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Non smettete mai di protestare; non smettete mai di dissentire, di porvi domande, di mettere in discussione l’autorità, i luoghi comuni, i dogmi. Non esiste la verità assoluta. Non smettete di pensare. Siate voci fuori dal coro. Un uomo che non dissente è un seme che non crescerà mai.
Siamo
sicuri che Macron abbia in pugno la vittoria alle presidenziali? Come
già accaduto per la Brexit e in occasione dell’elezione di Trump,
l’immagine proiettata dai sondaggi e amplificata dai media mainstream
rischia di essere , ancora una volta, ingannevole. Che cosa dicano lo
sapete: Macron va bene, è alla pari con la Le Pen e, naturalmente, ha
vinto il dibattito televisivo con i candidati all’Eliseo. Scremando la
propoganda, la realtà appare diversa. Non si tratta di fare il tifo per
un candidato o per l’altro ma di analizzare, per capire.
Diciamola tutta: Marine Le Pen, oggi, è largamente in testa. Per tre ragioni.
La prima è emersa nei giorni scorsi e qualche commentatore
l’ha già prontamente rilevata. E’ accaduto che un giornalista di Le
Figaro si lasciasse sfuggire che, secondo i sondaggi segreti, ben
diversi da quelli diffusi ogni giorno, la Le Pen sarebbe in testa con il
34% dei voti, dunque almeno 8 punti in più rispetto al 26% di cui è
acceditato Macron.
La seconda ragione trova ispirazione in un’altra fonte autorevole, il Financial Times, che rivela
come il 40% dei giovani francesi sia intenzionato a votare per la
candidata del Fronte Nazionale. Macron raccoglie la metà dei consensi,
appena il 20%. Come si spiega? Ascoltiamo il FT:
La frustrazione tra i giovani per la mancanza di lavoro e
le cattive prospettive economiche costituiscono gran parte del fascino
del FN. Sotto il governo socialista di François Hollande la
disoccupazione è rimasta ostinatamente alta, il doppio del livello di
Regno Unito e Germania. La disoccupazione giovanile è al 25 per cento –
dal 18 per cento del 2008. (…) “In Francia per un numero crescente di
giovani meno istruiti il fatto che passeranno buona parte delle loro
vite in una situazione economica precaria è quasi una certezza,” dice il
politologo Joël Gombin.
Inoltre, ed è molto significativo, oggi Marine Le Pen non viene più
percepita, soprattutto dai giovani, come un candidato xenofobo. Cito
ancora il Financial Times:
Negli ultimi dieci anni, e in particolare a partire dal
2011 sotto la guida di Marine Le Pen, il partito ha cercato di
rimodellare la propria immagine. I funzionari, per esempio, ora parlano
di “immigrazione”, piuttosto che di “immigrati”, e si oppongono
all’”Islam radicale”, piuttosto che all’ “Islam”, mentre i temi sui
quali il partito organizza le sue campagne si sono ampliati oltre la
sicurezza e l’immigrazione, per includere un messaggio
anti-globalizzazione focalizzato sull’economia.
Dunque
da forza di estrema destra, il Fronte Nazionale si è trasformato in un
movimento di protesta che non si lascia più imbrigliare negli schemi
politici classici. Certo, difende l’identità, i valori della Nazione
francese ma presentandosi sempre più come forza neogollista ovvero come
legittime erede di una corrente, che il centrodestra tradizionale ha
progressivamente abbandonato. In un’epoca in cui i programmi della
destra moderata e socialisti tendono a convergere, elidendosi, e in cui i
partiti di sinistra, contaminati dai disastri della presidenza
Hollande, appaiono in crisi di credibilità, la Le Pen si propone come
colei che sa interpretare il forte malessere sociale di una parte
importante della società francese. E’ conservatrice e al contempo
sociale. Crede nel libero mercato ma attacca una globalizzazione che
privilegia le multinazionali. Non eccede mai nei toni, per non
spaventare l’elettorato borghese, e dimostra un notevole livello di
preparazione, ad esempio nella critica all’euro e all’Unione europea.
Si è riposizionata sul centrodestra, occupando lo spazio lasciato
libero da Sarkozy e ora da un Fillon azzoppato dagli scandali, e oggi
Marine Le Pen riesce a presentarsi come un leader di rottura ma
credibile, in grado di catalizzare, oltre ai voti della vecchia Francia
iperconservatrice, anche quelli, nuovi e arrabbiati, di una gioventù che
un tempo votava per la gauche. Di fatto può pescare in ogni area politica.
La terza ragione è un po’ tecnica ma fondamentale. Lo sappiamo:
Donald Trump ha vinto le elezioni grazie al sostegno conquistato sui
siti internet e sui social media. E oggi in tutti i Paesi occidentali la
capacità di persuasione del web è almeno pari, ma in certi casi
addirittura superiore, a quella della tv e dei media tradizionali.
Immagino già l’obiezione: la Francia non è l’America. Vero, però è la
patria del Minitel ovvero di quello che è stato il primo vero social
media, ed è un Paese assai digitalizzato. Ecco perché, anche a Parigi,
per valutare il peso di un candidato bisogna non lasciarsi condizionare
dal “rumore mediatico” che – in Francia oggi, come in America ieri – dà
per sicura l’elezione di un solo candidato. Là era Hillary, qui è
Macron.
Sui social media i ruoli si ribaltano. Macron è indietro, mentre
Marine batte tutti, come rileva un’altra fonte insospettabile,
l’Huffington Post, a margine del dibattito tra i candidati dell’altro
giorno, che, secondo i media, è stato vinto dal giovane ex ministro
dell’economia di Hollande, ma che, stando al sentiment di Facebook e di twitter, é andato alla Le Pen (per i dettagli vedi qui).
Un responso che riflette la presenza complessiva sui social. Marine
si è mossa per tempo e decisamente bene. Su twitter conta 1,34 mln
followers ed ha molto più seguito di Melenchon (1 milione di follower),
di Macron (577mila), di Fillon (461mila) e di Hamon (348mila). Su
Facebook il distacco è ancora più ampio: ha 1.258.777 fan, rispetto a
Melenchon (709.130 fan), Fillon (311.377), Macron (228.398) e Hamon
(148.107). Numeri che sono importanti ma che da soli non sono del tutto
significativi. Per valutarne il peso occorre stimare la capacità di
mobilitazione – e dunque di “contagio digitale” – che è determinata
dalla quantità dei post e dall’assiduità dei fan. E anche qui, pochi
dubbi: la motivazione dei sostenitori di Marine appare molto più elevata
di quella degli altri candidati e soprattutto di Macron.
