Perdonate lo sfogo.
Che grande schifo.
Ricorderemo questo 10 febbraio come un chiodo arrugginito che va a chiudere la bara d’Italia. Il mio Paese mi fa male.
Da Pastrengo, a Macerata. Dalla carica a cavallo, ai dieci
Carabinieri contro i 400 delinquenti. E qui, in questa assurda favoletta
nel quinto anno dell’Era della tolleranza, in questa immagine, prima di
tutto, prima di ogni rinnovata considerazione sui centri sociali,
sull’antifascismo militante, ormai assurto al livello superiore di
montagna di merda, sul silenzio contraddittorio della sinistra che
blatera di moralità a targhe alterne, sul PD che ha creato ad arte uno
scenario di contrapposizione civile surreale, confermato dal suo non
esprimersi, rispolverando i fantasmi del passato per distrarre dal
presente, divide et impera, su una frantumazione di un popolo adolescente, mai stato veramente tale, prima di ogni altra analisi, in questa immagine sta la fine epica, etica ed estetica dello Stato.
In quei 10 Carabinieri costretti a scappare di fronte a 400 bimbi
viziati, figli di babbo, delinquenti. Scarto ed insulto di una
generazione che farà fallire la continuità della gente d’Italia. Già
indebolita dalla propria cocente mediocrità di provincia. Truccata male,
vestita peggio, mai nata, mai risorta. Abortita alla messa la domenica.
Tra una preghiera, un gossip, due bei baffi neri, un pregiudizio sul
vicino, un compito da fare per pulirsi la coscienza di bravo cittadino e
un piatto di spaghetti all’acido.
E allora viene da chiedersi, senza mezzi termini: lo Stato, cazzo, dov’è?
Autorizzare un corteo zeppo di rancore gratuito, ben noto, di
clandestini e di “bandiere” dell’Anpi, in un giorno di memoria
nazionale, istituito per Legge, nel Giorno del Ricordo, in una città
ancora in lacrime, in cui una ragazza è stata ammazzata e fatta a pezzi
da un clandestino. Una manifestazione per la tolleranza che canta contro
i morti infoibati dei cori da stadio. A strafottersene di quanto buia e
profonda sia la foiba della coscienza.
Lo Stato, cazzo, dov’è?
Quando i propri figli si dividono il quartiere in una misera guerra
tra poveracci. Corvi che beccano i resti. E su qualche brandello si
ammazzano. In nome di un problema inesistente: il fascismo. Il fascismo.
Il fascismo.
Vomito.
Lo Stato, cazzo, dov’è?
Lo Stato che non è più padre, non è più confine. Né fine. Se non
servitù della sovranazionalità. Non è garante, ne equilibrio delle forze
sociali. Non è primus inter pares. È una paresi. E una parentesi, assieme.
Lo Stato, cazzo, dov’era?
Quando ha lasciato dieci Carabinieri a prendere le botte, senza
neanche qualche lacrimogeno. Così da poter disperdere quella mandria di
maiali. Che per tutta risposta si avventano su uno di loro, che cade, e
lo pestano tutti insieme. Niente lacrimogeni, in sotto numero. Ma
perché?
Lo Stato, cazzo, dov’è?
Quando si tratta di applicare la legge. E di pensarne una nuova, se
necessario, per garantire la serenità dei cittadini e la dignità della
propria stessa essenza. Come la Legge Cossiga, come la Legge Reale.
Dov’è l’inasprimento delle pene per la sovversione, per il vandalismo e
la violenza politica di grave entità? Dov’è il suo pugno duro? Dove sono
le sue palle di marmo? Dove sono i provvedimenti contro le scorribande
dell’estrema sinistra, contro i centri sociali? Leggi “speciali”
impossibili da realizzare nell’epoca che vuole discolparsi da tutto,
evitando, per incompetenza e vigliaccheria, di assumersi responsabilità.
E allora come può essere Stato?
Lo Stato, cazzo, dov’è?
Quando si tratta di bilanciare i significati, di prendere per mano la propria gente e condurla nella lucidità
del confronto democratico. Dove? Quando si tratta di garantire un
pareggio nella battaglia semantica che si sta combattendo. Secondo cui,
se manifesti contro le discriminazioni, non vai insultando i morti. Se
manifesti per la pace, e contro il fascismo, non vai a tirare mazzate ai
Carabinieri. Se vai a manifestare per l’evoluzione di modernità di un
Paese, per il progresso, non vai a ripescare i fascisti con tutti i
treni in orario, i balilla e l’obelisco del Foro Italico. E se ti senti
di sinistra, e sai che gli italiani in condizione di povertà che
piangono di nascosto dai figli sono milioni, non ti senti anche un po’
stronzo a pensare che il tuo unico obiettivo è prendertela con chi gli
porta la spesa in periferia, perché non ti frega dei poveri, ma della
visibilità elettorale che ha il tuo avversario?
Lo Stato, cazzo, dov’è?
Non si sentono parlare i suoi rappresentanti. Che, già lo so, oggi
tireranno fuori la criptica critichetta della domenica, in cui si
capisce fin troppo bene da che parte stanno, come a farci un’elemosina
di Stato, appunto. Ed oggi, oh disgrazia, sarà il più scolorito
Presidente della Repubblica della storia recente a doversi spacchettare
dal ghiaccio dei silenzi in cui si mantiene in vita, a riaccendersi di
colore, dal grigio che lo perseguita, evocando, magari, calma,
tranquillità, democrazia; di dare sempre la precedenza, di ringraziare e
di salutare quando si esce dalla salumeria. All’indomani di una
giornata VERGOGNOSA per la decenza di ogni cittadino onesto e
rispettabile. Sempre che non tiri in ballo il fascismo.
