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Non smettete mai di protestare; non smettete mai di dissentire, di porvi domande, di mettere in discussione l’autorità, i luoghi comuni, i dogmi. Non esiste la verità assoluta. Non smettete di pensare. Siate voci fuori dal coro. Un uomo che non dissente è un seme che non crescerà mai.

(Bertrand Russell)

17/02/18

Centri a-sociali


Cosa avranno mai di sociale i centri sociali? “Na beata minchia!!” Direbbe l’ormai celeberrimo Cetto Laqualunque. Attività socioculturale, zero. A detta di chi ne ha visitati tanti. Io mi sono astenuto, finora, dal farlo. Mi è bastato vederli in azione per le strade e le piazze delle nostre città. Quando arrivano si presentano come facinorosi, violenti e distruttivi. Una buona parte di loro, senza tema di smentita, proviene dalla “buona borghesia” italiana: papà e mamma professionisti, magari di sinistra, magari post sessantottini, magari disattenti nell’unico compito che dovrebbe preoccupare un genitore: l’educazione dei propri figli. Si, perché sono maleducati e volgari. Senza rispetto delle regole e, soprattutto, delle persone. Basta pensarla diversamente da loro per essere accusato, insultato, denigrato e sputato in faccia. Figli di papà con il portafoglio pieno di soldi e il cuore pieno di rabbia, pronti a tutto pur di portare scompiglio e odio. Gli striscioni e i cartelloni che li precedono nei cortei (pacifici) la dicono lunga sul loro conto. Molti li abbiamo visti nella “manifestazione” di Macerata. 

IMG_0078Questi ragazzi, abbandonati a se stessi, si abbandonano a loro volta a droghe, alcol e atteggiamenti violenti. Si proclamano democratici, pacifisti e anti fascisti, anti razzisti e accoglienti, ma, di fatto, dimostrano ad ogni uscita pubblica l’esatto contrario. Dalle uova marce, alle molotov, dagli sputi ai sassi, dalle spranghe alle bottiglie rotte, usano di tutto per provocare e aggredire. Incappucciati, coperti quasi sempre con le kefiah palestinesi si scagliano contro le forze dell’ordine, attaccando lo Stato democratico, repubblicano, anti fascista, anti razzista e accogliente. Dunque, c’è qualcosa che non torna! In cosa crede realmente questo piccolo esercito sgangherato e confuso dai fumi degli stupefacenti? Una cosa è certa ed evidente: dove arrivano loro, scoppia la rissa, i danneggiamenti, i feriti e, a volte, il morto. A pagare, oltre ai cittadini, carabinieri e polizia, padri di famiglia che, per pochi spiccioli, si fanno massacrare dai fancazzisti. Sempre rossi. Come accaduto a Piacenza. Dieci contro cento, un massacro!

di Michel Dessi - 17 febbraio 2018

Breve storia di sette anni infami




Nel pieno di una deprimente schermaglia elettorale, guardiamoci indietro per capire come siamo arrivati a questo punto. Ricostruiamo la storia degli ultimi sette anni.

In principio fu la fine di Berlusconi. Messo fuori gioco da un mezzo golpe interno e internazionale, nel nome di una parola magica chiamata spread, cominciò per l’Italia il settennato più assurdo della nostra pur anomala storia.

Nell’arco di questi sette anni abbiamo assistito nell’ordine al suicidio della destra, al suicidio della sinistra, all’avvento sciagurato dei tecnici, alla crescita abnorme dell’antipolitica, alla morte e resurrezione di Berlusconi.

Il suicidio della destra ha un nome principale: Fini. Il suicidio della sinistra ha un nome principale: Renzi. E due sciami di complici.

Il fallimento dei tecnici ha il nome di Monti (e magari la faccia della Fornero), la crescita abnorme dell’antipolitica ha la chioma di Grillo e il faccino di Di Maio. E il vuoto che resta, la sedia vacante, ha il nome di Mattarella.

Il collasso della politica rispecchia il collasso della società; anzi è l’unico punto che congiunge il degrado della politica alla decadenza della società. Sullo sfondo c’è il tragico sorpasso dei decessi sulle nascite, dei vecchi sui giovani, più la fuga all’estero dei ragazzi più svegli, rimpiazzati dall’arrivo di clandestini. La società di massa si è fatta molecolare, sempre connessa e sempre più solitaria, abitata da narcisi astiosi.

È l’epoca del selfie come orizzonte di vita.

Ma torniamo alla politica. Veniamo da una sequenza di fallimenti: fallì la politica, fallirono i tecnici, fallisce l’antipolitica ovunque passi da protesta ad amministrazione.

La cosiddetta seconda repubblica era stata segnata da due fenomeni eminenti: l’avvento dei partiti personali al posto dei partiti ideologici e corali; e l’avvento di un bipolarismo dell’alternanza più che perfetta, perché a ogni elezione il governo uscente veniva bocciato e subentrava l’antagonista.

Il presente settennato, che ho difficoltà a definire terza repubblica, ha prodotto due ulteriori novità: il bipolarismo si è fatto tripolare, anticamera dell’ingovernabilità; e il partito personale si è fatto ancora più personale e ancor meno partito.
Dopo la fase cruenta dei tecnici sacrificali, siamo alla fase imbonitrice dei politici piazzisti.

Sul piano delle idee domina il deserto ma con alcune particolarità. Un tempo la sinistra aveva un punto saliente: l’anticapitalismo. Dopo un lungo viaggio in cui si è trasformata nella guardia bianca del Capitale e nel cappellano morale del mercato, l’anticapitalismo è stato sostituito dall’antifascismo.

L’antifascismo, in assenza di fascismo, ha generato un rigido, manicheo, irreale schema di polarizzazione.

Il sogno della rivoluzione a sinistra si è spaccato in due filoni: il proletario o l’operaio è stato sostituito dal migrante e la liberazione degli oppressi è stata sostituita dalla liberazione dei repressi, in tema di sesso, famiglia, pulsione di morte, desideri sprigionati.
L’ideologia pervasiva, transnazionale, è il politicamente corretto.

E a destra, invece? La destra non ha elaborato strategie, pensieri, culture politiche e civili. Si è limitata a rilanciare il brusio del giorno e gli umori della folla. Ha giocato di rimessa e contrappunto, ha cavalcato il momento. A volte intercettando con efficacia e successo mediatico alcuni (mal)umori diffusi. A volte no.