Questo significa che la Le Pen conquisterà l’Eliseo? Non corriamo,
qualunque previsione è prematura, tanto più in un sistema elettorale a
due turni. Significa, però, che la sua vittoria non può più essere
esclusa, perché la sua candidatura è molto più strutturata,
politicamente, e molto più radicata, socialmente, di quanto i suoi
avversari siano disposti ad ammettere. I quali preferiscono far finta di
non vedere e continuano a confidare nella propaganda tradizionale,
amplificata dai media, tutti schierati contro Marine.
Una situazione che ricorda, ancora una volta, quella delle presidenziali americane. Attenti alle sorprese…
Le
operazioni congiunte siriano-russo-iraniane contro i gruppi
terroristici eterodiretti nel territorio siriano gradualmente
smantellano e frustrano la forza di gruppi come il cosiddetto Stato
islamico, al-Nusra, al-Qaida e una miriade di altri
fronti coordinati e teleguidati dall’estero contro Damasco. Con
l’intervento russo alla fine del 2015, un notevole potere aereo colpisce
la logistica di tali fronti che vanno oltre i confini della Siria.
Mentre i rifornimenti sono stati ridotti, le forze siriane e dei loro
alleati hanno isolato ed eliminato una roccaforte dopo l’altra. Ora,
molti di tali gruppi devono affrontare la sconfitta in Siria, spingendo i
loro mandati su due linee di azione, posare da responsabili della
sconfitta, come Stati Uniti e Turchia cercano di fare con le rispettive
incursioni illegali in territorio siriano, e creare una narrazione che
copra l’evacuazione e il riposizionamento di tali gruppi terroristici
per un uso futuro.
Le organizzazioni terroristiche sono i mercenari dell’impero
Intorno la caduta dell’impero ottomano nei primi anni del 20° secolo,
gli interessi anglo-statunitensi coltivarono gruppi terroristici nel suo
territorio per dividere e conquistare l’intera regione, contribuendo
alle maggiori ambizioni egemoniche globali di Washington e Londra.
L’organizzazione terroristica nota come al-Qaida, creata dai resti della
Fratellanza musulmana siriana sconfitta da Hafiz al-Assad nel 1980, si
schierò in Afghanistan dopo che l’accordo eterodiretto per rovesciare il
governo siriano fallì. Da allora, al-Qaida partecipò a
operazioni della NATO nei Balcani, Medio Oriente e Nord Africa e anche
in Asia. Il gruppo opera sia da casus belli per l’intervento occidentale
che come agente per combattere contro quei governi che i militari
occidentali non possono affrontare direttamente, come avvenuto in Libia e
attualmente in Siria. Al-Qaida e le sue varie consociate e
affiliate, come lo Stato islamico, servono anche da ausiliari, come
nello Yemen, dove occupano il territorio invaso dalle forze meccanizzate
del Golfo Persico. Se i racconti occidentali cercano di ritrarre tali
fronti come organizzazioni terroristiche indipendenti attive al di fuori
del diritto internazionale e della portata della potenza militare e
d’intelligence occidentale, in realtà sono una copertura per ciò che è
chiaramente terrorismo mercenario di Stato. Gli Stati Uniti hanno
ammesso il loro ruolo nel creare tali organizzazioni, così come nel
mantenerle. L’uso di alleati da parte degli Stati Uniti, come Arabia
Saudita, Qatar ed Emirati Arabi Uniti (UAE), per riciclare denaro,
armare, addestrare e provvedere altre forme di sostegno politico e
materiale, è ampiamente documentato.
Mantenere vivo il mito dello Stato islamico
I rappresentanti della RAND Corporation hanno recentemente scritto un editoriale per Fortune intitolato, “Perché lo Stato islamico morente sarebbe una minaccia ancora più grande per l’America”,
in cui tentano di spiegare come, nonostante lo Stato islamico perda
terreno in Siria e Iraq, continuerà ad operare e a minacciare la
sicurezza globale. In realtà Stato islamico, al-Qaida e altri
fronti continueranno a persistere per un solo motivo, il grande supporto
statale multinazionale che ricevono da Stati Uniti, NATO e Consiglio di
cooperazione del Golfo (GCC). L’editoriale di Fortune rivendica: “La
liberazione di Mosul e Raqqa sono importanti passi iniziali per ridurre
la minaccia dello Stato islamico. Senza uno Stato vero e proprio,
probabilmente perderà molto fascino. Senza una base territoriale sicura
da cui operare, sarà difficile per l’organizzazione condurre attacchi
all’estero. Eppure lo Stato islamico, come al-Qaida prima, continuerà a
metastatizzare e a cercare d’influenzare una volta perduta la propria
base di origine”. Gli autori della RAND affermano anche: “Per
sconfiggere lo Stato islamico si dovranno combinare assistenza
economica, tecnica, politica e piani per migliorare le misure militari
statali e locali. Le rimostranze popolari che hanno dato origine ai
movimenti estremisti vanno meglio affrontati. Questi non sono passi che
gli Stati Uniti dovrebbero prendere da soli, ma Washington dovrebbe
costruire e guidare una coalizione di donatori che lavori con ciascuno
dei Paesi colpiti”. Tuttavia, è difficile credere a responsabili
politici ed autoproclamati esperti che non prendono in considerazione
l’origine della forza dello Stato islamico, l’ampio supporto da parte di
certi Stati. Ciò non viene menzionato nell’editoriale, né da politici,
pianificatori militari, analisti o altri di di Stati Uniti, NATO o GCC. È
un segreto di Pulcinella custodito con cura, con editoriali ripetitivi e
notizie come il pezzo della RAND su Fortune. Con i piani di
USA-NATO-GCC frustrati in Siria da una formidabile coalizione militare,
gli interessi particolari che guidano tale asse inevitabilmente
cercheranno di schierare i loro ascari laddove la coalizione non può
arrivare. Gli attuali sforzi per dividere e disturbare la stabilità
socio-economica e politica dell’Asia serviranno ad inserire terroristi
veterani in fugga dalle forze siriano-russo-iraniane in Medio Oriente.
