le loro considerazioni inappropriate per dare una scossa
politica e psicologica al clima stagnante che si era generato dopo la
brusca frenata di Salvini di ieri l’altro. Non c’è nulla da fare: per
quanti sforzi si facciano in patria di rappresentare al meglio il volto
positivo di questa Europa che tanti problemi ha creato agli italiani,
c’è sempre qualcuno a Bruxelles, che sia un greco, un lettone o un
finlandese, pronto a straparlare per fare incazzare non questo o quel
personaggio della politica, ma una nazione intera. Lo dimostra il fatto
che anche le altre forze politiche, che si preparavano a sparare a palle
incatenate sull’impasse del duo Salvini-Di Maio, sono state costrette a
una momentanea tregua per stigmatizzare l’indebita intromissione dei
commissari europei. Segno che a Bruxelles proprio non ce la fanno a
comprendere un concetto peraltro semplice: oltre ai numeri e ai conti
esiste una cosa che si chiama dignità. È pur vero che sette anni di
governi tecnici e del centrosinistra, con la loro naturale attitudine a
piegare la testa verso i poteri sovraordinati, a sentirsi a proprio agio
nel ruolo di fanalino di coda di una comunità di Stati, ci avevano
fatto dimenticare cosa fosse la dignità di un popolo. Ma oggi, e
dovrebbero farsene una ragione anche a Bruxelles e nelle cancelliere
europee che contano, la musica è cambiata. Sarà colpa anche di
quell’eccentrico di un Donald Trump e del suo motto “America first” che
pure dalle nostre parti si è cominciato a pensare che “Prima gli
italiani” potesse essere una buona sintesi per un programma di governo.
Ora non sappiamo se, alla fine, leghisti e pentastellati ce la
faranno a trovare la quadra sul “contratto”, troppo grandi continuano a
essere le distanze tra i due partiti. Tuttavia, se il tentativo andrà in
porto lo si dovrà anche all’uscita infelicissima del trio dei
commissari.
Se un governo giallo-verde vedrà la luce a Roma, a Bruxelles vi
saranno fiori e cioccolatini per un lettone, un finlandese e un greco.
Un biglietto accompagnerà i cadeau. E conterrà il seguente messaggio:
“Cari Valdis, Jyrki e Dimitris, grazie infinite per il vostro
intervento, carico di spocchia e supponenza, negli affari interni del
nostro Paese. Senza di voi non ce l’avremmo fatta a trovare l’intesa per
stare insieme. Senza di voi avremmo corso il rischio di sottovalutare
le ragioni per le quali è necessario venire a Bruxelles non a battere,
semplicemente e inutilmente, i pugni sul tavolo, ma a rovesciarvelo
addosso quel maledetto tavolo che avete trasformato in cattedra dalla
quale impartirci lezioncine morali su come ci si deve comportare per
stare al mondo. A presto ricambiare il piacere che, forse
inconsapevolmente non importa, ci avete reso. Con simpatia tra poco
vostri, Matteo e Luigi”.
15/05/18
Gambe corte e naso lungo
Esattamente
ciò che si sospettava, la smania di potere, di superiorità su tutti,
l’incoerenza e la tanta, troppa demagogia hanno fatto il loro corso. Del
resto cosa poteva nascere dall’incontro forzato fra due politiche
alternative che si sono sempre combattute senza sottrazione di critiche e
che oggi fanno finta di niente pur di unirsi per governare.
Il contratto tra Lega e Movimento Cinque Stelle, infatti, è un’altra
eresia perché la strada di un Esecutivo durante la legislatura è
talmente piena di variabili che contrattualizzare i temi, con vincoli e
penali, francamente suscita il sorriso.
Oltretutto l’Italia non è la Germania e i pentastellati farebbero
bene a studiarsi la costituzione e l’architettura istituzionale di quel
Paese prima di parlare a vanvera sulle similitudini. Come se non
bastasse, sta uscendo fuori un programma finale di governo che non è né
carne né pesce; insomma è una poltiglia miscelata che sa di poco o
niente, che costerà un botto e costituirà problemi e difficoltà. Per
farla breve un pataracchio, così come un pataracchio è stato tutto ciò
che è accaduto dal 4 marzo in poi, un crescendo di errori da una parte e
dall’altra da far impallidire il teatro della satira.
Con tutto il rispetto possibile e dovuto, persino il capo dello Stato
si è lasciato trascinare perché l’unica via maestra avrebbe dovuto
essere quella dell’incarico immediato alla coalizione vittoriosa e
arrivata prima alle urne, il centrodestra, per consentire la verifica di
una piena maggioranza parlamentare. Ecco perché citare Einaudi serve
solo a rendere più plastiche e marcate le differenze fra tutto e tutti
di ora con allora.