Invece la società si è polarizzata sui temi sensibili, bioetici, riguardanti l’accoglienza, la famiglia, i sessi, la vita e la morte. Esiste un’opinione pubblica di questo tipo (che diremo “conservatrice”), contrapposta a un’area “progressista”, ma non esistono adeguati soggetti sul piano dei media, delle istituzioni, dei partiti, in grado di rappresentarla.
Ci provano la Lega di Salvini, la Meloni e i suoi fratelli, più formazioni minori (tipo Casapound).

Praticamente non pervenuta l’incidenza dei cattolici in politica, ridotti a coriandoli di poco peso. Il bergoglismo ha ancor più spaccato i cattolici, tra accoglienti (pro-migrantes, pauperisti, caritatevoli) e tradizionali  (pro-famiglie, civiltà cristiana, religiosi).

A puri palliativi si riducono le altre definizioni: moderati, modernizzatori, liberali o riformatori. Definizioni passepartout che non dicono nulla in questo contesto, al più indicano un modo e non un contenuto, un’istanza generica, ma non sono in grado di indicare contenuti politici, scelte di fondo, risposte concrete, orientamenti di vita.

Cosa resta della politica in questo 2018 elettorale? Resta solo il marketing elettorale. Non la formazione di una classe dirigente, non le motivazioni ideali o civili, non la bioetica,  i diritti e doveri. Ma solo il marketing.

Leader è il Miglior Venditore. Non ci sono altri criteri. La politica è la gara a chi compiace di più e meglio i votanti e chi mostra meglio il bluff del concorrente.

L’alchimia del sistema elettorale nega ogni preferenza e legame territoriale. Siamo al remake più kitsch: tentativi goffi di rifare la sinistra, di rifare la destra, di rifare il verso, di rifare il berlusconismo (sette anni visti come un circolo vizioso, da B. a B.). O in alternativa arrendersi alla forza del nulla, in versione regime (establishment euro-italiano) o in versione movimento (protesta grillina).

A vederli alle spalle, in sequenza, sembra che sette anni fa ci attraversò la strada un gatto nero, che ha portato sette anni di guai. Ma il peggio è che non si intravede ancora un’uscita dal settennato nero e sfigato da cui proveniamo.
Lanciati nel voto, senza paracadute.

MV, Il Tempo 17 febbraio 2018

di Marcello Veneziani - 17 febbraio 2018

16/02/18

Quei ghetti di immigrati che incendiano la Svezia


L'ondata di criminalità e fanatismo religioso travolge il "paradiso scandinavo" dell'integrazione





Violenze, auto incendiate, tafferugli con la polizia, zone franche, sharia. L’immagine della Svezia ridente e pacifica rischia di eclissarsi dinanzi a quanto sta avvenendo in alcune periferie delle sue principali città.

Un sogno infranto

Circa quarant’anni orsono, l’alba di un nuovo avvenire sembrava sorgere agli occhi di tanti con il nome di Folkhemmet (la casa di tutto il popolo), un progetto dell’elite politica socialdemocratica svedese che aveva l’obiettivo di ridurre le disparità economiche e incoraggiare la solidarietà. Il presupposto era che la Svezia culturalmente omogenea diventasse multiculturale: una mite mescolanza di genti.
Chissà cosa ne pensano gli ingegneri sociali di allora della piega che ha preso il loro laboratorio interetnico svedese. Quello che doveva essere un modello, oggi è una crisi che le autorità hanno serie difficoltà a gestire. L’integrazione ha spesso ceduto il passo alla ghettizzazione degli immigrati in periferie diventate off limits persino per la polizia.

Guerra tra bande

Il tema della sicurezza è deflagrato ad inizio gennaio, quando un uomo è morto in una stazione della metropolitana, alla periferia di Stoccolma, dopo aver raccolto da terra - nemmeno stesse a Kabul - una bomba a mano inesplosa. A questo episodio ha fatto seguito l’assalto ad una stazione della Polizia nella periferia di Malmo: verso l’edificio è stato lanciato anche un ordigno la cui esplosione si sarebbe udita in tutta la città, la seconda più grande del Paese.
E non si tratta di casi isolati. Negli ultimi tempi le cronache locali danno conto di feroci scontri tra bande di criminali, con decine di sparatorie e attacchi esplosivi. Questi ultimi sono stati 54 tra il 2011 e il 2016. Mentre gli attacchi con ogni tipo di arma da fuoco sono triplicati tra il 2008 e il 2016. Secondo alcuni media, solo nell’ultimo anno sarebbero stati almeno 300 gli scontri con armi da fuoco e dall’inizio del 2018 già quattro persone sarebbero state uccise.
L’origine dei disordini è quasi sempre da ricercare nella guerra tra bande che infestano le periferie svedesi. Uno studio dell’Università di Gavle spiega che il 35% di tutti gli omicidi avvenuti nel Paese tra il 2007 e il 2011 è collegato alla violenza tra gang. Non è un caso che il Governo britannico, sulla pagina del proprio sito dedicata ai consigli di viaggio per i propri cittadini, segnali che in città svedesi come Malmo e Goteborg si verificano crimini violenti, spesso dovuti a guerre tra bande, che sfociano in sparatorie ed esplosioni.

Effetti dell'immigrazione

Queste formazioni criminali sono composte perlopiù da giovani con cognomi tutt’altro che scandinavi. Infatti in un’intervista al New York Times, il prof. Henrik Emilsson, ricercatore sul tema dell’immigrazione all’Università di Malmo, ha spiegato che “gli autori di scontri e violenze nei sobborghi sono spesso figli di immigrati e persone che sono arrivate nel Paese quando erano giovani”. Dunque, si tratta di immigrati di seconda o terza generazione la cui condizione sancisce il fallimento del modello di accoglienza svedese.
In alcune periferie di Malmo, ha spiegato il vicesindaco Nils Karlsson, come riporta Il Post, la disoccupazione arriva al 40%, mentre in altre zone è all’1%. E l’esclusione sociale può spingere i giovani a cercare poli aggregativi al di fuori della legalità, finanche nel più violento fondamentalismo religioso. Proprio a Malmo, del resto, esistono periferie in cui per la strada è più facile incontrare donne con il volto coperto dal velo islamico piuttosto che con i fluenti capelli biondi lungo la schiena.