Le nazioni emergenti del sud-est asiatico, in particolare, si
ritroveranno i focolai di tensione politica locali trasformati in
inferni con l’arrivo di elementi dello Stato islamico in fuga. In
Myanmar, i terroristi sostenuti da USA e sauditi già tentano di ampliare
le violenze nella crisi dei rohingya, probabilmente tentando di creare
un pretesto per la presenza militare permanente negli Stati Uniti nel
Paese, volta ad incunearsi tra Myanmar e Cina. In Thailandia,
infiammando la vecchia insurrezione meridionale trasformandola
intenzionalmente da lotta politica a conflitto settario e distruttivo,
simile a ciò che ha consumato Libia e Siria, potrebbe aiutare Washington
a dominare Bangkok. Una strategia simile è probabilmente già in corso
nelle Filippine.
Svelare il mito ed esponendo la vera natura dello Stato islamico e delle
altre organizzazioni terroristiche come forze mercenarie al servizio di
particolari interessi multinazionali, è il modo più importante, e forse
il solo, per proteggersi dall’uso di tali gruppi per ingabbiare
geopoliticamente, dividere e distruggere le nazioni. Costruire
coalizioni formidabili sia sul campo di battaglia che nell’informazione è
essenziale anche per affrontare e battere tali tattiche. Il tentativo
di capitolare alla narrazione occidentale, per timore di alienarsi
l’opinione pubblica, non elimina la minaccia che i terroristi entrino e
distruggano una nazione; ma in realtà incoraggerebbe ulteriormente tali
sforzi. Nazioni come la Libia che tentarono di placare gli interessi
occidentali, aderendo alla cosiddetta “Guerra al Terrore”, non esistono
più come Stati. Nei prossimi mesi, la pressione crescerà sugli agenti
occidentali che operano in Siria e Iraq, ed editoriali come quello di
Fortune si moltiplicheranno. E’ importante esporre ciò che l’occidente
tenta di ritrarre come inevitabile ritirata, condotta esclusivamente da
organizzazioni terroristiche, quale autentica evacuazione attuata dagli
occidentali per rischierarle.
Tony Cartalucci, ricercatore e scrittore geopolitico di Bangkok , in esclusiva per la rivista on-line “New Eastern Outlook”. - 24 marzo 2017
La Corte di Appello di Tripoli ha bloccato ieri l’intesa raggiunta
(ma finora mai applicata) tra Italia e Libia il 2 febbraio sui migranti
firmata a Roma dal premier Fayez al Serraj e dal presidente del
Consiglio, Paolo Gentiloni.
Lo ha riferito il sito del quotidiano Libya Herald sottolineando che
non è chiaro al momento quale impatto avrà questa sentenza sull’impegno
dell’Ue ad aiutare la Libia ad affrontare il dossier migranti e
soprattutto nell’addestramento che la Marina Italiana impartisce alla
Guardia Costiera libica (90 uomini già addestrati e 500 inseriti nel
programma)
L’istanza è stata presentato da sei politici locali incluso l’ex
ministro della Giustizia, Salah Al-Marghani, che hanno messo in
discussione non solo il contenuto del cosiddetto ‘memorandum of
understanding’, che prevede, tra l’altro, il rimpatrio dei migranti
intercettati nel Mediterraneo attraverso campi di transito in Libia, ma
la stessa titolarità del premier del governo di unità nazionale (GNA) a
firmare un accordo di questo tipo con uno Stato straniero.
Un’osservazione giustificata sul piano formale dal fatto che il
governo di al-Sarraj non ha mai ottenuto la prevista fiducia dal
Parlamento di Tobruk (che sostiene il governo di Abdullah al Thani e
l’Esercito Nazionale Libico del maresciallo Khalifa Haftar) senza la
quale non ha nessuna legittimità.
I giudici hanno quindi sospeso ogni ulteriore negoziato sulla base
dell’intesa sottoscritta il 2 febbraio scorso. Intesa grazie alla quale
l’Ue aveva stanziato 215 milioni di dollari (ma al-Sarraj a Roma ha
detto di volerne 800) per rafforzare la guardia costiera libica e
migliorare le condizione dei campi dei migranti nel Paese.
Di fatto quindi l’accordo con la Libia tanto sbandierato dal governo
italiano non è solo basato su presupposti inconsistenti ma è pure carta
straccia. Non a caso i flussi di immigrati illegali sono in continuo
incremento anche rispetto ai numeri record (181.500 sbarcati) dell’anno
scorso.
Il mancato patrocinio da parte della presidenza della Camera, targata Laura Boldrini, all’evento ‘Maternità al bivio: dalla libera scelta alla surrogata. Una sfida mondiale’,
forse è il riconoscimento più alto di quanto l’incontro internazionale
dei movimenti femministi, tenutosi ieri a Montecitorio, sia stato
autenticamente schierato, senza se e senza ma, contro la barbara pratica
dell’Utero in affitto.
“La decisione viene istruita dall'Amministrazione,
che non mette il 'timbro' dell'Istituzione su iniziative che appoggino
una parte o l'altra in questioni complesse e controverse. La stessa
scelta, naturalmente, sarebbe stata fatta qualora il patrocinio fosse
stato chiesto da chi è a favore della maternità surrogata. E' un
elementare segno di terzietà dell'Istituzione Presidenza", si leggeva in
mattinata in una nota diffusa dal portavoce della presidente della
Camera.
Ma se la Boldrini (eletta nelle liste del partito di Niki Vendola)
si permette il lusso della terzietà su un tema così dirimente per il
futuro della dignità delle donne, ben altre parole sono state dette nel
pomeriggio al convegno organizzato dall’Associazione femminista ‘Se non ora quando’
e che ha visto la partecipazione di numerose parlamentari italiane e
europee di tutti gli schieramenti, di rappresentanti di movimenti
femministi di tutto il mondo, della cultura, della scienza e persino di
diverse organizzazioni del mondo lgbt, come ArciLesbica e Equality.
Presenti anche scrittrici e giornaliste impegnate, tra le quali Susanna
Tamaro e Monica Ricci Sargentini che cura i temi del mondo femminile
per il Corriere della Sera.
Ospiti di punta sono state alcune personalità vicine
alle istanze femministe e impegnate nella lotta contro l’utero in
affitto nei rispettivi paesi europei di provenienza: Laurence Dumont,
vicepresidente dell’Assemblea nazionale francese; Sheela Saravanan,
ricercatrice associata all’Istituto Sud Asia dell’Università di
Heidelberg in Germania; Sylviane Agacinski, filosofa e femminista
francese nota in tutto il mondo del collettivo CoRP e Stephanie
Thögersen, program manager della Swedish Women's Lobby.