Adesso resta la speranza e l’auspicio che seppure a dispetto dei
Santi, perché l’unione fra Lega e Cinque Stelle farebbe il paio con
quella fra Zichichi e Odifreddi, l’esperimento funzioni. In fondo c’è
sempre un’eccezione che conferma la regola e l’Italia e gli italiani se
la meriterebbero eccome. Chi vivrà vedrà.
13/05/18
Fatevene una ragione: Salvini non è la Le Pen e Di Maio non è un comunista. Lasciateli lavorare
No,
caro Attali, Matteo Salvini non è Marine Le Pen e Luigi Di Maio non è
Jean-Luc Melenchon. E soprattutto l’Italia non è la Francia.
Riepiloghiamo a beneficio del lettore: Jacques Attali è uno degli uomini
più potenti di Francia (è colui, tanto ler intenderci, che si vanta
pubblicamente di aver creato dal nulla Macron) ed è uno dei massimi
rappresentanti dell’establishment globalista. Ieri era al Salone di
Torino, intervistato, ça va sans dire, dal direttore di Repubblica Mario
Calabresi e, ça va sans dire, ha criticato il (spero) nascente governo
Lega-5 Stelle, ricorrendo a due classici dello spin, la demonizzazione
personale e l’appello a imprecisati valori condivisi onde evitare lo
spettro di una nuova guerra sul Vecchio Continente.
Secondo l’illustre ospite francese la possibile alleanza Salvini-Di Maio, “in
Francia e in Europa fa lo stesso effetto di un governo Le Pen-Melanchon
a Parigi. Per questo l’Italia deve rapidamente rassicurare l’Europa sui
programmi di governo. Per evitare di diventare il luogo in cui si
scaricano le preoccupazioni del continente“, ha affermato, aggiungendo che “Siamo
tornati al clima che si respirava in Europa nel 1913. Quando le
innovazioni tecnologiche sembravano aprire un orizzonte positivo per
l’umanità. Vinsero invece i particolarismi e un anno dopo scoppiò la
guerra mondiale”.
Ma
queste tecniche non funzionano più. Vede, caro Attali, oggi in Italia
nessuno, a parte forse i lettori di Repubblica, vede Salvini come la Le
Pen, bensì come un leader maturo, dalle idee chiare ma non estremiste,
che non indossa più la felpa ma l’abito intero e che per questo è
diventato rapidamente il leader di tutto il centrodestra; forte ma
rassicurante. E Di Maio non ha proprio nulla in comune con Melenchon,
non è un estremista di sinistra, ma il capo di un movimento che è
diverso rispetto alle origini (secondo alcuni addirittura fin troppo) e
che ha saputo occupare lo spazio lasciato gentilmente vuoto dal Partito
democratico.
E in Italia nessuno pensa che la difesa degli interessi nazionali
rappresenti il prodromo di un nascente nazionalismo imperialista. Siamo
seri: oggi né l’Italia né la Francia hanno ambizioni egemoniche e
militari, che appartengono a un’altra epoca; nutrono, invece,
l’ambizione, anzi la necessità, di costruire un futuro davvero migliore,
di ritrovare stabilità economica, di ridare speranza alle nuove
generazioni, di smettere di essere soffocati da un’imposizione fiscale
stratosferica che negli ultimi 15 anni non solo non è servita a ridurre
il debito pubblico, ma ha reso sempre più povero il Paese fino a
provocare la deflazione salariale.
Siccome l’Unione europea non ha saputo, né voluto, dare ascolto al
crescente malessere delle masse, queste oggi cercano legittimamente
nuove risposte.
Io non so come andranno a finire le trattative, però anche in queste
ore Lega e 5 Stelle stanno dando dimostrazione che è possibile una nuova
politica. Quando mai si sono visti due partiti che, nella massima
trasparenza, trascorrono ore seduti a un tavolo negoziale, non per
spartirsi prioritariamente le poltrome, ma innazitutto per trovare
concretamente e pragmaticamente soluzioni attuabili, di ragionevole
compromesso?
Che differenza rispetto a riti criptici come i Patti del Nazareno o
alle regole opacissime della gestione del potere a Bruxelles, tanto care
ad Attali, che proprio non capisce.
Gli italiani guardano alla Lega e al Movimento 5 Stelle proprio
perché questa Europa e i leader italiani che l’hanno rappresentata,
finora sono stati ciechi, sordi, esasperatamente autorefenziali, come
capita da sempre quando le élite al potere smarriscono il senso della
realtà.
Salvini e Di Maio piacciono non perché sono due pericolosi estremisti
ma perché sanno offrire una parola sconosciuta all’establishment: la
speranza, la voglia di sevire davvero il proprio Paese, di offrire
soluzioni davvero alternative rispetto a quelle retoriche e inefficienti
reiterate in questi anni.
di Marcello Foa - 13 maggio 2018
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