Sharia "made in Sweden"

La culla del femminismo, come era considerata un tempo la Svezia, sta per essere inghiottita dai precetti più rigidi di qualche predicatore fanatico. Il portale Stv riporta il disappunto di femministe storiche svedesi come Nalin Pekgul e Zelida Dagli, costrette a dichiarare di aver dovuto abbandonare quartieri di Stoccolma ormai in mano agli jihadisti, per le minacce ricevute direttamente e per le molestie cui vengono sottoposte sempre più spesso le donne. Da quegli stessi ghetti, forse, sono partiti i circa 300 foreign fighters che hanno ingrossato le fila dell'Isis in Iraq e Siria. Secondo un rapporto del Centro nazionale per gli studi sul terrorismo, 120 di loro sono tornati nel Paese nordico. Con questi numeri non stupisce che nell'aprile scorso un uomo d'origine uzbeka alla guida di un camion si è scagliato sulla folla a Stoccolma provocando diverse vittime.
Che la situazione stia sfuggendo di mano non è una paranoia di pochi, se nel giugno 2017 una relazione del Governo svedese riferiva che le “zone di alta pericolosità”, a causa dell’applicazione della sharia, nel primo semestre del 2017 sono diventate sessantadue contro le cinquantacinque del dicembre 2016. Condizione di pericolo che avverte la popolazione ebraica. Fredrik Sieradzki, portavoce del Centro culturale ebraico di Malmo, spiega a La Stampa: "Nelle scuole i nostri studenti sono spesso oggetto di aggressioni. L’antisemitismo è pervasivo. C’è risentimento da parte dei giovani che arrivano dal Medio Oriente".

Quale rimedio per evitare la "guerra civile"?

Dan Eliasson, commissario della Polizia Nazionale Svedese, ha reso noto che ormai le forze dell'ordine non sono in grado di entrare in alcuni di questi ghetti e ha lanciato tramite la tv l’appello a fare qualcosa: in alcuni quartieri addirittura i commissariati sarebbero stati chiusi. Più di qualcuno invoca l’invio dell’esercito. Anche il Partito Socialdemocratico al Governo deve ammettere che l’ingranaggio del “paradiso svedese dell’integrazione” si è inceppato. “Schierare l’esercito non sarebbe la mia prima scelta”, ha detto il primo ministro Stefan Lofven in un’intervista all’agenzia di stampa TT, “ma sono pronto a fare tutto quello che servirà per assicurarmi che la vera criminalità organizzata venga fatta sparire”.
Sono sempre di più gli svedesi che ritengono sia giunto il momento di posare la carota e prendere il bastone. Lo testimonia l’ascesa politica dei Democratici Svedesi, partito di estrema destra che in dodici anni, dal 2002 al 2014, è salito dall’1,4% al 12,9%, conquistando 49 seggi in Parlamento. E la questione si fa intrigante in vista delle elezioni di settembre. Nel Paese, infatti, cresce il numero di quanti la pensano come Patrik Engellau, esperto di geopolitica che ha lavorato anche all’Onu, il quale sul proprio sito scrive: “Temo che possiamo essere alla fine della Svezia come società organizzata, decente e egualitaria, come l’abbiamo conosciuta fino ad ora. Non mi sorprenderei se si scatenasse un conflitto, una possibile guerra civile. La guerra civile è già iniziata”.

di FEDERICO CENCI - 15 febbraio 2018

15/02/18

Un clima pessimo, altro che crescita


Un clima pessimo, altro che crescitaÈ un clima orribile che si è creato in questa legislatura di centrosinistra, altro che come affermano dal Governo: successi, benessere e sviluppo. Del resto, quando accadono episodi gravissimi come quello dello schizzato, fascistoide di Macerata e quello insopportabile dell’aggressione di Livorno alla Meloni, è evidente che si sono commessi errori giganteschi. Ci vuole una grande faccia tosta a parlare di crisi superata, di ricchezza collettiva, di uscita dal tunnel depressivo.
Insomma, la crescita vera in un Paese normale si misura soprattutto in termini di qualità dei servizi pubblici, funzionamento della burocrazia, efficienza sanitaria, sicurezza sociale. Si misura con gli indicatori dell’occupazione stabile e non quella precaria, con l’applicazione di una fiscalità semplice ed equa, con il funzionamento della giustizia a favore delle vittime. La crescita vera, e non quella strombazzata si misura con il livello di sicurezza sui territori, con il rispetto dei cittadini e dei contribuenti da parte della macchina statale, con un sistema bancario vicino alle famiglie e all’economia reale.
Ebbene quando tutti questi parametri convergono verso l’alto, diffondendosi in modo piuttosto uniforme nel Paese e quando la crescita del Pil è chiaramente strutturale, si può cantare vittoria. Da noi invece non solo non è così, perché non funziona niente e la vita quotidiana è diventata una giungla, ma se possibile con la politica dell’immigrazione incontrollata si è creato un clima a dir poco incandescente.
In Italia nella sostanza non solo Equitalia è viva e vegeta negli atteggiamenti persecutori, ma i furbetti del cartellino escono fuori come funghi, la sanità fa acqua ovunque, gli scandali continuano imperterriti, alcune banche truffano e imbrogliano anziché aiutare. Insomma in questa legislatura ne abbiamo viste e subite talmente tante che il risultato non poteva che essere quello che viviamo e vediamo purtroppo, un brutto clima. Come se non bastasse il centrosinistra ha sprecato a mani basse risorse pubbliche per erogare bonus inutili, per premiare e ingigantire ulteriormente l’apparato statale, per riempire l’Italia di sconosciuti che adesso non riesce a espellere.
Eppure il buon senso avrebbe imposto una politica esattamente opposta, il denaro andava indirizzato allo sviluppo e non all’assistenza, l’impiego pubblico ottimizzato, le zavorre eliminate, l’immigrazione gestita e controllata. In questi cinque anni il centrosinistra avrebbe dovuto riportare il fisco a una funzione di collaborazione, comprensione e vicinanza ai contribuenti, anziché ossessionare tutti con milioni di notifiche terrorizzanti e usurarie per costi e sanzioni, tanto da sfiorare la rivolta fiscale. Avrebbe dovuto dedicarsi al sud anziché lasciare che per incolpevoli motivi geografici divenisse un porto planetario di immigrati, in gran parte irregolari. Il centrosinistra e Matteo Renzi avrebbero dovuto pensare a riformare la giustizia e il welfare, anziché imballare Paese e parlamento dietro a una modifica costituzionale assurda e rischiosa. Perché Renzi and company, non hanno proposto la separazione delle carriere in magistratura o la revisione della obbligatorietà dell’azione penale, invece che provvedere all’ennesimo svuota carceri? Perché non hanno riformato il welfare separando previdenza e assistenza, eliminando la vergogna delle pensioni d’oro, verificando tutte quelle d’invalidità e ottimizzando gli ammortizzatori?
Bene, anzi male il centrosinistra non lo ha fatto perché non ne è capace, perché è vittima delle su ipocrisie ideologiche e fiscali , perché è schiavo delle sue ossessioni stataliste e centraliste, perché è e rimarrà figlio di una sinistra comunista, antistorica, clientelare, antieconomica, arrogante e illiberale. Ecco perché oggi nel Paese anziché serenità, sicurezza e sviluppo, si vive un clima teso, impaurito e instabile. All’Italia serve un potente defibrillatore di sistema che inverta ogni tendenza in tema di fiscalità, sicurezza, burocrazia, statalismo, lavoro, credito e giustizia. È l’unica opzione possibile e applicabile per rimettere il Paese sul binario della crescita strutturale, dell’armonia sociale, dello sviluppo territoriale e del benessere collettivo, liberale e democratico.