Il momento di confronto ha rilanciato l’iniziativa
internazionale partita nel gennaio 2016 a Parigi che ha l’obiettivo di
chiedere alle istanze delle Nazioni Unite preposte al rispetto delle
Convenzioni sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione delle
donne (CEDAW), sui diritti umani e sui diritti dei bambini, di aprire
una procedura volta a raccomandare il divieto della pratica della
maternità surrogata in quanto incompatibile con il rispetto dei diritti
umani e della dignità delle donne.
Non solo ma nell’atto di richiesta le femministe
riconosco anche l’importanza del riconoscimento della diversità tra i
sessi: “La Convenzione CEDAW nel suo preambolo accorda un’attenzione
particolare all’eliminazione di tutte le barriere economiche, politiche,
soprattutto sociali e culturali che impediscono l’uguaglianza tra donne
e uomini e riconosce in particolare il valore fondamentale della
differenza tra gli uomini e le donne che appare dunque superiore anche
all’autodeterminazione delle differenti culture e al principio del
relativismo culturale”
Certo, il presupposto da cui partono le femministe è
che la conquista della libertà di scelta è stato un cambiamento di
enorme portata che consente alla maternità di “ridisegnare i confini di
una nuova idea di libertà”. “Ma a condizione – è stato affermato con
forza - che non venga privata del suo senso umano e che non venga
ridotta alla bruta materialità biologica”.
La presidente di ‘Se non ora quando’ Francesca Izzo
ha infatti sottolineato che la soluzione non può essere “l’accettazione
di un modello di vita nel quale le donne godono di maggiori libertà ma
al prezzo di cancellare ogni loro tratto differente, neutralizzarsi, in
nome di quella uguaglianza consegnata alla storia del dominio degli
uomini”.
La Izzo ha poi spiegato senza giri di parole che
“con l’aiuto della tecnica le donne sentono di poter svincolare la
maternità dai limiti temporali, dai limiti corporei coltivando
l’illusione di corrispondere al modello di un individuo del tutto
padrone di sé, del suo tempo, con un corpo a totale disposizione della
propria volontà, quando e come vogliono”. “E d’altra parte – ha
proseguito - fidando che una soluzione tecnica si troverà, si può
accettare passivamente di rinviare la maternità perché non ci sono
soldi, non c’è la sicurezza del lavoro, della casa, ma sentendosi
personalmente inadeguate perché avere un figlio appare come una faccenda
maledettamente privata”
In pratica il ragionamento delle femministe è questo:
se si accetta, come nella maternità surrogata, anche in quella
cosiddetta solidaristica, di spezzare l’unitarietà del processo della
maternità, di segmentarlo in ovociti, gravidanza e neonato, togliendo
alla gravidanza ogni “pregnanza” fisica, emotiva, relazionale e
simbolica, facendone un processo meccanico/naturale, si incrinano le
basi stesse dell’autodeterminazione.
Tuttavia. Chi si aspettava un dibattito unicamente
ad uso e consumo dell’autodeterminazione delle donne è stato poi deluso
dai numerosi interventi in cui è stato messo a fuoco il diritto del
bambino a non finire in balia di un turpe oggetto di mercimonio e a non
essere allontanato dalla madre, concetto ribadito anche da Aurelio
Mancuso, presidente dell’associazione gay Equality.
All’evento era presente anche il ministro della Salute Lorenzin
che ha ricordato che la pratica resta illegale in Italia si è impegnata
titolo personale (non a nome di tutto il governo) a portare avanti
l’impegno per la messa al bando in tutti i Paesi del mondo: "L'utero in
affitto deve essere riconosciuto come reato universale, bandito a
livello internazionale, allo stesso modo delle altre forme di commercio e
schiavitù degli esserei umani e questo in nome delle donne. Do la mia
disponibilità a sostenere tutte le iniziative in queste senso che
saranno messe in campo”.
"Mater semper certa est, non avrei mai immaginato che
un giorno questa evidenza lampante potesse essere messa in
discussione”, ha aggiunto l'esponente dell'esecutivo che ha quindi
lanciato un stilettata alla Boldrini: “Come donna e come madre non mi
stancherò mai di denunciare pubblicamente questa schiavitù e commercio,
perchè i diritti delle donne non si difendono solo con la grammatica".
Le promesse di politici hanno lasciato smantellare
la legge 40 da parte della magistratura appaiono certamente fuori luogo,
ma l’impegno sincero delle femministe e apre nuovi scenari nella difesa
di tutta l’antropologia umana.
Un quadro sconfortante del degrado, dissoluzione e scomparsa della
nostra identità nel gran calderone della globalizzazione forzata. Il
paesaggio con rovine non è soltanto intorno a noi è dentro ciascuno di
noi di Francesco Lamendola
Paesaggio con rovine
di
Francesco Lamendola
Un
caro amico di ritorno da Parigi, città nella quale manchiamo da molti
anni, ci ha fatto un quadro sconfortante del degrado e della
dissoluzione della douce France, della scomparsa della sua
identità nel gran calderone della globalizzazione forzata. Non solo
nelle periferie, ma anche nei quartieri storici, come Montmartre, si
vede ormai un francese, anzi, un bianco, ogni dieci, ogni venti persone;
e questi stranieri parlano nella loro lingua, vestono alla loro foggia,
hanno i loro negozi, vivono una vita parallela e assolutamente non
integrata con quella dei parigini. Di più: non mostrano alcun desiderio,
alcun interesse ad integrarsi. Non amano la Francia, né la civiltà
europea: anche dopo due, tre generazioni, non si considerano francesi,
né europei, anche se sulla carta d’identità sta scritto che sono
cittadini francesi. Senza dubbio avvertono che, nel giro di pochi anni,
avranno preso il sopravvento, grazie alla prolificità delle loro donne,
come aveva profetizzato l’algerino Boumedienne e come ha ribadito,
appena l’altro ieri, il turco Erdogan; mentre gli europei non han di
meglio da fare che escogitare delle leggi mediante le quali sia sempre
più facile separarsi, divorziare, abortire, ottenere figli con la
fecondazione artificiale, cambiare sesso, veder riconosciuto il diritto
all’eutanasia per sé e per i propri bambini. Al nostro suicidio
biologico si contrappone l’incessante crescita demografica degli
stranieri immigrati in Europa: e non è necessario essere degli esperti
di matematica o di proiezioni demografiche per capire cosa ciò
significhi.