Lo Stato, cazzo, dov’è?
Dov’è Minniti? O nel girone dei mandanti morali? E chi sono a questo giro i mandanti morali, eh Boldrini, Saviano et similia?
Lo Stato cazzo dov’era?
Quando moriva Pamela, quando avviene la grande mistificazione, che
riesce a trasformare un prodotto della sua superficialità, nell’esatto
opposto, ovvero in un’azione da ricondurre specificamente alla bontà
della visione antifascista? Da Oseghale a Traini, il passo è breve e,
anche qui, surreale. Ma non c’è equilibrio, subito la condanna: Oseghale
pagherà, ma Traini è il vero cancro di questo tempo. Un tempo che
è…Stato.
Lo Stato, cazzo, dov’è?
Quando deve specificare la propria posizione, e prendere le distanze,
in nome dei valori dell’antifascismo, di cui si riempie tanto la bocca,
tramite i suoi figuri. A sentirlo, l’antifascismo è il più alto e
moderno valore repubblicano. Eppure, nello stesso calderone c’è lo
Stato, e le teste di cavolo manesche dei centri sociali; ci sono i
bambini portati in gita da piccoli a osannare la prima copia della
Costituzione, e c’è chi si rifiuta di mettere a disposizione un sala
comunale ad un movimento, come Casa Pound, ad esempio, che,
democraticamente l’ha richiesta, ha più di cento sedi in Italia, ha
raccolto ben più firme di quelle necessarie per la candidatura, e sarà
presente e “votabile”, quindi, in tutti i collegi del Paese? Un
movimento perfettamente riconosciuto dalla democrazia, dotato di uno
specifico programma complesso e dettagliato, di un’alternativa, quindi
non di una cartelletto elettorale senz’arte, né parte, né significato
Lo Stato cazzo dov’è?
Quando si tratterà di tirare la linea del rigore, di richiamare tutti
all’attenzione, all’ordine, impedendo, come possibile, che si minimizzi
ciò che è accaduto oggi tra Piacenza e Macerata. L’anarchia più
perfida, più infima, sporca, viscida, come quella pelle butterata, quei
capelli arruffati, quell’eskimo sporco di chi oggi ha sputato sui morti,
cantando “com’è bello far le foibe da Trieste in giù“, e rendendo noto a
tutti che non esistono morti di serie A e di serie B, ma direttamente
che del Giorno del Ricordo, in questo Paese, non frega quasi un cazzo a
nessuno. Percepito com’è, lontano nella storia, lontano negli eventi, a
causa di una corruzione ideologica, dell’impronta che l’egemonia
culturale imperante gli ha attribuito, legandolo, in una perfetta
operazione psicosociale, tipica delle sinistre, anche solo
nell’evocazione, alla destra estrema, nazionalista, possibilmente
fascista, e quindi di conseguenza, all’immagine del razzismo, della
fazione, dell’intolleranza verso il resto, insomma, ad una questione “di
parte”
Lo Stato, cazzo, dov’è?
Lo Stato chi è? È Stato perché?
Questo Stato non c’è. Questo Stato puzza di morto, è un’offesa, è un
cavillo, è un pezzo di colla di trattati internazionali, è una vena
sottopelle fina, invisibile, che non dà più sangue. Si tiene in piedi a
forza, è una convenzione, un’abitudine. Questo Stato è maleducato,
incapace di formare, di essere esempio, di assumersi delle
responsabilità. Di permanere, di rimanere, di ricordare.
E alla fine di tutto questo, dove finisce lo Stato, in Italia, inizia
la società (in)civile. E proprio in questo settore, qualcuno ce l’ha
fatta. Ce l’ha fatta a deviare l’attenzione, a prosciugare quel
ruscello fino e quasi rinsecchito di attenzione che il Giorno del
Ricordo ha in questo Paese. In un esperimento psicosociale
tristissimo, quasi assimilabile a quello dei cani di Pavlov, che appena
sentivano il campanello, correvano a sbavare. Per riflesso condizionato.
Come quei cani, tanti italiani. Che nella pigrizia di sviluppare un
proprio pensiero critico, assoceranno il Giorno del Ricordo ai fascisti
rancorosi, a qualcosa di destra, banalmente e brutalmente inteso,
dimenticando, per l’appunto, che settanta anni fa si trattava di
italiani, di connazionali, di fratelli, e non di fascisti.
Ma alla fine di una giornata così vergognosamente amara, viene da
chiedersi, più e più volte, con le vene del collo gonfie di sangue che è
benzina, aspra e bruciante: lo Stato dov’era?
E a tutti quei connazionali guardano in silenzio da dietro le
tapparelle, ricordo solo che gli italiani di oggi, senza quelli di ieri,
della Pietas, della Misericordia e del rispetto, della ferrea moralità
romana, finanche cattolica, sono solo una vaga e stereotipata
espressione geografica, sono solo dei portatori sani di baffi neri,
pizza e mandolino. Inutili alla storia.
“Il mio Paese mi fa male in questi empi anni,
per i giuramenti non mantenuti,
per il suo abbandono e per il destino,
e per il grave fardello che grava i suoi passi”
(Robert Brasillach, poeta)
di Emanuele Ricucci - 11 febbraio 2018