Macerata mortificata dalla Bugia


Domenica 11 febbraio 2018 – Beata Vergine Maria di Lourdes – a Casa Spirlì, in Calabria
striscione razzista contro i Martiri delle foibe


1immagini.quotidiano.netCe l’hanno fatta! Hanno scoperchiato il vaso di Pandora. Ora, sì, Macerata è un inferno! I sobillatori di regime, con l’ottima complicità di certa stampaccia serva, in buona compagnia dei soliti centri sociali, di inutili associazioni di finti santi e finti combattenti, col servizio gratuito dei galoppini di partito, hanno ottenuto il loro momento di gloria elettorale e l’universale sputtanamento di una Città già piagata e piegata dal peggior fatto di cronaca degli ultimi anni: il martirio di una ragazzina per mano di un gruppo di maledetti assassini, immigrati clandestini senza controllo alcuno, che del corpo di quella giovane hanno fatto scempio!

Ma agli sciacalli dell’accoglienza a pagamento, della ragazzina fatta a pezzi, calata in ettolitri di candeggina, eviscerata, forse cannibalizzata, gettata via come fosse spazzatura, NON GLIENE FREGA UN CAZZO! 
Del dolore di una Città gentile e discreta come Macerata, sbattuta sulle prime pagine dei giornali di tutto il mondo, per l’orrore di quella notizia, nessun politico di regime se ne occupa. Ministri in saldo e politicanti di bassa qualità morale si affrettano a far visita a un gruppo di irregolari (fra cui, si dice, un terrorista islamico scappato dall’ospedale per non essere riconosciuto) scampato ad un attacco a mano armata di un ragazzo squilibrato ed esasperato dal disagio sociale, mentre la Città, come il resto della Nazione, avrebbe bisogno di una vera soluzione al problema di una innegabile impossibile convivenza con un numero di clandestini che ormai supera di gran lunga il mezzo milione di individui.

A furia di negarlo, il disagio sta diventando un tumore, causa di fatti esecrabili. E a Macerata, oggi, di fatti esecrabili ne sono successi altri. Non ultimi, i cori inneggianti alle foibe e offensivi fino al vilipendio nei confronti di decine di migliaia di Italiani massacrati dai comunisti titani (con la complicità e il silenzio dei comunisti italiani). Nessuno dei politici che sfilavano alla testa di un corteo di poche migliaia di contestatori trasportati a Macerata da tutta Italia ha chiesto scusa per le porcherie commesse e permesse durante la sfilata.

Il corteo, poi, era stato organizzato per manifestare contro la sparatoria messa in atto dal giovane Traini, disagiato fino alla follia, e non contro IL MARTIRIO DI PAMELA, la ragazzina  SEVIZIATA, AMMAZZATA, FATTA A PEZZI, VILIPESA da una squadraccia di africani clandestini irregolari e delinquenti!!! Di Lei, alla Sinistra Italiana, non importa nulla. Tutto il comunistume residuo ha deciso che la drogata abbia avuto la fine che meritava, mentre i poveri negri assassini un motivo l’avranno pure avuto. Non fosse altro, almeno la naturale predisposizione a delinquere. A prescindere.

VERGOGNA ITALIANA che non può continuare! La gente di buonsenso sta, finalmente, aprendo gli occhi. E la strada comincia a parlare “L’Italia agli Italiani!” “Basta invasione!” “Sicurezza e Dignità!” “Prima gli Italiani!”. Oggi pomeriggio ho cominciato a sentire forte il desiderio di prolungare la passeggiata: il coro, quello vero, lo stanno intonando gli Italiani. Quelli Veri!

di Nino Spirlì - 11 febbraio 2018

NAVE ENI . "Se con Erdogan caliamo le braghe anche a Cipro"


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L’Italia e la Ue dovrebbero prendere lezioni da Londra per gestire in modo dignitoso la vicenda della nave dell’ENI Saipem 12000 che trasporta una piattaforma per trivellazioni, bloccata da navi militari turche nella zona economica esclusiva di Cipro.

2698046La Gran Bretagna, che sulla vicenda aveva preso una chiara posizione riconoscendo “i diritti sovrani della Repubblica di Cipro sulla sua Zona economica esclusiva (Zee) e sullo sfruttamento delle sue risorse naturali”, ha annunciato che invierà la fregata HMS Sutherland nel Mar Cinese Meridionale per riaffermare la libertà di navigazione presso arcipelaghi che Pechino sta occupando in barba al diritto internazionale e rivendicati anche da altri Stati della regione.
Benchè non abbia più da 20 anni (dalla cessione di Hong Kong alla Cina) interessi territoriali nel sud est asiatico, la Gran Bretagna ritiene necessario impiegare le navi da guerra per quei compiti, diplomazia armata e mostrare bandiera, che da sempre caratterizzano il senso stesso dell’esistenza delle flotte militari. Il caso della HMS Sutherland (nella foto sotto) rende ancora più paradossale il fatto che il governo italiano non abbia ancora inviato una nave militare al largo di Cipro per affiancare la Saipem 12000, espressione degli interessi italiani, tenuta d’occhio dalle navi da guerra di Ankara.