D’altra
parte, il nostro suicidio biologico ha inizio da lontano ed è parte di
un fenomeno più vasto, fatto di tutta una serie di complessi, rimorsi,
paure, frustrazioni, amarezze, sconfitte, alimentate ad arte e gonfiate
al massimo, ottenendo l’effetto di paralizzare la nostra volontà e di
alimentare una contro-cultura che esalta il disordine, la negatività, il
pessimismo, il relativismo, l’incomunicabilità, il nichilismo,
l’edonismo bestiale, il materialismo esasperato, ogni sorta di
degenerazioni e di vizi, e, da ultimo, la morte. Abbiamo coltivato il
nulla e abbiamo acclamato i maestri del nulla, a lungo, con
convinzione, con ostinazione: ora raccogliamo i frutti disastrosi di
questa contro-educazione, di questa voluttà di disfacimento e di morte.
Ecco: l’Europa, oggi, anzi, tutto l’Occidente, non è altro che un
lugubre, desolato, allucinante paesaggio con rovine, nel quale noi ci
aggiriamo stralunati e inebetiti, simili a dei morti viventi dopo una
catastrofe inimmaginabile. La città consumista è il nostro cimitero e
noi siamo gli zombie del cosiddetto benessere, sopravvissuti a
noi stessi, vergognosi di mostrarci per quello che siamo diventati,
eredi degenerati di una forte e sana razza di lavoratori, di padri e di
madri capaci di altruismo e abnegazione, di lavoratori con il culto
dell’onestà, di cristiani che prendevamo sul serio le cose di Dio.
Paesaggio con rovine è
il titolo di uno dei libri di Piero Buscaroli: una straordinaria figura
di musicologo, giornalista, studioso eclettico e versatile, che è
venuto a mancare, nel silenzio assordante della cultura politically correct, il
15 febbraio di un anno fa: troppo "di destra" per meritare una parola
di stima, se non di affetto, lui che, fra le altre cose, aveva fatto
conoscere in Italia autori pressoché ignoti, come il romeno Vintila
Horia, e che aveva scritto una monumentale biografia di Bach (oltre
1.200 pagine) andata a ruba negli Oscar Mondadori. Nulla di nuovo, del
resto: i salotti buoni della cultura italiana, da sempre, sono monopolio
esclusivo della sinistra, e quindi le lodi sperticate che vi si riserva
all'ultimo scalzacane che invoca la dignità del matrimonio omosessuale,
il diritto all'eutanasia, l'accoglienza indiscriminata verso i poveri
"profughi” che non sono poi neanche tali, con l'obiettivo neppure
nascosto di usufruire dei loro voti, quando avranno ottenuto la
cittadinanza, si accompagnano all'insindacabile diritto di decretare
l'ostracismo, e poi l'oblio, a quanti non si allineano ai suoi dogmi;
perciò il trattamento riservato a Buscaroli non deve stupire, e infatti
non stupisce nessuno. Stupirebbe, o peggio, se vivessimo in un Paese
normale: invece viviamo in un Paese dove la cultura è fatta da una casta
d'intellettuali che si credono all'avanguardia e sanno solo puntare il
ditino contro quelli che a loro non piacciono, senza accorgersi di avere
accumulato un ritardo storico di almeno quaranta o cinquant'anni. Sono
rimasti a Gramsci e a Gobetti, a don Milani e a Pasolini, loro che hanno
dato l'ostracismo a Eugenio Corti, a Buscaroli, a Marcello Veneziani e
specialmente a Maurizio Blondet; loro che preferiscono i lazzi di Dario
Fo alla pensosità di Ezra Pound, che hanno ammirato Moravia e denigrato
Cassola, che sono andati a lezione da Toni Negri e fatto finta di non
conoscere Evola (pur leggendolo di nascosto, e rubandogli più di qualche
idea). Loro che, per bocca di Gad Lerner, sanno solo accusare chi, come
Gianfranco De Turris, la pensa in maniera diversa dalla sacra Vulgata
neocomunista, o che, come Erri De Luca, sentenziano che la cultura serve a rendere cosciente dei propri diritti contro gli sfruttatori.
La scuola di don Milani, appunto, o di David Maria Turoldo; e prima
ancora, di Dossetti e di Lazzati: la scuola del cattocomunismo e del
rancore sociale travestito da cattolicesimo.
Ma
attenzione: il paesaggio con rovine non è soltanto intorno a noi, non è
soltanto l’Europa imbruttita e devastata da una omologazione laicista e
da una sostituzione dei popoli senza precedenti; esso è anche, e in
primo luogo, dentro ciascuno di noi. Noi moderni, noi post-cristiani,
non cittadini del terzo millennio chiamati a un bilancio totalmente
fallimentare delle nostre esistenze, della religione dei falsi dèi che
abbiamo adorato e che continuiamo, imperterriti, ad adorare: le
macchine, i solidi, il successo e il piacere, come le bestie. Il nostro
fatale indebolimento parte da lontano e precede di parecchio l’inizio
dell’invasione dei cosiddetti profughi, la quale, peraltro, è stata
accuratamente programmate ed è guidata con criteri quasi scientifici da
quanti, come George Soros, hanno deciso che l’Europa deve cessare di
esistere. Noi non crediamo più in noi stessi, e abbiamo ragione, perché
non c’è motivo di credere nel nulla, anche se quel nulla siamo noi ed è
il nostro mondo. Un mondo ormai fatto solo di cose, di telefonini, di
vestiti firmati, e sempre più povero, sempre più vuoto di affetti, di
valori, di spessore etico.
Allo
stesso tempo stiamo coltivando scrupolosamente i sensi di colpa che ci
tolgono la fierezza e la fiducia nel futuro. Abbiamo deciso di caricarci
sulle spalle la responsabilità per tutti i malanni dell’universo mondo,
e non solo quelli storici, ma anche quelli naturali. Ci sentiamo in
colpa, perché c’è chi vuole farci sentire in colpa. In molte scuola
elementari i bambini vengono istruiti a giocare a pallavolo stando
seduti per terra, per capire cosa vuol dire essere senza gambe, o con
gli occhi bendati, per rendersi conto di cosa significhi essere privi
del senso della vista. Intanto, però – strana contraddizione - degli
“esperti” vengono nelle classi a spiegare che i disabili sono persone
come tutte le altre, e che non c’è nessuna differenza tra l’essere in
carrozzina e camminare sulle proprie gambe. Insomma, chi non è disabile
deve sentirsi in colpa di non esserlo, però la disabilità non esiste, è
un fatto mentale, un pregiudizio, una prepotenza, una forma di razzismo.
Altri “esperti”, provenienti per lo più dalle organizzazioni LGBT,
vengono nelle classi a spiegare che il maschile e il femminile non
esistono, che sono solo un pregiudizio, e che ciò che esiste sono gli
orientamenti sessuali, qualcosa di fluido, di mutevole, che dipende solo
dalla nostra libera scelta, alla quale gli altri si devono inchinare.
In altre parole, chiedere a un bambino come si chiamano la mamma e il
papà e un crimine di tipo razzista, perché disconosce la bellezza di
avere due mamme lesbiche o due papà omosessuali, e nega implicitamente
la bellezza delle famiglie “arcobaleno”, magari arricchite da qualche
bel bambino ordinato su catalogo.
Anche
la nostra religione, o ex religione, ha assunto l’aspetto di un
paesaggio con rovine. C’è stato un tempo - e noi, da bambini, abbiamo
fatto ancora in tempo a viverlo - in cui la religione cattolica
trasfondeva nella società, nelle famiglie e nei singoli individui, un
riflesso d’infinito: leniva le sofferenze e dava loro un significato più
alto; sosteneva le persone nelle fatiche, nelle lotte, nelle delusioni;
chiedeva a ciascuno di dare il meglio di sé, e, se qualcuno non ci
riusciva, lo induceva a farsi delle domande, a mettersi in discussione, e
proporsi di far meglio la prossima volta. In breve, e pur con qualche
limite, che non vogliamo ignorare o minimizzare (una esagerata
sessuofobia, per esempio), l’educazione cristiana e il senso cristiano
della vita conferivano all’esistenza una nota gentile, una tonalità più
dolce e delicata, e vi immettevano un raggio di consolazione e di
speranza. Le persone entravano in chiesa per pregare, per parlare con
Dio, e vi trovavano pace, silenzio, possibilità di raccoglimento;
trovavano una liturgia solenne, una omiletica ispirata alla dottrina
cristiana, che era di aiuto nei casi della vita, e, nello stesso tempo,
non autorizzava a prendersi troppa confidenza con Dio, non disperdeva il
timor di Dio, anzi, ricordava agli uomini la loro piccolezza, la loro
fragilità e la necessità di affidarsi a Dio per trovare ciò che da soli
non possono raggiungere: la verità, la giustizia, l’amore autentico, la
pace.
Nel
cattolicesimo del terzo millennio regnano invece la confusione,
l’agitazione, la smania di abbassare il divino al livello dell’umano, di
togliere il mistero, di spiegare tutto, di promuovere l’uomo da
servitore a padrone, di illuderlo che tutto vada bene purché egli segua
onestamente la propria coscienza: ma lasciando a ogni coscienza la piena
libertà di fare o non fare tutto ciò che le piace, tutto ciò che sembra
vero e giusto e buono e bello, così, a proprio insindacabile giudizio
(infatti è ben noto che i cretini sono scomparsi dalla faccia della
terra, e così pure i delinquenti, ora ci sono solo i geni come
Aristotele, o le persone che vivono una qualche forma di disagio per
colpa della società brutta e cattiva, ma cattive, loro, non lo sono,
anche se hanno accoppato il papà e la mamma a colpi di accetta, per
ereditarne soldi e beni). In breve, siamo nell’era del vangelo secondo me.
L’ultima novità, si fa per dire, è il vangelo secondo Fabrizio De
André: dove tutti vanno in paradiso, senza bisogno di pentimento, e dove
i peccatori verranno prima di tutti gli altri: il che è un deliberato
fraintendimento della parola di Cristo, il quale ha detto, sì, che gli
ultimi saranno i primi e che molti dei primi saranno gli ultimi, ma ha
pure detto che il peccatore deve convertirsi, deve mutar vita, deve
smettere di peccare e non tentare, non stancare la pazienza di Dio e la
sua misericordia; che, se l’occhio, o il piede, o la mano gli sono dio
scandalo, è meglio che se li tagli; che al peccatore contro lo Spirito
Santo non verrà mai perdonato, e che chi scandalizza i piccoli che
credono nel Vangelo, farebbe meglio e legarsi una macina da mulino al
collo, e gettarsi nel mare. I cristiani del V secolo avevano
sant’Agostino come maestro di teologia; quelli del XIII secolo, avevano
san Tommaso d’Aquino; quelli di oggi hanno le canzoni di Fabrizio De
André e le prediche, o piuttosto le concioni, di don Andrea Gallo, ora
pienamente rivalutati e ufficializzati da papa Francesco e da
intellettuali come Franco Cardini. I credenti del XIV secolo avevano
Dante quale massimo cantore della poesia cristiana, noi abbiamo i Promessi Sposi
a fumetti. Essi avevano Giotto per illustrare la storia sacra sulle
pareti delle chiese, i cristiani dei nostri giorni hanno Ricardo
Cinalli, noto artista omosessuale e celebratore della sodomia nel grande
affresco del duomo di Terni, commissionatagli dall’allora vescovo
Vincenzo Paglia. Con un Cristo che porta in cielo tutti quanti, senza
domandar loro il piccolo dettaglio della conversione: li porta
d’ufficio, così, per simpatia, come gli studenti sessantottini volevano,
pretendevano il “sei politico”, così, senz’altra ragione che la
protesta contro l’autoritarismo dei professori. Ecco: anche questo è un
paesaggio con rovine. Le rovine della nostra fede e quelle della nostra
anima.