Sutherland-Background_1500x1090Certo l’Alto rappresentante dell’Ue per gli affari esteri, Federica Mogherini, ha sollevato la questione con il ministro degli Esteri turco Mevlut Cavusoglu e il titolare della Farnesina, Angelino Alfano, ha espresso la salomonica ma inconcludente aspettativa per “una soluzione condivisa nel rispetto del diritto internazionale e nell’interesse sia dell’Eni, sia dei Paesi della regione, sia delle due comunità cipriote”.
Che effetto abbia il calabraghismo italiano ed europeo con Ankara dovremmo averlo già scoperto con “l’invasione” dei migranti lungo la rotta balcanica nel 2015 e, più recentemente, con la visita di Recep Tayyp Erdogan, giunto a Roma accusando l’Italia di razzismo e islamofobia per i fatti di Macerata ma pretendendo di dettare l’ammissione della Turchia nella Ue.
La conferma ulteriore di quali frutti offra l’arrendevolezza col regime islamista turco è giunta nuovamente dalle parole pronunciate martedì da Erdogan.

Gas Cipro“Avvisiamo coloro che su Cipro e nell’Egeo stanno facendo male i conti e si stanno comportando in maniera impertinente che: manderemo all’aria i vostri piani. Consiglio alle compagnie straniere che operano nelle acque di Cipro, fidandosi di Nicosia, di non superare i limiti e di non lasciarsi strumentalizzare per un lavoro che eccede i loro limiti e le loro forze.
Le spacconerie di costoro sono sotto osservazione dei nostri aerei, delle nostre navi e dei nostri uomini”. Erdogan ha persino paragonato l’impegno militare di Ankara nell’Egeo (dove le navi turche hanno anche speronato un pattugliatore greco) alle operazioni belliche contro i curdi nel nord della Siria.
Toni bellicosi che giustificherebbero l’invio di una flotta Ue per tutelare anche Cipro e il varo di dure sanzioni economiche alla Turchia per l’uso della forza nella Zee cipriota e la violazione del diritto internazionale poiché la Repubblica turca di Cipro è riconosciuta solo da Ankara.
Mobilitare navi militari italiane per affiancare la Saipem 12000 non dovrebbe essere un’opzione ma una chiara esigenza per la tutela degli interessi nazionali poiché, come ha detto l’ad di Eni, Claudio Descalzi, la questione ora è a livello di Stati.
Tra l’altro l’Italia dispone della migliore Marina del Mediterraneo e di navi hi-tech come le fregate Fremm, gioielli da mezzo miliardi di euro ad esemplare, valutate anche dalla Marina Usa. Peccato impiegarle per “traghettare” in Italia immigrati clandestini e non per difendere i nostri interessi nel Mediterraneo.

Foto: Reuters, Anadolu e Royal Navy

15 febbraio 2018di


14/02/18

A spasso per la sinistra

A spasso per la sinistra

“Ma che belle son le foibe da Trieste in giù”.


A spasso per la sinistraSe questo è il meglio che la sinistra “democratica e antifascista tira fuori nel giorno della manifestazione di Macerata, stiamo freschi. Altro che libertà e valori della “Resistenza”. In Italia tira una brutta aria da regime ma il vento non viene da destra. I sinceri difensori della democrazia e della libertà dovrebbero guardarsi dai rigurgiti della sinistra massimalista. È da lì che viene la minaccia più concreta. Sono i “compagni” che, prendendo a pretesto il brutto episodio dell’“utile idiota” di Macerata che ha sparato ai “neri”, per fortuna senza tragiche conseguenze, hanno montato un surreale teatrino sul fascismo alle porte. Ma quale, ma dove? È chiaro che si tratti di una colossale mistificazione propagandistica ad uso di quella parte politica che, storicamente, ha fatto della “disinformazia” e della manipolazione dell’informazione le sue più efficaci armi nella lotta politica. Creare il mostro per colpire il nemico, questa è la tattica della quale i comunisti hanno detenuto il copyright, nel passato. E nel presente. I sondaggi, ma ancor più l’umore della gente comune, dicono che il centrodestra si prepara a vincere le elezioni? Come impedirlo? Alla sinistra odierna, plasticamente rappresentata da un coacervo di giustizialisti, vecchie anticaglie del passato filosovietico, radical-chic in odore di progressismo, femministe stagionate in cerca di rilancio mediatico, associazioni e personaggi della solidarietà economicamente remunerata, si offre l’opportunità di richiamare in gioco, sotto le mentite spoglie dell’antifascismo, la mai sopita aspirazione alla conquista dello Stato mediante l’imposizione di un regime liberticida. Esageriamo? Sono i fatti che parlano.
Lo scorso sabato a Macerata, nella giornata dedicata al ricordo delle foibe e della orribile pulizia etica subita dagli italiani giuliano-dalmati, in coda al secondo conflitto mondiale, per mano dei comunisti jugoslavi, quella sinistra che a parole si dichiara democratica ha consentito che con essa sfilassero gli squadristi dei Centri sociali. La feccia ha gradito l’invito e ha ricambiato la cortesia marciando a suon di sputi ai poliziotti e di slogan inneggianti a Tito, il boia di Belgrado, e al “buon uso” che il massacratore di italiani ha fatto delle foibe. Ma non solo. Anche i martiri di Nassiriya sono stati evocati dai “galantuomini” che spalleggiano i democratici dell’antifascismo militante.
“A Macerata fa freddo e piove, a Nassiriya fa meno 19”. È ciò che si è udito levarsi dal corteo. Complimenti! Ma se nella piazza marchigiana il sacrificio dei nostri carabinieri è stato vilipeso con i gesti e le parole, a Piacenza invece quel sacrificio è stato rievocato materialmente, con l’aggressione e il pestaggio a sangue di un militare dall’Arma, impegnato in servizio. Il brigadiere capo Luca Belvedere, dopo un’azione di alleggerimento sui facinorosi, stava ripiegando ma è caduto a terra. Gli squadristi dei Centri sociali gli si sono avventati addosso colpendolo a calci e pugni. Il carabiniere ha riportato una frattura scomposta a una spalla, mentre l’aspirazione alla libertà assicurata dalla legalità repubblicana ha rimediato una ferita non facilmente rimarginabile nel breve tempo. Anche nella città emiliana si manifestava contro il fascismo. Come a Torino dove, al ritmo dei medesimi slogan delle altre piazze, sono stati scagliati sassi, bottiglie e bombe carta all’indirizzo delle forze dell’ordine. È dunque questa la democrazia declinata dalla sinistra delle grandi utopie egualitariste? Qui la realtà si specchia in un ossimoro: il metodo fascista dell’antifascismo militante. Ci sono in giro gli imprenditori della paura? Certamente, ma cercateli tra coloro che sui media fanno la morale agli altri ma in casa propria occhieggiano alla violenza prevaricatoria degli squadristi dei Centri sociali. La spunteranno? È improbabile perché la maggioranza dell’opinione pubblica è stufa della loro retorica “buonista”, che al momento debito sa farsi garante dei violenti. È stufa di vivere in una società insicura. É arcistufa di subire le angherie e i soprusi di quel potere che si è servito degli immigrati clandestini per farne una nuova razza padrona a spese degli italiani. La sinistra pensa di fermare l’onda dell’indignazione popolare minacciando di comminare sanzioni a tutti? Affibbiando la patente di razzista o fascista a chiunque osi alzare la testa di fronte all’arroganza del potere? Facciano pure, ma arrivano tardi. Come direbbe qualcuno: la storia si è rimessa in cammino. E non va nella direzione da loro desiderata. Chi più di ogni altro ha compreso i segni della mutazione dei tempi è stato Matteo Renzi. Ha fatto di tutto per tenere lontano il suo partito dal vortice propagandistico che rischiava di risucchiarlo.
I “dem” sabato non erano in piazza a farsi dettare lo spartito dal duo Grasso-Boldrini. I vertici del Partito Democratico si sono spesi perché non prendesse piede la strumentale narrazione imposta dalla sinistra su un’imminente resurrezione del Duce. Quell’ipotesi al più è solo un film di scarso successo. Lo ha detto anche l’attuale titolare del dicastero dell’Interno, Marco Minniti: Il fascismo è morto e sepolto. E non ritorna. Ma tutto questo alla sinistra massimalista non interessa perché non conta la verità oggettiva dei fatti, per i “compagni” di ora-e-sempre Bella ciao! conta solo ciò che il partito indica quale verità. È lo spirito più autentico dell’autoritarismo di matrice comunista che ritorna. Eppure, anche Stalin è morto.
Ora, se il fascismo è sinonimo di autoritarismo liberticida, chi sono oggi i veri nostalgici del Novecento più sanguinario e oppressivo di cui temere la ricomparsa? Posta la domanda, datevi una risposta.