Sempre
quell’amico ci riferiva di come la cattedrale di Notre-Dame sia
diventata una specie di bazar trafficatissimo, dove non si godono mai
più di cinque minuti di silenzio per pregare: partono continuamente le
voci registrate che invitano i turisti a visitare i “tesori cristiani”. I
quali turisti, senza dubbio, non sanno che la cattedrale non è quella
originale del Medioevo, ma quella rifatta da Viollet-le-Duc, perché i
rivoluzionari del 1789 l’avevano semidistrutta; e nemmeno gli studenti,
del resto, lo sanno. Non viene loro insegnato. Come potrebbe essere
diversamente? Se il 14 luglio è la festa nazionale francese, bisogna
promuovere l’idea che illuminismo e rivoluzione hanno segnato l’inizio
delle magnifiche sorti e progressive. Con la testa del
governatore de Launay portata in giro per le vie di Parigi in cima a una
picca, come farebbe la più sanguinaria tribù di cannibali. Ecco, questa
è la Francia, questa l’Europa odierna, figlia dell’illuminismo e della
rivoluzione. Un’Europa senza identità, perché il passato era il male,
bisognava cancellarlo e riscrivere il presente partendo da zero, da una
pagina bianca. La pagina bianca era quella della Ragione. Ora vediamo
dove ci ha portati quella Ragione: una ragione libera spregiudicata,
senza Dio e senza gratitudine per gli avi. Ci ha portati a magnificare
l’amore omosessuale, a celebrarne la superiorità su quello
eterosessuale, perché più puro e disinteressato, come affermava Umberto
Veronesi; mentre gl’immigrati africani e islamici stanno facendo figli,
nelle nostre città e nei nostri paesi, ad un ritmo tale che, assai
presto, ne saremmo sommersi. È razzismo, dire queste cose? Secondo Nichi
Vendola o la signora Boldrini, sì. Se, dunque, questa è la situazione,
che cosa possiamo fare? Non molto, onestamente. Possiamo scegliere di
mutar rotta, di cambiare il nostro stile di vita. Forse è già tardi.
Possiamo però pregare...
Una caratteristica che sembra accomunare tutti i partiti
italiani o quel che ne resta e quel tanto di nuovi che si affaccia sulla
scena, pare che sia lo scissionismo, la frantumazione. Ora sembra che
sia la volta dei Cinque Stelle che, in realtà, non è che abbiano molte
ragioni per stare assieme, salvo, magari, il vincolo delle carte da
bollo, che ne evidenzia l’assurdità proprio nella sua inconcludenza
giuridica.
Ma c’è un partito che non mostra crepe e contrasti. Non ne mostra e
non può mostrarle e, soprattutto, non può far nulla per combatterli,
appianarli e superarli, perché non può “apparire”: è il Partito dei
Magistrati (Pdm), un’istituzione-partito, come tale abusiva e
prevaricatoria. Non v’è dubbio che proprio nel momento in cui il Partito
dei Magistrati diventò tale da coinvolgere l’intera corporazione
(piaccia o non piaccia a Silvio Berlusconi la storia di “alcuni pm
comunisti”) si manifestarono differenze e contrapposizioni assai
rilevanti nel suo seno. Una frangia (se si tratta solo di una frangia)
oltranzista, con una ideologia tanto vaga e rozza quanto estremizzante e
fanatica, sta affermandosi soprattutto in talune zone attorno ad alcune
“stars” della lotta alla mafia, ma con propaggini che si manifestano un
po’ dovunque.
Nessuno può ragionevolmente sostenere che il Partito dei Magistrati
si identifichi in certi personaggi, in certe operazioni assurde (come il
processo per la “trattativa Stato-Mafia”). Certo è che queste frange,
questi personaggi, queste baggianate, così come un estremismo
giudiziario di facile presa, sono però parte e caratteristiche non
secondarie del Pdm. Non saprei dire se oggi è più pericolosa la parte
ancora maggioritaria di quest’abnorme partito, oppure la sua porzione
pressoché apertamente eversiva. Piuttosto mi sembra evidente che il
Partito dei Magistrati non è in condizione di controllare quella sua
minoranza oltranzista e dichiaratamente eversiva, la frangia calabrese e
palermitana dei visionari che si direbbe vogliano perseguire chi
rappresenta e serve lo Stato come se si trattasse di un’associazione a
delinquere. Non lo possono fare perché essi stessi, quelli della
maggioranza, per così dire, corporativa, in quanto costituiti in
partito-istituzione, sono in posizioni implicitamente eversive.
Non solo ma, negando di essere un partito, magari non rendendosi
conto di esserlo, non possono imporre a nessuno di loro di rispettare
una linea comune meno oltranzista, né imporre una qualsiasi “disciplina”
di partito negando di essere partito. Del resto la magistratura non
riesce nemmeno a realizzare una decente funzione disciplinare
istituzionale al proprio interno.
Non so se ciò rappresenti un elemento di debolezza per il Partito dei
Magistrati o se implichi solo che esso sia destinato a portarsi
inevitabilmente su posizioni le più oltranziste. Certo le speranze di
quelli che contano su di una svolta moderata del Pdm, come pare in
questo momento sia di moda nel Partito Democratico, si direbbe siano
affette da un malsano e pericoloso ottimismo. È pure certo che, da
quando il Pdm ha realizzato il massimo dei suoi successi, riuscendo a
disarcionare Silvio Berlusconi, la sua politica e la sua stessa
esistenza, si sono fatte più complesse e problematiche. Il che non è una
buona ragione per rimanere mesti ad aspettare che di là venga qualcosa
di buono.
Un giorno milioni di uomini abbandoneranno l’emisfero sud per irrompere
in quello nord e non certo da amici perché vi irromperanno per
conquistarlo e lo conquisteranno popolandolo coi loro figli sarà il
ventre delle nostre donne a darci la vittoria
ERDOGAN COME BOUMEDIENNE
Erdogan
getta definitivamente la maschera: la conquista dell'Eurabia con il
ventre delle donne turche il suo dichiarato obbiettivo. Qualche statista
di Bruxelles crede ancora che la Turchia dovrebbe entrare nell'Unione
Europea?
Nel
1974 Boumedienne, cioè l’uomo che tre anni dopo l’indipendenza
dell’Algeria aveva spodestato Ben Bella, parlò dinanzi all’assemblea
delle Nazioni Unite e senza tanti complimenti disse:
«Un
giorno milioni di uomini abbandoneranno l’emisfero sud per irrompere
nell’emisfero nord. E non certo da amici. Perché vi irromperanno per
conquistarlo, e lo conquisteranno popolandolo coi loro figli.
Sarà il ventre delle nostre donne a darci la vittoria». (In Oriana Fallaci La forza della ragione, Rizzoli 2004, p. 56-57).
Dopo
43 anni il nuovo califfo della Turchia “nazionalista” Erdogan ribadisce
lo stesso concetto ai turchi già presenti nella Ue in diversi mlioni, 6
solo in Germania: "Fate almeno 5 figli per coppia".
Gli
immigrati turchi nei Paesi europei devono mettere al mondo almeno
cinque figli, perché siano loro ''il futuro dell'Europa''. Questo
l'ultimo messaggio di guerra all'occidente proferito dal presidente
Recep Tayyip Erdogan che ha rivolto ai milioni di cittadini turchi che
vivono appunto in Europa.
Il
tutto si inserisce in una crisi diplomatica in corso tra Turchia,
Olanda e Germania e di ultima la Danimarca; Erdogan ha ripetutamente
accusati i Paesi europei di comportarsi come la Germania nazista, avendo
comportamenti discriminatori nei confronti dei turchi. ''Da qui
io dico ai miei cittadini, ai miei fratelli e sorelle in Europa, fate
studiare i vostri figli nelle scuole migliori, fate sì che la vostra
famiglia viva nei posti migliori, guidate le auto migliori, vivete in
belle case'', ha detto Erdogan, invitando poi gli immigrati turchi ad ''avere cinque figli, non tre. Voi siete il futuro dell'Europa''.
''Questa è la migliore risposta alla maleducazione che hanno mostrato nei vostri confronti, all'inimicizia, agli sbagli'', ha aggiunto in un discorso televisivo tenuto nella città di Eskisehir, a sud di Istanbul.
Mentre
gli americani con il nuovo criticatissimo, ma eletto democraticamente
presidente Donald Trump corrono ai ripari, con i noti divieti di entrata
per molti cittadini di paesi islamici; questa gravissima crisi
diplomatica è l'ennesima dimostrazione del fallimento politico di quest'Europa a guida tedesca.
Fermare l’invasione di migranti economici dall’Africa si può,
basta che ci sia la volontà politica e il coraggio di affrontare le
inevitabili reazioni dei buonisti. Ora che- per fortuna – la
costosissima operazione Mare Nostrum è conclusa, solo una modesta parte
di coloro che partono dalle coste libiche sui gommoni o sulle carrette
del mare vengono raccolti da navi battenti la nostra bandiera e quindi,
mettendo piede su suolo italiano, acquisiscono il diritto di chiedere
asilo o protezione umanitaria a noi. La maggior parte viene ormai
salvata da navi armate e finanziate da un numero imprecisato di ONG,che
battono le più varie bandiere di comodo (Panama, Liberia, Nauru e
quant’altro) e che da tempo sono sospettate di essere in collusione con
gli scafisti, con cui si mettono d’accordo prima su dove raccogliere i
“disperati”. Perciò, tecnicamente, coloro che vengono tratti in salvo
vengono a trovarsi sul territorio di questi Paesi, ed è perciò a questi
che dovrebbero rivolgere in prima istanza le loro richieste.
Naturalmente, si guardano bene dal farlo, e chiedono e ottengono di
essere sbarcati in Italia, dove sanno che sarano accolti e accuditi e
che comunque può servire da ponte per raggiungere altre nazioni europee
di loro gradimento.
Ora, in base anche alla recentissima sentenza della Corte europea sui
diritti dei singoli Stati in materia di accoglienza (naturalmente subito
contestata in primo luogo dalle stesse ONG, noi non siamo tenuti a far
scendere da una nave straniera che attracca in un nostro porto chi è
senza documenti in regola,cioè passaporto e visto d’ingresso rilasciato
dalle nostre autorità consolari. E’ vero che la legge del mare prevede
che una nave che abbia soccorso e preso a bordo dei naufraghi possa
sbarcarli nel porto più vicino,ma a questo si possono opporre tre
obiezioni: 1)Il porto più vicino alle coste libiche non è né Pozzallo né
Augusta né Trapani, ma prima gli scali della Tunisia meridionale e poi
Malta; e se questi si rifiutano (nel caso dei maltesi non senza ragione,
viste le dimensioni del Paese e l’imponenza dei flussi) non c’è scritto
da nessuna parte che dobbiamo essere noi a subentrare i terza battuta.
2) Coloro che vengono raccolti dalle navi delle ONG al limite delle
acque territoriali libiche (e, sembra, spesso addirittura su
appuntamento), quando stanno già per finire le scorte di acqua e
carburante e chiamano aiuto con un telefono satellitare che viene loro
appositamente fornito dagli scafisti sono, più che naufraghi veri,
naufraghi VOLONTARI. Essi non affronterebbero cioè mai il mare aperto
sapendo già di non essere attrezzati per tentarlo se non avessero la
quasi certezza di essere messi in salvo dopo una ventina di miglia
(equivalenti a un decimo della traversata prevista) da soccorritori che
hanno come specifica missione di prenderli a bordo. 3) A chi obbietta
che è comunque nostro dovere salvare e accogliere i “disperati” – che
sarebbe più esatto definire migranti economici o immigrati clandestini –
che fuggono dalla guerra, dalla miseria o dalla siccità e spesso
vengono torturati e vessati lungo il cammino è facile rispondere che,
una volta a bordo delle navi delle varie ONG, non corrono più nessun
pericolo. Tra l’altro,siamo all’assurdo che dopo l’accordo, per la
verità ora un po’ traballante, tra UE e Turchia per fermare in quel
Paese i profughi che arrivano davvero da zone di guerra e hanno perduto
tutto non riescono più ad arrivare in Europa, ce la fanno giovanotti
dell’Africa subsahariana che,nell’80-90% dei casi non possono – in
base alla Convenzione di Ginevra – avanzare alcun diritto di protezione e
dovrebbero essere rimandati a casa loro.
Con questo, non avremmo risolto tutti i problemi: c’è per esempio quello
dei minori non accompagnati, e ci saranno sempre casi pietosi – donne
incinte o con bambini piccoli – per cui bisognerà fare eccezioni. Ma
invece dei 200mila e passa migranti attesi nel 2017 (siamo già oltre le
cifre dell’anno scorso, ma il grosso arriverà con la buona stagione),
dovremo accoglierne molto meno e la situazione diventerebbe più
gestibile. Dal momento che, sul dossier migranti,l’UE continua a
ignorare le nostre sacrosante richieste, proviamo questa strada e
vediamo cosa succede.