12/02/18

" Quelli che hanno inneggiato alle foibe"






 
Leggo commenti che minimizzano, isolano, circoscrivono. Non mi interessa quanti fossero, chi fossero, se siano stati isolati o ignorati, quelli che hanno inneggiato alle foibe nel corteo antifascista di Macerata. Il problema è che c’erano, ritenevano di aver diritto di esserci, e ci sono rimasti. E molti tra quelli che hanno partecipato, o solidarizzato da lontano con quella manifestazione sembrano più intenti a cogliere le sfumature che ne conseguono nel rapporto tra le varie anime della sinistra che a ragionare su quella macchia.
Per me è indelebile. Perché ha a che vedere solo con l’ignoranza, con il fatto che la scuola non insegna e non vuole insegnare (al liceo Einstein di Cervignano del Friuli insegnano, nel Giorno del Ricordo, balli sudamericani, al Liceo Pasteur di Roma invitano una negazionista).
Si spiega, quello slogan – e la disinvoltura con cui tanti altri se lo scrollano di dosso - con un giustificazionismo di chi si ritiene sempre la parte migliore del Paese, e dimentica allegro le sue colpe.
Ci dicono: e i crimini commessi dagli italiani ? Ci furono, durante l’occupazione dei Balcani. E ci furono prima brucianti ingiustizie e italianizzazioni forzate. Credete che i responsabili abbiano pagato ? No, se l’erano data per tempo. I titini si sfogarono su chi era rimasto, pensando ingenuamente di non aver nulla da temere. Infoibarono persino membri del CLN, e un ebreo sopravvissuto ai campi di sterminio nazista. E allora, sapete come si chiama, nella sordida algebra dei dolori, quella reazione ? Rappresaglia: esattamente come i nazisti con le Fosse Ardeatine dopo via Rasella, e paradossalmente esattamente come il preteso giustiziere Traini, che spara a chiunque sia nero di pelle. Vendette nel mucchio.
Ci dicono le massime autorità del Paese: i nazionalismi…. No. Tra i partigiani del IX Corpus slavo c’erano italiani. E gli sloveni hanno appena pubblicato una mappa delle loro fosse comuni: 600. Vi sono stati gettati sloveni e croati, dai titini. Il silenzio sulle foibe serve anche a nascondere le responsabilità del comunismo, a togliere dall’imbarazzo.
Sapete come furono accolti gli esodi da Fiume, da Zara, da Pola ? Con le bandiere rosse dai portuali di Ancona. Con la protesta dei ferrovieri bolognesi. Era comodo addossare loro, che fuggivano dal paradiso socialista, le colpe che erano di tutti gli italiani. Quanti treni diretti ai lager nazisti erano stati fermati, quando farlo sarebbe costato qualcosa ? Nessuno. Considerare fascisti chi era contemporaneamente vittima del fascismo e del comunismo era più facile, loro erano i vinti, e chi li disprezzava – l’accoglienza non era di moda – era l’Italia che aveva combattuto dalla parte sbagliata. Noi, gli altri, eravamo tutti partigiani del 26 aprile, tutti dalla parte giusta, anche se da Pola non avevano mai fatto corriere per andare alle adunate di piazza Venezia.
Mi ha amareggiato anche vedere i cortei di Casa Pound nel Giorno del Ricordo. E’ un loro diritto, ma non riesco mai a non vedervi un’appropriazione indebita, un abbraccio alla solitudine degli esuli e dei loro figli che sa di bacio della morte. Lasciateci soli, discorsi ufficiali ipocriti, cortei neofascisti, cortei antifascisti, soli con le storie delle morti atroci, con gli addii strazianti, con le nostalgie dolorose. Meglio dimenticati che tirati per la giacca, o stracciati nelle contese elettorali. Forse è un destino, per gente che si è rifatta un’esistenza in solitudine, e che oggi vede persino le proprie parole abusate fino a perdere di valore, di significato: profughi, accoglienza, integrazione.
Lasciatemi dire solo una cosa in più: ignorando quelle pagine di storia, stravolgendole, avete perso una lezione. Molti colleghi di mio padre, poliziotto, furono infoibati, e molti altri morirono nei lager nazisti. Le presero dalle due ideologie mortali del ‘900, nazifascismo e comunismo. Fecero in tempo, da vivi, a salvare centinaia di ebrei. Per me quella lezione, oltre alla grata amicizia di qualche amico israeliano, ha voluto dire che ognuno è responsabile di quello che fa, di quello che può fare e non può fare, e che anche nel buio più profondo un tuo gesto può salvare altri e te stesso.
Voi fate i vostri conti elettorali, le vostre schegge impazzite esaltino Traini o le foibe, e sentitevi pure antifascisti e anticomunisti abili e arruolati. Per fortuna, pregio e difetto insieme di noi italiani, è solo commedia, uno slogan, una scritta sul muro, un infierire su un carabiniere solo, un corteuccio a bandiere schierate. Ecco, una cosa potreste fare, lasciare perdere l’idea dell’Italia migliore, e il tricolore. C’è la fotografia di una bambina esule, e un tricolore poggiato sul carretto con le masserizie. Era gente che amava la patria, anche se parlava il dialetto. Ha continuato ad amarla anche dopo, in Australia e in Canada, a Fertilia o a Trieste. Come si ama un padre stanco, confuso, dimentico, che non ti riconosce più, ma è pur sempre tuo padre. Paese ipocrita e allegro, superficiale e feroce, era meglio se non ci regalavi, omaggio postumo, il Giorno del Ricordo. Metterti in vetrina per vederla rompere, era meglio restare nel retrobottega della Storia.

di Toni Capuozzo - 12 febbraio 2018

Mafia nigeriana: ecco come opera. La video inchiesta

 

 

 Riti di iniziazione, boys, mamam e... Video inchiesta sulla mafia nigeriana





Mafia nigeriana: ecco come opera. La video inchiesta

La prima video inchiesta sulla mafia nigeriana: i riti di iniziazione, i boys, le mamam, i don che stanno a Benin City in Nigeria e che incassano gli introiti di elemosina, prostituzione, spaccio di eroina in Italia: senza che il governo, la magistratura e le forze dell’ordine intervengano. L’Ascia Nera ha soppiantato Camorra e ndrangheta e si appresta a stringere in una morsa di crudeltà e terrore le città italiane.







Di Claudio Bernieri- 11 febbraio 2018

fonte:http://www.affaritaliani.it/cronache/mafia-nigeriana-ecco-come-opera-la-video-inchiesta-524116.htmll

10 Carabinieri costretti a scappare contro 400 schifosi delinquenti. L’immagine della fine di uno Stato indegno.


Perdonate lo sfogo.

Che grande schifo.

Ricorderemo questo 10 febbraio come un chiodo arrugginito che va a chiudere la bara d’Italia. Il mio Paese mi fa male.

Da Pastrengo, a Macerata. Dalla carica a cavallo, ai dieci Carabinieri contro i 400 delinquenti. E qui, in questa assurda favoletta nel quinto anno dell’Era della tolleranza, in questa immagine, prima di tutto, prima di ogni rinnovata considerazione sui centri sociali, sull’antifascismo militante, ormai assurto al livello superiore di montagna di merda, sul silenzio contraddittorio della sinistra che blatera di moralità a targhe alterne, sul PD che ha creato ad arte uno scenario di contrapposizione civile surreale, confermato dal suo non esprimersi, rispolverando i fantasmi del passato per distrarre dal presente, divide et impera, su una frantumazione di un popolo adolescente, mai stato veramente tale, prima di ogni altra analisi, in questa immagine sta la fine epica, etica ed estetica dello Stato.

In quei 10 Carabinieri costretti a scappare di fronte a 400 bimbi viziati, figli di babbo, delinquenti. Scarto ed insulto di una generazione che farà fallire la continuità della gente d’Italia. Già indebolita dalla propria cocente mediocrità di provincia. Truccata male, vestita peggio, mai nata, mai risorta. Abortita alla messa la domenica. Tra una preghiera, un gossip, due bei baffi neri, un pregiudizio sul vicino, un compito da fare per pulirsi la coscienza di bravo cittadino e un piatto di spaghetti all’acido.

E allora viene da chiedersi, senza mezzi termini: lo Stato, cazzo, dov’è?

Autorizzare un corteo zeppo di rancore gratuito, ben noto, di clandestini e di “bandiere” dell’Anpi, in un giorno di memoria nazionale, istituito per Legge, nel Giorno del Ricordo, in una città ancora in lacrime, in cui una ragazza è stata ammazzata e fatta a pezzi da un clandestino. Una manifestazione per la tolleranza che canta contro i morti infoibati dei cori da stadio. A strafottersene di quanto buia e profonda sia la foiba della coscienza.

Lo Stato, cazzo, dov’è?

Quando i propri figli si dividono il quartiere in una misera guerra tra poveracci. Corvi che beccano i resti. E su qualche brandello si ammazzano. In nome di un problema inesistente: il fascismo. Il fascismo. Il fascismo.
Vomito.
Lo Stato, cazzo, dov’è?

Lo Stato che non è più padre, non è più confine. Né fine. Se non servitù della sovranazionalità. Non è garante, ne equilibrio delle forze sociali. Non è primus inter pares. È una paresi. E una parentesi, assieme.

Lo Stato, cazzo, dov’era?

Quando ha lasciato dieci Carabinieri a prendere le botte, senza neanche qualche lacrimogeno. Così da poter disperdere quella mandria di maiali. Che per tutta risposta si avventano su uno di loro, che cade, e lo pestano tutti insieme. Niente lacrimogeni, in sotto numero. Ma perché?

Lo Stato, cazzo, dov’è?

Quando si tratta di applicare la legge. E di pensarne una nuova, se necessario, per garantire la serenità dei cittadini e la dignità della propria stessa essenza. Come la Legge Cossiga, come la Legge Reale. Dov’è l’inasprimento delle pene per la sovversione, per il vandalismo e la violenza politica di grave entità? Dov’è il suo pugno duro? Dove sono le sue palle di marmo? Dove sono i provvedimenti contro le scorribande dell’estrema sinistra, contro i centri sociali? Leggi “speciali” impossibili da realizzare nell’epoca che vuole discolparsi da tutto, evitando, per incompetenza e vigliaccheria, di assumersi responsabilità.

E allora come può essere Stato?

Lo Stato, cazzo, dov’è?

Quando si tratta di bilanciare i significati, di prendere per mano la propria gente e condurla nella lucidità del confronto democratico. Dove? Quando si tratta di garantire un pareggio nella battaglia semantica che si sta combattendo. Secondo cui, se manifesti contro le discriminazioni, non vai insultando i morti. Se manifesti per la pace, e contro il fascismo, non vai a tirare mazzate ai Carabinieri. Se vai a manifestare per l’evoluzione di modernità di un Paese, per il progresso, non vai a ripescare i fascisti con tutti i treni in orario, i balilla e l’obelisco del Foro Italico. E se ti senti di sinistra, e sai che gli italiani in condizione di povertà che piangono di nascosto dai figli sono milioni, non ti senti anche un po’ stronzo a pensare che il tuo unico obiettivo è prendertela con chi gli porta la spesa in periferia, perché non ti frega dei poveri, ma della visibilità elettorale che ha il tuo avversario?

Lo Stato, cazzo, dov’è?

Non si sentono parlare i suoi rappresentanti. Che, già lo so, oggi tireranno fuori la criptica critichetta della domenica, in cui si capisce fin troppo bene da che parte stanno, come a farci un’elemosina di Stato, appunto. Ed oggi, oh disgrazia, sarà il più scolorito Presidente della Repubblica della storia recente a doversi spacchettare dal ghiaccio dei silenzi in cui si mantiene in vita, a riaccendersi di colore, dal grigio che lo perseguita, evocando, magari, calma, tranquillità, democrazia; di dare sempre la precedenza, di ringraziare e di salutare quando si esce dalla salumeria. All’indomani di una giornata VERGOGNOSA per la decenza di ogni cittadino onesto e rispettabile. Sempre che non tiri in ballo il fascismo.

Lo Stato, cazzo, dov’è?

Dov’è Minniti? O nel girone dei mandanti morali? E chi sono a questo giro i mandanti morali, eh Boldrini, Saviano et similia?

Lo Stato cazzo dov’era?

Quando moriva Pamela, quando avviene la grande mistificazione, che riesce a trasformare un prodotto della sua superficialità, nell’esatto opposto, ovvero in un’azione da ricondurre specificamente alla bontà della visione antifascista? Da Oseghale a Traini, il passo è breve e, anche qui, surreale. Ma non c’è equilibrio, subito la condanna: Oseghale pagherà, ma Traini è il vero cancro di questo tempo. Un tempo che è…Stato.

Lo Stato, cazzo, dov’è?

Quando deve specificare la propria posizione, e prendere le distanze, in nome dei valori dell’antifascismo, di cui si riempie tanto la bocca, tramite i suoi figuri. A sentirlo, l’antifascismo è il più alto e moderno valore repubblicano. Eppure, nello stesso calderone c’è lo Stato, e le teste di cavolo manesche dei centri sociali; ci sono i bambini portati in gita da piccoli a osannare la prima copia della Costituzione, e c’è chi si rifiuta di mettere a disposizione un sala comunale ad un movimento, come Casa Pound, ad esempio, che, democraticamente l’ha richiesta, ha più di cento sedi in Italia, ha raccolto ben più firme di quelle necessarie per la candidatura, e sarà presente e “votabile”, quindi, in tutti i collegi del Paese? Un movimento perfettamente riconosciuto dalla democrazia, dotato di uno specifico programma complesso e dettagliato, di un’alternativa, quindi non di una cartelletto elettorale senz’arte, né parte, né significato

Lo Stato cazzo dov’è?

Quando si tratterà di tirare la linea del rigore, di richiamare tutti all’attenzione, all’ordine, impedendo, come possibile, che si minimizzi ciò che è accaduto oggi tra Piacenza e Macerata. L’anarchia più perfida, più infima, sporca, viscida, come quella pelle butterata, quei capelli arruffati, quell’eskimo sporco di chi oggi ha sputato sui morti, cantando “com’è bello far le foibe da Trieste in giù“, e rendendo noto a tutti che non esistono morti di serie A e di serie B, ma direttamente che del Giorno del Ricordo, in questo Paese, non frega quasi un cazzo a nessuno. Percepito com’è, lontano nella storia, lontano negli eventi, a causa di una corruzione ideologica, dell’impronta che l’egemonia culturale imperante gli ha attribuito, legandolo, in una perfetta operazione psicosociale, tipica delle sinistre, anche solo nell’evocazione, alla destra estrema, nazionalista, possibilmente fascista, e quindi di conseguenza, all’immagine del razzismo, della fazione, dell’intolleranza verso il resto, insomma, ad una questione “di parte”

Lo Stato, cazzo, dov’è?

Lo Stato chi è? È Stato perché?

Questo Stato non c’è. Questo Stato puzza di morto, è un’offesa, è un cavillo, è un pezzo di colla di trattati internazionali, è una vena sottopelle fina, invisibile, che non dà più sangue. Si tiene in piedi a forza, è una convenzione, un’abitudine. Questo Stato è maleducato, incapace di formare, di essere esempio, di assumersi delle responsabilità. Di permanere, di rimanere, di ricordare.

E alla fine di tutto questo, dove finisce lo Stato, in Italia, inizia la società (in)civile. E proprio in questo settore, qualcuno ce l’ha fatta. Ce l’ha fatta a deviare l’attenzione, a prosciugare quel ruscello fino e quasi rinsecchito di attenzione che il Giorno del Ricordo ha in questo Paese. In un esperimento psicosociale tristissimo, quasi assimilabile a quello dei cani di Pavlov, che appena sentivano il campanello, correvano a sbavare. Per riflesso condizionato.

Come quei cani, tanti italiani. Che nella pigrizia di sviluppare un proprio pensiero critico, assoceranno il Giorno del Ricordo ai fascisti rancorosi, a qualcosa di destra, banalmente e brutalmente inteso, dimenticando, per l’appunto, che settanta anni fa si trattava di italiani, di connazionali, di fratelli, e non di fascisti.

Ma alla fine di una giornata così vergognosamente amara, viene da chiedersi, più e più volte, con le vene del collo gonfie di sangue che è benzina, aspra e bruciante: lo Stato dov’era?

E a tutti quei connazionali guardano in silenzio da dietro le tapparelle, ricordo solo che gli italiani di oggi, senza quelli di ieri, della Pietas, della Misericordia e del rispetto, della ferrea moralità romana, finanche cattolica, sono solo una vaga e stereotipata espressione geografica, sono solo dei portatori sani di baffi neri, pizza e mandolino. Inutili alla storia.

“Il mio Paese mi fa male in questi empi anni,
per i giuramenti non mantenuti,
per il suo abbandono e per il destino,
e per il grave fardello che grava i suoi passi”
(Robert Brasillach, poeta)


di Emanuele Ricucci - 11 febbraio 2018